Preambolo 2006
Poiche' il preambolo, come giustamente dice il nostro Grande Timoniere, sara' divertente ma e' lunghetto e ritarda la lettura della proposta ... l'abbiamo trasformato in un Post-ambolo (o post fazione). Insomma, sta alla fine. Siamo o non siamo il blog piu' dadaista che ci sia in rete? Solo una cosa, le [...] indicano un omissis. Son molti, ed alcuni ampi. Il testo del 1994 era, davvero, un lungo pistolotto. C'e' mica solo quello che non fece postal economics che scrive lunghi pistolotti!
La proposta aveva tre parti:
- procedure
- punto d'arrivo
- transizione
Rimane cosi suddivisa.
1 Procedure
[...]
Che la riforma della Costituzione debba richiedere la convocazione di un'Assemblea Costituente (purtroppo non prevista dalla Costituzione stessa) o possa avvenire attraverso il lavoro di una Commissione Bicamerale e' questione forse secondaria. Ma certamente l'idea di arrivare alla riforma federale dello Stato a colpi di maggioranze parlamentari e referendum popolari non ci pare foriera ne' di buoni risultati ne' di stabilita'
temporale delle riforme cosi' introdotte.
La riforma costituzionale dovrebbe concentrarsi, in una prima fase, sulla definizione delle entita' giurisdizionali che dovrebbero comporre il futuro Stato federale. A nostro avviso l'ipotesi piu' razionale e' quella che prevede l'abolizione della distinzione fra Regioni a Statuto ordinario e speciale e l'accorpamento delle venti Regioni attuali in dieci o dodici nuove Regioni. La definizione di queste nuove entita' dovrebbe tener conto sia dei guadagni di efficienza economica ottenibili, sia di ragionevoli obiettivi di omogeneita' economico-sociale.
[...]
Un secondo requisito utile all'avvio di tale riforma e' che si riesca a raggiungere il pareggio del bilancio statale inclusivo degli interessi sul debito. Questo poiche' la devoluzione di spese, entrate e patrimonio alle
nuove entita' potrebbe risultare molto complessa e controversa in presenza di un deficit di bilancio.
2. Punto d'arrivo
[...]
Definizione dei poteri e delle funzioni da mantenere allo Stato centrale.
Proposta di Articolo 70
Lo Stato ha competenza legislativa nelle seguenti materie: 1) politica estera, commercio con l'estero e relazioni internazionali; 2) rapporti regolati dagli artt. 7 ed 8 in materia di confessioni religiose; 3) difesa nazionale e sicurezza pubblica nazionale; 4) diritti pubblici soggettivi previsti dagli articoli da 13 a 22, 29, 30, 39, 40, 49 e 51; 5) ordinamento giudiziario, ordinamento della giustizia civile, penale, amministrativa, contabile e tributaria per quanto concerne i tributi statali, ordinamento civile e penale e sanzioni penali; 6) contabilita' dello Stato, moneta, attivita' finanziarie e di credito sovraregionali; 7) tributi statali; 8) disciplina generale delle norme di circolazione; 9) tutela dell'ecosistema, beni naturali di interesse nazionale; 10) ricerca scientifica e tecnologica, tutela della proprieta' letteraria, artistica e intellettuale;
11) ordinamento generale della tutela e della sicurezza del lavoro; 12) ordinamenti generali dell'istruzione obbligatoria; 13) opere pubbliche strettamente funzionali alle competenze riservate allo Stato; 14) statistica nazionale, pesi e misure, determinazione del tempo; 15) armi ed esplosivi; 16) ordinamento generale delle poste e telecomunicazioni.Lo Stato garantisce la piu' libera e completa circolazione di beni, servizi e fattori della produzione all'interno del territorio nazionale.
La Regione ha competenza legislativa, esclusiva o concorrente, in ogni altra materia. Lo Stato, nelle materie
in cui le Regioni non hanno competenza legislativa esclusiva, puo' fissare con leggi organiche i principi fondamentali delle funzioni che attengono alle esigenze di carattere unitario. Le leggi organiche vincolano le Regioni e non hanno come destinatari i cittadini.
Proposta di Articolo 117
La Regione ha competenza legislativa nelle materie che non sono riservate allo Stato.
La Regione ha competenza esclusiva, in armonia con la Costituzione della Repubblica, nelle seguenti materie: 1) imposte regionali e comunali; 2) agricoltura e foreste; commercio; industria; artigianato; 3) sanita' e previdenza sociale; 4) istruzione universitaria; 5) assetto urbanistico del territorio; 6) turismo; 7) formazione professionale; 8) polizia urbana e regionale; 9) beni culturali ed artistici; musei e biblioteche delle Regioni e dei Comuni; 10) trasporti locali e regionali; navigazione e porti lacustri; 11) cave e torbiere; 12) pesca nelle acque interne.
All'interno degli ordinamenti stabiliti dallo Stato la Regione e' inoltre competente per il finanziamento e la fornitura del servizio di istruzione obbligatoria. Nelle altre materie, la legge regionale rispetta i principi fissati dalle leggi organiche. Le norme della legge regionale non devono essere in contrasto con l'interesse nazionale o con quello delle altre Regioni. Le relative controversie sono definite dal Senato delle Regioni.
[...]
Proposta di Articolo 119
Alle Regioni competono: tributi propri; sovraimposte e addizionali su tributi erariali; proventi della vendita di beni e servizi. Tali forme di imposizione sono regolate in via indipendente da leggi regionali.
Alle Regioni competono inoltre quote di partecipazione al gettito prodotto nelle singole Regioni da tributi erariali con particolare riferimento alle imposte indirette. Tali quote di partecipazione sono regolate da leggi promulgate da entrambi i rami del Parlamento.
L'assunzione di prestiti e di impegni di spesa in annualita' puo' essere disposta dalle Regioni nei limiti stabiliti dalla legge organica approvata da entrambi i rami del Parlamento.
In nessuna circostanza il potere impositivo dello Stato potra' essere utilizzato come copertura o garanzia di tali debiti. Sono inoltre vietate tutte le operazioni di accensione di debiti e crediti fra lo Stato e le Regioni.
Le Regioni hanno un proprio demanio e patrimonio i cui cespiti sono stabiliti, in modo irreversibile, nelle norme attuative della Costituzione.
L'articolo 119 prevede la possibilita' per le Regioni di emettere debito [...]. Dal punto di vista teorico le ragioni a favore della concessione alle Regioni del potere di emissione del debito sono molteplici. Vi e' anzitutto il classico motivo di ``consumption smoothing'': non e' appropriato far oscillare l'offerta di servizi pubblici in coincidenza con le fasi del ciclo economico. In secondo luogo vi e' la necessita' di distribuire nel
tempo i costi del capitale pubblico: essendo parte di esso trasferito alle generazioni future e' naturale trasferire ad esse anche una parte del costo. Vi e' una terza ragione per autorizzare l'emissione di debito da parte delle Regioni: le quotazioni di mercato dei vari debiti regionali possono essere un'utilissima fonte di informazione sullo stato delle finanze regionali. Variazioni nel valore di mercato del debito di una regione fornirebbero ai cittadini elettori un segnale oggettivo di come il mercato, nazionale ed internazionale, valuti la gestione finanziaria del loro governo regionale. Il debito regionale costituirebbe insomma un altro elemento di controllo dell'operato dei governanti.
La proposta di autorizzare l'indebitamento delle Regioni puo' essere criticata da vari punti di vista. Vi e' anzitutto il rischio che un'amministrazione regionale decida di forzare il vincolo costituzionale e di rifiutarsi d'onorare il debito costringendo lo Stato ad intervenire. Come in tutti gli esercizi ipotetici di questo tipo non vi e' nulla che si possa obiettare, se non che la pressione politica delle altre Regioni, che dovrebbero sopportare il costo dell'appianamento di tale debito, dovrebbe rendere alquanto improbabile un tale comportamento.
[...]
In secondo luogo vi e' il rischio che le Regioni eccedano globalmente nel loro accesso iniziale al debito se le si fa partire da una situazione di indebitamento netto uguale a zero. Questo e', apparentemente, il problema emerso in Belgio subito dopo la riforma del 1989. [...] Per ovviare a tali problemi vi e' solo una strada praticabile: l'attribuzione di una quota del debito esistente alle Regioni. Quale quota attribuire e con che criterio ripartirla fra le varie Regioni e' ovviamente operazione non semplice ed irta di gravi conseguenze
redistributive. [...] [Criterio suggerito] Sia x il rapporto attuale fra patrimonio dello Stato e debito accumulato. Poiche' il primo consiste quasi totalmente di beni naturali ed artistici, immobili e costruzioni
la cui distribuzione territoriale e' immodificabile per via legislativa si potrebbe distribuire regionalmente il
debito in maniera tale che, dopo la devoluzione, ogni Regione abbia lo stesso rapporto x fra patrimonio e debito proprio.
Questo risolve ad un tempo sia la questione di quanto debito attribuire alle Regioni sia la questione di come distribuirlo. Questo perche' il patrimonio dello Stato che va trasferito alle Regioni dovrebbe essere stabilito in relazione alle competenze e funzioni che ad esse si attribuiscano e non in relazione ad un qualche ammontare prestabilito di debito da coprire.
Veniamo ora alla questione della redistribuzione interregionale. Coerentemente all'impostazione da noi adottata essa va mantenuta il piu' possibile separata dalla fornitura di servizi pubblici. Ovviamente occorre distinguere attentamente la fase di transizione (esaminata piu' sotto) con il punto d'arrivo di cui ci stiamo occupando ora.
[...]
Per criterio della regione efficiente intendiamo la seguente cosa. Sia y il livello pro-capite di un dato servizio pubblico, misurato in unita' fisiche (posti-letto per abitante, ore-maestro per alunno in eta' scolare eccetera) e sia p il vettore dei prezzi dei fattori produttivi x utilizzati nella produzione del servizio y = F(x). Per ognuna delle regioni i = 1, ..., n denotiamo con c(i) = C(p, y,i) il valore assunto dalla funzione di costo in corrispondenza del vettore di prezzi dei fattori e del livello di servizio prevalente nella regione. [...] Definiamo c*(p,y) = min{ c(i); i=1,...,n}. Allora il "criterio della regione efficiente" e' quello che associa il costo c* al livello di servizio pro-capite y. Notasi che controlliamo per il livello dei prezzi dei fattori prevalente nella regione i.
Per massima imposizione fiscale esistente intendiamo la seguente procedura di calcolo dell'aliquota media massima sopportata per il finanziamento di un servizio da una delle regioni del paese. Sia {m(1), ...,m(k)} la lista di basi imponibili, espresse in lire, utilizzate per finanziare il servizio in questione in una data regione. Per la stessa regione, sia {T(1), ...,T(k)} la lista delle aliquote fiscali medie sulle stesse basi imponibili. L'aliquota media per una data regione e' facilmente calcolabile da questi dati. [...] Di conseguenza la "massima imposizione fiscale esistente" e' semplicemente il valore massimo fra le aliquote medie delle varie regioni. [...]
Il procedimento che abbiamo in mente e' il seguente. Periodicamente lo Stato determina i livelli minimi pro-capite dei servizi pubblici fondamentali che devono essere forniti ad ogni cittadino. Al fine di garantire che anche i cittadini delle regioni piu' svantaggiate possano usufruire almeno di questo livello di servizi si costituisce un fondo nazionale di perequazione finanziato con l'imposizione diretta di competenza dello Stato. Le regioni che desiderano attingere a tale fondo potranno farlo a condizione che esse finanzino tale servizio, per la loro parte, attraverso il prelievo fiscale su una serie delimitata di basi imponibili. La definizione di queste basi imponibili avviene anch'essa a livello nazionale su base quinquennale. L'ammontare di trasferimenti a cui la regione richiedente ha diritto viene poi determinato nella seguente maniera. Sia C il costo del livello minimo del servizio in questione, stabilito secondo il criterio della regione efficiente. Sia T l'ammontare ipotetico di prelievo fiscale raggiungibile nella regione richiedente qualora essa applichi alle proprie basi imponibili la massima imposizione fiscale esistente T*. L'ammontare del trasferimento annuale sara' quindi uguale a C - T.
In parole povere: ti sussidio se e solo se sei almeno efficiente quanto me nella fornitura dei servizi e se carichi sui tuoi cittadini un carico percentuale di tasse uguale a quello che carico io sui miei. [Frase aggiunta nel 2006, poiche' sembra che questo fondamentale e banale principio non riesca ad essere compreso dai politici italioti.]
Nel caso in cui una delle regioni che risulterebbero finanziatrici nette del fondo di perequazione avesse stabilito di fornire ai propri cittadini una quota pro-capite z del servizio inferiore a quella determinata dallo Stato, allora il valore di C verra' calcolato con rispetto a z. Questo garantisce che, qualora i cittadini di una regione dovessero decidere di privatizzare in tutto o in parte la fornitura di un dato servizio regionale, essi non sarebbero costretti a subire un prelievo fiscale per finanziarne la fornitura pubblica in un'altra regione del paese.
Proposta di Articolo 119-bis
Per la tutela delle Regioni economicamente svantaggiate lo Stato istituisce un apposito fondo perequativo, da finanziarsi attraverso l'imposizione diretta, ed il cui ammontare e' definito con periodicita' quinquennale.
I seguenti servizi pubblici fondamentali, e solo essi, possono essere finanziati attraverso l'accesso a tale fondo: istruzione obbligatoria, sanita', previdenza sociale, trasporti pubblici.
I trasferimenti annuali alle regioni piu' svantaggiate vanno determinati, per ciascun servizio, in base ai criteri della regione efficiente e della massima imposizione esistente.
Nelle circostanze in cui una delle regioni che sono contributrici nette del fondo, dovesse fornire ai propri cittadini un livello pro-capite di uno dei servizi sopra indicati inferiore al livello minimo stabilito dallo Stato quest'ultimo verra' sostituito dal precedente nel calcolo dei trasferimenti alle regioni richiedenti.
Una regione perde il diritto d'attingere al fondo di perequazione qualora essa utilizzi basi imponibili differenti da quelle stabilite dallo Stato, su base quinquennale, per il finanziamento dei servizi fondamentali. I trasferimenti dello Stato derivanti dai fondi perequativi hanno sempre vincolo di destinazione.
Per provvedere a scopi determinati lo Stato puo' intervenire con finanziamenti aggiuntivi, di intesa con le Regioni interessate. L'ammontare complessivo di tale intervento non puo' comunque essere superiore al due per cento del Prodotto Interno Lordo nazionale dell'anno in questione.
Le leggi dello Stato che attuano delega di funzioni alle Regioni, adeguano i mezzi finanziari a disposizione delle medesime, attraverso una corrispondente ridefinizione delle quote di partecipazione al gettito dei tributi erariali.
La legislazione concernente tutti gli atti descritti in questo articolo deve essere approvata da entrambi i rami del Parlamento, con maggioranza di due terzi del Senato delle Regioni.
[...]
Per completare la descrizione del quadro generale di riferimento e' necessario specificare la struttura del Parlamento federale e le attribuzioni della Camera e del Senato. Su questo piano noi troviamo la formulazione data da Bassanini sostanzialmente condivisibile, fatta eccezione per la dimensione del Senato delle Regioni. Dovendo essere questo il luogo in cui avviene la "contrattazione multilaterale'' [...] ci pare piu' appropriato prevedere un organo di piccole dimensioni, che faciliti uno sviluppo ordinato dei processi di contrattazione.
Proposta di Articolo 57
Il Senato della Repubblica e' costituito dai Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali, nonche' dai rappresentanti delle Regioni eletti in ragione di cinque per ciascuna regione. I rappresentanti delle Regioni sono eletti dai Consigli regionali nel proprio seno, con voto limitato ai tre quinti dei senatori da eleggere.
Proposta di Articolo 70
La funzione legislativa e' esercitata dallo Stato federale e dalle Regioni. La funzione legislativa federale e' esercitata dalla Camera dei deputati. E' esercitata da entrambe le Camere, in forma separata, per le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, per le leggi organiche, per le leggi federali previste dal titolo V della parte seconda della Costituzione e per tutte le altre materie in cui tale obbligo e' esplicitamente richiamato dalla Costituzione.
[Sia il due per cento del 119-bis che i cinque Senatori per ogni Regione [...] hanno natura puramente indicativa.]
[...]
3. Transizione
[Le osservazioni critiche che seguono sono relative al rapporto della commissione Giarda, che delineava una procedura di transizione a nostro avviso positiva ma migliorabile in modo sostanziale. Il linguaggio e' tecnico e, se uno non conosce la relazione di Giarda, meta' di quanto segue e' incomprensibile. Chiediamo scusa, ma manca il tempo (sia nostro che del lettore) per mettere tutti i dettagli. Chi e' interessato, chieda nei commenti e risponderemo. E possibile che, cambiate le circostanze dopo 13 anni, alcune delle cose che diciamo siano autentiche corbellerie!]
Non riteniamo appropriato trasformare in norma permanente l'eliminazione dei vincoli di destinazione sulle risorse trasferite per il finanziamento della spesa sanitaria e dei trasporti locali, almeno per quelle regioni che dovessero fare uso del fondo di perequazione da noi previsto nell'articolo 119-bis. Tale vincolo di destinazione potrebbe ovviamente essere sollevato per quelle regioni che dovessero risultare contributrici nette del fondo di perequazione.
L'aumento delle entrate tributarie delle Regioni, attraverso il trasferimento di potesta' tributarie e di basi imponibili, andrebbe attuato di pari passo all'utilizzo (da parte delle Regioni stesse) del principio di sussidarieta', nei modi che illustreremo tra breve.
Il programma di compartecipazione al gettito dei tributi erariali, punto (c) a pagina 69 di Giarda [1994],
dovrebbe essere "a scalare": l'ammontare di compartecipazione ai tributi di ciascuna Regione andrebbe diminuito dell'importo corrispondente ogni qual volta alla Regione in questione venisse trasferita una base imponibile come descritto nel paragrafo precedente.
Il sistema di trasferimenti perequativi, ossia il fondo da noi previsto nell'articolo 119-bis, andrebbe a nostro avviso finanziato preferibilmente a mezzo di imposte dirette dello Stato. Questo poiche', se di redistribuzione del reddito si tratta, appare opportuno che la stessa segua criteri di progressivita' non solo territoriale ma anche personale.
La parte a nostro avviso piu' delicata, ma forse anche piu' interessante della nostra proposta, e' quella riguardante l'applicazione progressiva del principio di sussidarieta'. Una descrizione schematica di tale procedura, da introdurre nelle norme di attuazione della Costituzione riformata, e' la seguente.
All'anno zero della riforma si applicano le indicazioni date a pagina 30 di Giarda [1994].
A partire dall'anno uno ogni Regione gode dell'opzione di utilizzare il principio di sussidarieta' per avocare a se una o piu' delle funzioni elencate nell'articolo 117 della Costituzione. Tale avocazione e' irreversibile per un periodo da determinarsii in forma costituzionale, ma comunque lungo abbastanza da scoraggiare il moral-hazard implicito in questa procedura (trent'anni?). All'atto dell'avocazione tale Regione vedra' trasferite a se, oltre che le competenze di spesa, anche i cespiti patrimoniali relativi, l'ammontare appropriato di debito, le basi imponibili regionali e le addizionali di aliquota sufficienti per la copertura
della spesa storica media nazionale in esistenza al momento. Qualora tali proventi fiscali non fossero sufficienti, come nel caso delle Regioni piu' povere, andrebbe applicato il dettato dell'articolo 119-bis.
Per ognuna delle funzioni elencate nell'articolo 117 tale periodo di avocazione dovrebbe avere durata finita (dieci anni? quindici?) e prestabilita nelle norme attuative. In tale modo, al compimento di tale periodo, tutte le funzioni in questione dovrebbero essere completamente di competenza delle Regioni e con esse le basi imponibili e le altre risorse fiscali e patrimoniali relative. Questo permetterebbe di "chiudere i conti" dello Stato relativi a tali aree di intervento in un tempo predeterminato. Lo Stato funzionerebbe invece da "clearing house" nella fase intermedia.
Si noti che, a compimento di questa fase transitoria, anche una porzione del debito nazionale sarebbe progressivamente divenuto di competenza definitiva delle Regioni, secondo le modalita' da noi
illustrate nella precedente sottosezione.
Affinche' tale processo sia possibile e' necessario che, a partire dall'anno uno della riforma, vengano realizzate due condizioni. La prima consiste nel raggiungimento del pareggio del bilancio di parte corrente dello Stato. La seconda consiste nella costruzione di un bilancio dello Stato "per funzioni economiche", tale che ad ogni area di intervento e ad ogni ragione di spesa corrisponda una ben definita imposta e fonte d'entrata. Questa relazione biunivoca fra spese ed entrate renderebbe possibile il trasferimento simultaneo, alle Regioni che ne facciano richiesta, di competenze di spesa e di fonti di finanziamento adeguate.
Appendice: Testo del Preambolo 2006
Il lavoro originale venne scritto per una conferenza di politica economica, organizzata (se non ricordiamo male) da Francesco Giavazzi, Alessandro Penati e Guido Tabellini all'allora ancora giovane IGIER - che stava in abbazia, ad Opera, e li' si tenne la conferenza. Faceva un caldo mortale in quella sala piccola, strapiena, e mal ventilata. Tempi "eroici" che anche noi, come certamente i vecchi amici (e lettori ?) dell'IGIER ricordiamo con una certa nostalgia. I discussants furono Alberto Alesina e Michele Salvati, da cui vennero commenti utili, oltre che saggi. La versione finale miglioro' alquanto grazie ai loro commenti. Dovendo riassumerli, dopo tanto tempo, ci sovvengono solo le parole "improbabili utopie liberali"; niente di testuale: solo una sintesi personalizzata. Ad ogni buon conto, ora come tredici anni fa, difficile dar loro torto!
ll testo venne pubblicato poi in
- Giavazzi, F., Penati, A. and Tabellini, G. (eds.) Frontiere della Politica Economica, Sole-24 Ore, 1995,
e ristampato tre anni dopo in
- Giavazzi, F., Penati, A. and Tabellini, G. (eds.) La costituzione fiscale, Bologna, Il Mulino, 1998
Se a qualcuno interessa, l'intero pistolotto si trova nella pagina web d'uno di noi. Il testo originale venne scritto finche' eravamo entrambi a Northwestern University, tra l'ottobre 1993 ed il marzo 1994. Il contesto politico era quello delle "speranze di federalismo" (vero, e liberale) che la Lega prima maniera aveva creato in qualcuno - inclusi gli scriventi, ma anche questa storia la raccontiamo un'altra volta. Si partiva da un'analisi tecnica di cosa sia e a cosa serva il federalismo, sia fiscale che politico, e si cercava poi d'argomentare, su base sia teorica che empirica, perche' era (ed e') utile all'Italia. Tutto questo e' omesso qui. Infatti, il testo che trovate qui e' una versione ulteriormente accorciata (le [...] indicano omissis, a volte larghi) dell'ultima sezione del nostro lavoro, in cui provavamo a formulare proposte concrete di riforma costituzionale.
Se vi interessano le motivazioni teorico-empiriche, non ci resta che rimandarvi al testo completo. I tre assi fondamentali erano:
- Il federalismo serve e funziona solo se crea competizione fra diversi livelli dello stato, e fra differenti unita' territoriali ad ogni livello (Madison, Tiebout, Riker, etcetera). Quindi occorre creare competizione fra le regioni, e dev'essere una competizione "fattibile" sia economicamente che politicamente. Occorre anche creare competizione fra stato centrale e regioni, quindi occorre dare a queste poteri ed autonomie e diritti inalienabili, in particolare sul piano fiscale. Occorre quindi trasferire patrimonio, competenze di spesa, di tassazione, ed anche politiche. A pezzi e bocconi si fanno solo i vestiti per i pagliacci.
- Il maggior tarlo italiano e' la questione meridionale, irrisolta da 150 anni. Per capirlo, rileggetevi Salvemini, De Roberto, Gramsci, Sturzo (don), Sascia, Hurwicz, Buchanan e Tullock, ... e Boldrin-Rustichini. La centralita' della questione meridionale nella creazione del "disastro italiano" implica che, o ben si risolve, o niente e nessuna riforma cambiera' davvero il bel paese. La questione meridionale si comincia a risolvere se, e solo se, si introduce una forma dello stato compiutamente federalista.
- ll federalismo e', alla radice, una forma di governo liberale, basata sugli stessi principi che ispirano la creazione dei mercati competitivi (Tiebout, Hayek, Strauss, Schmitt (rovesciato), mechanism design as applied to public goods provision.) Il federalismo, come strumento di governo e di produzione e finanziamento di beni pubblici locali, funziona solo in un contesto di libero mercato, libera circolazione degli individui e delle merci, garanzie politiche liberal-democratiche. Da qui l'insistenza sulla necessita' di altre riforme di tipo liberale sia della forma di governo, sia dell'economia italiana. Tutto questo e' qui omesso.
Vale la pena ricordare che, al tempo, girava una confusa ed incompleta - sia nella parte "forma di governo" sia, e soprattutto, in quella "forma dello stato" - proposta, uscita dalla Commissione Bicamerale istituita nel 1992 e presieduta dal lungimirante ed acculturato duo De Mita & Iotti. Oltre alla medesima, esisteva anche la relazione di una Commissione Ministeriale presieduta da Piero Giarda - i cui contenuti sono piu' o meno quelli del libro di quest'ultimo, Giarda P., Regioni e federalismo fiscale, Il Mulino, 1995. Quest'ultima era ristretta a questioni di riforma federale ed era "informata" dalla prospettiva politica adottata dalla Commissione De Mita-Iotti, pero' era tecnicamente buona almeno sulle parti relative al bilancio dello stato ed alle funzioni regionali. I riferimenti a Giarda (1994) nel testo che segue sono alla versione originale del rapporto Giarda, che purtroppo non siamo riusciti a trovare in rete.
La nostra proposta consisteva di tre parti : a) descrizione delle procedure, b) descrizione dell'obiettivo finale, c) descrizione (incompleta) delle tappe intermedie. Le parti a) e c) sono state molto accorciate qui: erano tecniche, ed anche un po' datate, in quanto si assumeva di partire dalla situazione concreta del 1994. Nella misura in cui la situazione ora e' diversa, inutile riprodurle, occorrerebbe riscriverle. Quindi, quello che trovate qui e', basically, come noi avevamo configurato il punto di arrivo, ossia la riforma costituzionale. Se v'interessano i dettagli, vi raccomandiamo il testo completo. In queste cose, ovviamente, molte volte la chiave e' nei dettagli. Nella sintesi che segue cerchiamo d'essere piu' chiari possibile.
Un'ultimo aspetto rilevante: noi assumevamo la creazione di circa dieci-dodici "regioni", secondo piu' o meno i criteri suggeriti da uno studio della Fondazione Agnelli : Una proposta di federalismo fiscale, a cura di G. Brosio, G. Pola e D. Bondonio, luglio 1994 (il testo si trova ancora fra i contributi di ricerca scaricabili), ma con modifiche nostre. Quante regioni avere e come disegnarle non e' cosa da poco. Alla faccia del localismo italiano che molti confondono, strumentalmente, con il federalismo (incluso il commercialista da Sondrio, che continua a parlare dei comuni come base del federalismo: perche' non i consigli di condominio?). Il federalismo, per riuscire, richiede anche eliminazione di livelli amministrativo-governativi troppo piccoli o ridondanti, o non adeguati allo scopo. Come le province, per esempio, ed alcune delle molte piccole regioni. Ancor ora ci sembra che una delle cretinate - fra le tante - comuni a tutte le proposte di devolution-convolution fatte nel bel paese sia l'ipotesi di mantenere le regioni come sono ora, incluse le mille provincie (sembra che da quando siam partiti ne abbiano creato almeno una nuova dozzina: peccato, una volta le sapevamo tutte a memoria, da buoni secchioni). Solo uno come Bossi non riesce a capire che l'idea della regione-provincia di Campobasso-Molise e', ovviamente, una bestialita'.
Ma di bestialita' politico-giuridiche l'Italia e' ripiena e si va sempre piu' riempiendo. La cosidetta riforma federalista dell'Ulivo (2001, approvata in zona Cesarini) era pure ripiena di bestialita', ed ugualmente lo e' questa orribile devolution della CdL (ma guarda se occorre chiamare una riforma italiana con una malscelta parola inglese perche' uno come Bossi, obiettivamente sotto la norma degli umani sia cerebralmente che intellettualmente, s'e' identificato con Mel Gibson che fa il nobile scozzese impazzito ed ululante in un film americano pateticamente fantasioso e infantilmente truculento!) Anche per questo suggeriamo di votare NO al referendum. Non perche' lo status quo sia buono, fa schifo infatti, ma per le mille bestialita' che questa nuova legge contiene, e non solo in relazione al federalismo.
mi spiace, ma vedo poco il linkage tra descrittivo e normativo.
se la riforma (o "malforma"?) da Bossi proposta e' pessima (come appar dimostrare il testo pistolottico) e la (precedente) malforma di sinistra e' pessima, & moreover both maintain the same idiocies of not redesigning what regions are,
non vedo perche' non dovrei (io come cittadino) semplicemente evitare di votare.
1. primo vantaggio: si elimina il rompimento dei cosidetti di recarsi "alle urne" (dove si tengono sia i bollettini elettorali che le ceneri degli scomparsi)
2. secondo vantaggio: si manda un segnale (debole ahime) ai politicanti di smetterla di agire da cialtroni/tracotanti
3: se si ha una grande maggioranza di non votanti, l'effetto ceteris paribus e' il medesimo dell'indicazione bisin/boldrin
a parte il fatto che mai mi mandarono il bollettino elettorale (domanda: ai referendum i cosidetti italiani "esteri" votano? non ho nessuna informazione in merito), mi sembra assai piu' saggio NON votare