La storia la potete leggere qui. In breve, tra le riforme promesse dal governo nella lettera del 26 ottobre 2011 per evitare il baratro al quale l'Italia si avvicina con moto uniformemente accelerato da una decina d'anni c'è anche
una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Una possibilità allo studio è la conversione della cassa integrazione in compensazione per i lavoratori a tempo indeterminato che un'impresa sarebbe libera di licenziare per motivi economici.
La Cgia di Mestre (CM) ragiona così: dal 2009 a oggi un sacco di persone sono state messe in cassa integrazione. Se questa possibilità allo studio fosse stata regola nel 2009, allora tutte queste persone sarebbero oggi disoccupate. Quindi, sommandole ai disoccupati che già ci sono oggi in Italia la disoccupazione arriverebbe all'11,1%, dall'8,2% attuale.
Il ministro Sacconi, parecchio risentito, ragiona invece così: permettendo di licenziare per motivi economici si fornisce un incentivo ad assumere. Tant'è vero che, cito,
Tutte le simulazioni relative alla maggiore flessibilità in uscita che a livello internazionale sono state realizzate danno infatti più occupazione
Iniziamo dalla simulazione della CM. La parte (non intenzionalmente, credo) giusta è che i lavoratori in cassa integrazione dovremmo considerarli di fatto disoccupati, anche se tecnicamente e statisticamente non lo sono. Ne avevamo già parlato qui. Tutto il resto è un disastro, come sempre accade quando si utilizza il modello superfisso. Nel modello superfisso, come il nome suggerisce e come ha sinteticamente spiegato Andrea a Salamanca, tutto è fisso: prezzi, quantità, posti di lavoro, tutto.
Nella simulazione della CM i posti di lavoro, le persone disposte a lavorare e i salari sono tutti fissi. Quindi, se permetti a tutte le impresa in difficoltà di licenziare dipendenti a tempo indeterminato che queste imprese avrebbero altrimenti messo in cassa integrazione, allora questi sfortunati dipendenti diventano disoccupati, e nient'altro succede nel mercato del lavoro. Quindi l'occupazione diminuisce e il tasso di disoccupazione aumenta. Il modello superfisso funziona così.
Il motivo per cui il ragionamento è risibile è ovvio: l'occupazione e il tasso di disoccupazione dipendono dal grado di protezione dell'occupazione. Questi dunque sarebbero stati diversi, dal 2009 a questa parte, se il governo avesse permesso alle imprese di licenziare per motivi economici senza obbligo di reintegro. In particolare, il tasso di disoccupazione non sarebbe oggi l'8,2% quindi tutta la simulazione della CM è spazzatura (e guardate che qui non c'è nulla di sofisticato, niente che richieda di capire la "critica di Lucas", qui è manuale del primo anno: se alteri una variabile esogena cambiano le variabili endogene) altro che "puro esercizio teorico" come l'hanno chiamato alla CM per mettere le mani avanti: i puri esercizi teorici si fanno in ben altro modo.
Ha ragione Sacconi, allora? Manco per niente. Ciò che è certo (o quasi) è che l'equilibrio del mercato del lavoro oggi sarebbe stato diverso se le norme allo studio fossero state in vigore nel 2009. Ma quale sarebbe stato questo equilibrio non lo sanno né la CM né Sacconi, anche se il ministro afferma che tutte le simulazioni realizzate in giro per il mondo dicono che quello che il governo ha intenzione di fare aumenterà l'occupazione. Sarebbe interessante vederle queste simulazioni ma i politici, si sa, sono poco avvezzi a citare gli studi dai quali traggono ispirazione (non dovesse succedere che qualche giornalista economico poco addomesticato che si paga i viaggi da solo o qualche dannato blogger, che li ha capiti un po' meglio questi studi, si mettano a fare domande imbarazzanti ...).
Perché la grandissima parte degli studi conosciuti e ritenuti importanti (fino ad oggi) nella professione dicono che proteggere o "sproteggere" l'occupazione ha effetti incerti su occupazione e disoccupazione. Proteggere l'occupazione riduce la "distruzione" dei posti di lavoro (cioé riduce il flusso di entrata nel gruppo dei disoccupati e quello in uscita dal gruppo degli occupati) ma riduce anche la "creazione" di nuovi posti di lavoro (cioé riduce anche il flusso di uscita dal gruppo dei disoccupati e quello in entrata nel gruppo degli occupati). Il contrario succede quando si "sprotegge" l'occupazione. L'effetto netto di queste politiche sugli stock di occupazione e disoccupazione è quindi del tutto incerto sul piano teorico.
Cosa dice l'evidenza empirica? La tabella qui sotto (tratta da The Economics of Imperfect Labor Markets, un libro di testo scritto da Tito Boeri e Jan van Ours) fornisce una risposta sintetizzando i risultati di un sottoinsieme rilevante degli studi empirici sul tema. Partiamo dall'ultima colonna: il meno significa che la protezione dell'occupazione riduce i flussi in entrata e in uscita dalla disoccupazione, come dice la teoria. Su questo l'evidenza è chiara e unanime. Nella terza colonna (effetto della protezione dell'occupazione sui flussi in entrata e in uscita dall'occupazione) cominciano a comparire i punti interrogativi (evidenza insufficiente) e quando non ci sono punti interrogativi ci sono segni contrastanti, qualcuno trova -, qualcuno trova + (evidenza contraddittoria tra studi diversi, che utilizzano dati diversi, modelli econometrici diversi, ecc.). Quando si passa alle prime due colonne (effetti sugli stock di occupazione e disoccupazione) i punti interrogativi abbondano: questo significa che la risposta alla domanda è molto elusiva: veramente molto difficile dire, con sufficiente grado di affidabilità statistica, quale potrebbe essere l'effetto su occupazione e disoccupazione.
Viene da pensare che Sacconi abbia guardato l'ultima colonna e si sia confuso (come il suo collega al ministero dell'Economia) sul significato di flussi e stock! Più realisticamente, a Sacconi avranno certamente fatto vedere delle simulazioni che mostrano quello che lui dice. Stiracchia quel parametro lì, dai una limatina a quel parametro là e vedrai quello che vuoi vedere. Però tra questo e affermare che "Tutte le simulazioni relative alla maggiore flessibilità in uscita che a livello internazionale sono state realizzate danno infatti più occupazione" ce ne corre, e parecchio.
Deponete le clave e siate seri. Se no l'angelo anticazzate vi punirà.
P.S.: Una nota più costruttiva, un consiglio al ministro; quello che Sacconi potrebbe proporre è una sperimentazione ben disegnata in alcune province (ad esempio una al nord, una al centro, e una al sud). Questo permetterebbe di capire cosa succederebbe se il governo consentisse il licenziamento per motivi economici fornendo allo stesso tempo, ad esempio, assicurazione universale contro la disoccupazione. Molto meglio di fantomatiche simulazioni.
Non ho idea di come questa "possibilità allo studio" venga concretizzata e forse non ne hanno idea nemmeno a Roma, tuttavia ipotizzando (fantascienza) che si faccia una cosa seria mi pare che i disoccupati/cassaintegrati dovrebbero diminuire e l'occupazione aumentare.
Questo lo penso non in base a modelli ma in base a come funzionano gli ammortizzatori sociali dove sono fatti bene.
Per prima cosa ipotizzo che gli ammortizzatori sociali in compensazione che si vorrebbero istituire hanno solitamente un durata massima (che sia un anno o due non importa, non è infinita) mentre mi pare che ci siano lavoratori in cassa integrazione da vari anni, proroga dopo proroga. Tempi piu stretti implicano di muoversi rapidamente e non dormire sugli allori. Tuttavia gli ammortizzatori sociali non si limitano a fornire un reddito sostitutivo temporaneo ma operano attivamente sia per riqualificare il lavoratore e permettergli di rientrare nel mercato del lavoro da una posizione di maggiore forza, sia cercando attivamente nuovi posti di lavoro. Il risultato è che è molto meglio un lavoratore all'interno di un programma attivo di ricupero e formazione che un lavoratore allo sbando in cassa integrazione o pargheggiato in un angolo dell'azienda perché "non licenziabile".
Da notare che anche all'interno degli ammortizzatori sociali è possibile individuare misure temporanee tipo cassa integrazione, da mettere in atto quando una singola impresa è in crisi e si ritiene che sia preferibile non perdere lo stock di lavoratori. Misure del genere pero' non superano i sei mesi. Dopo è indispensabile che i lavoratori escano dal "parcheggio forzato" e vengano reintrodotti nel mondo del lavoro.
La comparazione da fare per me è la seguente:
a) da un lato il sistema attuale, per cui a parte il fallimento dell'azienda o la chiusura dell'attività (che comporta la perdita di tutti i posti di lavoro) abbiamo che per le aziende che rientrano nella tutela dell'art 18 c'è il reintegro del lavoratore (quindi un costo caricato all'azienda) oppure la cassa integrazione (idem, ma solo per le imprese industriali >50 dip e sempre con il costo caricato all'azienda). Questo si traduce in un immobilizzo di risorse e in una graduale perdita di qualifica professionale. C'è poi la cassa in deroga, pagata questa dallo stato, con la fiscalità generale. [correggetemi se nella sintesi ho scritto imprecisioni].
b) dall'altro un sistema universale per tutti i lavoratori dipendenti (pubblici e privati indipendentemente dalla dimensione e dal settore) che attivamente si preoccupa di riqualificare i lavoratori in funzione delle richieste del mercato per reintrodurli al piu' presto nel mercato del lavoro.
Mi pare che tra a) e b) il secondo sia da preferire e se non è mai stato fatto è perché da un lato un simile sistema costa (e chi lo paga?) e dall'altri i sindacati hanno sempre preferito sostenere la difesa del "posto" di lavoro rispetto alla dinamicità della ricerca di uno nuovo. Anche qui si preferisce il "fisso" a "dinamico".
Su questo non c'e' dubbio.
Si, il punto e' soprattutto il costo di (b) (vedi la discussione di Andrea alle Giornate nFA 2011) ma anche le preferenze dei sindacati. Parlando di queste cose a un convegno a Follonica l'anno scorso mi sono sentito dire da un ex dirigente sindacale che il posto di lavoro non e' fungibile, cioe' non si puo' dire "cio' che conta non e' la stabilita' del posto ma la stabilita' del reddito". Se questa e' la premessa c'e' poco da discutere di opzione (b).
Bisogna anche mettere nell'equazione che con b) si avrebbe, almeno inizialmente, un enorme trasferimento di risorse dalle parti più sviluppate a quelle meno sviluppate del paese.
Oggi, con l'approccio clientelare quindi limitato soltanto ad una piccola parte dei possibili interessati (i famosi "forestali calabresi", gli LSU e i GESIP di Palermo, e via di questo passo, che tutti insieme sono in realtà soltanto una piccola parte degli inattivi potenzialmente attivabili nel paese) vengono trasferiti, in maniera iniqua, soltanto una piccola parte (probabilmente irrisoria al confronto) di quello che costerebbe il modello b).
Un sistema universale di ammortizzazione sociale, che per me sarebbe, anzi, meglio dire potrebbe essere, più equo e più efficiente (in un'ottica veramente "nazionale") di quello assistenziale clientelare attuale, sarebbe osteggiato all'ultimo uomo da partiti come la LN.
Ad ogni modo io non darei mai soldi in cambio di nulla. Mai. Sono favorevolissimo ad un sistema universale, che garantisca il minimo per sopravvivere (letto, pasta a pranzo e zuppa a sera), ma in cambio bisogna fare qualcosa (che oltre a cercarsi un lavoro, significa anche studiare o riqualificarsi o lavori per la comunità).
A me sembra che il grosso scoglio a livello dell'opinione pubblica è quello della sfiducia cronica verso il governo. Nessuno dei miei amici riesce ad immaginarsi un governo che attiva un servizio di tutela e riqualificazione del lavoro. Si dà quasi per scontato che il "riformare il lavoro" in Italia si traduce semplicemente nell'abrogazione dell'articolo 18, dopodiché ognuno è lasciato a sé stesso. Insomma l'ipotesi b per molti è: io azienda ti licenzio quando voglio, dopodiché tu ti arrangi da solo. Ed ovviamente chiunque, a queste condizioni, sceglierebbe l'ipotesi a.
quanta confusione
l'articolo 18 dello SdL integra le disposizioni della legge 15 luglio 1966, n. 604 disponendo il reintegro del lavoratore o lavoratori licenziati senza giusta causa: infatti la legge n. 604 ha il seguente titolo: Norme sui licenziamenti individuali.
Non è che oggi se un lavoratore ti sta antipatico lo metti in cassa integrazione.
I licenziamenti collettivi dove entrano in gioco cassa integrazione e mobilità sono invece regolati dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 e l'articolo 8 della manovra, sorgente dela polemica fra Sacconi e la CGIA di Mestre non influisce su questa norma: per licenziare servirà sempre la giusta causa o il giustificato motivo di licenziamento ma il contratto delineato dall'articolo 8 potrebbe prevedere in luogo del reintegro un risarcimento. Quindi Mestre ha fatto simulazioni sul nulla e Sacconi ha polemizzato sul nulla. Diversa la proposta Ichino che cambierebbe la legge 223 prevedendo una indennità di disoccupazione più lunga e consistente al posto della c.i.g. e corsi di aggiornamento e riqualificazione durante ladisoccupazione.