Questo non è altro che l'eterno mito della "curva di Phillips" o del trade-off "produzione-inflazione", vestito in abiti leggermente diversi. Quasi quattro decenni dopo che questa assurdità venne distrutta, prima teoricamente e poi dalla dura realtà degli anni '70, essa è ancora la norma nelle menti dei politici e dei banchieri centrali.
Poiché il vecchio nome "stagflation" dovrebbe essere ben noto ai lettori, provo a mettere a fuoco gli episodi più recenti. Riassumiamo comunque i fatti: vi è stata forte crescita negli anni '50 e '60, quando l'inflazione era molto bassa; c'era poca crescita negli anni '70 e fino al 1982, quando l'inflazione fu elevata. Dopo di allora l'inflazione è discesa e la crescita è ripresa. In effetti, la crescita media è stata più elevata tra il 1992 ed oggi che tra il 1982 e il 1992, mentre il contrario è vero per il tasso medio di inflazione. Certamente: mai, durante questo periodo di tempo, abbiamo dovuto affrontare un tasso di crescita negativo dell'indice dei prezzi al consumo. Però: gli anni durante i quali il tasso di inflazione è stato inferiore al 2% (1986, 1998, 2002) non sono stati anni di particolarmente debole crescita del PIL. I dati storici sono ancora più interessanti: nel corso dei due decenni '50-'60 vi furono vari anni di bassa inflazione o persino deflzione. Ma, anche nel corso di tale periodo, un basso tasso di inflazione non si accompagno ad alcuna depressione. Fatta eccezione, dunque, per l'unico episodio dellla Grande Depressione 1929-1939, da dove viene l'idea che la deflazione causa depressione?
I credenti in questa ipotesi usano spesso l'esperienza del Giappone tra il 1992 ed il 2003 per sostenere che la mancanza di crescita economica fu causata dalla "spirale deflazionistica". Il fatto è che non vi è stata alcuna spirale deflazionistica in Giappone: i prezzi delle attività patrimoniali si gonfiarono durante gli anni '80, ed i loro valori crollarono tra il 1989 (che è più o meno quando il Nikkei raggiunse il suo massimo storico) ed il 1996 (quando il mercato immobiliare toccò per la prima volta il fondo). Da allora, con svariati alti e bassi, i prezzi delle attività patrimoniali giapponesi non si sono mai recuperati e l'indice Nikkei è ora circa il 23% del suo picco storico! In altre parole: quasi vent'anni dopo una deflazione patrimoniale monumentale i giapponesi non sembrano essere alla fame, anzi! La stessa cosa è accaduta negli Stati Uniti (e in tutto il mondo) durante gli ultimi mesi. Pertanto, abbiamo già sofferto la nostra più importante (e necessaria) deflazione: la deflazione patrimoniale! Mi auguro che i teorici della spirale deflazionistica non abbiamo in mente di voler ri-gonfiare i valori patrimoniali per farli ritornare al punto in cui erano uno o due anni fa! Questo sarebbe disastroso: è un obiettivo impossibile e tentare di raggiungere causerebbe danni veramente sostanziali.
Durante lo stesso periodo, infatti dopo il 1992, il Giappone ha anche sperimentato una lieve deflazione dei prezzi al consumo. Questa ha consistito di un'inflazione vicina allo zero per un certo numero di anni, con piccoli numeri negativi (-1,0% il più negativo, nel 2001) nel corso gli anni 1999-2002. Nel complesso, tra il 1992 e il 2002, il deflatore del PIL giapponese è passato da 100,1 a 92,3 (la deflazione dei prezzi al consumo è stata pari alla metà) mentre, nel corso dello stesso decennio, il reddito reale pro capite è cresciuto dal 3878 al 4244 (che è circa il 9,5%). Nulla di drammatico, soprattutto se paragonato alle precedenti prestazioni giapponesi, ma nemmeno la fine del mondo. La maggior parte dell'Europa continentale ha fatto solo marginalmente meglio nel corso dello stesso periodo di tempo! Cosa più importante: come abbiamo ormai capito i bassi tassi di crescita giapponesi non sono stati causati dalla deflazione e dalla mancanza di domanda, ma, invece, dalla mancanza di incentivi per gli investimenti interni. Tale mancanza di incentivi era dovuta fondamentalmente alla paralisi del sistema bancario, in cui le banche venivano tenute in vita artificialmente, consentendo loro di accumulare liquidità al di là di ogni ragionevole livello. Ma su questo punto tornerò più avanti, discutendo un altro mito. La cosa più interessante è che il Giappone ha sperimentato la deflazione anche nel 2003 (-0,8%), 2004 (-. 3%), 2005 (-. 1%), 2006 (-. 3%) ed ha avuto un tasso di inflazione molto basso nel 2007 (.3% ). Durante questi anni, però, il tasso di crescita del PIL è stato, rispettivamente, -. 3%, 2,7%, 2,95, 2,6% e 2,2%. In altre parole, la deflazione giapponese è continuata dopo il 2003, mentre la crescita del reddito è ripresa!
Riassumendo: l'esperienza giapponese non è stata di deflazione generalizzata a seguito di una deflazione patrimoniale due volte la dimensione quella che sperimentiamo attualmente; inoltre la deflazione dei prezzi al consumo non si è associata ad una lunga e grave depressione economica. Soprattutto: dopo che il sistema bancario venne "ripulito" gli ultimi anni hanno visto sia una deflazione relativamente "alta" che una relativamente "alta" crescita economica. Nel corso degli anni precedenti, quando il sistema bancario era "intasato", c'era soltanto meno crescita non di più deflazione! Ancora più importante è il fatto che la deflazione giapponese non è stata una spirale e che il paese non è arrivato al collasso. A mio avviso questi fatti implicano che i tassi di crescita negativi, che è ragionevole aspettarsi nei prossimi trimestri, possono essere dovuti a una varietà di cose (comprese le cattive politiche), ma non vi è alcuna prova che essi siano dovuti alla incipiente "deflazione". Una storia praticamente identica potrebbe essere ripetuta per l'esperienza di Hong-Kong post-1998, ma eviterò al lettore uno noiosa ripetizione.
Dato che le statistiche e l'evidenza storica non suggeriscono una correlazione (tanto meno un nesso di causalità) tra deflazione e depressione economica, prendiamo in considerazione i due argomenti teorici secondo cui occorre inflazionare per uscire da questa crisi. Il primo è il seguente: in un ambiente deflazionistico i consumatori si aspettano che i prezzi dei beni durevoli diminuiscano in futuro, questo deprime la domanda corrente e porta ad un'ancora maggiore diminuzione dei prezzi, la qual cosa rafforza le aspettative deflazionistiche producendo una drammatica spirale verso il basso. Questo è possibile, in teoria ed in circostanze particolari, quando si danno le condizioni (alquanto complicate, oltre che empiricamente rare) per l'esistenza di "equilibri multipli" dovuti a esternalità di "search". Ci sono motivi per ritenere che il diffuso timore oggi evidente nel settore privato (creato anche dai ripetuti annunci di catastrofi a venire, se questo o quel piano di salvataggio non viene approvato, accoppiati al senso di panico che l'adozione di misure eccezionali di politica monetaria induce) abbia creato una situazione favorevole a tali "cattivi equilibri". Pertanto, non posso escludere tale possibilità, ma preferisco trattarla più come "indotta da una (cattiva) politica" che altro. Pensare che le politiche che hanno creato la crisi ci tireranno anche fuori da essa, è un pio desiderio. Nondimeno, rimango in ansiosa attesa di una replica Obamiana dell'insano appello televisivo di Bush del 24 settembre u.s.: Bush lo utilizzò per cercare di far passare la prima versione del piano Paulson, Obama lo ripeterà per promuovere la sua versione di un "pacchetto di stimolo". Teniamoci saldi.
Tale teoria omette anche il fatto, evidente ai più, che in un ambiente di deflazione globale anche i salari ed i redditi nominali dovrebbero scendere. In altre parole, o i teorici della deflazione-disastro ci chiedono di credere che i prezzi scenderanno ma i salari non lo faranno - in modo tale che il reddito reale magicamente aumenterà: Alleluja, abbiamo finalmente trovato la soluzione a tutti i nostri problemi - o la storia della spirale sembra improbabile anche teoricamente. Se rinviate l'acquisto odierno in attesa di prezzi più bassi, domani dovrete comprare con un reddito inferiore rispetto a oggi. Se, per compensare, risparmiate una parte del reddito corrente vuol dire che oggi state investendo che è (per gli argomenti dati qui) esattamente quello che dovremmo fare. Risparmiare non riduce la domanda aggregata di oggi: semplicemente ne cambia la composizione. I teorici della spirale, a questo punto, possono solo affermare che le famiglie nasconderanno centinaia di miliardi di dollari sotto i loro materassi. Possibile, ma non sembra: per il momento le famiglie comprano buoni del tesoro o, semplicemente, lasciano i soldi in alcune banche di cui si fidano. Il problema è: perché queste banche non prestano (assumo sia vero che le banche non stanno proprio prestando, occorrerà ritornarci)? In sintesi: o i ripetuti annunci di BB & GWB ci hanno portato ad una situazione di "equilibrio recessivo dovuto ad aspettative pessimistiche" (in tal caso, devono invertire le loro politiche e smetterla di parlare così tanto), o l'argomento "spirale deflazionistica" è una sciocchezza. Se l'impatto che la deflazione (ammesso che sia in atto) ha è quello di portare a più risparmio e meno consumo, allora sarebbe un bene e non un male.
Nonostante tutto, è ragionevole sostenere che il mercato degli alloggi, sia negli Stati Uniti che nell'Unione Europea, è in uno stato di attività molto debole poiché molti potenziali acquirenti sono in attesa di vedere in che misura i prezzi scenderanno. Questo crea ulteriore pressione al ribasso aggravando in tal modo la frequenza di default. Creare domanda di case, e di beni durevoli come le auto più in generale, appare quindi auspicabile. È auspicabile, ma è anche difficile se vogliamo farlo senza causare seri danni collaterali. La ragione è sviluppata nel seguente paragrafo che descrive (credetemi) quello che ha in mente BB nei suoi giorni buoni. Egli vorrebbe far credere questo ai consumatori USA: domani ci sarà inflazione, ma i redditi nominali non cresceranno. Meglio, dunque, procedere all'acquisto di beni durevoli ora che siamo in grado di farlo. Una volta che i consumatori credano che questa inflazione asimmetrica si realizzerà egli (BB) vuole anche assicurarsi di compiere i seguenti miracoli. L'inflazione, in realtà, non si gonfia però parte giusto un pelino (ma i redditi nominali no, altrimenti siamo punto e a capo); non appena la gente inizia ad acquistare case e beni durevoli e la macchina riparte (c'è un problema, lo so ... come riparte la macchina se i redditi nominali stanno fermi? Transeat, questa anomalia concediamogliela) lui ricomincia ad aumentare lentamente i tassi (così nessuno se ne accorge) ed evita un'esplosione dell'inflazione sia dei prezzi che dei redditi nominali. In questo modo non ci sarà inflazione ma ci sarà la ripresa economica ... Se questa fantasia vi suona molto simile al trucco da circo che BB ed il suo predecessore han cercato di mettere in atto tra il 2001 e il 2006, facendoCI cadere addosso sia piatti che bicchieri, avete colto il punto. Infatti è lo stesso trucco, i cui risultati ci stiamo tutti godendo. Questa volta, però, BB & Co han detto che hanno imparato come farlo bene senza farci cadere addosso piatti e bicchieri.
Il secondo argomento teorico è più cinico: abbiamo bisogno di sgonfiare i debiti che non siamo in grado di rimborsare, e questo si ottiene inflazionando. Questa idea funzionerebbe se i creditori fossero davvero "qualcun altro" (i cinesi?) e "noi" fossimo solo i debitori. In questi casi si fa come hanno ripetutamente fatto gli argentini, che sono furbi e nel breve periodo se la cavano sempre ... cioè, se la cavano fino alla prossima volta che hanno bisogno di prendere a prestito! Verificate come i nostri cari cugini imbroglioni se la passano in questi giorni, quando nessuno presta più loro una lira! In ogni caso il problema non si pone perché, oggi come oggi, "loro" (i creditori) siamo "noi" (i debitori)!
Immaginate, infatti, che l'intera operazione inflazionistica abbia successo: i prezzi aumenteranno, i prezzi degli alloggi non cadranno più e magari aumentaranno un po'. Quest'ultimo deve essere veramente "un po'" e sicuramente non tanto quanto l'IPC perché, come affermato in precedenza, un riallineamento dei prezzi relativi è necessario, sano e inevitabile. Altrimenti tutti i discorsi sulla bolla sarebbero assurdi, nel qual caso possiamo anche andare tutti a casa. Inoltre, perché la cosa funzioni, occorre un aumento del valore nominale dei redditi (salari compresi) di circa la stessa percentuale dell'IPC: se i redditi nominali non crescono, mentre l'IPC lo fa, siamo in guai ancora peggiori perché i redditi reali calerebbero e questo, dopo il calo della ricchezza che abbiamo già sperimentato, ridurrebbe ulteriormente la domanda e, quasi certamente, aumenterebbe il tasso di default sui prestiti ... Mi auguro che questo punto sia chiaro, perché è fondamentale.
Si supponga, quindi, che questo miracolo accada: tutti i prezzi ed i salari aumentano, per esempio, del 10% all'anno per i prossimi due anni, i prezzi degli alloggi aumentano, per esempio, del 2% e la produzione cresce. Cosa succederà ai mercati finanziari e alle banche in particolare? Le banche, di per sé, sembrano non avere problemi: devono quantità nominali e stanno meglio ... Ma, e qui sta la trappola, i finanziatori delle banche siamo noi e noi non siamo così stupidi (quando agiamo come finanziatori) quanto lo siamo (apparentemente) nel prendere a prestito. Il motivo è semplice: i tassi d'interesse reagiscono all'inflazione, e reagiscono rapidamente. Non dimentichiamo che la maggior parte dei prestiti sono ARMs e che Libor, Euribor e tutto il resto, non stanno fermi un minuto: se spunta l'inflazione essi ripartono. A questo punto siamo tornati alla casella di partenza: il 10% di inflazione implica un aumento del 10% dei tassi nominali, che corrispondono al 10% di aumento del valore nominale dei redditi! La situazione reale delle famiglie, che ora hanno problemi a pagare i loro debiti, rimane esattamente la stessa!
Beh, probabilmente non esattamente la stessa, perché, come abbiamo appreso per esperienza, l'inflazione porta a cambiamenti imprevisti e dannosi dei prezzi relativi che portano a perturbazioni economiche che portano, quasi sempre, a minore reddito reale. Per fortuna (strana fortuna, ma sempre fortuna è) che i mercati finanziari non sembrano (finora) ritenere che BB avrà successo: i tassi di interesse nominali sono in continua diminuzione. In altre parole, le banche stanno prendendo tutto il credito che viene pompato dalla Fed per accumulare riserve e non per spendere, ossia prestare. Nel caso in cui inizino a prestare aspettandosi tassi bassi per un lungo periodo ... vedremo se si ripete il 2001-2004 oppure no. Voi, che dite?
In sintesi: abbiamo sperimentato una grande deflazione patrimoniale, purtroppo inevitabile. A questa deflazione patrimoniale seguirà un lieve deflazione dei prezzi al consumo e, forse, dei redditi nominali dovuta, tra le altre cose, al fatto che le componenti di costo legate ai valori delle attività patrimoniali sono ora inferiori. Fatti e teoria suggeriscono che tale lieve deflazione, per sé, non causa una spirale o una depressione. Essa comporta, semplicemente, un riallineamento dei prezzi relativi, riallineamento che credo molto necessario e comunque inevitabile. Se dovesse venire la depressione, l'esperienza dimostra, sarà perché i mercati finanziari (ossia, le banche) rimangono "intasati" e non operativi. Qui è dove l'attenzione dei responsabili politici dovrebbe concentrarsi, non sulla deflazione.
Infine, vi è il problema della formazione delle aspettative guidate dalle attuali politiche monetarie e fiscali. Vale a dire il fatto che, osservando un governo ed una Federal Reserve che prendono azioni estreme, gli agenti privati (ragionevolmente) interpretano queste azioni come un segnale che il "governo sa qualcosa che noi non sappiamo, qualcosa di veramente brutto". In questi casi vendere azioni e ridurre i piani di investimento, perché la fine del mondo è vicina, appare stranamente ragionevole ... Potrebbe venire la fine del mondo, ma se venisse io sosterrò che BB & Co hanno contribuito a causarla.
Pero' li' la cosa e' diversa: gli argentini non monetizzano il debito tramite inflazione: si dichiarano direttamente insolventi (anche perche' i loro debiti sono denominati in valuta straniera).
Io francamente credo che, alla fin fine, la strada praticata sara' quella della monetizzazione del debito, fregando i creditori sia interni che internazionali: e sara' gia' qualcosa se BB & Co. riusciranno a mentenere l'inflazione a livelli moderati (tipo, diciamo, anni '70) senza che prenda piede un'iperinflazione stile Weimar. Il fatto che l'oro se ne stia pervicacemente attorno agli 850 dollari all'oncia, in barba ai profeti di sventura della deflazione, sembra suggerire che non sono l'unico a pensar male.