La
storia degli ebrei è stata per due millenni la storia di
persone senza un luogo. Schwed capovolge la situazione. Adesso che il
luogo lo hanno, immagina che decidano di farne a meno. Questo è
l'antefatto del libro: la decisione improvvisa e sorprendente del
parlamento di Israele di votare lo scioglimento dello stato (la
Decisione). Di conseguenza i suoi abitanti fanno fagotto ed emigrano
verso altri paesi. Chi narra gli eventi è un giornalista
italiano che, a varie riprese, viaggia per quella terra che via via
si spopola, fino a contare uno solo abitante, un metronotte. Questa Yerida
generalizzata - Yerida è il termine ebraico che designa
l'emigrazione degli israeliani dal loro paese per andare a vivere
altrove – risolve il conflitto e fa cessare le ostilità. Ma
Schwed non si dilunga sulle ragioni e le cause della Decisione.
Preferisce guardare all'effetto, al nuovo esilio del popolo ebraico.
E lo fa attraverso i racconti privati e singolari, a tratti dolenti,
a volte bizzarri, mai banali, dei suoi personaggi. In questo modo dà
voce a Noemi nel capitolo “Il trasloco di Tel Aviv”; ad Ilana
Sara nel capitolo “Il viaggio della Persefones”, forse il
più bello; a Ruben, l'ultimo abitante di Israele, nel capitolo
“L'ultimo chiuda la porta”. Ma il libro è anche un
racconto del luogo, di Israele senza più ebrei; delle città,
Haifa in particolare, che rimangono vuote di persone e piene di
oggetti oramai inservibili. Così, nell'alternarsi di
personaggi senza più luogo, e di luoghi senza più
personaggi, Schwed trova il senso più profondo della
condizione dell'esilio. Condizione difficile, provvisoria, che non
consente radicamenti perché come dice un personaggio del libro
“Se il problema fosse emigrare dove gli ebrei non sono stati mai
perseguitati, ha detto, noi dovremmo scegliere la Luna. E per
prudenza, ha aggiunto, sarebbe meglio scegliere il lato che non si
vede”.