(1) Neo-liberisti. Nell'articolo ricorre la retorica dell'attacco neo-liberista, che consisterebbe nella raccomandazione di (a) eliminare il controllo che la politica esercita sul sistema bancario mediante le fondazioni bancarie, e (b) obbligare le fondazioni bancarie a diversificare i titoli in cui e' investito il loro patrimonio, il che richiede la vendita dei pacchetti di controllo delle banche di riferimento. Il sostantivo "neo-liberista" compare 4 volte nell'articolo. C'e' poi una quinta apparizione, alla fine, senza il neo. Ammetto di essere un ignorante con un diploma in ragioneria, e di aver dovuto (per ragioni assicurative, provenendo da una famiglia fondamentalmente proletaria) studiare stenografia e dattilografia invece della filosofia (o della dermatologia, per cogliere la differenza tra un neo e un non-neo), ma ancora non capisco chi siano i liberisti, e come i neo-liberisti si distinguano dai vetero-liberisti, o i turbo-liberisti dagli aspirato-liberisti. Ieri sera, durante il confronto su Rai1 in vista del ballotaggio alla primarie del PD, sia Pierluigi Bersani sia Matteo Renzi hanno affermato che liberalizzare e' di sinistra. Entrambi neo-liberisti? Sono confuso. Chiedere che i panettieri facciano il pane e i meccanici riparino le auto e' vetero-liberista? E perche' chiedere che i politici facciano i politici e i banchieri i facciano banchieri sarebbe neo-liberista? Chiedere che l'INPS non investa la meta' dei fondi pensioni pubblici nelle azioni della AS Roma e l'altra meta' nelle azioni della Juventus FC e' liberista? E perche' chiedere che le fondazioni bancarie non investano tutto il loro patrimonio (che e', quello si, patrimonio pubblico) nelle banche locali sarebbe turbo-liberista? La matassa s'ingarbuglia. A questo punto tra i non-liberisti restano soltanto (in ordine decrescente di grado di vetero-liberismo) Niki Vendola, Papa Ratzinger, e la madre superiora dell'Abbazia di Frittole, 96 anni. Sogno il giorno in cui la smetteremo di appiccicare maldestramente etichette e discuteremo di fatti e sostanza delle idee.
(2) Risparmio bene comune. Nell'articolo ricorre la bizzarra idea per cui il risparmio delle famiglie italiane sarebbe un "bene comune" (common) e che le Fondazioni bancarie siano necessarie alla gestione di questo particolare bene. Un bene comune, e' bene ricordarlo, e' una risorsa posseduta o utilizzata in comune da un gruppo di persone, senza che alcuna specifica persona abbia un diritto di proprieta' sulla risorsa. Tecnicamente, un bene comune e' un bene non rivale (il fatto che lo usi io non impedisce a un altro di usarlo) ma escludibile (posso impedire a qualcuno di usarlo), a differenza di un bene pubblico che e' sia non rivale sia non escludibile. Il risparmio di una famiglia (in Italia, almeno) non e' ne' un bene pubblico ne' un bene comune. Che non sia bene pubblico, e' evidente: se il risparmio depositato nel conto corrente intestato a Enrico Grazzini fosse un bene pubblico, per esempio, allora io potrei liberamente e legalmente far addebitare su quel conto corrente le mie bollette della luce o del gas. Mi piacerebbe. Ma non e' neppure un bene comune. Se lo fosse, allora Enrico Grazzini non potrebbe svuotare il suo conto corrente per far fronte a un'ingente spesa imprevista. Non gli piacerebbe. Il fatto che il risparmio depositato presso le banche venga convogliato attraverso il canale del credito ad altri soggetti che vogliono prendere a prestito non lo rende un bene comune. Lungi da me il fare l'esegeta di Grazzini, ma forse lui intende dire che ci sono esternalita' positive associate al risparmio perche' piu' c'e' risparmio piu' ci sono risorse per investire anche in progetti comuni. Le esternalita', in estrema sintesi, sono gli effetti diretti (non mediati dal mercato) dell'azione di qualcuno sul benessere di qualcun altro. Anche in questa interpretazione, l'argomento non regge. Se una massa piu' abbondante di risparmio e' disponibile, questo influenza certamente il benessere di chi puo' prendere di piu' a prestito. Ma l'effetto e' interamente mediato dal mercato del credito, dove i tassi di interesse riflettono (tra le altre cose) la scarsita' e l'abbondanza della massa di risparmio. Non ci sono ne' beni comuni ne' esternalita', insomma. L'argomento teorico di Grazzini, quindi, decade in tronco. Decaduto questo resta ben poco, vediamo cosa nei prossimi due punti.
(3) Mai agli speculatori stranieri. Nell'articolo ricorre la sindrome dello speculatore straniero che, se dismettiamo le azioni delle banche in mano alle fondazioni bancarie, si impadronisce e porta via i risparmi degli italiani e quindi il loro futuro. E' utile innanzitutto ricordare che i risparmi degli italiani non sono tutti dentro le banche. Gli italiani acquistano anche immobili, obbligazioni, azioni, assicurazioni, quote di fondi comuni, ecc. ecc. Solo una parte della ricchezza e' depositata presso le banche. Secondo l'articolo, se arrivano gli speculatori stranieri e si comprano le banche italiane, allora questa parte della ricchezza sparisce. Vale per "speculatore" quanto detto sopra per "neo-liberista", ma soprassediamo. Veniamo al punto: cosa e' successo nel 2005 quando gli "speculatori stranieri" di ABN AMRO si sono comprati Antonveneta? I conti correnti sono stati svuotati e i risparmi dei correntisti portati ad Amsterdam in sacchi di tela con sopra stampato € con una carovana di furgoni blindati scortati dall'esercito olandese? L'idea, vedete, e' sciocca. Ma, si puo' obiettare, poi gli olandesi dispodendo dei nostri risparmi non ci fanno piu' credito! Perche' mai dovrebbe essere profittevole fare credito alle start-up austriache, francesi, e olandesi ma non a quelle italiane?
(4) La rifondazione delle Fondazioni. Nell'articolo si propone (sulla base di una premessa logicamente fallace, vedi #2) di rifondare le fondazioni lasciando intatto il loro controllo sulle banche italiane ma facendo nominare i vertici "democraticamente dalle comunità di riferimento, dai cittadini e dalle associazioni della società civile". Mi permetto di far notare che e' gia' cosi, oggi. Prendiamo il caso emblematico, la Fondazione Monte dei Paschi. I vertici sono nominati, tra gli altri, dal Comune (l'istituzione democratica della comunita' di riferimento, per eccellenza), dalla Provincia (l'istituzione democratica della comunita' allargata di riferimento, per eccellenza), dalla curia (l'istituzione non democratica stavolta, ok, di una comunita' di riferimento, per Sua Eccellenza). Cosa rifonderebbe la rifondazione proposta nell'articolo, e' quindi un mistero. Vogliamo l'elezione diretta dei vertici? Chi sceglie i candidati? La posta in gioco (il controllo delle banche) e' alta, crediamo che i partiti non riescano anche qui a cambiare tutto per non cambiare niente? Ah, le rifondazioni. Il problema non e' il controllo democratico delle fondazioni, ma il controllo che i politici italiani, mediante le fondazioni, si ostinano a voler esercitare sul sistema bancario. E' questa ostinazione che ha bruciato una fetta della ricchezza degli italiani (i patrimoni non diversificati delle fondazioni), e ha portato via loro un pezzo di futuro rendendo il sistema bancario italiano altamente inefficiente. Un esempio? Se MPS fosse stata gestita da chi di professione fa il banchiere (con qualunque passaporto) anziche' il politico, molto probabilmente invece di comprare 25 miliardi di BTP avrebbe fatto un po' piu' di credito alle moltissime famiglie e imprese nella "comunita' di riferimento" e oltre. Che il mercato del credito sia popolato da perfidi speculatori stranieri mentre i politici italiani democraticamente eletti siano benevolenti benefattori e' una delle dannose misconcezioni che hanno aggravato la crisi economica del paese. La condanna definitiva di Antonio Fazio e' una lapide che commemora questo fatto.
da far pubblicare anche sui grandi giornali.