Iniziamo riassumendo brevemente il sistema di elezione del presidente negli USA (per i più curiosi qui è il sito ufficiale e qui la voce di wikipedia). A ogni stato viene assegnato un numero di voti elettorali pari al numero di deputati e senatori che vengono eletti nello stato. Il numero di deputati è più o meno proporzionale alla popolazione, mentre i senatori sono due per stato. Questo implica una certa sovrarappresentazione degli stati più piccoli. Recentemente, a seguito dell'approvazione del 23esimo emendamento, sono stati aggiunti 3 voti elettorali assegnati a Washington DC, il cui distretto non fa parte di alcuno stato.
Ogni stato è libero di determinare come assegnare i propri voti elettorali. Con due eccezioni (Maine e Nebraska) tutti usano lo stesso sistema: tutti i voti elettorali vanno al candidato che arriva primo nello stato. Maine e Nebraska usano invece il seguente sistema: due voti (quelli ''senatoriali'') vengono assegnati a chi arriva primo nello stato, mentre ciascuno dei voti ''congressuali'' viene assegnato a chi arriva primo nel distretto congressuale di riferimento. Nella elezione del 2008 questo ha avuto la conseguenza pratica che Obama, pur perdendo nel Nebraska, ha vinto lo stesso un voto elettorale, quello corrrispondente al distretto NE-02 che comprende la città di Omaha.
Ai difetti tradizionali del maggioritario all'inglese, il sistema dell'electoral college ne aggiunge due. Primo, come abbiamo visto, c'è una sovrarappresentazione degli stati piccoli. Secondo, la vittoria di un un candidato dipende in modo cruciale da come sono distribuiti i suoi voti; il sistema sfavorisce quei candidadti che hanno un consenso molto ampio concentrato in alcuni stati. Questi difetti, si noti, tendono a manifestarsi anche in elezioni con due soli candidati.
Credo che tutti (va béh, tutti quelli che leggono post come questo)
ricordino che nel 2000 il candidato democratico venne sconfitto pur
ottenendo la maggioranza del voto popolare. Ai tempi sembrava che il
sistema del collegio elettorale desse un vantaggio ai repubblicani, dovuto principalmente al fatto che i
repubblicani risultavano vittoriosi in molti stati piccoli. Da allora però le cose sono cambiate, e la meccanica dell'electoral college sembra ora favorire i democratici.
Sul sito di analisi elettorale FiveThirtyEight.com, Nate Silver ha calcolato il margine di vittoria di Obama stato per stato, ottenendo la seguente tabella che riproduciamo (Margin è il margine di vittoria di Obama, EV è il numero di voti elettorali dello stato e Total EV è la somma parziale dei voti elettorali degli stati).
La tabella mostra che Obama poteva vincere anche perdendo tutti gli stati dalla Virginia (VA) in giù, ossia gli stati che ha vinto con un margine inferiore all'8%. In questa elezione Obama ha preso il 52,7% del voto popolare, mentre McCain ha preso il 45,9%. Per capire come il sistema ora favorisca i democratici, chiedetevi cosa sarebbe successo se la percentuale di voti di Obama si fosse ridotta in modo uniforme del 4% in tutti gli stati, mentre quella di McCain fosse aumentata del 4%. In tal modo Obama avrebbe avuto il 48,7% e McCain il 49,9%, per cui McCain avrebbe vinto il voto popolare per il 1,2%. Tuttavia, con questa configurazione dei voti McCain avrebbe comunque perso le elezioni, dato che Obama avrebbe ottenuto 278 voti elettorali.
Cosa è successo? In parte, alcuni stati relativamente piccoli in questa elezione sono passati ai democratici (Nevada e New Mexico). Ma il fattore decisivo sembra essere l'aumento della polarizzazione dell'elettorato. In particolare i voti repubblicani tendono a concentrarsi in alcuni stati che vengono vinti con amplissimo margine. Jay Cost ha prodotto il seguente grafico, che mostra il numero di stati in cui il vincitore dell'elezione presidenziale ha ottenuto più del 10% o meno del 10% della media nazionale (ossia stati ''polarizzati'').
Nel 2008 in ben 18 stati la percentuale di voti di Obama è stata del 10% superiore alla media nazionale o del 10% inferiore alla media nazionale. Risulta evidente l'aumentata polarizzazione a partire dall'elezione del 2000 (in realtà le elezioni del 92 e 96 sono un po' speciali dato che un terzo partito, quello di Ross Perot, prese parecchi voti). Una forte polarizzazione aumenta la probabilità che il risultato del collegio elettorale sia diverso da quello del voto popolare.
Il seguente grafico, elaborati da Andrew Gelman, professore di statistica a Columbia, mostra quali stati hanno aumentato la percentuale di voto democratico tra il 2004 e il 2008. La linea blu rappresenta l'aumento della percentuale di voto popolare per i democratici a livello nazionale.
È interessare soprattutto osservare in quali stati i voti democratici sono diminuiti rispetto al 2004 (stati sotto la linea dello zero). A parte l'Alaska, dove i repubblicani hanno sfruttato l'effetto Palin, si tratta in tutti i casi di stati del sud: Oklahoma, Tennessee, Louisiana e Arkansas. Ossia, gli stati repubblicani sono diventati ancora più repubblicani.
Cosa accadrà in futuro è difficile dire, come abbiamo visto le distorsioni dell'electoral college posso favorire un partito oppure l'altro. La questione diventa: si può provare a riformare il sistema, eliminando almeno le distorsioni più evidenti? Anche se la questione non è sempre all'attenzione del dibattito politico, tende a riaffiorare di tanto in tanto. Per esempio, è stata oggetto di un recente editoriale sul New York Times.
Il sistema dell'electoral college è previsto dalla costituzione. Riformare la costituzione è possibile ma molto complicato; è prevedibile che gli stati piccoli si opporrebbero a una riforma. Ma esiste una via alternativa. La costituzione demanda agli stati il meccanismo elettorale da usare per l'allocazione dei voti elettorali, scelta che avviene usualmente per legge ordinaria. Se, per esempio, tutti gli stati adottassero il sistema in vigore nel Maine e nel Nebraska la distribuzione dei voti elettorali sarebbe probabilmente più vicina al voto popolare.
La principale iniziativa di riforma attualmente discussa è il National Popular Vote Interstate Compact. Si tratta di una iniziativa che venne promossa da due professori di diritto costituzionale, i fratelli Amar, dopo l'elezione del 2000 e ha sostegno trasversale. L'idea è quella di riformare le leggi elettorali degli stati assegnando i grandi elettori dello stato al vincitore del voto popolare nazionale. Ogni stato dovrebbe approvare condizionalmente tale legge, e ciascuna legge statale diventerebbe operativa nel momento in cui viene approvata da un numero sufficiente di stati da garantire che la maggioranza del collegio elettorale vada a chi vince il voto popolare. Si noti che non è necessario che tale iniziativa venga approvata da tutti gli stati. Per esempio, se gli undici stati più popolosi approvassero l'iniziativa verrebbero assegnati comunque 271 voti elettorali al vincitore del voto popolare, garantendogli la vittoria. L'iniziativa è stata la momento approvata da quattro stati (Hawai, Illinois, Maryland e New Jersey) per un totale di 50 voti elettorali, ed è sotto discussione in parecchi altri. Chi è interessato ai dettagli dell'iniziativa può andare al sito del comitato e leggere (gratuitamente) il libro scritto dai promotori.
Quanto sarebbe migliore tale sistema rispetto al sistema attuale? L'idea generale di scegliere il presidente in base al voto popolare nazionale sembra avere vasto sostegno. C'è un buon riassunto dei pro e dei contro dell'attuale sistema su wikipedia. Ovviamente, anche se tale iniziativa dovesse passare rimarrebbero i problemi legati al maggioritario all'inglese, che tende a funzionare male in presenza di tre o più partiti (per chi è interessato ho spiegato altrove perché ritengo che l'uninominale all'inglese sia un pessimo sistema).
Elezioni con più di tre candidati significativi sono state assai frequenti nel dopoguerra, fino agli anni Novanta. In tali casi il vincitore del voto popolare spesso ha un consenso abbastanza basso; nel 1992, con Ross Perot che prese il 18.9%, Clinton vinse le elezioni con il 43% dei voti, mentre nel 1968, quando il razzista Wallace prese il 13,5%, Nixon vinse con il 43,4% dei voti. Sarebbe ovviamente preferibile una riforma elettorale più organica e comprensiva, che però al momento non pare rientrare nel novero delle cose possibili.
Non vedo alcuna riforma del collegio elettorale all'orizzonte. Non senza provocare una mezza rivoluzione in molti stati, che ci vi sono affezionati.
Va sottolineato che il collegio elettorale non e' il prodotto di una mente contorta, ma il risultato di un concetto di stato federale costituitosi come aggregazione di stati indipendenti lasciando poco spazio al governo federale. Che poi quest'ultimo si sia col tempo accapparrato sempre piu' ambiti d'azione importa poco. Per una aggregazione di stati, aveva senso dare piu' peso agli stati minori, altrimenti non avrebbero avuto nessun ruolo nella scelta del presidente. Il collegio elettorale e' un compromesso rispetto alla misura estrema, la legge elettorale del senato, che equipara gli stati assegnandovi due senatori ciascuno. Compromesso che qualcuno puo' ritenere obsoleto, ma che non pochi americani ritengono valido ed importante. Serve a poco sottolineare i casi in cui presidente eletto non abbia vinto il voto popolare (ricordando pero' che nel 2000 se i voti di tutta la Florida fossero stati tutti ricontati, avrebbe vinto Gore). E' proprio per questi casi che esiste il collegio!
Va anche detto che gli stati maggiori a voto "sicuro" avrebbero una chiara soluzione per "contare" di piu' in campagna elettorale. Basterebbe che assegnassero i loro elettori proporzionalemente. Se cosi' fosse, riceverebbero molta piu' attenzione.
Scusa, puoi dare le fonti per l'affermazione relativa ai conteggi in Florida? Escludendo i "Fan club" e i "fanboy", a me risulta che tutti i vari riconteggi avessero confermato l'assegnazione a Bush.
Grazie