Non credo di dire nulla di clamoroso se suggerisco che la riforma elettorale prossima ventura verrà determinata dalla negoziazione tra forze politiche che hanno come principale obiettivo quello di massimizzare seggi e potere contrattuale alle prossime elezioni. Tutte le belle considerazioni fatte nelle varie torri d'avorio sono quindi destinate a restare più o meno marginali al dibattito. A partire da questa osservazione, vediamo di capire come si sta sviluppando la discussione e quali saranno i suoi probabili esiti.
Il dibattito sulla riforma elettorale è stato innescato dalla proposta di referendum, ma questa in buona misura è probabilmente una scusa. Alla fine della fiera, per i referendum non è nemmeno iniziata la raccolta di firme. In un mondo dall'orizzonte corto come quello della politica italiana è quindi sorprendente che ci si attivi con tanto anticipo. Ho già espresso i miei dubbi sul fatto che i referendum riescano a raggiungere il quorum; la situazione è un po' migliorata, nel senso che Forza Italia sembra (il condizionale è d'obbligo) propensa a partecipare al voto. Ci sono comunque buone ragioni per ritenere che i referendum avrebbero efficacia limitata. La principale conseguenza di una vittoria referendaria sarebbe quella di assegnare il premio di maggioranza al partito anziché alla coalizione. Non è sfuggito a nessuno che tale norma è facilmente aggirabile. Di fatto la norma costringerebbe solo i partiti di una coalizione a presentare un unico simbolo elettorale, mantenendo poi intatte le divisioni pre-esistenti; per esempio, nulla vieterebbe agli eletti di una data lista di formare gruppi parlamentari separati.
In realtà non sarebbe difficile evitare il referendum semplicemente modificando gli aspetti più deliranti dell'attuale legge, senza modificarne l'impianto sostanziale. La legge è stata palesemente fatta in fretta e furia da persone ovviamente incompetenti dal punto di vista tecnico. Contiene norme evidentemente incostituzionali (oltre che irrazionali), come l'esclusione dei voti della Val D'Aosta ai fini del computo del premio di maggioranza alla Camera, ed è veramente sorprendente e preoccupante che la Corte Costituzionale non sia intervenuta. L'assegnazione dei seggi al Senato è specificata in modo così confuso che ha dato luogo a conflitti ex post sull'attribuzione dei seggi. I premi di maggioranza regionali sono senza capo né coda. E così via. Una riforma che semplicemente eliminasse le deficienze tecniche dell'attuale legge eviterebbe il referendum e probabilmente otterrebbe largo consenso in Parlamento.
Questo non è quello che sta succedendo. La discussione, al momento ancora aperta, si è invece orientata verso un cambiamento dell'impianto della legge. Perché le forze politiche discutono con fervore e non rimandano semplicemente il problema? La risposta è che alcune forze, in primo luogo l'UDC e Rifondazione Comunista, che inizialmente si poteva aspettare fossero avverse a qualunque cambiamento, hanno visto la possibilità di corposi guadagni. Andiamo per ordine.
L'UDC sta cercando di completare il disegno di reintroduzione del proporzionalismo che aveva iniziato nell'autunno 2005 quando spinse per il cambiamento della legge elettorale. Allora ottennero una robusta proporzionalizzazione del sistema e accettarono (malvolentieri) in cambio il premio di maggioranza. Ora è il momento di eliminare il premio.
La novità è che i centristi si sono resi conto dei potenziali benefici di una clausola di sbarramento 'alla tedesca' del 5%. Nel 2006 l'UDC ha ottenuto il 6,8% del voto alla Camera. Se viene abolito il premio di maggioranza e viene istituito lo sbarramento al 5% l'UDC si potrà sganciare da Berlusconi e potrà trattare da posizione di forza con altre formazioni centriste, a cominciare da Mastella, la costituzione di una nuova forza di centro in grado di raccogliere intorno al 10% dei voti. Per i centristi sarebbe come avere la botte piena e la moglie ubriaca. Diventerebbero forza determinante per la formazione di qualunque governo, dato che è improbabile, almeno nel futuro prossimo, che centrodestra o centrosinistra senza centristi siano in grado di raggiungere più del 50% del consenso popolare. Di più, i centristi sarebbero probabilmente in condizione di scegliere ex post tra i due schieramenti, diventando quindi gli autentici arbitri del governo.
Da un certo punto di vista lo scenario sarebbe, per i centristi, molto meglio che ai tempi della DC. Sarebbe in effetti assai vicino a quella specie di regno di bengodi in cui si trovarono negli anni '70 e '80 i craxiani in molte situazioni locali, in cui la possibilità di allearsi a convenienza con la DC o il PCI garantiva a un partito che difficilmente raccoglieva più del 10% sindaci, assessorati ai lavori pubblici e assessorati all'urbanistica, con tutto quel che ne conseguiva. Inoltre la DC era un partito grande. I capi e capetti centristi sono meno numerosi, e quindi anche le bocche da sfamare sono meno. Quasi tutti i personaggi con un minimo di rilevanza otterrebbero almeno un sottosegretariato.
Una soluzione del genere sarebbe altamente stabile, nel senso che è improbabile che a quel punto si manifestino forze endogene per il cambiamento della legge elettorale. I centristi si opporrebbero strenuamente, e solo un'alleanza tra destra e sinistra potrebbe reintrodurre il principio maggioritario. Dato l'orizzonte delle nostre forze politiche questo è altamente improbabile. Inoltre la presenza permanente al governo consentirebbe ai centristi di aumentare, rafforzare e stabilizzare il proprio consenso mediante ben sperimentati metodi clientelari. Salvo implausibili catastrofi ambientali, tipo crisi fiscale dello Stato, i centristi avrebbero assicurata la permanenza al governo per alcuni decenni. Non appare quindi sorprendente che l'UDC abbia dato la propria disponibilità a discutere.
L'altra novità è la disponibilità allo sbarramento del 5% da parte di Rifondazione Comunista. Anche in questo caso la cosa appare sensata, dal loro punto di vista. RC ha ottenuto il 5,8% alle ultime elezioni. Uno sbarramento del 5% appare rischioso, ma occorre tener conto che Verdi e PdCI hanno ottenuto ciascuno il 2,3%. L'effetto più probabile dello sbarramento sarebbe quindi una riorganizzazione politica dell'area della sinistra radicale. Se si tiene conto che con la ormai inevitabile formazione del Partito Democratico alcune forze usciranno dai DS da sinistra, è probabile che si venga a formare un'unica formazione con un consenso intorno al 10%. Con uno sbarramento del 5% l'attuale forza elettorale permetterebbe all'attuale gruppo di comando di RC di conquistare le posizioni migliori in tale nuova formazione, a spese degli altri. Le recenti dichiarazioni di Giordano sulla necessità di superare l'esperienza di Rifondazione vanno chiaramente in questa direzione.
D'altra parte Rifondazione non ha interesse a rimuovere il premio di maggioranza, dato che senza premio rischiano di diventare possibili alleanze di governo tra i centristi e il Partito Democratico, con esclusione della sinistra radicale. Ma RC potrebbe accettare di pagare questo costo, scommettendo sulla forza elettorale di un nuovo schieramento a sinistra del Partito Democratico egemonizzato dall'attuale dirigenza bertinottiana.
Le altre novità sono minori. La Lega si è apparentemente svegliata e ha capito che una legge alla tedesca la farebbe fuori. È quindi corsa a chiedere soccorso a Berlusconi, finora con risultati poco chiari. Berlusconi è riuscito a dire la cosa più idiota in assoluto ('gli italiani non vogliono il doppio turno perché si stancano a votare due volte') e continua l'atteggiamento ondivago. Ha ovviamente capito il disegno centrista, ma dato che alle prossime elezioni sarebbero comunque suoi alleati, e il suo orizzonte non va più in là, la cosa non lo preoccupa particolarmente. D'altra parte ha paura di essere abbandonato dalla Lega se accede alle domande dell'UDC. Infine, vari politici di Forza Italia hanno cercato di far passare l'assurda nozione che l'approvazione di una riforma elettorale implica che si debba andare a votare immediatamente; è l'esatto contrario di quello che dovrebbe essere fatto, ma è inutile stare a sparare sulla croce rossa.
AN, DS, e Margherita temporeggiano, cercando di parare il colpo dei centristi. Per AN in verità non ci sono molti dilemmi. Il disegno neocentrista è per loro esiziale, e si batterà per mantenere il bipolarismo. Nel centrosinistra la situazione è un po' più complicata. È forte la tentazione di usare la legge elettorale per imbarcare l'UDC e ottenere un po' di respiro per l'attuale governo al Senato. D'altra parte, è palese che l'interesse di lungo periodo del Partito Democratico richiede il mantenimento del bipolarismo. La divisione qui appare più generazionale che politica. Prodi ovviamente è quello che ha più da guadagnare e meno da perdere da una svendita ai centristi. Invece, se D'Alema e Rutelli permettono ai centristi di diventare l'ago della bilancia si possono scordare di diventare primo ministro, sia nel futuro vicino sia in quello lontano.
Come andrà a finire? Al momento mi sembra che le possilità siano due. La prima è che vincano i centristi e Rifondazione e si instauri il proporzionalismo con sbarramento, forse non al 5% ma al 4% per andare incontro alla Lega. Ognuno può pensare quello che vuole di un ritorno permanente dei centristi al governo, ma io considererei questa una delle peggiore iatture possibili. La seconda è che si raggiunga lo stallo e che si vada al referendum. Se il referendum passasse, cosa non ovvia, ci sarebbe un marginale miglioramento dell'attuale legge, anche se alcuni assurdi aspetti tecnici (come l'esclusione della Val d'Aosta dal computo del premio nazionale) non verrebbero eliminati.
C'è ovviamente la piccolissima probabilità che alla fine, nonostante tutto, prevalgano la decenza e il buonsenso e si faccia una buona legge elettorale. Magari non il mio personalissimo sogno australiano con premio di maggioranza, ma almeno il doppio turno. I'm not holding my breath.
Condivisibile tutto, meno l'affermazione: "i premi di maggioranza regionali sono senza capo né coda". La Costituzione prevede che i senatori siano eletti su base regionale, se si vuole rispettare la sostanza non e' possibile avere premi di maggioranza nazionali. La Costituzione italiana prima della riforma dell'Ulivo conteneva alcune minime prescrizioni vagamente federali, tra cui la competenza regionale della sanita' e appunto le prescrizioni sull'elezione dei senatori. La competenza regionale della sanita' e' stata svuotata di ogni significato facendola amministrare dal governo centrale, per cui l'elezione dei senatori rimane forse l'unico principio costituzionale vagamente federale ancora non stravolto dalla prassi. Personalmente farei di tutto per salvarlo.
Volendo fare una legge proporzionale con premio di maggioranza senza modificare la Costituzione, i premi di maggioranza regionali sono pienamente giustificati. Se fosse stato approvato il referendum costituzionale, sarebbe stato in seguito eliminato il bicameralismo e non ci sarebbe stato bisogno di una maggioranza certa al Senato, per di piu' uguale a quella della Camera.
Per quanto riguarda piu' in generale la legge elettorale, senza modificare la Costituzione e appunto rimuovendo il bicameralismo, e' impossibile fare una legge elettorale che produca maggioranze certe e concordi anche quando l'elettorato e' diviso a meta' come nel 2006. L'unica via d'uscita sensata e' modificare la Costituzione eliminando il bicameralismo perfetto, a quel punto la legge attuale funziona, ed e' difficile far meglio dal punto di vista tecnico di combinare governabilita' e rappresentanza, anche se vanno rimossi i difetti come l'esclusione del voto dei valdostani dal quorum, e personalmente rimuoverei anche le ridicole circoscrizioni estere, consentendo il voto solo agli italiani temporaneamente all'estero, da attribuire alle loro circoscrizioni di appartenenza.
Sottolineo peraltro che considero il proporzionale con premio di maggioranza nazionale alla coalizione un sistema efficace solo da un punto di vista tecnico astratto, ma non mi piace per molti aspetti. Il punto piu' importante e' che a mio parere un sistema maggioritario deve responsabilizzare al massimo chi grazie ad esso vince. Se a vincere e' una persona, come il presidente degli USA, l'effetto di responsabilizzazione esiste: c'e' una persona ben definita, che ha onere e onore del governo su mandato di una maggioranza spesso relativa e non assoluta, qualunque cosa succeda rimane reponsabile delle sue azioni e sara' giudicato di conseguenza. Il premio di maggioranza ad una coalizione di partiti (che in Italia si traduce in un'accozzaglia di partiti) e' quanto di peggio si possa immaginare da questo punto di vista, specie considerando la tradizione storica del trasformismo politico italiano. Secondo me non e' un caso che i paesi di maggiore tradizione democratica come UK, Francia, USA, Svizzera, Olanda, Svezia non abbiano premi di maggioranza a partiti e coalizioni, e solo paesi di incerta esperienza democratica come Italia e Grecia abbiano elaborato questi sistemi.