Innanzitutto, una premessa: molti consigliano cautela nella decisione
di abbandonare il TFR aziendale, per esempio sostenendo che
i vantaggi fiscali sono illusori, visto che le tasse possono sempre
aumentare in futuro. Così la pensano non solo esperti ipercauti
come il famoso Beppe Scienza, ma anche siti informativi indipendenti
che trovo per il resto abbastanza obiettivi come tuapensione.it.
Che le tasse possano aumentare è vero, occorre però vedere se le
tasse aumenteranno in misura maggiore per i fondi che per il TFR.
Inoltre, si noti che il parlamento è stato quasi unanime nell'intento
di incentivare la previdenza alternativa. Non credo dunque che gli
incentivi fiscali possano cambiare direzione in futuro. Ho documentato altrove che i vantaggi fiscali sono notevoli, soprattutto per i lavoratori più anziani, fatto di cui tutti tacciono. Prima di rinunciarvici dunque, meglio pensarci due volte.
Ma torniamo all'oggetto dell'articolo - la scelta amletica fra fondo chiuso e fondi aperti. Questione difficile. I fondi chiusi genericamente hanno costi di gestione inferiori, genericamente hanno una bassa componente azionaria, e sempre limitano la possibilità di scelta. Inoltre, l'adesione a un fondo chiuso comporta di solito un contributo aggiuntivo fornito dal datore di lavoro. Per esempio, nel contratto dei metalmeccanici
il datore di lavoro contribuisce l'1,2 percento dello stipendio lordo,
a fronte di un contributo uguale del lavoratore, e del versamento del
TFR, da effettuarsi obbligatoriamente nel fondo chiuso. Oltre ad avere limitate possibilità di scelta, se il lavoratore scoprisse un giorno che gli amministratori di
Cometa sono degli incapaci, e volesse trasferire le somme accumulate ad
fondo aperto, perderà il diritto a ricevere i contributi futuri da
parte del datore di lavoro. Insomma, per il metalmeccanico non c'è
scelta: o versa il TFR (6,91 % dello stipendio) e un contributo
individuale (0,55%) a Cometa, o non riceve nulla dal datore, ed il
proprio potenziale stipendio si riduce dell'1,2%. E non puo' nemmeno trasferire i fondi in seguito, pena l'interruzione delle contribuzioni del datore di lavoro.
Il metalmeccanico dovrebbe ritenersi fortunato. Il fondo chiuso di categoria, Cometa, gli da almeno la possibilità di scegliere fra quattro "comparti" chiamati Monetario plus, Sicurezza, Reddito, Crescita,
corrispondenti, rispettivamente, ad un contenuto massimo percentuale di
titoli azionari dello 0, 10, 30, 60. Si noti come il lavoratore
non abbia l'opzione di scegliere una
componente azionaria più aggressiva, come di solito si consiglia a chi è a 30 anni dalla pensione. [Piccola nota a latere: gli addetti ai
lavori noteranno che ai fondi sono stati dati nomi sbagliati, nel senso
che, nella prassi dei fondi americani, le parole income (reddito) e
growth (crescita) vengono riservate non a fondi con diversa componente
obbligazionaria, ma a fondi che investono in aziende che abitualmente
distribuiscono i profitti (fornendo reddito) piuttosto che reinvestendo
in azienda (fornendo crescita del valore del titolo). Spero questo non
sia un segnale della competenza dei gestori di questo fondo].
Altro esempio, FonTE, il fondo dei lavoratori nel settore dei servizi,
di cui parlo perché è il settore in cui lavora il mio amico. Per un
verso le cose stanno meglio, visto che il contributo del datore di
lavoro è dell'1,55 per cento a fronte di un versamento minimo dello
0,55 per cento da parte del lavoratore (e sempre con l'obbligo di
versarvi anche il TFR). FonTE però ha solo due comparti, garantito, e bilanciato, quest'ultimo
con una componente azionaria attorno al 20 percento del capitale. Il
mio amico si lamenta che il rendimento del fondo sia "uno dei più
bassi". E vorrei ben dire, difficile rendere tanto quando si investe
quasi tutto in obbligazioni. Mi chiede se non convenga a questo punto
rinunciare al contributo del datore pur di poter scegliere un fondo
più aggressivo fra quelli aperti. Un rapido calcolo con excel rivela
che il mio amico non ha poi tutti i torti (salvo quanto poi riporterò sotto nella conclusione). Riporto qui sotto i
risultati considerando ipoteticamente uno stipendio di 25 mila euro, e
rendimenti dei fondi chiuso e aperto rispettivamente del 3 e 7 percento.
Come si vede, il contributo del datore di 348,75 euro (all'1,55 per
cento va tolto il 10% da dare all'INPS come contributo di solidarietà)
si annulla nell'arco di 5 anni. Dopo 25 anni il capitale accumulato dal
fondo aperto è quasi il doppio. Chiaramente, le differenze si
amplificano aggiungendo le contribuzioni degli anni successivi al primo.
Montante del primo anno di contribuzione | |||||
Anno | Fondo chiuso | Fondo aperto | |||
Stipendio lordo | 25000 | 0 | 2213.75 | 1865 | |
Contributo datore, 1.55% per lavoratori nei servizi | 348.75 | 1 | 2280 | 1996 | |
Rendimento fondo chiuso | 1.03 | 2 | 2348 | 2135 | |
Rendimento fondo aperto | 1.07 | 3 | 2419 | 2285 | |
4 | 2491 | 2445 | |||
5 | 2566 | 2616 | |||
25 | 4369 | 8841 |
Per il nostro lettore metalmeccanico di Sesto San Giovanni le cose
stanno in parte meglio, perché può scegliere un comparto con maggiore
componente azionaria, cosa consigliabile se l'età del pensionamento è
lontana. D'altra parte però il suo contratto prevede un contributo del
datore solamente dell'1,2 per cento, a fronte di un maggiore
investimento personale. Assumendo una differenza fra rendimenti dello 0.2% occorrono circa dieci anni perché la convenienza del fondo chiuso si estingua.
Ecco dunque alcuni consigli finali per il mio amico in procinto di scegliere:
- Non trarre valutazioni negative su un fondo chiuso in base alla
scarsa performance; molto spesso si tratta di fondi molto conservativi.
In genere, i fondi chiusi hanno costi di gestione notevolmente più
bassi dei fondi aperti (ma vale la pena controllare e verificare questo
nelle note informative dei fondi), quindi vale la pena di considerarli seriamente.
- La convenienza del fondo aperto sembra ovvia, se valgono le ipotesi effettuate nella tabella. Occorre tuttavia inquadrare l'investimento pensionistico nel contesto di tutti gli investimenti del lavoratore. Per esempio se il lavoratore già investe parte dei propri risparmi in titoli a reddito fisso e obbligazioni, significa che non è disposto ad accettare il rischio azionario per la totalità dei propri investimenti. Se così fosse, meglio sarebbe scegliere di investire nel fondo chiuso per ricevere così anche i contributi del datore di lavoro. Poi, è sempre possibile riprisitinare il desiderato livello di rendimento/rischio ribilanciando i propri risparmi non-pensionistici verso una maggiore componente azionaria.
- Rielaboro dal punto 2 nel caso non fosse chiaro: se esiste un contributo del datore di lavoro legato all'adesione al fondo chiuso, conviene investire sul fondo chiuso, a meno che i risparmi personali (quelli in eccesso alla quota che si tiene liquidabile per fronteggiare spese impreviste) siano tutti investiti in azioni. E a meno che non si pensi i gestori dei fondi chiusi siano cosi' incapaci da rendere conveniente la rinuncia al contributo del datore pur di evitare di avere a che fare con loro (si tenga conto anche del fatto che i costi di gestione dei fondi chiusi sono spesso molto inferiori dei costi dei fondi comuni reperibili sul mercato). Se parte dei risparmi personali e' investita in obbligazioni e titoli di stato, e' sempre possibile disinvestire da questi l'ammontare che il fondo chiuso "costringe" ad investire in obbligazioni e investirlo in un fondo azionario per ripristinare la desiderata composizione di portafoglio.
- Non so a quanto questo serva, ma occorrerebbe fare pressioni sul proprio datore di lavoro, specie se si tratta di piccola impresa, perché mantenga la contribuzione anche in caso di adesione ad un fondo aperto senza cedere al ricatto sindacale. Coinvolgere i sindacalisti non so quanto serva, visto che sono i diretti responsabili di queste clausole capestro che limitano le possibilità di scelta dei lavoratori, e con queste il loro benessere. Chi siano i beneficiari lo si veda nella composizione dei consigli di amministrazione e di controllo dei fondi chiusi.
Concludo con la solita avvertenza: le opinioni espresse in questo articolo sono solamente mie e non quelle del mio datore di lavoro
Alcune informazioni aggiuntive. In Italia i dipendenti del settore del credito hanno la possibilità di sottoscrivere fondi pensione aperti (gestiti dal proprio gruppo, ovviamente...) con il benefit di contribuzione da parte dell'azienda, che si situa intorno al 2-2.5 per cento della retribuzione lorda (incluse le voci variabili come il bonus). In molti casi, il dipendente può limitarsi a trasferire il proprio Tfr senza contribuire con parte del proprio lordo retributivo, e l'azienda versa comunque il benefit.
Sulla (impropria) denominazione data ai prodotti italiani rispetto alla prassi statunitense: è vero, concordo con la critica, ma specificherei che queste forme di ignoranza discernitiva non sono responsabilità dei gestori bensì dei maghetti del marketing, che nei prodotti finanziari hanno molto più potere di quanto non appaia all'esterno: spesso, tale potere giunge a condizionare la strutturazione di benchmark efficienti quanto potrebbe esserlo un ubriaco che cerca le chiavi di casa sotto il lampione più vicino. E non lo dico per difendere la casta dei gestori, che spesso in realtà si trovano a gestire prodotti del tutto irrazionali, e ne pagano le conseguenze in termini di immagine. Anche se di Van Basten in giro non ce n'è neppure nel risparmio gestito, ovviamente;
Riguardo l'aspetto fiscale della previdenza integrativa, Andrea scrive che "che il parlamento è stato quasi unanime nell'intento
di incentivare la previdenza alternativa", e quindi il timore di futuri trattamenti discriminanti a danno della previdenza integrativa non dovrebbe sussistere. Forse è così, ma non dimenticate quello che era scritto (sotto dettatura della sinistra radicale) nel programma dell'Unione, a pagina 171, sulle prestazioni previdenziali integrative:
Poi, è vero che anche l'aumento di tassazione del risparmio è stato accantonato dalla maggioranza, che ne aveva esaltato per mesi il valore salvifico. Credo che, in caso di rallentamento congiunturale e relativa flessione di gettito fiscale, torneremo a sentir parlare del "valore etico" della maggiore tassazione del risparmio...
Concordo con il punto 4 delle raccomandazioni: individuare chi sta frenando lo sviluppo della competizione nei prodotti di previdenza alternativa è piuttosto agevole. Diciamo che si tratta di una convergenza di interessi tra chi è interessato a mantenere vischiosità alla migrazione dei clienti verso prodotti migliori.
Un piccolo appunto sulla convenienza fiscale. Il programma dell'Unione e' un fatto, non posso criticarti su questo, ma non vorrei che il nostro lettore che giunge da Google fosse ulteriormente allarmato, e proprio da te! Il mio intento era di cercare di prevedere in modo ragionevole come verranno tassati in futuro questi contributi, e trovo la gli inviti generalizzati alla cautela basati su questo eccessivi. Da quanto posso interpretare dalla tua citazione, capisco che se l'ultrasinistra andra' al governo togliera' o ridurra' la deducibilita' dei contributi. Benissimo, meglio allora affrettarsi a contribuire piu' che si puo' finche' c'e' la detraibilita'. Si disinvestano i propri risparmi per contribuire quest'anno il massimo dei 5100 e passa detraibili! Poi, quando toglieranno la deducibilita', si smetta di contribuire.
Si parla anche di alzare ed uniformare la tassazione sui rendimenti, ma questo evento e' neutrale sulla scelta su quanto investire nella previdenza alternativa, e persino sulla scelta della destinazione del TFR. I rendimenti del TFR sono tassati oggi nella stessa misura in cui sono tassati i rendimenti dei fondi (11 per cento). Si parla di alzare tutto al 20 per cento. Qual e' la probabilita' che i rendimenti dei fondi verranno tassati in misura maggiore del TFR, o in misura maggiore sui rendimenti da capitale? Direi molto vicina allo zero.
In sintesi, condivido il tuo astio nei confronti di un programma di governo miope, per non dire di peggio, ma vorrei invitare ad un po' di realismo. Anche se quanto scritto venisse realizzato, rimane la convenienza -per ora- di investire nei fondi, fino al limite della deducibilita'. Poi un altro appunto: ricordiamoci che le convenienze fiscali della previdenza alternativa costituiscono un risparmio forzato; di questo ha parlato alberto recentemente. Togliere questi incentivi ci avvicina al first best.