La questione della separazione dei poteri, esecutivo-legislativo-giudiziario, è posta originariamente (da Montesquieu e Locke) come una forma di limitazione del potere autocratico dell'esecutivo. Logica conseguenza della separazione dei poteri come limitazione del potere autocratico dell'esecutivo sono quelli che la cultura politica anglosassone chiama "checks and balances", cioè un sistema di controlli incrociati tra i tre poteri fondamentali di ogni sistema politico, così da limitare la possibilità che uno o più di di essi si pongano contro la legge o addirittura contro la Costituzione.
Si può discutere se la separazione dei poteri sia o meno necessariamente un elemento costituente di un sistema politico ottimale. Ma mi pare indiscutibile che la separazione dei poteri abbia avuto una funzione storica positiva nello sviluppo dei sistemi politici democratici dell'occidente (e non solo). Accettiamo quindi il principio della separazione dei poteri senza discuterlo. Una certa indipendenza della magistratura ne consegue direttamente: se i magistrati fossero completamente soggetti al governo, ad esempio, il potere giudiziario non sarebbe separato ma sarebbe invece parte del potere esecutivo.
Ma quale indipendenza, in che termini e in che forma, è richiesta dal principio della separazione dei poteri come meccanismo di checks and balances? Innanzitutto, è necessario che la legge stabilisca condizioni e mezzi attraverso cui il potere giudiziario possa giudicare della legalità delle azioni del governo e del parlamento (potere giudiziario controlla potere esecutivo e legislativo) e della costituzionalità delle leggi del parlamento (potere giudiziario controlla potere legislativo).
Ma in che modo avviene il controllo inverso? In che modo i poteri legislativo ed esecutivo controllano il potere giudiziario? Innanzitutto, è il potere legislativo a definire ciò che costituisce reato, che è compito del sistema giudiziario perseguire in base a procedure e per mezzo di sanzioni definite anch'esse dal potere legislativo. Tutto questo è essenzialmente garantito, in forme diverse, in ogni ordinamento liberale che si rispetti, dall'Italia agli Stati Uniti (anche se nei sistemi di common law, essenzialmente i sistemi anglosassoni, il sistema giudiziario contribuisce anche in modo sostanziale alla formazione delle leggi).
A parte questo, in Italia l'indipendenza della magistratura è essenzialmente interpretata in
modo tale da impedire ogni controllo esterno dell'operato della
magistratura. Il Consiglio Superiore della Magistratura è organo di
autogoverno della magistratura cui la Costituzione attribuisce in parte
il compito di controllare che il sistema giudiziario operi
correttamente e secondo la legge. Le forme di controllo che il potere esecutivo esercita su quello
giudiziario sono minime in Italia. Il potere esecutivo, nella persona del
Guardasigilli, può
indire ispezioni e iniziare procedure di sanzionamento del
comportamento di singoli magistrati, ma in ultima istanza le decisioni
spettano al Consiglio Superiore della Magistratura.
Il sistema giudiziario in Italia non funziona. Ne abbiamo parlato noi, ne parlano tutti. La questione che mi pongo è: il modo in cui in Italia è garantita l'indipendenza della magistratura contribuisce a non farlo funzionare, il sistema giudiziario? O non è lì il problema? E se l'indipendenza della magistratura contribuisce davvero a non far funzionare il sistema giudiziario, in che modo lo fa?
Axel ha già dato risposta positiva alla domanda. Ha già discusso della deriva correntistica della magistratura, che molti considerano problema fondamentale del sistema giudiziario italiano. Più in generale, il Consiglio Superiore della Magistratura non sembra esercitare correttamente la propria funzione costituzionale di autocontrollo. Sembra invece funzionare essenzialmente come una associazione professionale, come quella dei notai, degli avvocati, dei geometri, e così via: richiede iscrizione all'albo e difende e opera per garantire privilegi ai propri membri. Il risultato è che il Consiglio Superiore della Magistratura, e la magistratura nel suo complesso, appaiono operare in una logica corporativa e appaiono essere impermeabili ad ogni incentivo ad operare affinché sia garantita la produttività del sistema giudiziario. Cito il giudice Falcone, anche in questo avanti ai tempi:
La magistratura
ha sempre rivendicato la propria indipendenza, lasciandosi in realtà troppo
spesso irretire surrettiziamente dalle lusinghe del potere politico. [...] Abbiamo sostenuto con passione la tesi del
pubblico ministero indipendente dal potere esecutivo, accorgendoci troppo tardi
che, per un pubblico ministero privo dei mezzi e delle capacità per una azione
incisiva, autonomia e indipendenza effettive sono un miraggio. O un privilegio
di casta.[Il grassetto è mio]
Ma come possono i poteri legislativo ed esecutivo controllare l'efficienza del sistema giudiziario senza influenzarne la direzione al di là delle proprie prerogative di legge? È probabilmente buon disegno costituzionale che tale controllo non sia esercitato dal potere esecutivo o da quello legislativo in modo arbitrario, ma è purtuttavia necessario che un meccanismo in grado di esercitarlo sia definito per legge. Ad esempio, la destinazione dei compiti amministrativi degli uffici della Procura a managers sottoposti a sistema di governance rigido e trasparente, con poteri chiari e definiti anche nella gestione del personale (i PM), potrebbe essere un passo nella giusta direzione. Questo si può fare. Il sistema di governance è questione delicata, ma si può senz'altro fare. Ogni opposizione a innovazioni organizzative che vanno in questa direzione a me paiono senza dubbio pretestuose. Così come gli uffici funzionano a Torino e a Bolzano, così devono funzionare ovunque nel paese. È solo questione di organizzazione del lavoro e di capacità organizzative e manageriali di chi gestisce gli uffici.
Ma la questione fondamentale, quella più importante che resta da definire è la seguente: chi decide come siano distribuite le risorse della magistratura nella persecuzione dei vari reati? In un contesto in cui le risorse della magistratura sono limitate, è necessario che questa decisione sia regolata in qualche modo o forma. Si noti che questa questione è in certa misura indipendente della questione della separazione dei poteri. Una possibile soluzione è demandare questa decisione ai cittadini, attraverso l'elezione democratica a livello locale del Pubblico Ministero (più o meno il sistema americano).
Appare soluzione ragionevole, questa, così come appare ragionevole demandare la decisione al potere esecutivo. In entrambi i casi però la distribuzione delle risorse della magistratura nella persecuzione dei vari reati sarebbe soggetta alle incertezze della politica e ai contingenti cambiamenti dell'opinione pubblica. Inoltre, la distribuzione delle risorse della magistratura sarebbe definita in modo il più delle volte implicito e non trasparente. Potrebbe ad esempio darsi il caso (e in generale ci aspetteremmo che si desse il caso) che il PM eletto democraticamente o il governo implicitamente favoriscano la propria base elettorale limitando le risorse volte alla persecuzione dei reati che la base elettorale stessa statisticamente è più prona a commettere.
Meglio allora un sistema in cui è il potere legislativo, il parlamento, a dare linee guida per la distribuzione delle risorse alla persecuzione dei diversi reati. Ma non significa che il parlamento debba definire una specie di ordine dei reati, dai più rilevanti ai meno rilevanti? Assolutamente no! Significa invece che il parlamento deve definire un metodo generale, la cui applicazione comporti una implicita ripartizione delle risorse per reato. Questi meccanismi indiretti hanno maggiore flessibilità e si adattano meglio alle situazioni particolari, alla differenza tra regioni del paese eccetera. Se pure la flessibilità implicita in un sistema in cui i PM sono soggetti a giudizio popolare pare eccessiva, una certa flessibilità è necessaria. Meccanismi rigidi e separati dalla volontà popolare finiscono per essere facilmente
criticati. Anche con argomenti che fanno rizzare i capelli. Ad esempio, dice
Guido Bertolaso, il ripulitore di Napoli già a capo della protezione
civile, dopo che alcuni suoi collaboratori sono stati arrestati per
vari illeciti amministrativi e non (da Repubblica del 31 Maggio):
Hanno colpito chi, nella emergenzialità (sic!) del
momento, non ha eseguito dettami di legge validi per la normalità, ma
non per l'eccezionalità. Non si può pensare alle leggi come a un
moloch valido in ogni circostanza, devono essere adattate per il
vivere bene dei cittadini.
In Italia la distribuzione delle risorse per reato è già implicitamente flessibile: l'obbligatorietà dell'azione penale comporta i) che i reati più frequentemente denunciati siano i più perseguiti, ii) che operi un sistema di razionamento per cui il giudizio avvenga in tempi lunghi, e questo a sua voltafa sì che solo i reati per cui vale la pena aspettare sono denunciati. È tale meccanismo ottimale, o anche solo ragionevole?
Io credo si possa fare di meglio. Qualunque economista fa fatica ad accettare che una allocazione di risorse che avviene attraverso razionamento e coda sia efficiente. E non per posizione ideologica pre-determinata. Il razionamento e le code sono meccanismi allocativi inefficienti sotto condizioni abbastanza generali. Un po' più ideologicamente, un economista davanti a razionamento e code di solito chiede: dov'è il prezzo che manca? Un sistema di prezzo corretto permette in generale di distribuire efficientemente risorse scarse a coloro che più le valutano. Un amico economista bulgaro mi raccontava che prima della caduta del regime comunista i suoi genitori (evidentemente ben messi ma non abbastanza nella struttura gerarchica del partito) al compimento del suo sesto anno gli comprarono una Skoda. Costava relativamente poco per i quadri del partito, ma ci volevano 12 anni in media ad averla!
Dov'è il prezzo che manca? Nel caso del mercato delle Skoda, il prezzo mancante è quello della Skoda. Facile. Ma nel caso del sistema giudiziario? Non è domanda facile cui rispondere. Prima però bisogna rispondere a una obiezione naturale e rilevante. Qualunque sistema di prezzo implica che persone con maggiore disponibilità finanziaria hanno più facile accesso alla giustizia. Risposta: è vero (e puo' anche essere anti-costituzionale, dove si richiede che la "giustizia" sia "uguale per tutti" - ma abbiamo girato attorno a molti principi costituzionali, si può fare anche con questo). Ma anche ora la giustizia è in effetti non uguale per tutti. Gli avvocati non sono tutti uguali, e costano. Non solo, ma come notavo in un altro post sulla giustizia, l'Italia è tra gli ultimi paesi in Europa in termini di spesa per aiutare l'accesso alla giustizia di chi non ha risorse economiche. Poiché l'unico prezzo operante all'interno del sistema giudiziario è quello dell'avvocato, l'avvocatura ha una enorme rendita, che è felice di non dover dividere con la magistratura. Facciamo un esempio. Tizio è accusato da Caio di frode finanziaria. Tizio è ricco. Tizio è anche innocente. Non solo, ma può provarlo con certa facilità. Oggi Tizio va dall'avvocato, il migliore e il più costoso, sulla piazza e gli mette in mano la situazione. L'avvocato, o riesce abilmente a chiudere il processo in fretta, oppure la tira per le lunghe mirando alla prescrizione. In ogni caso, Tizio risolverà la questione, con una profumata parcella dell'avvocato. Ma se Tizio potesse optare per un giudizio rapido, a pagamento (ecco il prezzo mancante), magari lo farebbe. E la magistratura dividerebbe la rendita con l'avvocatura. I guadagni della magistratura potrebbero essere impiegati dalla magistratura stessa per comprare computers, segretari, PM, e rendere tutti i processi un po' più veloci.
Non è un caso che a una simile proposta la prima reazione sia stata quella del Consiglio Nazionale Forense, che scompostamente ha urlato alla lesione del principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge (vedi Luigi Ferrarella, Fine pena mai, Il Saggiatore, 2007, p.97).
Non credo certo che quello di "prezzare" la rapidità del processo sia necessariamente il meccanismo migliore per la magistratura. Mi limito ad argomentare che non è né impossibile né necessariamente un modo per rendere la qualità dei servizi che la giustizia rende al cittadino più dipendenti dal reddito del cittadino di quanto non lo sia già ora.
Ma se qualcosa di simile è plausibile, molti sono i servizi specifici, oltre alla rapidità del processo, che possono essere "prezzati". Ad esempio, il processo in rito abbreviato potrebbe essere la norma e un prezzo potrebbe essere associato al processo accusatorio. Anche l'appello potrebbe essere prezzato.
Per quanto a un economista possa piacere cercare di generare una migliore allocazione delle risorse della giustizia attraverso un sistema di prezzi, per disegnare un meccanismo di questo tipo bisogna affrontare problemi enormi. Forse insormontabili, forse no. A mio avviso vale però la pena pensarci. Ecco una lista dei problemi che mi sono venuti in mente.
1) Chi decide quale tipo di processo scegliere e chi ne paga il prezzo associato? In un processo ci sono almeno due parti; gli interessi delle parti possono essere contrapposti o meno. La legge potrebbe definire regole per ovviare alla contrapposizione degli interessi: ad esempio, il processo rapido ha precedenza, e così il processo accusatorio e l'appello. Se una parte richiede il processo rapido e/o qullo accusatorio e poi l'appello, così è. Ma chi paga il prezzo? La parte che richiede il servizio o entrambe? Se paga chi richiede il servizio nasce un problema di azione collettiva nel caso in cui gli interessi delle parti non siano contrapposti.
2) Come è determinato il prezzo? Deve poter variare con le condizioni della giustizia (col tipo di reato, con la procura che persegue il reato, con la lunghezza media dei processi nel tribunale disposto a giudicare, etc.). Può La magistratura fissare un prezzo? Gli avvocati competono tra loro, la magistratura no! Quali incentivi si possono dare alla procura così che il prezzo fissato sia efficiente? Come redistribuire i proventi alla magistratura? Competizione tra magistrati?
Non penso certo di avere risposte. Però almeno pongo le domande. Mi permetto solo di suggerire che vale la pena pensarci.
Nascondersi dietro il principio costituzionale di indipendenza della magistratura per evitare che il problema della allocazione delle risorse per reato sia risolto, almeno in parte, al di fuori della magistratura mi pare illogico e irragionevole. Evitare di farlo darebbe più forza al sacrosanto diritto dei cittadini di avere una magistratura libera e indipendente nella sua attività di controllo (ancora i checks and balances) della politica. Libertà e indipendenza che oggi più che in ogni altro momento la politica attacca.
Il principio costituzionale di indipendenza della magistratura è anche utilizzato a giustificazione della mancanza di incentivi formali alla carriera dei magistrati. L'idea è semplice: ogni singolo magistrato è indipendente anche perché, non potendo essere promosso se non per età, non risponde a nessuno se non alla legge (ad esempio, semplicisticamente, non puo' essere "ricattato" da richieste tipo "assolvi/condanna questo che ti promuovo").
Così però la carriera è piatta e non si riesce a premiare i magistrati migliori (punire i peggiori). A questo proposito anche il nuovo ordinamento non aiuta molto. Infatti, è sì prevista una progressione economica basata sulla valutazione quadriennale del magistrato (in caso di valutazione negativa, non
vi è la progressione economica e, in caso di seconda valutazione negativa, è
previsto il licenziamento). Ma non vi sono incentivi a che la valutazione sia corretta. Senza questi incentivi, che devono necessariamente comportare una maggiore responsabilità manageriale del capo ufficio, si finirà per avere, come diceva Axel del vecchio regolamento, solo magistrati “estremamente laboriosi, particolarmente preparati giuridicamente ed
equilibratissimi”. Il fatto che la valutazione si basi in parte su parametri statistici aiuta, ma solo un po' (perché a queste cose si gira facilmente intorno).
Anche qui, non pretendo di avere una risposta su come sia possibile introdurre premi di carriera per i magistrati limitandone gli effetti negativi sulla indipendenza. Ho però l'impressione che sia necessario. A questa convinzione mi ha portato anche l'evidenza empirica sulle grandi differenze di produttività tra magistrati di cui Andrea Ichino ha parlato alle giornate nFA. Per i giudici di pace, i risultati sono qui; per i giudici togati Andrea non ha credo ancora finito il paper, ma la sua pagina web è qui (lo posterà).
Un caveat finale, che sennò Axel si arrabbia, visto che è tornato e controlla tutto quello che scrivo: in questo post ho discusso essenzialmente come la visione italiana della indipendenza della magistratura sia in parte responsabile del cattivo/mancato funzionamento della giustizia. Naturalmente i problemi non stanno solo qui: nella relazione alle giornate discuto anche delle questioni della inefficienza degli uffici e delle semplificazioni necessarie alla procedura penale e al processo civile.
C'è una cosa che mi sono sempre chiesto: l'obbligatorietà dell'azione penale viene sempre presentata, anche negli scritti di Alberto, come un'opzione che si può avere o non avere. Non sarebbe opportuno, invece, stabilire un sistema di randomizzazione della scelta dei reati da perseguire, con percentuali scelte anche dall'esecutivo, eventualmente, ma con delle percentuali minime superiori a zero per tutti i reati. Con questo criterio chi sceglie ha solo un potere di indirizzo delle priorita', ma non totale controllo su cosa venga perseguito.
Un simile espediente si potrebbe usare anche per risolvere i problemi creati dalla strategia di ricerca della prescrizione del reato: se ogni tanto i tribunali estraessero dalla pila una pratica per perseguila immediatamente, per gli avvocati perseguire la prescrizione non sarebbe piu' strategia dominante.
Questa mi sembra un'ottima idea. In un paese come l'Italia purtroppo pero' ci sono dubbi anche sul funzionamento onesto delle lotterie, sono riusciti a truccare perfino l'estrazione del lotto. Al fine di avere un'applicazione equa ed efficiente della legge comunque e' fondamentale assicurare una probabilita' maggiore di zero alla persecuzione di ogni reato.
Mi pare di aver letto proprio qui su nfA (ma non ricordo bene) che in Germania l'avvocato viene pagato a progetto: si paga un tot per una causa da concludere in un certo tempo. In queste condizioni forse gli avvocati sarebbero piu' solerti nel far terminare i processi, perche' se vanno oltre il tempo previsto ci rimettono. Non so quanto sarebbe applicabile, ma potrebbe essere un'idea?
scusa Andrea,
come sai sono keynesiano e quindi un po' lento di comprendonio, non capisco il tuo raigionamento.
what's the meaning?
why?
La lotteria, di per sè c'è già. Ci sono sempre fascicoli che vanno più veloci degli altri, in cui la strategia della ricerca della prescrizione non dà i suoi frutti.
Domani sul sito di radiocarcere verrà pubblicato un articolo del prof. Padovani sull'obbligatorietà dell'azione penale, metterò il link, appena sarà uscito.
Poi dovrò lanciarmi nella feroce replica ad Alberto, per questo proditorio attacco alla mia indipendenza (peggio di BS!).