Riflessioni sull'indipendenza della magistratura

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L'indipendenza della magistratura è un principio fondamentale della Costituzione Italiana. Di più, l'indipendenza della magistratura è un elemento costitutivo di una effettiva separazione dei poteri, che a sua volta è un principio fondamentale dello stato liberale. L'indipendenza della magistratura può essere intesa però in modi diversi e può essere garantita in modi anche molto diversi. Queste sono alcune riflessioni in libertà su queste questioni, nello spirito che nulla è tabù, neppure l'indipendenza della magistratura, certo non nella forma in cui è esercitata in Italia.

Queste riflessioni derivano in parte dalle presentazioni mia (rozza, ma proprio rozza, qui) e di Andrea Ichino alle giornate nFA di Villa La Pietra.

La questione della separazione dei poteri, esecutivo-legislativo-giudiziario, è posta originariamente (da Montesquieu e Locke) come una forma di limitazione del potere autocratico dell'esecutivo. Logica conseguenza della separazione dei poteri come limitazione del potere autocratico dell'esecutivo sono quelli che la cultura politica anglosassone chiama "checks and balances", cioè un sistema di controlli incrociati tra i tre poteri fondamentali di ogni sistema politico, così da limitare la possibilità che uno o più di di essi si pongano contro la legge o addirittura contro la Costituzione.

Si può discutere se la separazione dei poteri sia o meno necessariamente un elemento costituente di un sistema politico ottimale. Ma mi pare indiscutibile che la separazione dei poteri abbia avuto una funzione storica positiva nello sviluppo dei sistemi politici democratici dell'occidente (e non solo). Accettiamo quindi il principio della separazione dei poteri senza discuterlo. Una certa indipendenza della magistratura ne consegue direttamente: se i magistrati fossero completamente soggetti al governo, ad esempio, il potere giudiziario non sarebbe separato ma sarebbe invece parte del potere esecutivo.

Ma quale indipendenza, in che termini e in che forma, è richiesta dal principio della separazione dei poteri come meccanismo di checks and balances? Innanzitutto, è necessario che la legge stabilisca condizioni e mezzi attraverso cui il potere giudiziario possa giudicare della legalità delle azioni del governo e del parlamento (potere giudiziario controlla potere esecutivo e legislativo) e della costituzionalità delle leggi del parlamento (potere giudiziario controlla potere legislativo).

Ma in che modo avviene il controllo inverso? In che modo i poteri legislativo ed esecutivo controllano il potere giudiziario? Innanzitutto, è il potere legislativo a definire ciò che costituisce reato, che è compito del sistema giudiziario perseguire in base a procedure e per mezzo di sanzioni definite anch'esse dal potere legislativo. Tutto questo è essenzialmente garantito, in forme diverse, in ogni ordinamento liberale che si rispetti, dall'Italia agli Stati Uniti (anche se nei sistemi di common law, essenzialmente i sistemi anglosassoni, il sistema giudiziario contribuisce anche in modo sostanziale alla formazione delle leggi).

A parte questo, in Italia l'indipendenza della magistratura è essenzialmente interpretata in

modo tale da impedire ogni controllo esterno dell'operato della

magistratura. Il Consiglio Superiore della Magistratura è organo di

autogoverno della magistratura cui la Costituzione attribuisce in parte

il compito di controllare che il sistema giudiziario operi

correttamente e secondo la legge. Le forme di controllo che il potere esecutivo esercita su quello

giudiziario sono minime in Italia. Il potere esecutivo, nella persona del

Guardasigilli, può

indire ispezioni e iniziare procedure di sanzionamento del

comportamento di singoli magistrati, ma in ultima istanza le decisioni

spettano al Consiglio Superiore della Magistratura.

Il sistema giudiziario in Italia non funziona. Ne abbiamo parlato noi, ne parlano tutti. La questione che mi pongo è: il modo in cui in Italia è garantita l'indipendenza della magistratura contribuisce a non farlo funzionare, il sistema giudiziario? O non è lì il problema? E se l'indipendenza della magistratura contribuisce davvero a non far funzionare il sistema giudiziario, in che modo lo fa?

Axel ha già dato risposta positiva alla domanda. Ha già discusso della deriva correntistica della magistratura, che molti considerano problema fondamentale del sistema giudiziario italiano. Più in generale, il Consiglio Superiore della Magistratura non sembra esercitare correttamente la propria funzione costituzionale di autocontrollo. Sembra invece funzionare essenzialmente come una associazione professionale, come quella dei notai, degli avvocati, dei geometri, e così via: richiede iscrizione all'albo e difende e opera per garantire privilegi ai propri membri. Il risultato è che il Consiglio Superiore della Magistratura, e la magistratura nel suo complesso, appaiono operare in una logica corporativa e appaiono essere impermeabili ad ogni incentivo ad operare affinché sia garantita la produttività del sistema giudiziario. Cito il giudice Falcone, anche in questo avanti ai tempi:

 

La magistratura

ha sempre rivendicato la propria indipendenza, lasciandosi in realtà troppo

spesso irretire surrettiziamente dalle lusinghe del potere politico. [...] Abbiamo sostenuto con passione la tesi del

pubblico ministero indipendente dal potere esecutivo, accorgendoci troppo tardi

che, per un pubblico ministero privo dei mezzi e delle capacità per una azione

incisiva, autonomia e indipendenza effettive sono un miraggio. O un privilegio

di casta.[Il grassetto è mio]

 

Ma come possono i poteri legislativo ed esecutivo controllare l'efficienza del sistema giudiziario senza influenzarne la direzione al di là delle proprie prerogative di legge? È probabilmente buon disegno costituzionale che tale controllo non sia esercitato dal potere esecutivo o da quello legislativo in modo arbitrario, ma è purtuttavia necessario che un meccanismo in grado di esercitarlo sia definito per legge. Ad esempio, la destinazione dei compiti amministrativi degli uffici della Procura a managers sottoposti a sistema di governance rigido e trasparente, con poteri chiari e definiti anche nella gestione del personale (i PM), potrebbe essere un passo nella giusta direzione. Questo si può fare. Il sistema di governance è questione delicata, ma si può senz'altro fare. Ogni opposizione a innovazioni organizzative che vanno in questa direzione a me paiono senza dubbio pretestuose. Così come gli uffici funzionano a Torino e a Bolzano, così devono funzionare ovunque nel paese. È solo questione di organizzazione del lavoro e di capacità organizzative e manageriali di chi gestisce gli uffici.

Ma la questione fondamentale, quella più importante che resta da definire è la seguente: chi decide come siano distribuite le risorse della magistratura nella persecuzione dei vari reati? In un contesto in cui le risorse della magistratura sono limitate, è necessario che questa decisione sia regolata in qualche modo o forma. Si noti che questa questione è in certa misura indipendente della questione della separazione dei poteri. Una possibile soluzione è demandare questa decisione ai cittadini, attraverso l'elezione democratica a livello locale del Pubblico Ministero (più o meno il sistema americano).

Appare soluzione ragionevole, questa, così come appare ragionevole demandare la decisione al potere esecutivo. In entrambi i casi però la distribuzione delle risorse della magistratura nella persecuzione dei vari reati sarebbe soggetta alle incertezze della politica e ai contingenti cambiamenti dell'opinione pubblica. Inoltre, la distribuzione delle risorse della magistratura sarebbe definita in modo il più delle volte implicito e non trasparente. Potrebbe ad esempio darsi il caso (e in generale ci aspetteremmo che si desse il caso) che il PM eletto democraticamente o il governo implicitamente favoriscano la propria base elettorale limitando le risorse volte alla persecuzione dei reati che la base elettorale stessa statisticamente è più prona a commettere.

Meglio allora un sistema in cui è il potere legislativo, il parlamento, a dare linee guida per la distribuzione delle risorse alla persecuzione dei diversi reati. Ma non significa che il parlamento debba definire una specie di ordine dei reati, dai più rilevanti ai meno rilevanti? Assolutamente no! Significa invece che il parlamento deve definire un metodo generale, la cui applicazione comporti una implicita ripartizione delle risorse per reato. Questi meccanismi indiretti hanno maggiore flessibilità e si adattano meglio alle situazioni particolari, alla differenza tra regioni del paese eccetera. Se pure la flessibilità implicita in un sistema in cui i PM sono soggetti a giudizio popolare pare eccessiva, una certa flessibilità è necessaria. Meccanismi rigidi e separati dalla volontà popolare finiscono per essere facilmente

criticati. Anche con argomenti che fanno rizzare i capelli. Ad esempio, dice

Guido Bertolaso, il ripulitore di Napoli già a capo della protezione

civile, dopo che alcuni suoi collaboratori sono stati arrestati per

vari illeciti amministrativi e non (da Repubblica del 31 Maggio):

 

Hanno colpito chi, nella emergenzialità (sic!) del

momento, non ha eseguito dettami di legge validi per la normalità, ma

non per l'eccezionalità. Non si può pensare alle leggi come a un

moloch valido in ogni circostanza, devono essere adattate per il

vivere bene dei cittadini.

 

In Italia la distribuzione delle risorse per reato è già implicitamente flessibile: l'obbligatorietà dell'azione penale comporta i) che i reati più frequentemente denunciati siano i più perseguiti, ii) che operi un sistema di razionamento per cui il giudizio avvenga in tempi lunghi, e questo a sua voltafa sì che solo i reati per cui vale la pena aspettare sono denunciati. È tale meccanismo ottimale, o anche solo ragionevole?


Io credo si possa fare di meglio. Qualunque economista fa fatica ad accettare che una allocazione di risorse che avviene attraverso razionamento e coda sia efficiente. E non per posizione ideologica pre-determinata. Il razionamento e le code sono meccanismi allocativi inefficienti sotto condizioni abbastanza generali. Un po' più ideologicamente, un economista davanti a razionamento e code di solito chiede: dov'è il prezzo che manca? Un sistema di prezzo corretto permette in generale di distribuire efficientemente risorse scarse a coloro che più le valutano. Un amico economista bulgaro mi raccontava che prima della caduta del regime comunista i suoi genitori (evidentemente ben messi ma non abbastanza nella struttura gerarchica del partito) al compimento del suo sesto anno gli comprarono una Skoda. Costava relativamente poco per i quadri del partito, ma ci volevano 12 anni in media ad averla!

Dov'è il prezzo che manca? Nel caso del mercato delle Skoda, il prezzo mancante è quello della Skoda. Facile. Ma nel caso del sistema giudiziario? Non è domanda facile cui rispondere. Prima però bisogna rispondere a una obiezione naturale e rilevante. Qualunque sistema di prezzo implica che persone con maggiore disponibilità finanziaria hanno più facile accesso alla giustizia. Risposta: è vero (e puo' anche essere anti-costituzionale, dove si richiede che la "giustizia" sia "uguale per tutti" - ma abbiamo girato attorno a molti principi costituzionali, si può fare anche con questo). Ma anche ora la giustizia è in effetti non uguale per tutti. Gli avvocati non sono tutti uguali, e costano. Non solo, ma come notavo in un altro post sulla giustizia, l'Italia è tra gli ultimi paesi in Europa in termini di spesa per aiutare l'accesso alla giustizia di chi non ha risorse economiche. Poiché l'unico prezzo operante all'interno del sistema giudiziario è quello dell'avvocato, l'avvocatura ha una enorme rendita, che è felice di non dover dividere con la magistratura. Facciamo un esempio. Tizio è accusato da Caio di frode finanziaria. Tizio è ricco. Tizio è anche innocente. Non solo, ma può provarlo con certa facilità. Oggi Tizio va dall'avvocato, il migliore e il più costoso, sulla piazza e gli mette in mano la situazione. L'avvocato, o riesce abilmente a chiudere il processo in fretta, oppure la tira per le lunghe mirando alla prescrizione. In ogni caso, Tizio risolverà la questione, con una profumata parcella dell'avvocato. Ma se Tizio potesse optare per un giudizio rapido, a pagamento (ecco il prezzo mancante), magari lo farebbe. E la magistratura dividerebbe la rendita con l'avvocatura. I guadagni della magistratura potrebbero essere impiegati dalla magistratura stessa per comprare computers, segretari, PM, e rendere tutti i processi un po' più veloci.

Non è un caso che a una simile proposta la prima reazione sia stata quella del Consiglio Nazionale Forense, che scompostamente ha urlato alla lesione del principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge (vedi Luigi Ferrarella, Fine pena mai, Il Saggiatore, 2007, p.97).

Non credo certo che quello di "prezzare" la rapidità del processo sia necessariamente il meccanismo migliore per la magistratura. Mi limito ad argomentare che non è né impossibile né necessariamente un modo per rendere la qualità dei servizi che la giustizia rende al cittadino più dipendenti dal reddito del cittadino di quanto non lo sia già ora.

Ma se qualcosa di simile è plausibile, molti sono i servizi specifici, oltre alla rapidità del processo, che possono essere "prezzati". Ad esempio, il processo in rito abbreviato potrebbe essere la norma e un prezzo potrebbe essere associato al processo accusatorio. Anche l'appello potrebbe essere prezzato.

Per quanto a un economista possa piacere cercare di generare una migliore allocazione delle risorse della giustizia attraverso un sistema di prezzi, per disegnare un meccanismo di questo tipo bisogna affrontare problemi enormi. Forse insormontabili, forse no. A mio avviso vale però la pena pensarci. Ecco una lista dei problemi che mi sono venuti in mente.

1) Chi decide quale tipo di processo scegliere e chi ne paga il prezzo associato? In un processo ci sono almeno due parti; gli interessi delle parti possono essere contrapposti o meno. La legge potrebbe definire regole per ovviare alla contrapposizione degli interessi: ad esempio, il processo rapido ha precedenza, e così il processo accusatorio e l'appello. Se una parte richiede il processo rapido e/o qullo accusatorio e poi l'appello, così è. Ma chi paga il prezzo? La parte che richiede il servizio o entrambe? Se paga chi richiede il servizio nasce un problema di azione collettiva nel caso in cui gli interessi delle parti non siano contrapposti.

2) Come è determinato il prezzo? Deve poter variare con le condizioni della giustizia (col tipo di reato, con la procura che persegue il reato, con la lunghezza media dei processi nel tribunale disposto a giudicare, etc.). Può La magistratura fissare un prezzo? Gli avvocati competono tra loro, la magistratura no! Quali incentivi si possono dare alla procura così che il prezzo fissato sia efficiente? Come redistribuire i proventi alla magistratura? Competizione tra magistrati?

Non penso certo di avere risposte. Però almeno pongo le domande. Mi permetto solo di suggerire che vale la pena pensarci.

Nascondersi dietro il principio costituzionale di indipendenza della magistratura per evitare che il problema della allocazione delle risorse per reato sia risolto, almeno in parte, al di fuori della magistratura mi pare illogico e irragionevole. Evitare di farlo darebbe più forza al sacrosanto diritto dei cittadini di avere una magistratura libera e indipendente nella sua attività di controllo (ancora i checks and balances) della politica. Libertà e indipendenza che oggi più che in ogni altro momento la politica attacca.

Il principio costituzionale di indipendenza della magistratura è anche utilizzato a giustificazione della mancanza di incentivi formali alla carriera dei magistrati. L'idea è semplice: ogni singolo magistrato è indipendente anche perché, non potendo essere promosso se non per età, non risponde a nessuno se non alla legge (ad esempio, semplicisticamente, non puo' essere "ricattato" da richieste tipo "assolvi/condanna questo che ti promuovo").

Così però la carriera è piatta e non si riesce a premiare i magistrati migliori (punire i peggiori). A questo proposito anche il nuovo ordinamento non aiuta molto. Infatti, è sì prevista una progressione economica basata sulla valutazione quadriennale del magistrato (in caso di valutazione negativa, non

vi è la progressione economica e, in caso di seconda valutazione negativa, è

previsto il licenziamento). Ma non vi sono incentivi a che la valutazione sia corretta. Senza questi incentivi, che devono necessariamente comportare una maggiore responsabilità manageriale del capo ufficio, si finirà per avere, come diceva Axel del vecchio regolamento, solo magistrati “estremamente laboriosi, particolarmente preparati giuridicamente ed

equilibratissimi”. Il fatto che la valutazione si basi in parte su parametri statistici aiuta, ma solo un po' (perché a queste cose si gira facilmente intorno).

Anche qui, non pretendo di avere una risposta su come sia possibile introdurre premi di carriera per i magistrati limitandone gli effetti negativi sulla indipendenza. Ho però l'impressione che sia necessario. A questa convinzione mi ha portato anche l'evidenza empirica sulle grandi differenze di produttività tra magistrati di cui Andrea Ichino ha parlato alle giornate nFA. Per i giudici di pace, i risultati sono qui; per i giudici togati Andrea non ha credo ancora finito il paper, ma la sua pagina web è qui (lo posterà).

Un caveat finale, che sennò Axel si arrabbia, visto che è tornato e controlla tutto quello che scrivo: in questo post ho discusso essenzialmente come la visione italiana della indipendenza della magistratura sia in parte responsabile del cattivo/mancato funzionamento della giustizia. Naturalmente i problemi non stanno solo qui: nella relazione alle giornate discuto anche delle questioni della inefficienza degli uffici e delle semplificazioni necessarie alla procedura penale e al processo civile.

 

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Commenti

Ci sono 37 commenti

C'è una cosa che mi sono sempre chiesto: l'obbligatorietà dell'azione penale viene sempre presentata, anche negli scritti di Alberto, come un'opzione che si può avere o non avere. Non sarebbe opportuno, invece, stabilire un sistema di randomizzazione della scelta dei reati da perseguire, con percentuali scelte anche dall'esecutivo, eventualmente, ma con delle percentuali minime superiori a zero per tutti i reati. Con questo criterio chi sceglie ha solo un potere di indirizzo delle priorita', ma non totale controllo su cosa venga perseguito.

Un simile espediente si potrebbe usare anche per risolvere i problemi creati dalla strategia di ricerca della prescrizione del reato: se ogni tanto i tribunali estraessero dalla pila una pratica per perseguila immediatamente, per gli avvocati perseguire la prescrizione non sarebbe piu' strategia dominante.

 

Questa mi sembra un'ottima idea. In un paese come l'Italia purtroppo pero' ci sono dubbi anche sul funzionamento onesto delle lotterie, sono riusciti a truccare perfino l'estrazione del lotto. Al fine di avere un'applicazione equa ed efficiente della legge comunque e' fondamentale assicurare una probabilita' maggiore di zero alla persecuzione di ogni reato.

 

 

 

se ogni tanto i tribunali estraessero dalla pila una pratica per

perseguila immediatamente, per gli avvocati perseguire la prescrizione

non sarebbe piu' strategia dominante.

 

 

 Mi pare di aver letto proprio qui su nfA (ma non ricordo bene) che in Germania l'avvocato viene pagato a progetto: si paga un tot per una causa da concludere in un certo tempo. In queste condizioni forse gli avvocati sarebbero piu' solerti nel far terminare i processi, perche' se vanno oltre il tempo previsto ci rimettono. Non so quanto sarebbe applicabile, ma potrebbe essere un'idea?  

 

 

scusa Andrea,

come sai sono keynesiano e quindi un po' lento di comprendonio, non capisco il tuo raigionamento.

 

Non sarebbe opportuno, invece, stabilire un sistema di randomizzazione della scelta dei reati da perseguire, con percentuali scelte anche dall'esecutivo, eventualmente, ma con delle percentuali minime superiori a zero per tutti i reati.

 

what's the meaning?  

 

se ogni tanto i tribunali estraessero dalla pila una pratica per perseguila immediatamente, per gli avvocati perseguire la prescrizione non sarebbe piu' strategia dominante.

 

why?

La lotteria, di per sè c'è già. Ci sono sempre fascicoli che vanno più veloci degli altri, in cui la strategia della ricerca della prescrizione non dà i suoi frutti. 

Domani sul sito di radiocarcere verrà pubblicato un articolo del prof. Padovani sull'obbligatorietà dell'azione penale, metterò il link, appena sarà uscito.

Poi dovrò lanciarmi nella feroce replica ad Alberto, per questo proditorio attacco alla mia indipendenza (peggio di BS!).

 

Mi spiace di non essere potuto venire all'incontro, interessanti sia il post che l'articolo.

Il rischio di queste analisi è quello di partire dai massimi sistemi, scendendo con la navicella giù giù nel nostro ordinamento alla ricerca di quel pezzettino o pezzettone di normativa che causerebbe il fatto che i processi durano vent'anni (l'indipendenza della magistratura? l'obbligatorietà dell'azione penale? il CSM?). Secondo me bisogna osservare ancora un po' la big picture.

La ricerca del  "prezzo che manca" non mi sembra appropriata: quando ricorro alla giustizia non lo faccio per ottenere uno scambio, ma semplicemente una contropartita rispetto ad una lesione o ad una violazione. Metà dello scambio è avvenuta con la lesione o violazione e l'ordinamento ne stabilisce il prezzo (se lo stabilissi io darei l'ergastolo a chi mi ha rigato la macchina): il problema è che se la sanzione avviene fra vent'anni è praticamente come se non ci fosse.

I genitori del tuo amico bulgaro gli hanno comprato la Skoda non tanto perché il prezzo (politico) era accettabile o rappresentativo ma per poterla possedere nel TEMPO desiderato.

Il giudizio rapido a pagamento che rende i processi più veloci assomiglia molto al commissario straordinario che rende i procedimenti amministrativi più veloci, all'organizzazione sindacale che rende più veloci le pratiche previdenziali, ai caaf che rendono più veloci le dichiarazioni dei redditi, alla posta prioritaria che doveva essere più veloce pagando un po' di più, alla situazione generale dell'Italia per cui paghiamo due volte lo stesso servizio, fatto male, sempre peggio.

 

 

Capisco che l'applicazione sia difficile. Come nota Sabino pero' si fa in parte nel civile. Bisogna pensarci bene, ci sono un mucchio di difficolta', ma secondo me non e' impossibile.

 

Il meccanismo di pagare per avere rapidità esiste in parte nel campo civile.

Per molti tipi di giudizio si può evitare la causa davanti ai giudici togati e far decidere il tutto da un collegio arbitrale: il lodo arbitrale è rapido anche se piuttosto costoso.

In fondo le stesse proposte del mio articolo sulla giustizia civile  erano nell'ottica di deflazionare l'uso della magistrature per ottenere invece giustizia attraverso strumenti alternativi.

In campo penale ho qualche dubbio.

Intanto il caso di avere "un reato un imputato" anche se pensato come regola è in realtà spesso l'eccezione, perchè è invece molto frequente il concorso di più persone nel reato: cosa accade se alcuni degli imputati sono disposti a pagare per velocizzare e gli altri non vogliono o non possono permettersi la "tassa-velocità"? che si fa si divide il processo in due tronconi col rischio di un conflitto tra giudicati  ?

Sulle risorse e sugli incentivi - anche economici - alla produttività qualcosa però mi pare indispensabile e come dice alberto il tutto deve passare dalla responsabilizzazione dei capi degli uffici.

Per quanto riguarda il reperimento delle risorse si potrebbe pensare ad una sorta di fiscalità decentrata.

Oggi quando si inzia un giudizio in campo civile, si paga un "contributo unificato" che può andare da pochi euro a diverse centinaia e, soprattutto, la sentenza che definisce il giudizio (tranne alcuni casi) è sottoposta al pagamento della tassa di registro, che è dovuta in percentuale fissa in base al valore della causa.

Per esempio un decreto ingiuntivo di unmilione di euro paga una tassa di €. 30.000 o la sentenza che trasferisce la proprietà di un immobile paga un'imposta pari al 10% del valore dell'immobile stesso.

Insomma, la definizione di un giudizio civile comporta un'entrata per lo stato, che - pur non avendo  nessuno studio in materia - ho la sensazione che possa ritenersi pari al costo sopportato dallo stato stesso per consentire alle parti di giungere a quella sentenza.

Perchè non pensare che una certa percentuale delle entrate generate dal sistema giustizia di uno specifico tribunale, invece di essere confuse tra tutte le altre entrate statali e riversate nel mare magnum della contabilità generale dello stato, non possano rimanere a disposizione di quel tribunale e gestite dal capo dell'ufficio per incentivarne la produttività ?

Si tratterebbe di una attribuzione di risorse non mendiata dal ministero, ma generata direttamente da quello specifico tribunale, attraverso la produzione di decisioni, il che costituirebbe un ulteriore incentivo alla produttività dei magistrati.

 

 

 

 

Perchè non pensare che una certa percentuale delle entrate generate dal

sistema giustizia di uno specifico tribunale, invece di essere confuse

tra tutte le altre entrate statali e riversate nel mare magnum della

contabilità generale dello stato, non possano rimanere a disposizione

di quel tribunale e gestite dal capo dell'ufficio per incentivarne la

produttività ?

 

Temo creerebbe incentivi distorti, un po' come quelli che hanno i comuni per piazzare divieti di sosta per incassare le multe.

 

 

 

Ad esempio, la destinazione dei compiti amministrativi degli uffici della Procura a managers sottoposti a sistema di governance

rigido e trasparente, con poteri chiari e definiti anche nella gestione

del personale (i PM), potrebbe essere un passo nella giusta direzione.

 

A me sembra che gli esempi di Torino e Bolzano la dicano abbastanza lunga su cio' che manca. Quel che e' cambiato in quei due contesti e' principalmente la strategia organizzativa, il criterio di economizzare i budget e di oliare i meccanismi: lavori da manager. Non vedo perche' debba farli un PM.

 

La pubblica amministrazione in Italia ha bisogno di una ristrutturazione manageriale perche' da che mondo e mondo i posti alti vengono attribuiti in maniera clientelare cosi' che ci ritroviamo con le persone sbagliate, scelte col criterio sbagliato nel posto in cui fa piu' male. La magistratura in questo processo e' indipendente ma non differente (visto che hai citato Falcone, porto ad esempio il casl di Antonino Meli). Insomma, e' sempre la solita solfa, non c'e' bisogno di cambiare i massimi sistemi. A torino e bolzano immagino abbiamo avuto la fortuna di avere in testa due persone (o gruppi di) con buona volonta' ma sinceramente non basta premiare quelli che fanno: bisogna prima selezionare quelli che hanno buone possiblita' di farcela.

Infine, una riflessione. Quando ero bambino mi hanno insegnato la divisione dei poteri come ne parli tu: il parlamento e' legislativo, il governo e' esecutivo, e poi c'e' il giudiziario. E' ancora cosi? A me sembra che i primi due abbiano fatto un bel pastrocchio negli ultimi 20 anni. Ormai e' il governo che detiene il legislativo o direttamente sotto forma di decreti che vengono sfornati come il pane o indirettamente perche' tanto il parlamento e' composto da leccapiedi e alzamanina e fa SEMPRE cio' che il governo decide. Il potere esecutivo e' sparito, non c'e' piu'. Dove e' andato io non lo so ma non c'e' piu'. 

 

 

 

Mi pare che usi il termine "manageriale" come una parola magica. Se per manager intendi uno che sa fare le divisioni, tipo se ho 12 nuove cause l'anno e non faccio una sentenza al mese allora accumulo ritardi, allora vada per la rivoluzione manageriale: io penso che uno che non sa fare i conti semplicemente non sia adatto a certi lavori...

Per quanto riguarda la divisione dei poteri sono d'accordo: il parlamento usurpa le attribuzioni esecutive attraverso le leggi di spesa, il governo condiziona l'indirizzo politico attraverso la questione di fiducia, il potere giudiziario appare impegnato "in difesa", ma rivela inedite contiguità con il potere politico.  La cosa tragica è che questa continua spalmatura di poteri genera  irresponsabilità. La soluzione sta in uno snellimento delle istituzioni.

 

l'articolo sull'obbligatorietà dell'azione penale è stato pubblicato. Lo trovate al link.

http://www.radiocarcere.com/index.php?option=com_content&task=view&id=278

Francamente, lo trovo oltremodo deludente. Se non ho capito male il ragionamento del professore, lui dice "basta stabilre per legge di non indagare, quindi non si hanno le prove per esercitare l'azione penale e, così, non ne è obbligatorio l'esercizio. In tal modo non si incappa nella violazione dell'art. 112 Cost".

L'uovo di Colombo, a dir poco.

 

Fantastico. Permettimi un commento cattivo sui giuristi. Mai che pensino ai problemi di sostanza; sempre solo ai problemi di forma. C'e' l'articolo 112 della Costituzione, ma forse l'attivita'di indagine e' esclusa dall'applicazione,... Roba da pazzi. Vedi perche' quando ragiono sulla giustizia non voglio mai considerare la Costituzione come un vincolo rilevante (anche se lo e')? Perche' poi si finisce a dire queste cose!!

 

Una critica alla tesi del prof. Padovani si trova a questo link 

toghe.blogspot.com/2008/07/lessenza-dellobbligatoriet-dellazione.html

 

 

Spero di non attirarmi fucilate in pieno petto, ma i miei studi in campo economico riguardarono anche sistemi di allocazione delle risorse diversi dal "mercato", ovvero basati sul "first past first": le code di sovietica memoria. Non ho nessun rimpianto di una società "sovietica", ma nessuno mi convincerà mai che "prezzare" sanità, istruzione e giustizia sia un sistema efficiente di allocazione delle risorse, tutt'altro, avremmo gli sgravi squilibri che esistono in società come quella americana con vette di eccellenza assolute e milioni di persone che non possono ammalarsi. Io preferisco ancora il sisetma italiano "inefficiente", ma che non mi apre il portafoglio per controllare se ho le carte di credito. Idem per la giustizia, posso essere d'accordo che l'efficienza "amministrativa" non sia demandata ai PM (che dovrebbero fare altro, ma mai e poi mai si dovrà poter pagare per avere una corsia preferenziale. Altrimenti il ricco mangia il povero,e addio coesione sociale (come fa correttamente rilevare Michele Boldrin).

Alberto, forse esisteranno anche altri sistemi che non siano i "tariffari", il mercato non è l'unico sistema di allocazione delle risorse, ma soprattutto non sempre è il più "equo", e nel caso della giustizia parliamo per l'appunto di "equità". Umana, purtroppo. 

 

Scusami Marco, ma in realta' questo sistema giudiziario non favorisce gia' il ricco rispetto al povero? Chi si puo' permettere di aspettare una sentenza per anni o pagare un principe del foro ha sicuramente meno problemi ad entrare o ad andare avanti in questo campo, in Italia.

Nella mia semplicita', io vedo il sistema giudiziario come composto da clienti (sostanzialmente avvocati, che poi rappresentano altre persone) e da fornitori (giudici).

La "merce" non e' univocamente ne' facilmente determinata, ma ad esempio e' possibile pensare di chiedere ad un avvocato di fornire un prezzo e un tempo massimo entro cui il risultato sia fornito? Mi pare che in altri Paesi si possa fare una cosa del genere, se non ricordo male l'ho letto proprio qui su nfA. Analogamente, se il giudice non fornisce il giudizio nel tempo previsto, non si puo' sanzionare in qualche modo?

E' vero che ci sono responsabilita' esterne: se il giudice chiama il teste e questo non si presenta non posso incolpare il giudice, ma qui dovrebbe scattare una rivalsa da parte dello Stato. Riguardo al sanzionamento di quelli che vedo come attori principali nella scena, per l'avvocato c'e' sicuramente l'aspetto economico e di immagine, per il giudice si potrebbe pensare a una differente collocazione (se non sei efficiente ti trasferisco a vattelappesca di sotto...)

Ok, sto straparlando, pero' tanto per buttar li' due idee in cinque secondi... :)

 

 

Nessuna fucilata, ci mancherebbe. Nenache io, come ho detto sono convinto che il sistema di prezzi funzionerebbe.

Ma pero' non parlarmi della giustizia per ricchi. Lo sai quanto costa farsi difendere da Ghedini?  

 

La separazione dei poteri era stata teorizzata quando lo stato aveva una struttura dualistica: da una parte il re, capo dell'esecutivo, dall'altra il parlamento che rappresentava il popolo e legiferava essenzialmente per porre limiti alla tassazione. Se il "potere" giudiziario fosse stato alle dipendenze di uno degli altri due poteri, l'equilibrio si sarebbe rotto: in particolare, considerato che storicamente spettava al re la nomina dei magistrati, la loro indipendenza stava a significare una tutela dei parlamentari di fronte alle sue possibili prevaricazioni (come pure l'immunità parlamentare).

L'evoluzione dello stato, almeno nei paesi europei, ha eliminato o grandemente ridotto la dualità tra esecutivo e legislativo: almeno nei sistemi parlamentari, l'esecutivo è espressione del legislativo. L'indipendenza del "potere" giudiziario cambia significato, traducendosi - almeno in teoria - in garanzia per i cittadini contro le prevaricazioni del potere politico: garanzia tanto più pregnante quando i diritti individuali sono sanciti da un documento di valore costituzionale, non modificabile da maggioranze contingenti.

Il punto è che questo disegno è stato tradito proprio dalla magistratura - e da quella parte della dottrina giuridica che ne ha giustificato il comportamento - quando essa ha preteso non già di "trovare" il diritto nella tradizione (come avveniva nella Common Law) o nella legge, ma nella sua interpretazione, condotta secondo criteri di giudizio sostanzialmente autonomi e creativi: l'interpretazione "costituzionalmente orientata" della legge si è  rivelata, in realtà, una forma di creazione del diritto secondo i valori che le Corti superiori assumono di leggere nella Costituzione del 1948 (che, essendo frutto dell'incontro di ideologie diverse, si presta a letture contrastanti). Qualcosa di simile si sta manifestando anche nel rapporto tra diritto nazionale e norme comunitarie di "armonizzazione", interpretate in maniera creativa dalla Corte di Giustizia. 

A questo punto, la garanzia dei cittadini è tradita e il "potere" giudiziario assume un ruolo di arbitro tra gli interessi delle diverse categorie e - se si può usare questo termine - classi sociali, promuovendo gli interessi di une a discapito di quelli di altre, ben oltre gli interventi legislativi. Come già detto, parte della dottrina giuridica plaude a tutto ciò, teorizzando sull'inevitabilità e sulla desiderabilità del diritto diseguale, come strumento per l'emancipazione degli oppressi (o qualcosa di simile).

In questo quadro, le preoccupazioni degli economisti - pur fondate e meritevoli di riflessione - non investono solo un aspetto marginale?  

 

piccolo appunto: tutto più o meno vero. c'è però un salto logico pauroso. tu dici cittadino io dico parlamento. per amore del ragionamento si può fare ma visto che si sta scavando scaviamo.

 

 

Il punto è che questo disegno è stato tradito proprio dalla

magistratura - e da quella parte della dottrina giuridica che ne ha

giustificato il comportamento - quando essa ha preteso non già di

"trovare" il diritto nella tradizione (come avveniva nella Common Law)

o nella legge, ma nella sua interpretazione, condotta secondo criteri

di giudizio sostanzialmente autonomi e creativi: l'interpretazione

"costituzionalmente orientata" della legge si è  rivelata, in realtà,

una forma di creazione del diritto secondo i valori che le

Corti superiori assumono di leggere nella Costituzione del 1948 (che,

essendo frutto dell'incontro di ideologie diverse, si presta a letture

contrastanti). Qualcosa di simile si sta manifestando anche nel

rapporto tra diritto nazionale e norme comunitarie di "armonizzazione",

interpretate in maniera creativa dalla Corte di Giustizia. 

 

Ma guarda che la "tradizione" seguita dalla Common Law e' proprio quella dei precedenti giuridici, che sono appunto basati su interpretazioni di norme astratte da parte di giudici precedenti.  Nella storia c'e' pochissima evidenza che le corti abbiano assunto ruoli politicamente rivoluzionari, o comunque piu' rivoluzionari degli organi legislativi e dell'esecutivo: non foss'altro perche' non dipendono dal voto delle masse, e spesso provengono da classi relativamente benestanti. Anzi, politici di inclinazioni populiste (da Napoleone a F.D. Roosevelt a Thaksin Shinawatra) hanno sempre cercato di intaccare l'indipendenza della magistratura, perche' le masse sono piu' facilmente manipolabili da figure ambiziose e carismatiche (le quali sistematicamente ne approfittano per farsi i propri interessi, vedi appunto il caso di Berlusconi). 

 

A questo punto, la garanzia dei cittadini è tradita e il "potere"

giudiziario assume un ruolo di arbitro tra gli interessi delle diverse

categorie e - se si può usare questo termine - classi sociali,

promuovendo gli interessi di une a discapito di quelli di altre, ben

oltre gli interventi legislativi. Come già detto, parte della dottrina

giuridica plaude a tutto ciò, teorizzando sull'inevitabilità e sulla

desiderabilità del diritto diseguale, come strumento per

l'emancipazione degli oppressi (o qualcosa di simile).

 

Secondo me tu punti al bersaglio sbagliato. Se la costituzione e' mal fatta (e quella italiana secondo me lo e'), il compito di modificarla spetta al potere legislativo. Scorciatoie basate sul lavaggio del cervello delle masse per via televisiva e leggi ad-personam sono illusorie e danneggiano irrimediabilmente lo stato di diritto, risultando alla fine in dittature personali.

 

Forse è ora di agire per difendere l'indipendenza della magistratura.

Scrive Mario Segni su L'Unità

del 29 Luglio, a proposito del lodo Alfano e dell'opportunità

di una campagna referandaria:

“...È chiaro che questo porta

a cascata una serie di conseguenze. In primo luogo la fine

della indipendenza della magistratura. La separazione dei

poteri è in funzione della soluta libertà del giudice

di perseguire il suo fine, cioè la applicazione della

giustizia, in tutti i sensi, nessuno escluso. Se viceversa il campo è

limitato, se addirittura alcune attività giudiziarie si

pongono in contrasto con l’essenza della democrazia, è ovvio

che non solo devono esservi leggi che pongono dei limiti, ma che il

potere politico, l’unico legittimato a difendere i veri valori

democratici, ha il dovere di controllare. Le stesse leggi ad personam

possono essere giustificate. Se le inchieste su un politico ledono il

principio democratico, è giusta allora, in attesa di una

sistemazione generale, una legge che blocchi la singola iniziativa

giudiziaria....Ma oggi siamo di fronte a un paese tramortito e

confuso che non solo accetta questo stravolgimento ma lo archivia;

che non si accorge neanche di rinunciare a valori che ogni democrazia

moderna considera essenziali. Non è una sconfitta, è

una resa. Mille volte meglio un pezzo di paese che grida a gran voce

il suo no, che affronta a viso aperto una battaglia difficilissima ma

non si arrende. Da una sconfitta ci si può riprendere: da una

resa no.” (http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=77537)

Perfettamente d'accordo.

Arrendersi

sarebbe una sconfitta definitiva, soprattutto sul piano

culturale.

Anzi arrendersi non è proprio consentito, è in

gioco la qualità futura della nostra democrazia.

Gli

italiani con troppa facilità si schierano a destra, a centro,

a sinistra,

senza aver mai svolto un vero apprendistato

liberale.

Questa può essere l'occasione buona; e Di Pietro

stesso sara costretto ad abbandonare qualche suo tono da tribuno, per

confrontarsi con una corretta dimensione liberale.

Il rischio di

perdere va corso per intero; anzi contarsi sul punto è

doveroso,

almeno potrà misurarsi il grado di civiltà

liberale del nostro paese;

e la sinistra, spesso confusa e per

questo divisa, dall'esito del referendum, imparerà a scoprire

la fondamentalità di una battaglia liberale prima di recitar

versi rivoluzionari,

comunque impotenti a combattere la

penetrante, allegra, sottile, trascinante, danarosognica e ammiccante

cultura (?) dell'individualismo italoberlusconiano.

Si apra quindi

questo fronte referendario di discussione liberale;

e chissà,

forse noi tutti italiani ci sorprenderemo un po' più seri. più

moderni, più responsabili.

O no?


 

 

L'articolo evidenzia un aspetto fondamentale, ovvero la necessaria indipendenza della magistratura. L'estensione dell'indipendenza ad ogni aspetto (gestionale, di controllo, di gerarchia) ha determinato  nei fatti la vanificazione delle più elementari esigenze di efficienza del servizio, che per quanto nobile è percepito come tale dai cittadini. Il semplice fatto che un magistrato possa non stendere una sentenza per otto anni (caso riportato recentemente nella stampa) significa che sono assenti meccanismi di controllo, e che è possibile l'arbitrio. Vi è un certo parallelismo tra università e giustizia: la Costituzione conferisce indipendenza a queste Istituzioni. In realtà, si è fatto pessimo uso dell'autonomia, e delle cattive leggi hanno esteso in modo abnorme i dettati costituzionali.   

 

Leggo solo oggi l'intervento di Ezio Michelangeli, che mi muove due critiche, a mio avviso ingiustificate:

1 - in primo luogo ritiene di dovermi far notare che il diritto inglese procede secondo la regola del precedente, che secondo lui consiste nel rispetto di decisioni ricavate da norme astratte. E' vero il contrario: classicamente, i giudici risolvono questioni concrete secondo una regola che essi reputano adatta al caso così come si presenta in giudizio; la regola enunciata non è mai intesa come norma astratta, di portata generale, ma unicamente come norma valida nei casi simili (tant'é vero che, senza dilungarsi nell'esame di quali corti sono vincolate da un precedente, vige pur sempre il principio per cui se il giudice rinviene elementi di distinzione dal caso, divenuto un precedente, non ne è vincolato). Secondo il mio cortese critico, il sistema dei precedenti e l'estrazione sociale dei giudici spiegherebbero perché mancano esempi di rivoluzioni per via giudiziaria: neppure questo è vero, basti pensare a Roe vs. Wade, la sentenza con la quale la Corte Suprema degli U.S.A. ha introdotto il diritto di abortire, ed al dibattito tra giudici "originalisti", per i quali la costituzione federale non può essere innovata per via interpretativa, e altri giudici che ritengono di poter interpretare la costituzione stessa secondo il pensiero politico-giuridico odierno (non intendo qui affermare che gli uni o gli altri abbiano ragione); in Italia, la giurisprudenza in molti settori (diritto del lavoro, diritto del consumo, diritto bancario e del mercato finanziario, ecc.) ha spesso introdotto regole nuove, magari disattendendo orientamenti consolidati, per lo più favorendo la c.d. parte debole (l'estrazione sociale dei giudici sembra non contare granché, ma poi questo argomento non spiega nulla: che vogliamo dire dell'estrazione sociale di tanti iprofessori universitari, che dalla cattedra hanno predicato il superamento dello stato borghese?);

2 - non mi pare che lamentare un certo modo di porsi della magistratura sia direttamente una critica alla Costituzione vigente (che, peraltro, ritengo meritevole di aggiornamento), né un'invocazione dell'uomo forte; forse non mi sono espresso con sufficiente chiarezza, e ne faccio ammenda, ma il nocciolo della mia argomentazione era la denuncia dell'atteggiamento che la magistratura italiana ha di fatto assunto in epoca repubblicana: in un blog ispirato da economisti, forse l'attenzione ai guasti di un'interpretazione disattenta alle ragioni economiche ma entusiasta nell'eliminazione delle disparità sociali dovrebbe essere più viva.

Un buon ferragosto a tutti.