In passato leggevo anche io il blog del comico e penso che alcuni suoi post fossero interessanti e condivisibili, così come interessanti e condivisibili sono alcune battaglie simbolo che l’attore ha portato avanti su temi come, fra gli altri, l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria. La precisazione può sembrare di maniera ma è vera e come molti altri noto che se alcune delle posizioni di Grillo fossero state portate nelle sedi istituzionali, forse ora non ci troveremmo con il Movimento Cinque Stelle grande novità politica delle elezioni (ammesso che sia una novità sostanziale, cosa che andrò a discutere).
La violenza verbale
Detto questo, il primo punto che mi preme maggiormente sottolineare è il problema, perché di problema si tratta, della violenza verbale che il comico esprime ormai in ogni sua uscita pubblica. Il punto è complicato dal fatto che Grillo non ha, tecnicamente, un ruolo politico riconosciuto in quanto eletto, è però evidente che è lui la figura portante del movimento che controlla con mano ferrea. Si aggiunga inoltre che il voto espresso in favore del suo movimento è già un voto di protesta, o almeno qualificato come tale dai suoi stessi elettori, e che l’associare a quella protesta di contenuto il ricorso ad un linguaggio violento potrebbe avere esiti infausti per la vita civile del paese. Insomma, io per parte mia non considero accettabile (benché la violenza verbale non sia un tratto distintivo del solo Grillo ma è praticata largamente anche in altri schieramenti politici) che il leader di uno dei partiti maggiori del paese si esprima, nei riguardi di quelli che sono ormai i suoi concorrenti politici, con espressioni ai limiti della minaccia fisica. Spiace che questo punto non sia colto in tutta la sua gravità in un paese come l’Italia, dove alcune decine di anni fa la violenza inizialmente solo verbale faceva rapidamente breccia nelle menti di alcuni, trasformandosi da strumento di battaglia solo polemica ad elemento di violenza materiale nella società. Chiaramente nel paese le condizioni storiche e istituzionali sono cambiate ma sarebbe bene che qualcuno di coloro che più sono vicini al comico facesse presente a costui che ora egli ricopre un ruolo pubblico e che tale ruolo dovrebbe imporgli, almeno sul piano della comunicazione, una maggiore responsabilità.
L'organizzazione centralizzata
Fatta la precisazione sul linguaggio vorrei sottolineare alcune caratteristiche del Movimento Cinque Stelle, e della sua gestione monocratica, che se opportunamente evidenziati chiariscono come la sua novità politica sia meno eclatante di quanto non venga comunemente riconosciuto.
E infatti, è curioso notare come il diffondersi del Movimento sia accompagnato da caratteristiche organizzative e giuridiche che ne rendono la struttura e il funzionamento assai simile ad altri partiti che in passato hanno anch’essi manifestato finalità di radicale cambiamento della società. Mi riferisco in particolare al fatto che il logo del Movimento sia di proprietà di Beppe Grillo, e che a quest’ultimo spettino la presidenza e la rappresentanza legale dello stesso. Aggiungiamo a questi aspetti legali il controllo che Grillo mantiene sugli aderenti, sul contenuto delle loro dichiarazioni pubbliche e sul loro avere o meno titolo a rilasciarle ai giornali o in trasmissioni televisive di approfondimento politico. Ora, che da un punto di vista tattico queste scelte possano pure essere considerate necessarie per tenere in piedi la baracca è cosa certamente vera, quello che sfugge è però che un’organizzazione siffatta, benché rappresenti una reazione (per certi versi legittima) alla chiusura dei partiti tradizionali e al loro scollamento rispetto alla società civile, manifesta quegli stessi tratti di chiusura, autoreferenzialità e leaderismo carismatico esasperato che mostrano molti altri partiti italiani.
Il fatto che per il movimento di Grillo questo centralismo non venga seriamente preso in considerazione, il fatto cioè che ancora una volta gli elettori del movimento pensino che quei tratti istituzionali dell’organizzazione siano accettabili nella misura in cui siano piegati tatticamente alla realizzazione di obbiettivi politici condivisibili e “giusti”, rappresenta, ancora una volta, un limite tipico del ragionamento politico standard dell’elettore medio. Tale limite risiede nel fatto che ad essere prese in considerazione nella valutazione di un movimento politico non sono tanto le condizioni istituzionali (in senso lato, non sono politico) nelle quali gli aspiranti politici si troveranno a lavorare; né ad essere analizzati sono gli incentivi ai quali gli eletti dovranno rispondere, piuttosto ciò che viene considerato dirimente è sempre l’idea che questa volta “i nostri saranno onesti” e “avranno davvero la volontà di cambiare radicalmente le cose”. Questa idea politica “deontologica”, secondo la quale sarebbero le intenzioni dei politici a garantire della bontà del loro progetto politico e della fattibilità delle loro proposte, è una delle tare congenite che scontiamo ogni volta che dobbiamo valutare quale progetto politico sottoscrivere, e presenta inesorabilmente il conto quando le intenzioni, per quanto commendevoli siano, non sono comunque sufficienti a raggiungere gli obbiettivi dichiarati. Ripeto: trovo che sia abbastanza curioso che un movimento con quelle caratteristiche organizzative e con quella visione della politica ambisca davvero a presentarsi come nuovo rispetto al tradizionale panorama politico italiano.
Qualche semplice esempio. È accettabile che Casaleggio, che tanto interesse suscita per la sua posizione defilata, quasi da guru sotterraneo ispiratore del movimento, non solo si sottragga, come il suo sodale Grillo, al giudizio degli elettori, ma anche alle interviste? Ovviamente la cosa potrebbe pure essere considerata una mancanza veniale, del resto Casaleggio potrebbe essere come uno dei mille intellettuali che, pur non candidandosi, “presta” le sue riflessioni e offre i suoi consigli al movimento politico nel quale si riconosce. Mi chiedo però se rispetti gli standard di pubblicità e trasparenza di un movimento politico la richiesta di Casaleggio, che, come abbiamo visto in televisione, al momento di parlare delle sue proposte per le aziende italiane chiede che i giornalisti presenti fino a quel momento si accomodino fuori dalla sala dove si teneva l’incontro. E si badi bene che si parlava di proposte relative a scelte politiche che di lì a poco sarebbero state oggetto di voto da parte degli elettori. Ora, escludendo che il tizio coltivi appositamente un’immagine studiata a tavolino di grande vecchio o di puparo che tira le fila da dietro le quinte, la scelta di non sottoporsi ad un confronto con i giornalisti esprime o una debolezza di fondo sui contenuti che si andavano esponendo (come poi è in effetti risultato “dall’intercettazione” operata dai giornalisti) o a un’inaccettabile, per chi ambisca a ruoli pubblici, secretazione delle proprie posizioni. In entrambi i casi nulla che possa far parlare di un modo nuovo di far politica.
E ancora: si può ragionevolmente ritenere un nuovo e migliore modo di intendere la politica un tentativo massimalista di considerare la frammentazione del quadro politico attuale, con il derivato corollario di ingovernabilità che ne discende, come un’occasione propizia per favorire i propri interessi di parte politica (perché quello è il Movimento Cinque Stelle: una parte politica) fino all’obbiettivo dichiarato di raggiungere la totalità dei consensi? Quale livello di cura per il bene di tutti i cittadini, anche di quelli che non hanno votato Grillo, può trasparire da parte di quanti, per ragioni di accumulazione del consenso, sono disposti a giocare fino in fondo la carta della paralisi istituzionale, pur nei frangenti drammatici nei quali vive l’economia del nostro paese? E siamo sicuri che i grillini, che a parole si dicono così attenti al bene comune, alla tutela delle diversità ambientali, sessuali e di ogni tipo siano solo degli ingenui e ben motivati apocalittici quando aspirano ad una visione della società dove, addirittura, ad una parte politica dovrebbe spettare tutto il consenso disponibile? Si può sicuramente osservare che una simile visione della politica fatta di derisione dell’avversario, negazione di una responsabilità istituzionale verso il paese e i suoi cittadini, subordinazione della tattica del breve periodo al solo accrescimento del consenso, per buone che siano le intenzioni dei suoi promotori, costituisca un’idea pericolosa e sicuramente incompatibile con una visione pluralista della società e delle democrazia.
Le idee anti-moderne
Ma anche venendo alle idee del movimento il quadro non si schiarisce, ma si fa, se possibile, ancora più fosco e anche a questo proposito i tratti della proposta non si discostano poi dall’offerta politica tradizionale. La mia tesi infatti è che il movimento di Grillo costituisca niente più che l’ennesimo episodio della saga politica tutta italiana del rifiuto della modernità, delle sue regole e dei suoi valori, secondo una metrica di valori, atteggiamenti e linguaggi che non sono e nuovi nella storia italiana ma riemergono periodicamente come elementi rimossi e mai risolti nell’autobiografia di una nazione che si scopre sempre inadeguata o non pacificata con il proposito di diventare una democrazia compiuta e pienamente moderna.
Certo, a prima vista può sembrare strano che chi utilizza internet, e fa delle potenzialità della tecnologia del web quasi un feticcio, possa essere annoverato fra gli epigoni della tradizione dell’anti-modernismo. Ma al di sotto della superficie fatta di meet-up, parlamentarie e vaffa-day, e al netto degli anglicismi utilizzati come orpello comunicativo (un orpello efficace, sia chiaro), rimangono sia quei metodi di gestione del movimento di cui sopra, sia i contenuti profondamente anti-moderni, anti-scientifici e propriamente reazionari.
Per comprendere come un’immagine di (finta) modernità possa poi accompagnarsi a contenuti i più retrivi, si pensi, per esempio (visto che oltre alle elezioni politiche assistiamo ai preparativi per l’elezione del nuovo pontefice) al giudizio che lo storico Le Goff diede del pontificato di Papa Giovanni Paolo II: “Medioevo più televisione”. Con quella formula si voleva precisamente sottolineare che la “modernità” inaugurata dal pontefice polacco, caratterizzata da una pastorale innovativa nei metodi e nella comunicazione, fitta di adunate oceaniche di giovani, esibiti come ad un concerto di una qualunque rockstar, si accompagnavano in realtà a chiusure dottrinarie e teologiche, oltre che nella morale sessuale, e che quelle chiusure erano ben inserite nel solco della storia della chiesa.
L’espressione di Le Goff che mi è tornata alla mente esprime molto bene, a mio avviso, i contenuti di riforma che i grillini vorrebbero implementare se arrivati al potere. Come non possono infatti caderci le braccia nel vedere una candidata, ora parte della compagine dei deputati Cinque Stelle, che si promuove indicando nel suo video, fra i punti qualificanti della sua proposta politica, la difesa dell’acqua pubblica, l’uso dei limoni come detergente per il lavaggio dei piatti e per finire, in un crescendo ridicolo e inquietante, in una rivendicazione del valore dell’Aloe come chemioterapico? L’idea che traspare da questi spot elettorali è che l’adozione di comportamenti individuali magari trascurabili possono essere una base inderogabile per il cambiamento. Ancora una volta, un simile atteggiamento fa il paio con quella politica di “salvaguardia dei principi costi quel costi” della quale non si denuncerà mai abbastanza la pericolosità. Secondo questo modo di ragionare, sarebbero proprio le condotte connotate per il loro valore morale (io direi moralistico), usualmente in opposizione al buon senso e alla valutazione puntuale dei loro costi e dei potenziali benefici, a creare il vero cambiamento. In genere però, queste prescrizioni, alle quali si associano aspettative salvifiche per sé e per gli altri, in una misura del tutto slegata dalla loro reale rilevanza, non sono presentate come il frutto di una valutazione per quanto possibile scientifica ed empirica della proposta; né la condotta singolarmente proposta come risolutiva è discussa nel suo valore etico secondo principi ragionevoli di rapporto del principio affermato con le condizioni materiali della sua applicazione, piuttosto tutto si riduce nell’accettazione della bontà di una condotta che si presume determinerà a catena trasformazioni sempre più grandi e significative.
Da qui tutti gli aneddoti sulla possibilità, e a parlare è sempre la stessa candidata di cui sopra, di sostituire gli assorbenti con la ormai celebre moon-cup, una sorta di tappo di plastica che le donne potrebbero indossare durante il periodo mestruale. Ovviamente non si sa, o almeno non viene specificato, se usare una stessa moon-cup per vari anni sia, da un punto di vista ambientale, più “sostenibile” (i.e: più igienico, pratico e sicuro) che usare un tampax; e io francamente manco ho capito se quella “coppetta della donna” debba essere bollita e riutilizzata o se sia (orrore!) un prodotto usa e getta. Quello che mi colpisce però è che una proposta che pare marginale, e con dei costi igienici e di praticità che sembrano piuttosto alti, viene propagandata come una soluzione credibile che può avere un impatto decisivo sul mondo. Si dirà, ma quella è solo una candidata fra tante. E certamente questo è vero, rimane però che l’atteggiamento della ragazza del video è diffuso nel movimento. E infatti l’aspetto sgradevole di tutta l’impostazione del progetto politico di Grillo è proprio questo. Esso si sottrae, in ragione di un’attitudine visionaria e rivoluzionaria, al rapporto con i vincoli materiali e istituzionali che sono tipici delle nostre società, e nel rifiutare quei vincoli dichiara di voler aspirare a cambiamenti di tipo epocale. Quei cambiamenti però non sono immediatamente disponibili, appunto perché i vincoli rifiutati sono cogenti, ed ecco allora che il progetto ripiega in maniera convinta sui micro-comportamenti, sulle modificazioni dei costumi individuali e sociali (un’insistenza che conferisce a tutta la rabbia grillina un sapore fastidiosamente moralistico perché insiste sulle condotte individuali, giustificate o rigettate per i loro connotati morali, come se le scelte ordinariamente perseguite fino ad ora dai cittadini comuni fossero sempre frutto di una follia “economicista” o di un travisamento generalizzato al quale solo i grillini si sarebbero sottratti).
Ma siamo sicuri che queste idee siano davvero inedite nel panorama politico e culturale italiano? Secondo me no. Ma di questo parlerò tra breve nella seconda parte.
A mio modo di vedere il problema non è Grillo, né Casaleggio, né tantomeno i rappresentati o gli aderenti al M5S. Il problema è che la Società italiana è da tempo priva di riferimenti efficaci nella sua classe dirigente. Questo provoca come conseguenza l'accettazione, quando non addirittura la ricerca di "Figure Forti".
Prova ne è la passiva accettazione della forzatura istituzionale effettuata ai tempi dell'insediamento del governo Monti, così come il ciclico emergere di figure come quella di Grillo in grado di catalizzare un imprevedibile consenso nella società e quindi tra l'elettorato.
Mancano gli anticorpi propri di una democrazia moderna, passerà anche Grillo e arriverà qualche altro Di Pietro o Bossi, Berlusconi, Ingroia... che proporranno sè stessi come soluzione ai problemi anziché nuove idee.