Ministro Gelmini: Dunque lei ci ha portato la sua proposta per la riforma dell’università...
Milanese: Si, come promesso in 10 articoli, semplici e scritti in italiano comprensibile. Poi ci penseranno i vostri uffici a renderla incomprensibile come al solito
Burocrate: Ma come si permette!
Milanese: Scherzavo...
Ministro Gelmini: noi lombardi siamo molto scherzosi, non si offenda. Allora cominci
Art 1
Compiti dell’ Università
L’Università è la sede della ricerca e didattica
Burocrate: Mi sembra troppo breve e secco
Milanese: Tanto è tutta retorica inutile: scriveteci quello che volete
Art 2
Governance
Organi dell’università sono il rettore, il Consiglio di Amministrazione ed il Senato Accademico. Il Consiglio si occupa delle questioni amministrative e finanziarie, il Senato di questioni inerenti all’attività scientifica e alla didattica. La composizione dei due consigli, i metodi di scelta dei loro membri e del rettore sono stabiliti dai regolamenti delle singole università da approvarsi entro sei mesi dall’approvazione della presente legge
Burocrate: Così senza un controllo?
Milanese: Avevo pensato in effetti di mettere qualche paletto – tipo gli enti locali non possono avere rappresentanti nei CdA per evitare che i politici mettano becco nelle faccende universitarie. Poi ho deciso di lasciare perdere. Sono per la libertà e l’autonomia. Mi interessano i risultati.
Art 3
Reclutamento
Viene istituito il ruolo unico di professore universitario di ruolo. Il reclutamento dei professori avviene attraverso concorsi locali. La commissione è nominata dal Dipartimento di afferenza fra i propri membri, ricorrendo se necessario al parere scientifico di esperti esterni. La proposta della Commissione deve essere approvata dalla maggioranza dei docenti della disciplina dell’università. L’Università può altresì nominare, con le stesse modalità, professori a contratto.
Milanese: In sostanza ci sono due tipi di professori, quelli stabili (di ruolo) e gli altri. Il ruolo è unico, e così facciamo contenti i sindacati e la sinistra che ci tengono tanto. Per diventare professore di ruolo si deve fare un concorso. Così si fanno contenti quelli che invocano l’articolo 97 della Costituzione (i dipendenti statali devono essere assunti per concorso pubblico). Ma in pratica decide il Dipartimento, visto che la commissione è solo interna: in altre parole come ho promesso, i concorsi sono aboliti.
Art 4
Obblighi e remunerazioni del corpo docente
I professori di ruolo hanno l’obbligo di tenere un minimo di 90 ore di insegnamento ed hanno diritto ad uno stipendio pari allo stipendio di ingresso dei professori di scuola media inferiore, senza scatti di anzianità. L’università può stipulare con loro contratti di diritto privato, specificando ulteriori remunerazioni a fronte di obblighi didattici, di ricerca o di amministrazione. Le clausole di tali contratti sono stabilite di comune accordo fra le parti. Analogamente sono stabiliti obblighi didattici, scientifici ed amministrativi ed importo della remunerazione per i professori non di ruolo. Tutti i professori hanno diritto di svolgere attività esterna remunerata, a condizione che devolvano una quota del reddito lordo di tale attività all’università di appartenenza. La percentuale è fissata di comune accordo fra le parti, con un minimo del 30%.
Milanese: I professori di ruolo stanno fino alla pensione ed hanno un modesto salario fisso (circa 1200) più uno stipendio differenziato e variabile sulla base di un contratto ad personam. Gli altri solo la parte variabile. Ma in ogni caso, il grosso dello stipendio per quasi tutti verrà dalla parte variabile.
Ministro: E come la stabiliranno?
Milanese: Lo decideranno le università. Potrebbero stabilire obiettivi scientifici - tipo tre articoli in grandi riviste ogni cinque anni, oppure un tot per articolo con un tariffario preciso a seconda della rivista. All’estero lo fanno. Potrebbero pagare i corsi oltre le 90 ore stabilite, magari anche in base al gradimento degli studenti. Tutte, penso, pagheranno un extra al direttore di dipartimento. In qualche caso, deciderà il Dipartimento, ma penso che i contratti più importanti e più lunghi dovranno avere l’approvazione del CdA e del Senato Accademico. In ogni caso, autonomia totale.
Ministro: E se uno non rispetta i patti?
Burocrate: L’Università lo porta in tribunale
Ministro: Ma la giustizia civile non funziona – tutti comunisti fannulloni
Milanese: Vero. È più semplice non rinnovare i contratti, o mettere clausole ex post. Comunque decide l’Università.
Burocrate: E perchè si permette l’attività esterna? Non è meglio proibirla o distinguere tempo pieno e tempo definito come si fa ora, con una somma aggiuntiva per i professori a tempo pieno?
Milanese: Vede signor Ministro, per alcune professioni, gli incentivi monetari non servono. Un grande avvocato a Roma può guadagnare in poche ore lo stipendio di un mese di un ordinario a fine carriera. Ma quasi sempre i professionisti vogliono poter mettere Professore all’Università di …. sul loro biglietto da visita per aumentare le loro parcelle. Quindi, che l’università ci guadagni.
Art 5
Finanziamento statale delle università
Il finanziamento statale si compone di due fondi, il fondo per il funzionamento ordinario (FFO) ed il fondo per il diritto allo studio (FDS). A partire dal secondo anno dopo l’approvazione della legge, gli importi sono stabiliti in 9 ed 1 miliardo di euro. Per i dieci anni successivi tali importi saranno aumentati in proporzione alle variazioni della spesa pubblica totale, con un aumento addizionale del 2% annuo. Ciascuna università avrà diritto ad un rimborso forfettario per studente iscritto nella media dei cinque anni precedenti pari a 2500 per il FFO e 250 per il FDS. Tali somme saranno rivalutabile annualmente secondo l’indice dei prezzi al consumo ISTAT. Le somme residue saranno distribuite alle università rispettivamente secondo la produttività scientifica e la qualità dell’attività didattica, accertate secondo le regole degli articoli 7 e 9.
Milanese: Dieci miliardi sono di più del finanziamento attuale e si promette un aumento per dieci anni superiore all’incremento della spesa pubblica. Così i professori smettono di dire che li affamiamo e che se avessero soldi straccerebbero Princeton.
Ministro: Giulio non mi darà mai i soldi.
Milanese: Sarebbero utili, ma è un problema politico, non sono in grado di giudicare.
Burocrate: Come funziona il meccanismo? Non capisco bene.
Milanese: Il nuovo modello di finanziamento parte due anni dopo l’approvazione della legge, diciamo nel dicembre 2010. Ora ci sono 1.8 milioni di studenti universitari e probabilmente caleranno dopo la riforma. Ma facciamo in cifra tonda 2 milioni. Quindi le università nel complesso, dal gennaio 2013, avrebbero diritto a 5 miliardi di rimborso fisso sul FFO, più 0.5 per il diritto allo studio sul FDS. Questi soldi sono distribuiti fra le sedi in base al numero degli iscritti. Si potrebbero escludere i fuori-corso, per eliminare questa piaga italiana. In ogni caso il rimborso didattico dovrebbe variare lentamente, dato che il numero di studenti non dovrebbe cambiare molto nel breve periodo. Gli studenti italiani sono molto stanziali, non ci sono case dello studente etc. Cinque miliardi sono sufficienti per pagare gli stipendi del personale non docente e le spese di funzionamento, l’edilizia etc. oltre allo stipendio minimo dei docenti. Il residuo del FFO (circa 4 miliardi inizialmente), viene distribuito annualmente sulla base della qualità della ricerca. Quello del FDS sulla base della qualità della didattica.
Burocrate: Ma gli stipendi dei docenti sono fissi – ci sono impegni di spesa. Come fanno le università penalizzate?
Milanese: Di questo parliamo dopo nelle disposizioni transitorie. Magari si può graduare l’entrata a regime se vogliamo essere buoni – dare il 20-30% sul variabile per qualche anno e poi portarlo a regime.
Art 6
Altre risorse
Le università sono libere di stabilire l’importo delle tasse e di accettare donazioni e finanziamenti privati, anche in pagamento di servizi erogati. I finanziamenti da parte di enti locali ed altri soggetti pubblici sono soggetti ad una normativa speciale (cf. Regolamento, 1), che contempla la massima trasparenza
Ministro Gelmini: Ma i rappresentanti degli studenti protesterebbero per l’aumento delle tasse
Milanese: In primis, i rappresentanti degli studenti sono politici in erba che rappresentano solo se stessi ed al massimo il 5% degli studenti. Secondo, le università possono sempre non aumentare le tasse, se hanno molti soldi grazie ai loro risultati scientifici. Ed in ogni caso, potranno dire agli studenti che stanno cambiando e migliorando – e soprattutto che stanno punendo i professori fannulloni. Un bel populismo che piacerà di sicuro. Per gli studenti veramente poveri, ci sono i soldi del FDO. Sono in media 1000 euro all’anno per studente. Col sistema attuale, gli operai pagano le tasse per sussidiare l’università dove vanno i figli della classe media. Altamente ingiusto.
Ministro Gelmini: Cosa intende per normativa speciale per gli enti pubblici?
Milanese: Questo è il punto più delicato. Io pensavo di proibire del tutto i finanziamenti all’università – forse sarebbe giusto per evitare che i baroni ben ammanicati riescano a spillare soldi ai vecchi amici politici. Ma volendo mantenerli, si deve essere molto trasparenti: l’università deve pubblicare tutti i contratti, comprese le consulenze con i nomi e cognomi dei politici che le concedono ed i rapporti di parentela con i professori che le ricevono. Così gli elettori sapranno dove finiscono i loro soldi.
Art 7
Verifica della produttività scientifica
La verifica annuale della produttività scientifica è affidata all’ANVUR. Si dovranno seguire i seguenti principi
a) ciascuna università dovrà inviare annualmente all’ANVUR una lista di prodotti scientifici, in proporzione fissa al numero dei docenti. Essa può comprendere anche prodotti in collaborazione con autori esterni. In questo caso, il contributo del docente afferente all’Ateneo sarà proporzionalmente ridotto.
b) la valutazione dovrà basarsi esclusivamente su criteri bibliometrici. Tali criteri dovranno essere resi pubblici sul sito dell’ANVUR e potranno essere rivisti ogni dieci anni.
c) L’ANVUR pubblicherà annualmente una classifica delle università per disciplina, insieme a tutta la documentazione relativa, compresi gli elenchi dei prodotti
Il numero di prodotti per docente, la definizione di “prodotto scientifico” e “disciplina” (in numero non superiore a 30) e l’individuazione dei criteri di valutazione per ciascuna disciplina sono stabiliti da una commissione scientifica nominata dall’ANVUR (Cf regolamento). Almeno due terzi dei membri di tale commissione non devono essere professori di ruolo nelle università italiane. La commissione può avvalersi di consulenze tecniche per la messa a punto di criteri bibliometrici, limitatamente alle discipline dove essi non siano comunemente adottati in ambito internazionale.
Ministro: Bibliometrici?
Milanese: Si intendono criteri automatici, che non prevedono la valutazione sul singolo prodotto da parte di commissari (come era il CIVR o è il RAE inglese). Uno è l’impact factor, un altro è l’indice di Hirsch. Ce ne sono molti e nessuno è perfetto. Oltretutto il loro valore è diverso per disciplina, anche quelle scientifiche. In alcune l’IF funziona, in altre no. A lettere, come le dicevo, bisogna farlo da zero. Insomma, scegliere gli indicatori è un lavoro complesso, da esperti.
Burocrate: Ma in Francia non li usano
Milanese: Se è per questo, non li usano neppure ad Harvard in maniera cosi’ rigida.
Burocrate: E allora perché dovremmo farlo noi? Se non lo fanno i francesi, se non lo fanno ad Harvard...
Milanese: Le università francesi sono ridotte quasi male quanto le nostre. Nella classifica di Shangai, la prima è al 42° posto. Il caso di Harvard è diverso: ci tengono alla qualità del dipartimento e non assumerebbero mai (ok, quasi mai ...) uno per motivi personali. Poi magari sbagliano ed assumono un mediocre credendo in buona fede che sia un genio. In Italia, la maggioranza dei professori se ne frega della reputazione scientifica della propria università o è convinta che la sua presenza sia sufficiente a garantirla. Inoltre, Harvard usa i soldi propri mentre noi distribuiamo soldi pubblici. Nel tempo, quando anche in Italia i professori si saranno abituati, potremmo anche essere meno rigidi. Infatti si prevede una revisione decennale dei metodi. Ma prima di abbandonare gli indicatori bibliometrici automatici e passare alla peer review all’inglese secondo me ci vorranno parecchi anni se non decenni.
Ministro Gelmini: Perché è così specifico sulle collaborazioni?
Milanese: I professori italiani sono furbi – e saranno alla caccia disperata di pubblicazioni per mantenersi a galla. Dobbiamo ridurre al minimo i giochetti tipo “io ti faccio firmare il mio articolo e tu mi fai firmare il tuo”. In questo caso, il lavoro di due autori di università differenti conta per metà ciascuno. Senza contare che qualcuno potrebbe anche corrompere i colleghi stranieri con inviti a passare le vacanze estive in Italia in cambio di una firmetta sul loro prossimo lavoro su Nature.
Burocrate: Nature?
Milanese: Una delle due grandi riviste scientifiche internazionali. Un impact factor mostruoso. Almeno se Pinco di Roccacannuccia riesce a farsi mettere il nome insieme ai quattro autori veri di Harvard, avrà solo diritto solo ad 1/5 dell’articolo nella lista di prodotti.
Ministro Gelmini: Dunque l’ANVUR definisce le discipline (p.es. Fisica, Chimica, Storia etc.) e per ciascuna di esse una commissione di esperti stabilisce gli indicatori ottimali
Burocrate: Ma perché i professori italiani non possono essere più di un terzo?
Milanese: Perché altrimenti salta fuori il famoso indicatore bibliometrico IFV (impact factor alle vongole) e siamo punto e a capo.
Ministro: Ricominciamo. E poi?
Milanese: E poi le università mandano la lista delle pubblicazioni. Mettiamo che per Fisica il requisito minimo sia 5 pubblicazioni (ma può essere diverso per Economia, etc.). Un’Università con 10 professori di Fisica (di ruolo e non) manda una lista di 50 articoli pubblicati nei cinque anni precedenti. Possono essere 5 a testa o tutti firmati da un solo professore o qualsiasi combinazione. Ma il secondo caso è pericoloso. Se tu hai una superstar che pubblica su Science...
Burocrate: Che?
Milanese: Science. Altra grande rivista internazionale. Dicevo, una superstar con tre articoli su Science vale tant’oro quanto pesa in termini di finanziamento pubblico e quindi qualche altra università potrebbe pagarla di più, come si fa con i calciatori. In ogni caso, sono decisioni delle singole università. L’ANVUR pubblica le liste delle pubblicazioni e fa i conti. Prima il finanziamento medio per professore. I professori sono ora 60.000, ma sono tanti. Mettiamo che dopo la riforma siano 50.000. Cinque miliardi diviso 50.000 sono 100.000 euro all’anno. Questa è la base, da distribuire per disciplina, correggendo per il costo della ricerca. Ipotizziamo che per una scienza costosa, diciamo biologia, il rimborso unitario per docente sia 200.000 euro e che la media della disciplina a livello italiano per tutti i prodotti, secondo l’indicatore scelto, qualunque esso sia, sia 3,5. Un’università che presenta prodotti con un indice medio 7 prende 400.000 euro per docente della disciplina, una con indice 1,75 prende 100.000. Un calcolo semplicissimo
Ministro Gelmini: Affascinante. Ma quella con indice 0?
Milanese: Un disastro così totale? Prende solo il rimborso fisso
Ministro Gelmini: Ed i soldi vanno alle università?
Milanese: Qualcuno dice meglio direttamente ai Dipartimenti. Ma questo pone un problema con la didattica e impedisce riequilibri strategici. E’ un punto da discutere
Art 8
Attività didattica
Le università sono libere di regolamentare le iscrizioni e di organizzare l’attività didattica. Sono tenute a rispettare la disciplina europea qualora volessero mantenere il diritto all’equipollenza dei titoli.
Burocrate: non è preciso: cosa intende per disciplina europea?
Milanese: Francamente non lo so. Sono dettagli tecnici che il vostro ufficio legale sa meglio di me. A me quello che interessa è la possibilità di selezionare gli studenti e la maggior libertà possibile dalle interferenze ministeriali.
Art 9
Verifica dell’attività didattica ed accesso alle professioni
L’accesso alle professioni è possibile solo attraverso un esame di stato. I laureati delle discipline corrispondenti hanno diritto a presentarsi all’esame tre volte. Le procedure di controllo nel corso dell’esame e di verifica dei risultati sono stabilite da apposito regolamento (cf. Regolamento). L’ANVUR pubblica annualmente, per ciascun ateneo, dati sulla percentuale di laureati che hanno sostenuto e passato l’esame di stato e sulla percentuale dei laureati occupati a tempo indeterminato a tre e cinque anni dalla laurea.
Milanese: E’ essenziale l’accesso alle professioni. Non voglio mica essere curato da un medico ignorante...
Burocrate: Proprio a questo servono gli ordinamenti didattici eguali che lei vuole abolire
Milanese: Solo fino ad un certo punto. Impongono all’università di far passare un esame di Patologia, ma poi non garantiscono che lo studente sappia qualcosa di Patologia. Gli esami di stato ci sono ma sono troppo facili. Io propongo di renderli molto difficili
Ministro Gelmini: ma lei è sadico?
Milanese: Solo un po’. In effetti è un sistema per costringere le università a fare buona didattica. Se l’università di Castelrotto preparasse male i suoi laureati per l’esame di stato, lo fallirebbero in massa. La cosa sarebbe pubblicizzata (percentuale di laureati in medicina di Castelrotto che hanno sostenuto l’esame, 80%, passati 10% etc) e dopo un po’ gli studenti non si iscriverebbero più. L’Università perderebbe anche il rimborso fisso.
Burocrate: ma se i professori fanno copiare all’esame i loro studenti…
Milanese: Bisogna far svolgere l’esame in altre sedi, come del resto è ora. I professori di Torino non avrebbero nessun interesse a far copiare i laureati di Bari, e viceversa. Ci sono varie soluzioni tecniche. Un mio amico mi ha spiegato che l’ideale è un doppio esame. Prima un compito scritto a scelte multiple, diverso da studente a studente, che si corregge col lettore ottico, per l’ammissione agli orali, e poi un colloquio o un tema. Ma sono dettagli
Art 10
Disposizioni transitorie e finali
I professori e ricercatori in servizio sono inquadrati a domanda nel ruolo dei professori di ruolo, mantenendo i diritti acquisiti ai soli fini pensionistici. A tal fine, l’ammontare dei contributi pensionistici per gli anni successivi, fino al pensionamento, è stabilito sulla base dello stipendio in godimento a quella data. I professori in servizio che non optino per il nuovo regime hanno diritto al riconoscimento di venti anni aggiuntivi di contributi pensionistici, fino ad un massimo di quarant’anni di contributi totali. I professori e ricercatori in servizio hanno due anni di tempo dall’entrata in vigore della presente legge per esercitare l’opzione.
Milanese: Queste disposizioni sono fatte per far fuggire in massa i professori. Supponiamo, come detto, che la legge sia approvata nel dicembre 2010 e che quindi il nuovo meccanismo di finanziamento scatti dal gennaio 2013. Alla fine del 2011 si può avere una classifica provvisoria, magari non per tutti i settori, che comunque indica già i fondi a disposizione. Così le università avranno un anno di tempo per stabilire la parte variabile del salario di tutti i professori già in ruolo. La legge non specifica come fare. Possono chiedere a esperti esterni, o possono affidare il compito ai dipartimenti. In ogni caso, è chiaro che il salario deve dipendere dalla produttività scientifica passata e soprattutto futura perché questa determina i fondi a disposizione.
Ora, mettetevi nei panni di un professore ordinario anziano, o anche di un associato e ricercatore anziano, con oltre quindici anni di contributi. Ora guadagna diciamo da 3500 a 4500 euro netti al mese (associati e ricercatori proporzionalmente meno). Per avere uno stipendio simile dopo la riforma deve farsi dare un contratto aggiuntivo da 2500-3500 euro al mese. Quindi, deve convincere il Dipartimento o il rettore che se li merita. Come fa? Ha perso completamente il suo potere baronale – i concorsi sono aboliti, tutti i professori sono eguali, si sta ripartendo da zero. Deve promettere di portare un contributo scientifico o didattico (o amministrativo) personale. Non può certo chiedere che i ricercatori o i dottorandi gli scrivano gli articoli e comunque servirebbe a poco, visto che l’articolo conta lo stesso dal punto di vista del finanziamento, indipendentemente dal numero di firme nello stesso dipartimento. Se non è in grado di contribuire in qualche modo, è un peso che riduce le possibilità di finanziamento dell’università (lo stesso numero di articoli diviso per un professore in più). Inoltre magari un vecchio barone non è simpaticissimo a tutti i suoi colleghi e quindi non avranno molta voglia di nominarlo direttore di dipartimento.
L’alternativa è il pre-pensionamento. Con quarant’anni di contributi avrebbe diritto subito ad una pensione calcolata sullo stipendio pre-riforma- circa 3000-4000 euro. Credo che sarebbe un’opzione interessante per molti. Certo, quelli bravi, intellettualmente vitali, con idee, pubblicazioni in corso, buoni contatti internazionali etc. rimarrebbero. Ma quelli sono una risorsa preziosa, anche didatticamente. E’ giusto che l’università li tenga e li premi anche con stipendi più alti. Rimarrebbero anche i puri professionisti, che, come detto, hanno bisogno del titolo di professore per aumentare le parcelle. Si accontenterebbero del salario minimo, tanto con il salario ci compravano le sigarette anche prima. Ma in fondo non sarebbe male, in quanto porterebbero soldi all’università. Dal punto di vista delle università una bella ondata di pre-pensionamenti sarebbe la manna finanziaria. Avrebbero soldi per aumentare gli stipendi ai professori che meritano, per finanziare le ricerche come Dio comanda invece che dare due lire
Burocrate: Ma se tutti se ne vanno, chi insegna?
Milanese: Si assumono giovani bravi
Ministro Gelmini: E dove li troviamo?
Milanese: Ce ne sono tanti in cerca di lavoro, che sopravvivono con borse, contratti etc. E poi si possono assumere gli italiani che fanno il dottorato all’estero, gli stranieri
Burocrate: ma non vogliono venire
Milanese: Ora, perché sanno di non avere possibilità di entrare e gli stipendi di ingresso sono miserevoli. Ma con un reclutamento veramente meritocratico e stipendi adeguati, verrebbero a frotte. Secondo lei, fra Firenze ed Kansas City, a parità di stipendio e di condizioni di lavoro, cosa sceglierebbero?
Ministro Gelmini: La qualità della vita in Italia è altissima, [lo dice anche l'Aspen Institute... Nota dell'Editore]
Milanese: Insomma, signor Ministro, se vuole avere un’università moderna ed efficiente, questo è il sistema. Le riforme graduali non servono. Bisogna cambiare mentalità – da una feudale ad una di mercato e questo è possibile solo con un radicale rinnovamento del corpo docente
Burocrate: Ma lei i professori li odia proprio
Ministro Gelmini: ha ragione. Tutti comunisti fannulloni
Milanese: Ma no, sono quasi tutti brave persone… Molti sono davvero bravi, si danno da fare, studiano, lavorano, pubblicano in riviste di prestigio. E’ una questione di sistema e di mentalità. Vede, in un sistema feudale come quello italiano, si fa carriera attraverso i rapporti personali. In genere sono rapporti da allievo a maestro, i casi di truffa e nepotismo sono una minoranza. Non è mica come dice l’Espresso. Ma quando tu hai allevato un allievo, l’hai avuto prima come dottorando, poi come borsista, poi hai fatto uno sforzo per trovare i soldi per farlo vivere altri 10 mesi e questo magari per anni ed anni; hai creato delle aspettative e ti senti obbligato a soddisfarle. E’ un dovere morale. Inoltre in moltissimi casi, finisci per convincerti che il tuo fedele allievo è davvero bravo (e del resto, come potrebbe non esserlo essendo tuo allievo?). E allora inizi a darti da fare per inventare un posto fisso, magari didatticamente inutile, per lui. E quando ci sei riuscito, è dura dire al tuo allievo/amico/(quasi) figlio “no il posto lo diamo ad X, che viene da fuori, perché è più bravo di te”. E magari poi consolarlo dicendo “vai a cercarti fortuna altrove, perché sei bravo”. Qualche volta succede. Ci sono i cosiddetti concorsi aperti, dove l’esito non è preordinato. Spesso sono legati a vere esigenze didattiche. Ma nella maggioranza dei casi, il candidato interno deve vincere perché il sistema è questo e lo è da sempre. E chi ha vissuto per trent’anni, dalla prima borsa alla cattedra, in un certo tipo di sistema non può cambiare la propria mentalità. E’ come nella Germania Est. Purtroppo anche molti giovani hanno la stessa mentalità. Per questo dico che bisogna mandare in pensione in massa i professori anziani, sperando che lo shock e la libertà di non avere baroni convinca i giovani che il mondo è cambiato.
Burocrate: Ma sarebbe incostituzionale privare impiegati dello stato dei diritti acquisiti
Milanese: Anche le leggi ad personam lo sono
E scomparve.
Ministro Gelmini (livida): questa poteva risparmiarsela. Veramente antipatico. Ma devo ammettere che il progetto è bello. Una vera riforma liberale, efficace, semplice.
Burocrate: allora chiedo agli uffici di organizzare un gruppo di studio e di preparare un disegno di legge?
Ministro Gelmini: ma figurarsi. Non possiamo mica fare riforme liberali. Gli italiani non le vogliono ed il governo Berlusconi non le farà mai. Poi questa in particolare – avremmo contro i baroni, la sinistra, i giornali (pieni di baroni che ci scrivono sopra), i sindacati (pensate – ridurre lo stipendio agli statali!), gli studenti, che sarebbero costretti a studiare, i genitori che direbbero “povero figlio, ma quanto studia”. Insomma tutti. Mamma mia.
(rivolgendosi alla segretaria)
Piuttosto mi fissi un appuntamento con l’onorevole Valditara, che dobbiamo discutere degli emendamenti al mio DDL
...Mi sono svegliato, sollevato. Anche per questa volta, ero salvo. E ho fatto un fioretto. Mai più peperoni la sera. Non li digerisco proprio.
"I professori di ruolo hanno l’obbligo di tenere un minimo di 90 ore di insegnamento ed hanno diritto ad uno stipendio pari allo stipendio di ingresso dei professori di scuola media inferiore, senza scatti di anzianità. (...) I professori di ruolo stanno fino alla pensione ed hanno un modesto salario fisso (circa 1200) più uno stipendio differenziato e variabile sulla base di un contratto ad personam. Gli altri solo la parte variabile. Ma in ogni caso, il grosso dello stipendio per quasi tutti verrà dalla parte variabile."
Salve, ho cominciato a seguire il sito poco tempo fa pensando che fosse una cosa seria. In quale parte nel globo un posto di primo livello all'universita', per giunta con 90 ore minime di insegnamento (per i profani: sono tante) ha la stessa remunerazione di un professore di scuola media?
Ah gia', e' una provocazione. No un momento, questo si e' messo addirittura a buttar giu' degli articoli di legge, non puo' essere una semplice provocazione.
Nel dubbio, mi viene da ribadire la banalita' che qui nei paesi anglosassoni gli anni spesi a formarsi sono convertibili in danaro sonante. Se un posto da professore e' pagato quanto uno da scuola media, e non molto, molto di piu', non val la pena perdere 10 anni in piu' per diventare professore (e mi riferisco allo stipendio base, prima della parte variabile). Una vera banalita'. Ma allora perche' il milanese....? Quale sarebbe l'obiettivo pratico di tutto questo, una misura punitiva nei confronti dei nullafacenti universitari? del tipo "diamogli il posto fisso, ma che sia da pezzenti"? E una volta che si sono assunti questi neoprofessori, sottopagati e demotivati, li si usa per insegnare: e' questo il succo? (sarebbe un'idea, cosi' gli studenti iniziano a fuggire all'estero ben prima della laurea)
Si' ho capito, esiste lo stipendio base a cui si aggiunge la "parte variabile". Ma, sapete, se lo stipendio base e' uno sputo in faccia, il brillante ricercatore straniero di Kansas City se ne accorge (parti variabili o meno): e non gli piace. Essere assunti da un'universita' e' considerata cosa assai onorevole, all'estero. Se in Italia l'universita' che ti assume ti da' un trattamento base che uno straniero considererebbe umiliante -e ogni rispetto e remunerazione supplementare te li devi guadagnare- che impressione se ne ricava all'estero? Che nelle universita' italiane si da' per scontato che un nuovo assunto e' in media un incapace. Anche fosse vero, non mi sembra una gran pubblicita'.
Ci provo: gli USA bastano come esempio? Se non basta aggiungiamo il Canada e praticamente tutto il mondo anglosassone (in UK non saranno 1200 euro al mese, saranno 1500, ecco).
Se non ti fidi sulla parola, ti posso dare i dettagli con i numeretti precisi-precisi per gli USA e Canada. Ma, da quello che scrivi, si evince che tu sei un esperto di questioni universitarie. Quindi, suppongo, saprai già tutto e starai solo controllando che anche noi, poretti, ne siamo informati. Nevvero?
All'università di Helsinki dove lavoro esiste un nuovo sistema simile a quello immaginato da Giovanni Federico, combina un indicatore di performance con un indicatore di demand relativo alla mansione (esperienza didattica, presenza di dott o post dott).
Provo a allegare il link: alma.helsinki.fi/download/2000000110059/salaries_01102009.pdf
I contratti tendono a essere a tempo determinato, non danno tenure fino alla professorship e questo è ovviamente un limite nella possibilità di assumere giovani stranieri che forse non si stabilirebbero con famiglia e casa in capo al mondo con un contratto di tre anni - oltre ovviamente al finlandese, ancora richiesto in alcuni concorsi.
Però mi sembra un sistema per nulla punitivo o umiliante. Anzi...è molto aperto ed stimolante ma neppure terribilmente stressante: ti aiuta a dare una misura del tuo lavoro, al tempo stesso- il milanese è troppo darwiniano...e non pensa molto al life course - ti permette di eventualmente minimizzare la tua attività di pubblicazione in alcuni periodi della tua vita (bambini piccoli- genitori anziani- problemi di salute) senza sbatterti fuori dal sistema o autorizzare un livello basso di pubblicazioni "per sempre". Ci sono anni in cui guadagni il minimo ma lavori anche poco, ovvero svolgi le tue mansioni base, e altri in cui puoi lavorare 14 ore al giorno e recuperare.
se poi andate a vedere i profili dei dipartimenti vedrete che la maggior parte dei giovani hanno pubblicazioni internazionali, io mi riferisco peraltro alle materie umanistiche. E' ovvio il reclutamento è spesso blind, su cv e progetto, e nessuno mette in discussione la correttezza del procedimento stesso (ovviamente ci sono delle eccezioni), ci sono moltissimi contratti di sola ricerca come il mio e c'è molta flessibilità nell'applicare la scala e nel valutare risultati o potenzialità (io non ho fatto finora una buona politica di pubblicazioni ma qui sono incentivata a essere più attenta e nello stesso tempo non devo sacrificare la ricerca sul campo).
E' un sistema che forse originariamente, tolto clientelismo e nepotismo che da queste parti non godono di grande fascino, poteva essere simile a quello italiano (chiuso e a logica "allievo-prof") e che sta cercando di "modernizzarsi" per aumentare la posizione di UH nei ranking internazionali, non particolarmente amato dai docenti finlandesi ma pazientemente tollerato per il bene dell'istituzione...
Valentina
Temo di essermi perso un pezzo. Giusto ieri ero a Parigi e discutevo con un collega (Maître de Conférence all'ESPCI) e, se non ho capito male, il suo carico didattico sfiora le 200 ore. Che 200 sian tante è vero, che 90 per un professore siano insostenibili mi suona più strano. Dov'è la falla nel mio ragionamento?
Scusi ma i post li legge prima di commentare?
Tanto per chiarire. Secondo il Milanese, lo stipendio base è integrato dal contratto ad personam che ciascun docente negozia con il Dipartimento, o l'università sulla base delle proprie performance di ricerca o di didattica o dei compiti amministrativi. Nulla vieta alle università di pagare stipendi favolosamente alti, anche per un neo-assunto, e stipulare contratti di durata lunghissima - se le università stesse pensano che il professore lo meriti. Poi problemi dell'università se ha stipulato un contratto troppo oneroso o se il professore dimostra di non meritare i soldi. Un professore di un minimo valore di mercato può accettare lo stipendio minimo solo se può trarne vantaggi esterni - cioè nel caso dei professionisti che fanno attività privata.
Veramente, per quest'anno, ad Ingegneria a Bologna il compito didattico primario dei professori di prima e seconda fascia a tempo pieno prevede un minimo di 120 ore di didattica frontale. Per quelli a tempo definito sono 80 ore.
I riercatori hanno un massimo di 120 ore di didattica, di cui le prime 60 senza alcuna retribuzione aggiuntiva.
Non mi pare che si lamenti nessuno del carico didattico.