Dei risparmi e delle banche

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Un articolo di Enrico Grazzini su "economia e politica" argomenta che bisogna "rifondare" le fondazioni bancarie indebolendo il loro legame con la politica ma rinforzando il loro controllo sul sistema del credito. Il motivo sarebbe la presunta natura di "bene comune" del risparmio nazionale. Quest'ultimo, a detta di Grazzini, sarebbe in pericolo se le fondazioni bancarie, invece, dismettessero i loro pacchetti di controllo delle banche italiane per diversificare i loro patrimoni. In questo post commento brevemente, in quattro punti, queste stravaganti (a mio modo di vedere) idee.

(1) Neo-liberisti. Nell'articolo ricorre la retorica dell'attacco neo-liberista, che consisterebbe nella raccomandazione di (a) eliminare il controllo che la politica esercita sul sistema bancario mediante le fondazioni bancarie, e (b) obbligare le fondazioni bancarie a diversificare i titoli in cui e' investito il loro patrimonio, il che richiede la vendita dei pacchetti di controllo delle banche di riferimento. Il sostantivo "neo-liberista" compare 4 volte nell'articolo. C'e' poi una quinta apparizione, alla fine, senza il neo. Ammetto di essere un ignorante con un diploma in ragioneria, e di aver dovuto (per ragioni assicurative, provenendo da una famiglia fondamentalmente proletaria) studiare stenografia e dattilografia invece della filosofia (o della dermatologia, per cogliere la differenza tra un neo e un non-neo), ma ancora non capisco chi siano i liberisti, e come i neo-liberisti si distinguano dai vetero-liberisti, o i turbo-liberisti dagli aspirato-liberisti. Ieri sera, durante il confronto su Rai1 in vista del ballotaggio alla primarie del PD, sia Pierluigi Bersani sia Matteo Renzi hanno affermato che liberalizzare e' di sinistra. Entrambi neo-liberisti? Sono confuso. Chiedere che i panettieri facciano il pane e i meccanici riparino le auto e' vetero-liberista? E perche' chiedere che i politici facciano i politici e i banchieri i facciano banchieri sarebbe neo-liberista? Chiedere che l'INPS non investa la meta' dei fondi pensioni pubblici nelle azioni della AS Roma e l'altra meta' nelle azioni della Juventus FC e' liberista? E perche' chiedere che le fondazioni bancarie non investano tutto il loro patrimonio (che e', quello si, patrimonio pubblico) nelle banche locali sarebbe turbo-liberista? La matassa s'ingarbuglia. A questo punto tra i non-liberisti restano soltanto (in ordine decrescente di grado di vetero-liberismo) Niki Vendola, Papa Ratzinger, e la madre superiora dell'Abbazia di Frittole, 96 anni. Sogno il giorno in cui la smetteremo di appiccicare maldestramente etichette e discuteremo di fatti e sostanza delle idee.

(2) Risparmio bene comune. Nell'articolo ricorre la bizzarra idea per cui il risparmio delle famiglie italiane sarebbe un "bene comune" (common) e che le Fondazioni bancarie siano necessarie alla gestione di questo particolare bene. Un bene comune, e' bene ricordarlo, e' una risorsa posseduta o utilizzata in comune da un gruppo di persone, senza che alcuna specifica persona abbia un diritto di proprieta' sulla risorsa. Tecnicamente, un bene comune e' un bene non rivale (il fatto che lo usi io non impedisce a un altro di usarlo) ma escludibile (posso impedire a qualcuno di usarlo), a differenza di un bene pubblico che e' sia non rivale sia non escludibile. Il risparmio di una famiglia (in Italia, almeno) non e' ne' un bene pubblico ne' un bene comune. Che non sia bene pubblico, e' evidente: se il risparmio depositato nel conto corrente intestato a Enrico Grazzini fosse un bene pubblico, per esempio, allora io potrei liberamente e legalmente far addebitare su quel conto corrente le mie bollette della luce o del gas. Mi piacerebbe. Ma non e' neppure un bene comune. Se lo fosse, allora Enrico Grazzini non potrebbe svuotare il suo conto corrente per far fronte a un'ingente spesa imprevista. Non gli piacerebbe. Il fatto che il risparmio depositato presso le banche venga convogliato attraverso il canale del credito ad altri soggetti che vogliono prendere a prestito non lo rende un bene comune. Lungi da me il fare l'esegeta di Grazzini, ma forse lui intende dire che ci sono esternalita' positive associate al risparmio perche' piu' c'e' risparmio piu' ci sono risorse per investire anche in progetti comuni. Le esternalita', in estrema sintesi, sono gli effetti diretti (non mediati dal mercato) dell'azione di qualcuno sul benessere di qualcun altro. Anche in questa interpretazione, l'argomento non regge. Se una massa piu' abbondante di risparmio e' disponibile, questo influenza certamente il benessere di chi puo' prendere di piu' a prestito. Ma l'effetto e' interamente mediato dal mercato del credito, dove i tassi di interesse riflettono (tra le altre cose) la scarsita' e l'abbondanza della massa di risparmio. Non ci sono ne' beni comuni ne' esternalita', insomma. L'argomento teorico di Grazzini, quindi, decade in tronco. Decaduto questo resta ben poco, vediamo cosa nei prossimi due punti.

(3) Mai agli speculatori stranieri. Nell'articolo ricorre la sindrome dello speculatore straniero che, se dismettiamo le azioni delle banche in mano alle fondazioni bancarie, si impadronisce e porta via i risparmi degli italiani e quindi il loro futuro. E' utile innanzitutto ricordare che i risparmi degli italiani non sono tutti dentro le banche. Gli italiani acquistano anche immobili, obbligazioni, azioni, assicurazioni, quote di fondi comuni, ecc. ecc. Solo una parte della ricchezza e' depositata presso le banche. Secondo l'articolo, se arrivano gli speculatori stranieri e si comprano le banche italiane, allora questa parte della ricchezza sparisce. Vale per "speculatore" quanto detto sopra per "neo-liberista", ma soprassediamo. Veniamo al punto: cosa e' successo nel 2005 quando gli "speculatori stranieri" di ABN AMRO si sono comprati Antonveneta? I conti correnti sono stati svuotati e i risparmi dei correntisti portati ad Amsterdam in sacchi di tela con sopra stampato € con una carovana di furgoni blindati scortati dall'esercito olandese? L'idea, vedete, e' sciocca. Ma, si puo' obiettare, poi gli olandesi dispodendo dei nostri risparmi non ci fanno piu' credito! Perche' mai dovrebbe essere profittevole fare credito alle start-up austriache, francesi, e olandesi ma non a quelle italiane?

(4) La rifondazione delle Fondazioni. Nell'articolo si propone (sulla base di una premessa logicamente fallace, vedi #2) di rifondare le fondazioni lasciando intatto il loro controllo sulle banche italiane ma facendo nominare i vertici "democraticamente dalle comunità di riferimento, dai cittadini e dalle associazioni della società civile". Mi permetto di far notare che e' gia' cosi, oggi. Prendiamo il caso emblematico, la Fondazione Monte dei Paschi. I vertici sono nominati, tra gli altri, dal Comune (l'istituzione democratica della comunita' di riferimento, per eccellenza), dalla Provincia (l'istituzione democratica della comunita' allargata di riferimento, per eccellenza), dalla curia (l'istituzione non democratica stavolta, ok, di una comunita' di riferimento, per Sua Eccellenza). Cosa rifonderebbe la rifondazione proposta nell'articolo, e' quindi un mistero. Vogliamo l'elezione diretta dei vertici? Chi sceglie i candidati? La posta in gioco (il controllo delle banche) e' alta, crediamo che i partiti non riescano anche qui a cambiare tutto per non cambiare niente? Ah, le rifondazioni. Il problema non e' il controllo democratico delle fondazioni, ma il controllo che i politici italiani, mediante le fondazioni, si ostinano a voler esercitare sul sistema bancario. E' questa ostinazione che ha bruciato una fetta della ricchezza degli italiani (i patrimoni non diversificati delle fondazioni), e ha portato via loro un pezzo di futuro rendendo il sistema bancario italiano altamente inefficiente. Un esempio? Se MPS fosse stata gestita da chi di professione fa il banchiere (con qualunque passaporto) anziche' il politico, molto probabilmente invece di comprare 25 miliardi di BTP avrebbe fatto un po' piu' di credito alle moltissime famiglie e imprese nella "comunita' di riferimento" e oltre. Che il mercato del credito sia popolato da perfidi speculatori stranieri mentre i politici italiani democraticamente eletti siano benevolenti benefattori e' una delle dannose misconcezioni che hanno aggravato la crisi economica del paese. La condanna definitiva di Antonio Fazio e' una lapide che commemora questo fatto.

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Commenti

Ci sono 60 commenti

da far pubblicare anche sui grandi giornali.

Sono convinti sinceramente di essere enti benefici,

www.corriere.it/economia/12_novembre_30/fondazioni-pagheranno-imu-caos-al-senato-slitta-fiducia-mario-sensini_5c4a8302-3ab5-11e2-b4fa-74f27e512bd0.shtml

Benfici per chi non si sa ( io qualche sospetto ce l'ho )

Quello che fanno finta di non capire e' che per essere enti benefici non c'e' alcun bisogno di controllare la banca locale. Vendi la banca, investi il patrimonio in attivita' diversificate e col rendimento che ne deriva fai tutta la beneficienza locale che ti pare: compri ambulanze, finanzi parchi giochi per bambini nelle citta', ristrutturi bocciofile, chiese ed edifici pubblici.

Invece vogliono far credere al popolo che per fare tutto questo e' necessario controllare la banca locale.

E' evidente a tutti che cio' e falso.

 

o i turbo-liberisti dagli aspirato-liberisti.

 


Credo i turbo-liberisti non possano essere Euro5, ma prometto di controllare. Tu per sicurezza gira solo nei giorni pari.

Prof. Zanella,

la Sua critica alla tesi di Grazzini è convincente, ma non coglie il punto.

Nella sinistra "alternativa" si parla di beni comuni quando si vuole andare oltre la dicotomia tra beni privati e beni pubblici, intesa come riferita alla titolarità giuridica, per assoggettare le più svariate categorie di beni a vincoli nell'interesse di collettività più o meno ampie.

La proposta di modificazione della disciplina giuridica dei beni pubblici, che concluse i lavori della Commissione Rodotà (istituita dal secondo governo Prodi) annovera tra i beni comuni - oltre ai pascoli alpini, le spiagge marine, ecc., anche tutti quei beni che servono a soddisfare i diritti fondamentali dei cittadini. Se quest' espressione Le sembra alquanto vaga - infatti è un fuzzy concept - consideri che i beni storico-artistici, anche di proprietà privata, sono considerati beni comuni perché soddisfano il diritto fondamentale alla crescita culturale di ogni cittadino (art. 9 Cost.).

Il succo di questa qualificazione è la soggezione di tali beni a controlli pubblici e "sociali", nel senso che i cittadini avrebbero diritto di intervenire nella loro gestione quando temano che questa non permetta la soddisfazione dei diritti fondamentali. A livello ideologico, si parla allora di una liberazione del comune dall'alternativa stato-privato: tale liberazione, però, si traduce pur sempre nell'imposizione di vincoli giuridici e nella lotta contro l'eliminazione di quelli esistenti (referendum sull'acqua).

Allora parlare di risparmio quale bene comune significa, verosimilmente, auspicare ulteriori controlli sul suo impiego.

 

Nella sinistra "alternativa" si parla di beni comuni quando si vuole andare oltre la dicotomia tra beni privati e beni pubblici

 

Qualunque cosa si intenda nella sinistra alternativa, Grazzini fa esplicito riferimento alla ricerca di Elinor Ostrom, e in quella i beni comuni sono definiti come nel post. Io credo che lui intenda proprio quello. Se invece indente un'altra cosa, beh, si puo' raggiungere qualunque conclusione verbale definendo i concetti in modo diverso. Se io definisco "sposato" come "convivente con qualcun altro", posso concludere che "il Papa e' sposato".

 

Il succo di questa qualificazione è la soggezione di tali beni a controlli pubblici e "sociali" [...]  si parla allora di una liberazione del comune dall'alternativa stato-privato: 

 

Ineccepibile, Elinor Ostrom, appunto, ha vinto lo Sveriges Riksbank Prize in Economic Sciences in Memory of Alfred Nobel.

 

Allora parlare di risparmio quale bene comune significa, verosimilmente, auspicare ulteriori controlli sul suo impiego.

 

No, e' la parte "Allora" che non va bene. Non segue da quello che c'e' sopra. Questo e' uno dei punti del post. Comunque uno la rigiri, il risparmio delle famiglie non e' bene ne' pubblico ne' comune (a meno di non poter dire, appunto, che il Papa e' sposato).

Nella disamina qui sopra esposta da luciano, appare quasi che esitano solo due dicotomiche possibilità: 1) la proprietà è privata (di uno solo, persona fisica o giuridica) oppure 2) è comune, ergo di tutti. Ma proprio tutti. 60 milioni di persone. Errore madornale, guidato da astrusa impostazione ideologica (hai hai hai, Rodotà). A metà strada esiste la proprietà privata collettiva (un bellissimo esempio è proprio quello dei pascoli alpini, per chi conosce la storia di quel tipo di proprietà).  I privati insieme possono detenere una proprietà collettiva (indivisa) ed essa era un tempo una forma molto comune di proprietà, derivata sia dal diritto ereditario sia dalla necessità di gestire collettivamente ampie proprietà a basso tenore di valore aggiunto.  Altro esempio è quello delle cooperative.

Il succo è che " beni comuni" non vuol dire di tutti (in stile comunista) ma puo' voler dire "di alcuni cittadini che si mettono d'accordo", il stile liberale.

Post molto interessante e condivisibile. C’è però un aspetto forse rilevante: l’ingresso di capitali stranieri comporterebbe un ulteriore aumento del debito estero, che ha cominciato a crescere in maniera sostenuta dopo l’ingresso nell’euro. Non dovrebbe essere questo fatto fonte di preoccupazione?

i capitali staranieri comprerebbero quote, di fondazioni private o di banche private. cosa c'entri il debito pubblico non si capisce.

Mah, non so. Non sono uno specialista in economia internazionale, ma cosi' a naso ho sempre considerato la preoccupazione per il debito estero come un'ossessione mercantilista. Prendiamo gli USA, hanno accumulato notevoli deficit commerciali e hanno preso a prestito soprattutto dalla Cina per finanziarli. Prima o poi dovranno ripagare quegli assets, vero. Ma come tutti i debitori, sono i cinesi che possono prenderselo in saccoccia se, per esempio, il dollaro si svaluta (per inflazione, ad esempio).

Ma lascio ad altri piu' esperti di me l'argomento.

Sostiene il Grazzini

 

Le fondazioni hanno invece, nel bene o nel male, obiettivi sociali e di lungo termine.

 

Passi l'incertezza contenuta nell'inciso, nel bene o nel male. Quando uno scrive tutto può essere, mi innervosisco e la mia proverbiale comprensione scema vertiginosamente, ma resisto.

Quanto poi agli obiettivi sociali vi è evidenza ampia che documenta la dimensione ristretta del sottoinsieme di appartenenti alla comunità, che comprende chi è presente nel Cda delle fondazioni e poichè credono nei valori della famiglia, anche i propri cari.

Ma perchè questa maledizione debba continuare anche nel lungo periodo, non riesco proprio a mandarlo giù.

Mi era sfuggita, grazie :-)

Caro Zanella,  non entro nel merito dell'articolo. Per quanto riguarda il suo riferimento al neoliberismo vorrei solo precisare che si tratta della traduzione, a mio avviso infedele, del termine anglosassone neoliberalism, francese néolibéralisme, spagnolo neoliberalismo.

Due riferimenti fra molti:

Duménil,  Levy (2011), The crisis of neoliberalism, Harvard University Press;

Mirowski, Plehwe (2009),  The road from Mont Pélerin: the making of neoliberal thought collective, Harvard University Press.

L'autore dell'articolo non fa quindi un riferimento peregrino.  Dopodiché il discorso sarebbe molto lungo e complesso.

 

E come e' definito questo concetto nei due riferimenti citati?

Suggerisco caldamente al gestore del blog di aggiungere il bottone "mi piace" (tipo FB) agli articoli e magari anche ai commenti.  L'attuale mezzo di approvazione (chi tace acconsente) non mi sembra sufficientemente esplicito.

Per quello che ho capito di Fazio, una sua giustificazione è quella di poter esercitare la funzione di controllo bancario con maggiore efficacia nei confronti di una banca italiana.

Se ciò fosse vero avrebbe visto anche lungo considerato l'ammontare del bailout di ABN Amro.

Se fosse ancora vigente una forma efficace di Glass Steagall Act mi fiderei di più delle banche straniere a livello di solidità (lasciamo stare il Dodd Frank che sappiamo tutti come è andata).

Detto questo se le banche straniere fossero davvero in salute, che se le comprino tutte le banche italiane, tanto a fare meglio delle fondazioni e dei politici italiani non ci vuole mica tanto.

Però considerato che il risparmio è un bene di utilità pubblica (non pubblico), allora una forma di tutela di quel genere, nei confronti di una banca acquirente con un bilancio un pò "rischioso", può risultare accettabile.