Le società con professionisti

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Dove si scopre che l'Italia è più liberista degli U.S.A.

Come noto, l’ultimo provvedimento del defunto governo Berlusconi è stata la legge di stabilità, approvata in fretta e furia sotto il tintinnar di spade dell’Europa e dei mercati. Tra le pieghe del provvedimento c’è anche la riforma, potenzialmente dirompente, delle società tra professionisti.

L’Italia è un paese bizzarro. Di una riforma delle professioni e della necessità di inserire nel nostro ordinamento le società tra professionisti si parlava da anni: innumerevoli convegni, disegni di legge, tavoli di concertazione ai ministeri della Giustizia e dello Sviluppo Economico, levate di scudi in difesa della qualità della prestazione, insomma, una questione complessa su cui si scontravano differenti visioni dell’attività professionale. Ebbene, tutto ciò è stato spazzato via nel giro di pochi giorni, in sostanziale assenza di qualsiasi dibattito. Il ché non è necessariamente un male, perchè di dibattiti si può anche morire, ma, insomma, un minimo di valutazione condivisa non avrebbe fatto male.
Comunque, oggi la società tra professionisti è viva e lotta insieme a noi, proviamo dunque a capire di cosa si tratti. Per far questo, dobbiamo partire da lontano e precisamente da Benito Mussolini, il quale nel 1939 fece approvare una legge che ha (aveva) regolato sino ad oggi tutte le professioni ordinistiche.

Il succo di questa legge era:

  • la possibilità per i professionisti iscritti in ordini professionali di associarsi solo nella forma dello “studio associato” e non in altre forme societarie;
  • il divieto di società interprofessionali, vale dire, per esempio,  che erano ammessi studi associati di commercialisti con commercialisti e avvocati con avvocati, ma non di avvocati con commercialisti;
  • divieto di avere associati non iscritti ai rispettivi albi/ordini/collegi  e, di conseguenza, il divieto di soci di puro capitale.

Il ''volto umano'' della legge del 1939 era la necessità di garantire al cliente la personalità della prestazione del professionista e quindi la sua diretta responsabilità per l’attività svolta. La faccia cattiva era invece la necessità di impedire ai professionisti ebrei, cui le leggi razziali avevano vietato l’esercizio della professione, di tornare a esercitarla sotto il paravento societario.

Passato il fascismo la legge era rimasta in vigore. Per molto tempo non si è sentita la necessità di una modifica della normativa. In fondo, i ruoli sociali erano chiari e definiti, gli imprenditori facevano gli imprenditori, i professionisti i professionisti e che tra tra i due mondi non vi fosse nulla in comune era un dogma non scalfito dal dubbio. Ciascun professionista svolgeva la sua professione nel suo studio, spesso con pochi collaboratori e raramente in forma associata, garantito da un sistema di regole, tariffe e, anche, comune sentire, che lo rendeva immune dal “mercato”.

Le cose però cambiano e anche le professioni e i professionisti sono cambiati in Italia. Citando da un precedente post, “mentre in passato il professionista era sostanzialmente selezionato nell'ambito di una ristretta èlite, oggi non è più così, e così come si è avuta una università di massa, si assiste anche al fenomeno del "professionista di massa", con numeri di tutto rispetto, dato che si va dai circa 200.000 avvocati ai circa 100.000 commercialisti-ragionieri, il ché lascia pensare che non è così difficile conseguire il titolo e che vi sia tutto sommato scarsa selezione in entrata.” E, aggiungiamo, non sempre adeguato controllo sulla qualità della prestazione.

Da un lato, dunque, si è enormemente allargata l’offerta di servizi professionali e, contemporaneamente dall'altro, sulla spinta dell’Europa e, banalmente, della realtà economica di tutti i giorni, parole come “concorrenza” e “impresa” hanno cominciato a entrare nel lessico comune delle professioni. Del resto, così come le imprese si sono trovate a competere in mercati sempre più interconnessi, anche le professioni si sono dovute confrontare con realtà in passato non immaginabili: studi legali inglesi che aprono filiali in Italia, società di ingegneria tedesche che acquisiscono commesse da noi, farmaci che si possono acquistare su internet, dentisti rumeni che offrono prezzi stracciati per dentiere impiantate a Bucarest. Anche le differenze che una volta tenevano separate le varie attività professionali sono poi diventate  sempre più sfumate e molte attività hanno cominciato a sovrapporsi tanto che, nonostante la legge del 1939 sia rimasta in vigore sino a ieri, sono già oggi frequenti studi professionali “misti” (avvocato/commercialista, architetto/ingegnere/geometra e così via), così come per poter restare sul mercato, gli studi hanno sempre più necessità di investimenti in capitale e personale.

Insomma, che qualcosa dovesse cambiare era opinione, se non comune, comunque diffusa. In questo scenario si inserisce ora la novità introdotta dalla legge di stabilità anche se, a onor del vero, già all'epoca del primo governo Prodi la legge "Bersani" aveva formalmente abrogato l'art. 2 della legge del 1939 che vietava le società tra professionisti. Il successivo regolamento, però, che doveva stabilire le modalità di costituzione di tali società, fu bocciato dal Consiglio di Stato e quindi l‘abrogazione era rimasta sulla carta. La legge di stabilità ha oggi abrogato integralmente la legge del 1939 e dettato una (veramente scarna e frammentaria) disciplina delle “società tra professionisti”, rimandando a un successivo regolamento, da emanarsi entro sei mesi, la disciplina di alcune importantissime questioni, che sembrano di dettaglio, ma in realtà hanno estrema rilevanza.

Cosa prevedono le nuove norme? In primo luogo si consente l'esercizio in forma societaria di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, utilizzando uno qualunque dei modelli societari previsti dalla legge (società semplice, in nome collettivo, in accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni, in accomandita per azioni, cooperativa). L'attività professionale deve essere esercitata in via esclusiva dai soci che possono anche appartenere a diversi ordini: sarà possibile per esempio, una società cui partecipano un avvocato, un commercialista e un ingegnere. Inoltre, ed è questa la dirompente novità, i soci non devono necessariamente essere tutti professionisti. La legge consente infatti che di tali società facciano parte anche soggetti non professionisti, sia pure soltanto per prestazioni tecniche o finalità di investimento e quest'ultima finalità, di fatto, rende superflua la precedente limitazione. È scomparsa, rispetto a una precedente versione del testo normativo, un'importante limitazione relativa ai soci non professionisti: questi, ora,  per entrare a far parte della società, non dovranno possedere una partecipazione di minoranza.


Sarà pertanto possibile, da un lato, che una società di professionisti veda quale socio di assoluta maggioranza un non professionista e, dall'altro, che tale socio assuma anche la carica di amministratore o, comunque, possa esprimere la maggioranza degli amministratori. Non esistono, inoltre, limitazioni sotto il profilo soggettivo: il non professionista socio potrà essere sia una persona fisica che, ad esempio, una società o un altro ente. L'incarico professionale, dice la legge, dovrà essere eseguito solo da soci che abbiano i requisiti per l'esercizio della prestazione professionale richiesta (es. avvocato, commercialista etc.). La designazione di tale professionista dovrà avvenire a cura dell'utente e, in mancanza, dovrà essere la società a indicare per iscritto all'utente il nominativo del professionista che eseguirà la prestazione richiesta. La legge demanda però al regolamento di stabilire criteri e modalità attuative di tale parte della norma. Si prevede, ancora, che il professionista cancellato dall'albo con provvedimento definitivo debba essere escluso dalla società, anche se, a una prima lettura della norma, sembra che vi potrebbe rimanere quale socio non professionista, di puro capitale, visto che, parlando la legge di "cancellazione con provvedimento definitivo" sembra riferirsi al caso in cui la cancellazione abbia operato come "sanzione" e non al caso in cui, per esempio, la cancellazione sia dipesa dalla cessazione dell'attività per raggiungimento dei limiti di età.

È previsto, infine, che si possa partecipare a una sola società tra professionisti e non è chiaro se tale limitazione si applichi solo ai soci professionisti o anche ai soci non professionisti; anche questo profilo dovrà essere disciplinato dal futuro regolamento. I soci professionisti e la stessa società saranno poi sottoposti al controllo degli ordini professionali di appartenenza dei singoli soci professionisti e di quello cui la società è iscritta. In astratto, data la possibilità di società interprofessionali, vi sarà il rischio di una sovrapposizione di controlli da parte di diversi ordini, perchè magari ciò che è ritenuto lecito dal collegio dei geometri, potrebbe essere ritenuto illecito dall’ordine degli ingegneri; anche su tale materia, tanto per cambiare, dovrà intervenire il regolamento attuativo.


Insomma, come si vede, la normativa nasce monca, dato che per molti aspetti operativi c’è da attendere il regolamento, ma comunque la legge è fatta e ci pare improbabile che il governo Monti possa insabbiare il regolamento di attuazione. È evidente che la principale novità della legge è data dalla previsione dei soci di capitale, che come visto possono essere anche di maggioranza e anche amministratori, tanto che, più che di “s.t.p.  - società tra professionisti” come la legge vuole che si indichi nella ragione sociale, ci pare più giusto parlare di “società con professionisti”. Su questo aspetto gli ordini professionali avevano alzato le barricate in occasione di tutti i precedenti tentativi di riforma, in difesa della libertà e indipendenza del libero professionista, temendo  l’intervento dei “cattivi capitalisti” nel dorato mondo delle professioni e la riduzione dei professionisti al rango proletario di meri stipendiati dei “poteri forti”. Intendiamoci, il rischio è concreto, ma esiste già oggi una strisciante “proletarizzazione” dei liberi professionisiti.

Il neo-avvocato assunto dalla filiale italiana del grosso studio legale inglese, l’ingegnare che va a lavorare presso la grande società di ingegneria o il farmacista che lavora alle dipendenze di un altro farmacista, tiitolare della farmacia, magari per averla ereditata, non vivono un rapporto tra pari con i titolari dello studio, ma di subordinazione e il fatto che i loro  “padroni” non siano dei  “capitalisti”, ma altri professionisti  non rende di molto differente, nè migliora, la loro posizione e il loro potere economico. C’è da dire che la legge si è spinta molto in avanti, ponendosi allo stesso livello - se non addirittura oltre - della legislazione più liberista in materia, vale a  dire quella inglese e australiana e certamente superando in liberismo le legislazioni di nazioni con sistemi giuridici più simili al nostro. Ecco alcuni esempi delle regole in vigore in Europa:

Germania: è consentita la s.r.l. (Gmbh) per gli avvocati (fino al 1998 era consentita la Partnerschfatsgesellschaft, cioè società di persone ma la giurisprudenza tedesca ammetteva qualsiasi forma societaria); sono astrattamente ammessi anche non professionisti, ma se  questi raggiungono la maggioranza, gli avvocati dovrebbero rifiutarne l'ingresso,  per evitare che possano esercitare un'influenza decisiva sullo svolgimento delle prestazioni.

Francia: la Sociètè d'exercise libèral (SEL), introdotta con legge  31 dicembre 1990, n. 90-1258, più volte poi modificata, consente la s.r.l., la s.p.a. (anche semplificata) e la s.a.p.a. (prima si ammettevano le sole società personali) per l'esercizio di professioni liberali; salvo alcune eccezioni, più della metà del capitale e dei diritti di voto devono però appartenere a professionisti.

Spagna: con la legge 15 marzo 2007 è possibile utilizzare una qualunque delle Sociedades de capitales (ma si riteneva consentito anche prima); anche in queste società la maggioranza del capitale deve appartenere a professionisti.

La normativa italiana è persino più liberista (da usare come complimento o offesa a seconda dei punti di vista) di quella che in gran parte degli USA regola le professioni legali. Anche in Amerika infatti, è vietato a non professionisti diventare soci di uno studio legale, tanto che contro questa regola uno studio legale di New York, Jacoby & Meyers, ha presentato ricorso innanzi le corti del New Jersey, Connecticut e New York chiedendone l’abrogazione (qui il link alla citazione).

La lettura dell'atto di citazione è molto interessante, perché ripete, anche al di là dell’oceano, esattamente gli stessi aspetti della questione che sino a pochi giorni fa era dibattuta in Italia.
Gli avvocati di Jacoby & Meyers affermano infatti che l’esperienza inglese e australiana (che come abbiamo visto consente i soci di capitali) ha smentito la tesi che i professionisti  possano essere coartati dagli eventuali investitori a compiere comportamenti non etici o ad anteporre il profitto agli interessi dei clienti, mentre al contrario la loro

“ability to raise the capital necessary to pay for improvements in technology and infrastructure and to hire additional personnel to serve the public is severely restricted by an out-dated Rule of Professional Conduct" (la capacità di raccogliere capitale per pagare i miglioramenti in tecnologia e infrastrutture e assumere personale addizionale per servire il pubblico è severamente ristretta da un'anacronistica regola di condotta professionale).

Vedremo cosa decideranno le corti statunitensi. Nel frattempo qui da noi il nodo gordiano è stato tagliato, e solo l’esperienza ci saprà dire se i professionisti si trasformeranno in semplici stipendiati di multinazionali dedite al profitto o se invece il mercato dei servizi professionali saprà approfittare delle novità, per migliorare la qualità dei servizi forniti alla clientela. Intanto,  poichè non dobbiamo dimenticarci che il vero motto dell’Italia è “tengo famiglia” è possibile che i nuovi strumenti verranno utilizzati in prima battuta non tanto per patrimonializzare gli studi o per favorire l’ingresso di nuovi soggetti, ma per per favorire quei figli scapestrati dei professionisti che non sono neanche stati capaci di laurearsi o di passare l’esame di abilitazione. In fondo, basta renderli soci di capitale ed ecco che la farmacia di mammà o lo studio legale di papà possono rimanere in famiglia. Poi, certo, il mercato farà la selezione, forse.

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Commenti

Ci sono 263 commenti

Complimenti per l'articolo, che si informa ai migliori standard di documentazione e imparzialità (per quello che si può fare in 2000 parole).

Spendo solo due righe per dare la mia approvazione al passaggio

[...] di dibattiti si può anche morire, ma, insomma, un minimo di valutazione condivisa non avrebbe fatto male.

Temo che ci sia stato solo un mero furore ideologico. Aspettiamoci anche qualche unintended (?) consequence tipo quella fatta baluginare alla fine dell'articolo.

RR 

 

ho letto di fretta e mi pare di non avere visto fra i contenuti della nuova disciplina l'abolizione delle tariffe minime.

Le nuove possibilità offerte dalla legge non mi pare aprano alla concorrenza; al contrario la possibilità che grossi investitori possano creare società professionali che coprano tutte le professioni potrebbero addirittura limitarla.

Sbaglio?

 

Da non esperto è la stessa reazione, di primo acchitto, che avevo avuto. Aumentare la possibilità dei soggetti di "ingrandirsi" senza ridurre le barriere in entrata, mi sembra che induca ad una tendenza molto chiara. Penso che l'articolo, non trattando di quest'ultimo punto, debba essere considerato incompleto rispetto al problema posto.

mah, pur essendo io un professionista decisamente "atipico" (nel senso che in Italia è atipica la mia professione*), non posso che essere contento di questa norma: qualsiasi provvedimento che aiuti a togliere un po' di muffa corporativa al mondo del lavoro e dell'economia è benvenuta. che poi questo attuale sia il più corporativo e "fascista" tra i governi del dopoguerra non dovrebbe poi influire troppo su provvedimenti presi dal precedente esecutivo, almeno lo spero per quel che riguarda questa specifica legge.

in particolare poi, il lavoro che faccio mi spinge per forza di cose alla multidisciplinarietà, anche di tipo estremmente specializzato. ben venga dunque la possibilità di poter lavorare su progetti di tipo completamente diverso, ma per lo steso comittente (o magari come dipendente o socio di una società di professionisti)...

* sono traduttore e interprete, professione che in Italia non soffre di alcun limite, e allo stesso tempo non ha alcuna tutela né controllo di qualità. per fare il traduttore basta dire di esserlo, aprirsi una P.IVA e trovarsi i clienti. nessuno (se non chi fa già questo lavoro) è in grado di controllare la qualità della prestazione, nessun cliente ha la possibilità di rifarsi per errori del professionista, non ci sono standard di qualità, non c'è un ordine nazionale (il che forse è una fortuna), non esiste un tariffario (il che sembra una fortuna), c'è un regime delle agenzie che ha aspetti simili al caporalato, c'è il solito fisco schizofrenico, che non riesce a inquadrare il grosso del flusso di denaro, costituito dallo scarto tra la fattura dell'agenzia al cliente e la parcella del professionista all'agenzia. è un lavoro considerato di ripiego (atteggiamento sciocco, soprattutto in un mondo sempre più interconnesso sia a livello internazionale che interdisciplinare), e molte volte condotto con sciatteria e trascuratezza (soprattutto in campo letterario, dove il pressapochismo regna sovrano, e l'ignoranza si vede soprattutto nei correttori di bozze, sempre che esistano ancora).

Beh, innanzitutto diciamo che non è che prima le regole non fossero "aggirate" in qualche modo, compresa quella sulle farmacie, tipo fitto di ramo d'azienda, poichè il figlio del farmacista era una capra ignorante, ma il "bene di famiglia" non si doveva vendere, quindi tutt'al più  si dovrà vedere come tale norma, per le farmacie, si incardinerà invece per la GDO, che è la concorrente più temuuta dalla lobby dei farmacisti.

D'altronde grandi società di "consulenza" di derivazione anglosassone già erano operanti in Italia fornendo servizi a 350° (non è un errore, gli altri 10° sono le mazzette che copiosamente e italianamente forniscono), e la figura del "professionista" stipendiato non è una novità, anzi esiste.

Il discorso è che se non si toccano i minimi tariffari (forse per questo gli ordini tacciono, la pagnotta è ancora sicura), si è magari preso atto che alcune "forme di organizzazione" sono obsolete, o aggirabili, ma la sostanza resta, da questo punta di vista la riforma è liberale e non liberista, sottile distinguo, ma dagli effetti pratici: se il minimo tariffario per una stipula di mutuo (esempio a cavolo) è € 1.000,00 che stipuli il notaio Sabino Patruno o la "Sabino Patruno S.p.a." (vale anche per Daniele, ovvio-)), Marco Esposito sempre € 1.000,00 caccia di tasca sua.

Il mio punto rimane: si potrà parlare di riforma liberista quando non ci saranno più i minimi tariffari, attendo quindi questa riforma (che Bersani aveva cominciato a introdurre, ma che il Governo precedente ha abrogato).

A quanto ho capito (dalle lamentele dei vari ordini) i minimi tariffari sono stati ri-aboliti sempre nello stesso decreto.

 

Il punto, Marco, è che non è affatto detto che l'abolizione dei minimi tariffari (meglio dire delle tariffe) comporti diminuzione dei costi. Forse per i grossi clienti, non certo per il cittadino medio. L'esperienza olandese insegna.

I mediatori immobiliari, ad esempio, non hanno tariffe e agiscono in un mercato concorrenziale, eppure i loro costi (in percentuale sul prezzo di vendita) sono sempre gli stessi: 2 o 3%.

E, giusto per dire come stanno le cose, oggi, in un (tra l'altro molto complesso) atto di vendita di 365.000 euro, io ho percepito 2.000 euro (circa lo 0,55% del valore) il mediatore 12.000 (circa il 3,30% del valore). E lo sconto l'hanno chiesto a me...

 

... vi sia tutto sommato scarsa selezione in entrata.

Non ho letto tutto l'articolo, mi sono fermato qua.

Magari lo leggerò dopo, ma quanto citato sopra è indice a mio personale parere di una mentalità sbagliata ed illiberale.

Perché mai 200 mila avvocati o 100 mila commercialisti dovrebbero indicare una scarsa selezione in entrata? Per dirla tutta, a me paiono troppo pochi (soprattutto i commercialisti).

Non parliamo poi dei meno di 5 mila notai.

Bah. Basta aver fatto un giro per gli studi legali e aver visto il livello medio dei giovani avvocati, o aver guardato gli esiti degli esami di abilitazione all'avvocatura (con persone che li tentano 10 volte, neanche fosse l'eesame della patente), per sapere che - almeno per quel che riguarda l'ambito legale, che è quello di cui ho maggiore conoscenza diretta - c'è una scarsissima selezione in entrata. 

Comnunque, pare che il Governo intenda consentire, con la sola laurea in giurisprudenza, l'esercizio dell'avvocatura e del notariato. Tutti notai e tutti avvocati in un colpo solo, contenti?

 

 

L'articolo mi è piaciuto, ed è un bene che si discuta della questione.

A mio modo di vedere c'è una stortura grave nella riforma in questione. Nel confronto con gli altri paesi si vede che questi pongono maggiori limitazioni alle società di professionisti, tese a garantire che ci sia una qualche forma di controllo delle prestazioni e/o della gestione sociale da parte di soggetti iscritti agli albi. Ora, il punto è che SE si ritiene che albi ed abilitazioni di stato siano uno strumento utile a garantire maggiore qualità nelle prestazioni (la spiegazione di questa idea la conosciamo: credence goods, lemon market, ecc. portano a ritenere che vi sia spazio per una regolamentazione welfare-improving), ALLORA ne consegue che tale controllo di qualità debba esserci anche nelle forme societarie.

Se al contrario si ritiene che la qualità delle professioni si garantisca in altro modo (es. attraverso meccanismi basati sulla reputazione, come la pubblicazione dei criminal records che avviene negli USA), allora è l'intero sistema degli ordini e delle abilitazioni che va cambiato. Riformare solo le società, nella maniera ben raccontata in questo articolo, porta solo ad aggirare la stortura. Peraltro è un metodo di aggiramento già usato da tempo, per esempio nelle grandi società di revisione dei conti (ho conosciuto persone che hanno svolto la professione del revisore di fatto per 15 anni, prima di decidere di abilitarsi; non firmano loro le certificazioni, ma svolgono tutto il lavoro e, in caso di contestazioni, la responsabilità è formalmente attribuita al firmatario del giudizio di revisione).

Da notare che l'Italia, secondo stime dell'OECD (link), è mediamente uno dei paesi con più barriere all'ingresso per le professioni ed i servizi in genere tra i paesi sviluppati. Quindi, ci teniamo le alte barriere all'ingresso, e liberalizziamo le società di professionisti? Che senso ha?

Boh, quando il problema è il controllo della qualità esistono sostanzialmente due meccanismi

1) Ex ante (controllo, esami, ordini, diplomi, ecc.): verifico prima che tu abbia tutte le qualità che riducono la probabilità che tu faccia errori.

2) Ex post (responsabilità legale): non controllo nulla ex ante, ma se fai errori ti massacro: faccio in modo che tu non possa mai più essere in grado di commettere un errore una seconda volta e in ogni caso ti faccio pagare talmente tanti danni da farti falllire (vedere alla voce "punitive damages"). In teoria il semplice rischio di incorrere in queste sanzioni dovrebbe spingere gli incapaci ad astenersi dal praticare una certa professione. Visto il predente della "azione collettiva all'italiana", siamo ben lungi da avere qualcosa del genere in Italia.

Una cosa è certa, perché le cose possano funzionare deve esistere e funzionare (1) OR (2). Nei paesi occidentali c'è molta variabilità, si va dalla Germania dove (perdonatemi l'approssimazione) in generale si adotta (1) ai paesi anglosassoni che tendono ad avere (2).

Entrambi i sistemi possono funzionare se organizzati in modo corretto... quello che non può funzionare è abolire (1), per quanto male funzioni, senza introdurre (2). Per cui, se davvero aboliranno gli esami di stato per l'ammissione agli ordini spero almeno intdroducano una SERIA disciplina per la responsabilità del professionista in caso di errori.

 

Consentire l'accesso alle professioni in base al mero possesso della laurea mi sembra un'ottima iniziativa. In ogni caso, andrebbe abolito il praticantato obbligatorio, che ormai è un caporalato intellettuale.

Ottima iniziativa, certo. E' sufficiente cambiare l'art. 33 della Costituzione.

Va precisato, naturalmente, che i notai, invece, hanno superato un concorso pubblico e, diversamente, dagli altri, sono pubblici ufficiali muniti di sigillo dello Stato.

Articolo 33

 

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

 

 

Non basterebbe rendere l'iscrizione all'albo XYZ non obbligatoria?

Si lascia tutto come è adesso, esami di stato inclusi.

L'iscrizione all'albo sarebbe una cosa in più offerta dal professionista al cliente "vede io sono avvocato e sono talmente "bravo" da essere iscritto all'albo degli avvocati"

Gli albi sarebbero obbligati ad evolvere verso il meglio! Con l'iscrizione facoltativa la quota di iscrizione che i professionisti versano deve corrispondere ad un servizio che valga il prezzo! Se l'albo funziona, se aiuta i professionisti/la qualità ecc... sopravvive. Altrimenti la fuga di iscritti provocherà per forza qualche reazione, o l'abbassamento delle tariffe al livello dei servizi svolti o l'innalzarsi degli ultimi.

Gli albi sarebbero ancora liberi di espellere quei professionisti che macchiano l'onore della professione e ne avrebbero molto più vantaggio, un albo sputtanato perdere di valore e di iscritti.

Il cliente è tutelato dall'esame di stato e se per risparmiare va da un professionista fuori albo se ne assume il rischio.

Ad ognuno il suo...

Si iscrive all'albo chi ha superato l'esame di Stato, perché compito dell'albo è proprio rendere noto al pubblico tale superamento - oltre che l'effettivo ed onorato esercizio della professione (chi non risponde a tali requisiti dovrebbe essere cancellato o radiato, secondo i casi).

L'albo che immagini sarebbe uno strumento promozionale, un po' come l'iscrizione al Rotary.

É esattamente quanto accade per i commercialisti, nessuna (o quasi) attività riservata.

Premetto che sono un ingegnere (civile) senior, e ho una qualche cognizione di causa evendo anche  ricoperto ruoli significativi nel mio Ordine.

I miei Colleghi sono stati fra i primi a individuare, con molta preoccupazione che condivido,  nella legge gli articoli che riguardavano l'assetto societario-professionale. Personalmente la cosa non mi ha peraltro sorpreso, perchè è da molto tempo che col pretesto - sacrosanto e condivisibilissimo - di svecchiare gli ordinamenti professionali si spinge con silenziosa determinazione verso il loro scardinamento e svuotamento.

Ricordo, in un congresso nazionale degli Ingegneri già una decina di anni fa l'allora vicepresidente di Confindustria, Bombassei, che in un intervento di apprezzabile diplomazia (data la sede di cui era ospite) spiegò senza mezzi termini che a suo vedere la nostra professione come eravamo abituati ad intenderla era condannata senza appello: il mondo era pieno di colleghi indiani, bravissimi e preparatissimi, che costavano un decimo di noi. Come è facile comprendere ci fu costernazione generale, accompagnata da qualche fischio. 

Da allora c'è stato un continuo inesorabile stillicidio di prese di posizione sugli organi più influenti (Il Sole24h in primis, ovviamente) che alla fine ha prodotto il dogma, essere le cosiddette professioni liberali, un tempo socialmente circondate da alta considerazione, nient'altro che una vetusta incrostazione di privilegi e corporativismi, fra cui particolarmente odioso quello delle tariffe. Uno dei grimaldelli per questo scardinamento è ideologico, cioè l'equiparazione delle professioni con le attività di impresa. Il che, quanto meno nel vecchio Continente, è considerato un controsenso. E lo è.

Come gli estensori dell'eccellente articolo hanno documentato, le tariffe non esistono più quasi per nessuno, e certamente per quanto meglio conosco, cioè le professioni tecnico-progettuali (ingegneri, architetti, geometri, geologi, periti etc.) non esistono certamente più dalla famosa lenzuolata di Bersani (quella ingloriosamente abortita con i tassisti). E correttamente hanno rilevato, gli estensori, che oggi quel che si percepisce a fronte di prestazioni complesse e delicate, che coinvolgono la certezza del diritto (notai) o il diritto alla sicurezza (ingegneri), e che richiedono preparazione specifica, organizzazione, attrezzature, software e strumentazioni, sono retribuite molto meno di quelle di un mediatore immobiliare che lavora in un ufficetto magari a casa e con uno smartphone.

Ugualmente quella della responsabilità professionale è questione mal posta per carenza di informazione: da parecchi anni la legislazione sui lavori pubblici esige che il professionista sia assicurato per errori e RC, e non si acquisisce incarico ancorchè minimo senza tirar fuori una polizza con copertura adeguata. 

Le disposizioni della legge di stabilità in materia di professioni a mio vedere altro non sono che un "comma Bombassei", cioè la traduzione in atto del suo intervento sopra riferito. In pratica sono un "liberi tutti", dizione sois disant liberale ma in realtà totalmente rinunciataria: chiunque faccia quel che vuole basta che ci siano sotto delle firme col timbro. Se questa è una riforma, siamo tutti bravi a farle. Dato che, notai a parte che sono oltre ai titolari di farmacia gli unici rimasti a numero chiuso, l'accesso agli ordini è in realtà quanto di più aperto si possa concepire (chiunque con una laurea e un esame di stato fa domanda, paga la quota, riceve un timbro numerato e inizia liberamente l'attività), vi saranno sempre timbri e firme disponibili a modico prezzo, è facile prevederlo. Ed è facile prevedere le conseguenze. 

L'attività professionale si avvia ad essere svolta da società che di professionale non avranno in realtà nulla, se non i miserabili timbri di qualche ultima ruota del carro. Queste società non saranno poi moltissime, e politiche di cartello, tanto smentite pubblicamente quanto praticamente inscalfibili, saranno inevitabili. Sono disposto a scommetere qualsiasi cosa.

Quanto alla strisciante proletarizzazione delle professioni, giustamente riferita dagli autori, da ringraziare per la chiarezza e completezza informativa, essa è stata la conseguenza inevitabile, almeno nell'ambito che conosco delle professioni progettuali, di due concomitanti fattori. Il primo, la liberalizzazione totale degli accessi all'università, che ha prodotto un aumento esponenziale del numero dei laureati ingegneri architetti etc., solo parzialmente moderato in tempi recenti dai test di ammissione. Quando ho cominciato io, occorreva aver fatto un liceo, e i diplomati tecnici erano ammessi a numero chiuso (piccolo) e per concorso con prove di merito nelle materie scientifiche, scritte e orali. Si possono giudicare queste limitazioni come si vuole, ma c'erano fino a una trentina d'anni fa, e a mio avviso assicuravano almeno in certa misura una selezione culturale preventiva.

Il secondo fattore, non meno importante in quanto è un fattore di sistema, è la refrattarietà culturale della società italiana, e quindi del suo mondo produttivo, poco incline ad imbarcare giovani intelletti dotati di una preparazione scientifica appuntita: basta guardare la sostanza del mondo delle costruzioni, dove ci sono imprese dal fatturato più che ragguardevole e hanno nello staff pochissimi laureati, quando addirittura nessuno, e marciano con stagionati geometri. Per non dire dell'attività costruttiva "minore", cioè degli interventi abitativi pèrivati, nuovi o di recupero, di fatto prevalenti sul territorio, controllati prevalentemente specie in provincia da geometri o equiparati.

E la qualità del nostro ambiente costruito è sotto gli occhi di tutti. Dissesti e tragedie inclusi.

Stando così le cose, per moltissimi laureati, ancorchè ben preparati, l'unico sbocco lavorativo concretamente percorribile è l'apertura di una piccola attività, che finisce fatalmente col vivere di piccole cose, senza reale accrescimento professionale: una perdita secca per una società ormai intellettualmente impoverita.

Sulla qualità delle prestazioni, il discorso sarebbe lungo. Non c'è dubbio che gli ordini, nell'ordinamento attuale al quale si accede sostanzialmente a vita ("semel abbas, semper abbas"), poco o nulla facciano in questa direzione, oltretutto mancando dei mezzi legali occorrenti. Ma la qualità e attendibilità delle prestazioni qualcuno ci deve pur essere a garantirla, e su questo i commi Bombassei nulla dicono, e mi sembra gravissimo, forse è la peggiore ricaduta del "liberi tutti" che dicevo prima. Non mi si tirino fuori le certificazioni di qualità, per favore. Non servono a niente. Ho incontrato imprese con marchio ISO 9001 sulla carta intestata, nelle quali non c'era uno che sapesse leggere e scrivere (almeno nel senso che attribuisco io all'espressione). Le assicurazioni intervengono a disastri fatti. E allora?

Temo fortemente che prima che "il mercato" trovi da sè un assetto societario e di controllo, ammesso che ciò sia concettualmente possibile, passi a dir poco una generazione. E nel frattempo? Mah....

GD

 

 

 

Qualche problemino lo vedo, ma non condivido il tuo pessimismo.E sinceramente vedo un problema nel degrado del servizio, ma non in quello della professione: i tempi cambiano, e pure i prezzi dei vari servizi.

Gli indiani fan paura solo a chi non li conosce: quelli che costano un decimo valgono poco, quelli che valgono si fan pagare (meno di noi, ma non certo un decimo), poi vivono in un altro fuso orario, parlano un altra lingua e hanno una cultura diversa. Alla fine il gioco vale la candela solo per lavori molto grossi, e pure li domina il modello misto, con un po' di occidentali a dirigere i lavori in india o di indiani occidentalizzati distaccati in europa: una marea di grane ma il gioco vale la candela anche mettendole in conto.

Quanto alla legislazione, personalmente io metterei un limite di legge alla copertura RC di chi firma perizie: se i danni li paga solo l' assicurazione viene meno l' incentivo a lavorare seriamente.

Dimenticavo un punto importante:

 

Quando ho cominciato io, occorreva aver fatto un liceo, e i diplomati tecnici erano ammessi a numero chiuso (piccolo) e per concorso con prove di merito nelle materie scientifiche, scritte e orali.

 

Passi il numero chiuso, ma perchè mai dal liceo si dovrebbero prendere anche le capre e fare i test a chi viene dal tecnico?

Tanto piu che chi viene dal classico deve faticare ben piu di chi viene dall' ITIS nelle materie scientifiche.

Ricordo, in un congresso nazionale degli Ingegneri già una decina di anni fa l'allora vicepresidente di Confindustria, Bombassei, che in un intervento di apprezzabile diplomazia (data la sede di cui era ospite) spiegò senza mezzi termini che a suo vedere la nostra professione come eravamo abituati ad intenderla era condannata senza appello: il mondo era pieno di colleghi indiani, bravissimi e preparatissimi, che costavano un decimo di noi. Come è facile comprendere ci fu costernazione generale, accompagnata da qualche fischio.

Bombassei è anche quello che, in occasione di un accordo Unicredit-sindacati dell'anno scorso, che sanciva la trasmissione del posto di lavoro ai figli dei pensionandi (pratica, come è noto, alquanto diffusa in Italia), ebbe a dichiarare:

“Questa prassi potrebbe sancire un legame stretto della singola azienda con il territorio. Un tempo ci si rivolgeva al parroco per prendere notizie su una famiglia. Oggi, conoscendo la serietà di un padre, si è meglio disposti a prenderne il figlio”

Si noti che il Bombassei è sempre fra i nomi che girano per la Presidenza di Confindustria. Voi gliel'avete mica detto che con una simile razza di impenditori che ci ritroviamo, la stessa professione di imprenditore è condannata senza appello in Italia?

RR

 

A me sembra che abbiate tutti in mente un modello di professionista di alto livello, mentre la maggior parte degli avvocati è impegnato in beghe condominiali e la maggior parte dei professionisti nella contabilità di negozianti e idraulici.

Ora, mi rendo anche conto che ci sono questioni di particolare complessità che richiedono il contributo di un professionista di livello. Ma così non è nella maggior parte dei casi.

Forse siamo tutti professionisti di alto livello, magari talora impegnati a rimediare errori di altri professionisti ... vanterie a parte, le "beghe condominiali" sono spesso delicatissime e stressanti.

 

Allora anche un idraulico è un professionista di alto livello, e lo dico senza ironia. Un lavoro di idraulica fatto male può provocare più danni al cliente di una bega condominiale gestita male.

Allora anche un idraulico è un professionista di alto livello, e lo dico senza ironia.

Per questo si discute di qualità e di professionalità. Negli Stati Uniti il 30% dei lavoratori ha ormai bisogno di una certificazione professionale, e considerando il trend delle professioni e dei professionisti in formazione, stiamo veleggiando verso il 38% [Fonte: The Economist].

Solo in Italia siamo all'Anno Zero della riflessione. In corrispondenza biunivoca con lo Zero del Livello Politico del Paese nel quale siamo stati catapultati.

RR

 

Ultimamente sono un po' stupito da molti dei commenti che leggo su nfA.

La ragione dello stupore e che mentre nfA negli anni ha sempre portato avanti tematiche liberiste, soprattutto rivolte alla situazione italiana dove l'intervento statale è degenerato in corruzione e consociativismo, beh molti commenti sono sorprendentemente in direzione opposta.

Prima: il grande entusiasmo suscitato dall'abolizione del contante o dalla sua forte limitazione

Adesso: il tono di alcuni commenti alla eventuale "deregulation" del settore avvocati-notai.

Commenti che mi sembrano echeggiare il papà di Montanelli, che disse : "E che volete imparare ha leggere, a leggere ci si pensa noi per voi".

Intendiamoci: è più che lecito discutere su come  questa deregulation debba essere fatta ma certi commenti che paventano la società in balia di neoavvocati incapaci sono risibili (en passant dubito che mettendo gente a fare fotocopie la sua esperienza aumenti).

Come faceva notare qualcuno allora lo stesso dovrebbe valere per gli idraulici o qualsiasi altra professione.
Lode a Renzino l'Europeo che, conscio di questo, vuole la certificazione per ogni professione possibile e immaginabile. Non è mai stato  liberista e se ne rende conto.

Altri (alcuni) trovano invece normale che non ci sia bisogno di tali limitazioni per gli idraulici o per gli operia li basta il mercato (loro lo sanno perchè leggono noise from Amerika). Per quanto riguarda la loro professione beh allora lì è diverso, non confondiamo....

 

Osservo che dai per scontato che la deregulation debba essere fatta e che si debba discutere solo del come.

Forse bisogna discutere, prima, del se la deregulation va fatta.

Io credo che dipenda dagli interessi in gioco, se generali o individuali. E, in caso di interessi generali, fino a che limite ci si può spingere senza che la tutela di questi interessi (insisto: generali) ceda rispetto ad altri interessi individuali.

Avrebbe senso, ad esempio, liberalizzare la guida degli aeroplani? Perchè ci vuole il brevetto di pilota?

Per restare in ambito legale: il corretto funzionamento e l'affidabilità di registri pubblici è un interesse generale? Perchè solo alcuni possono inserire dati in questi registri e non chiunque?

 

Miiiii... io no sono più o meno liberista, sono solo Europeo...

RR

...alcune appunti sparsi:

"proletarizzare" è un termine orribile, ve ne rendete conto? Molti qui (specie di "alto albo") Ne parlate come se lavorare a stipendio  sia una specie di stato di semi-schiavitù o servitù della gleba, a cui le "persone di classe" non possono certo abbassarsi (!!!) Un atteggiamento ottocentesco o peggio, oserei dire. Ma, forse, vivere in un paese ottocentesco influenza il vostro giudizio...

Ancora, credo si confondano diversi aspetti in questa discussione. Se si ritiene che per esercitare si debba avere sapere X, aver studiato Y e  praticato per il tempo Z, che si facciano esami, si chiedano titoli e l'esercizio della pratica per verificare tali requisiti. In tutto questo, quale che sia la forma societaria di chi firma l'atto che c'entra? Perchè questo dovrebbe cambiare il livello di coscienziosità degli operatori? Che, forse, oggi gli avvocati non si fanno preparare gli atti per poi metterci solo la firma? (io, che avvocato non sono, ho vistoassistito cose che voi umani...)

 

Articolo 33

...

E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

 

Dobbiamo quindi pensare che per aderire alla costituzione bisognerebbe istituire albi per ogni possibile professione, magari distinguendole per categorie e specialità? Quindi sarebbe stato corretto istituire l'albo dei "connettori di cavi di rete" (non ricordo il nome esatto) come vagheggiato qualche mese fa durante il precedente governo? Per me, era semplicemente una follia inconcepibile. Prescritto o meno che fosse dalla Costituzione.

Infine una domanda da ignorante: perchè la forma societaria dovrebbe influenzare la responsabilità civile di chi fa l'atto in modo negativo? Immagino che lAvv. Tizio firma l'atto ne è responsabile, che slavori in proprio, in uno studio associato o come dipendente. No?

 

"proletarizzare" è un termine orribile, ve ne rendete conto?

Prova a buttare un occhio a cosa è successo in questi anni nelle Università deregolamentate, dove si sono date supplenze di corsi ad 1 €, con gente disposta a lavorare aggratis "pur di metterlo nel curriculum", e dove vige de facto un caporalato accademico...

RR

"proletarizzare" è un termine orribile, ve ne rendete conto? Molti qui (specie di "alto albo") Ne parlate come se lavorare a stipendio  sia una specie di stato di semi-schiavitù o servitù della gleba, a cui le "persone di classe" non possono certo abbassarsi (!!!) Un atteggiamento ottocentesco o peggio, oserei dire. Ma, forse, vivere in un paese ottocentesco influenza il vostro giudizio...

Parrà a te, caro Collega. Personalmente, parlando di proletarizzazione, alludevo soprattutto al livello reddituale dei colleghi per il quale la piccola libera professione è, faute de mieux, l'unica opzione percorribile concretamente dopo la laurea e l'abilitazione, e che ne realizzano spesso utili vergognosamente modesti in relazione all'investimento fatto in studi impegnativi. 

Non ho mai avuto niente contro il lavorare "a stipendio", l'ho anche praticato in gioventù e lo considero di alta dignità, a condizione che stipendio dignitoso vi sia, cosa che troppo spesso non è. Del resto lamentavo anche proprio la refrattarietà culturale (e forse monetaria) delle aziende medio/piccole verso i laureati del nostro settore, che vedo come concausa concorrente al declino generale. 

Quanto alle mentalità ottocentesche, alle "persone di classe" e agli "alti albi" tutto c'è e può esserci in giro, ma dubito che tu ne possa trovare traccia in quel che ho scritto io.

GD

"proletarizzare" è un termine orribile, ve ne rendete conto? 

 

Sono il responsabile del termine, me ne assumo la responsabilità.

A parte però l'italiano volutamente strapazzato, l'intenzione non è affatto quella di considerare il lavoratore a stipendio come un servo della gleba. 

Al contrario, se analizzi bene quanto scritto, nel post si evidenzia come il timore di diventare "proletari" al servizio delle future società sia comune a molti professionisti, i quali però non considerano che già oggi molti loro colleghi vivono questa dimensione di dipendenza ed il fatto che il datore di lavoro possa essere un altro professionista o invece una società con soci di puro capitale, non sposta per il dipendente i termini del suo ruolo economico e sociale.


Secondo me si sta facendo un po' di confusione e mi trovo d'accordo con l'osservazione fatta poco più su da Corrado. Cerco di dettagliare quello che voglio dire. Una frase tipo:

Dove si scopre che l'Italia è più liberista degli U.S.A.

Mi pare un tantino azzardata, non fosse altro che per il fatto che come si legge nello stesso post

 all'epoca del primo governo Prodi la legge "Bersani" aveva formalmente abrogato l'art. 2 della legge del 1939 che vietava le società tra professionisti. Il successivo regolamento, però, che doveva stabilire le modalità di costituzione di tali società, fu bocciato dal Consiglio di Stato e quindi l‘abrogazione era rimasta sulla carta.

io aspetterei un attimo prima di dare una risposta alla domanda chi è più liberista (considerate questa frase un understatement)?

Che l'agente immobiliare sia pagato più del notaio (fatto che la mia esperienza personale conferma) non mi è chiaro cosa dovrebbe significare: il problema è che opera un vile commercio a fronte di una nobile professione intellettuale? Se è per quello un commesso o barman che lavora sodo guadagna abbondantmente di più di un ricercatore universitario o di un professore di liceo che magari hanno 2 lauree, e allora? Si chiama mercato.

Sul fatto che anche in assenza di  tariffe minime i prezzi possano essere alti, mi permetto di osservare che questo non costituisce una valida argomentazione in difesa delle stesse tariffe: i prezzi alti senza tariffe sono il risultato della libera interazione di domanda e offerta, i prezzi che si determinano in presenza di tariffe minime sono invece distorti. Che poi nella realtà le tariffe vengano in qualche modo aggirate, è solo un'ulteriore conferma di quanto, se non dannose siano inutili.

La difesa dell'utilità e della complessità della funzione del notaio, mi sembra fuorviante perchè allontana la discussione da un aspetto, a mio modesto avviso, più rilevante: se il modo con cui questa importante funzione viene assolta in Italia sia il più conveniente per la popolazione o per una minoranza tutelata di individui. Quello che fanno i notai è sicuramente utile, altrettanto sicuramente richiede delle competenze specialistiche e comporta l'assunzione di responsabilità. Assodato questo  dovremmo chiederci se avere un numero prefissato e molto limitato  di pubblici ufficiali che operano come liberi professionisti sia la soluzione migliore. 

Non mi pare molto utile discutere se "è bene che tutti possano fare tutto" (no non è bene, non serve parlarne) così come il fatto che non lo sia non mi sembra un argomentazione in favore nel decidere a tavolino di quanti farmacisti o notai ha bisogno la collettività. Quasi ovunque nei paesi civili occore una patente per guidare un auto o un aereo (credo si tratti di brevetto da pilota), ma non conosco nessun posto dove il numero degi guidatori o dei piloti è deciso da una minoranza nell' "interesse della collettività".

Un conto è dire che è preferibile che per svolgere un'attività occorrono dei requisiti di competenza, un altro è usare questo vincolo come un modo per limitare il numero di persone che possono svolgere quell'attività. Nel primo caso se gli idonei a svolgere l'attività sono 10 o 1000 è determinato solo dalla severità della prova e dalla preparazione dei candidati, nel secondo caso, qualcuno decide che devono essere 10 anche se quelli teoricamente ideonei sono 1000.  

Per quanto ne so, non sono i notai a scegliere il numero di persone che possono svolgere quell'attività. Chiedo conferma agli autori dell'articolo, ma mi pare che i posti di notaio siano stati fissati dallo Stato, con provvedimenti alquanto risalenti nel tempo. 

Mi fate un esempio di che cosa dovrebbe fare una società di avvocati professionisti, rispetto ad uno studio legale..cosa cambia nella sostanza, quale è il vantaggio di avere una società rispetto ad uno studio legale?

Bella domanda. Qualcuno, vocato all'ottimismo, potrebbe pensare che la forma societaria permetta di raccogliere maggiori risorse per svolgere un'attività professionale sempre più costosa e garantire così la responsabilità dei professionisti verso i clienti.

Qualcun altro potrebbe pensare che una società di capitali possa costituire una società di professionisti da impiegare in esclusiva per le proprie esigenze, senza doverli assumere quali dipendenti e, soprattutto, imponendo i compensi (altro che tariffe! o ti accontenti di un compenso forfetario o non entri nella società). Il fatto che Confindustria sia favorevole mi fa pensare male ... l'inferno mi aspetta!

Cioè aspetta un attimo, stai parlando dal punto di vista di una holding che controlla una società di professionisti; oppure di un nuovo mercato di prezzi a ribasso, visto che abolendo le tariffe minime, le società danno via ad una gara di prezzi a ribasso per accaparrarsi il mercato a prescindere dalla qualità del servizio?

 

Il progetto è chiarissimo: impadronirsi del mercato dei servizi professionali. Mi sorprende che molti non l'abbiano capito. L'efficienza dei servizi e la riduzione dei costi non c'entrano nulla.

 

Intervengo solo adesso perché non ho la possibilità di commentare (lo faro' meglio nei prossimi giorni), lasciatemi dire pero' che il tono generale della discussione e' sconfortante.   L'80% dei commenti riguarda i notai, se sono utili, inutili, una casta di parassiti succhiasoldi e se sia meglio o meno il sistema notarile inglese (!!! Una nuova categoria del diritto, visto che in UK vige la common law).

Ora, forse non l'avete notato, ma nell'articolo la parola "notaio" non esiste proprio, il post parla di una riforma che riguarda TUTTE le professioni: geometri, infermieri, medici, ingegneri, avvocati, geologi, ragionieri/commercialisti ecc.  Sarebbe utile ragionare se e come la riforma cambierà il mondo delle professioni, se in meglio o in peggio o semplicemente le renderà diverse.
La questione non e' secondaria, dato che riguarda centinaia di migliaia di persone in Italia e una buona fetta del suo pil.
Sul punto io e Daniele non abbiamo volutamente preso posizione (io credo di essere piu' aperto di lui, ma non e' questo il punto), speravamo infatti nella qualità della discussione per poter ragionare insieme, cosa rivelatasi impossibile, tranne che per alcuni commenti, ai quali mi riprometto di replicare.

Un'ultima parola per i notai e per cercare di far capire la loro funzione. Nfa e' un perfetto esempio di sistema notarile. Tutti possono scrivere articoli per nfa, ma non tutti possono pubblicarli, perché siano pubblicati occorre che siano sottoposti al controllo di qualità di una ristretta casta (gli editors, che oggi sono credo in sei) i quali controllano, ex ante, se gli articoli sono logicamente coerenti, contengono dati veritieri, sono scritti in italiano corretto ecc. E' un meccanismo che funziona ? Direi di si, la qualità del sito e' quella che tutti noi conosciamo.

Si potrebbe pensare ad un sistema diverso ? Certamente si: basta trasformare nfa in una bacheca virtuale, sulla quale chiunque può pubblicare, poi gli editors ed i commenti si prenderebbero cura di smascherare gli errori dei singoli articoli. Questo sistema sarebbe più efficiente ? Non credo, dato che avverrebbe quello che accade oggi con i commenti ai post: accanto a molti commenti di qualità si trova anche molta spazzatura (o, meglio, commenti non logicamente coerenti oltre a veri e propri troll) e, soprattutto se il numero dei commenti cresce, non sempre si riesce a smascherarli e quindi la spazzatura rimane in circolo.

Vabbè mi potreste opporre, nfa e' un club privato, non lo puoi paragonare con lo stato e le sue regole.

Io non ne sarei così sicuro, le ragioni per le quali nei paesi di diritto civile (che sono quelli a noi simili, se devo avere un benchmark di riferimento preferisco guardare alla Germania che ha i notai, piuttosto che a UK)  alcuni  atti sono affidate ai notai, sono le medesime per le quali gli editors selezionano gli articoli: tenere la spazzatura fuori dal sistema. Non da tutto il sistema, ma solo da alcuni settori che sono ritenuti di interesse piu' generale: immobiliare, societario e diritti di garanzia (ipoteche) oltre ad altre figure minori. Non si tratta solo di autenticare le firme su un contratto, ma di verificare ex ante se quel contratto e' conforme alla legge. Da tempo, lo scrissi nel mio primo intervento su nfa, ritengo che non sia necessario per questa funzione il numero chiuso, ma una seria selezione si, altrimenti salta il sistema dei controlli e ci ritroviamo come per i commenti su questo blog.

Aggiungo poi che anche la banale e semplice certificazione delle firma, affidata senza adeguata selezione e controllo, genera mostri.Su questo, infatti, abbiamo il controfattuale: le firme false alle elezioni.

Le autentiche delle firme per la presentazione delle liste erano in passato di competenza notarile, la procedura e' stata liberalizzata ed affidata un po' a tutti, dal funzionario comunale al consigliere di circoscrzione, ebbene gli efffetti sono sotto gli occhi di tutti.

 

Le autentiche delle firme per la presentazione delle liste erano in passato di competenza notarile, la procedura e' stata liberalizzata ed affidata un po' a tutti, dal funzionario comunale al consigliere di circoscrzione, ebbene gli efffetti sono sotto gli occhi di tutti.

Perché è l'idea di usare il sistema notarile per quella finalità ad essere sbagliato.

Perché mai si debbono raccogliere ed autenticare firme per la presentazione delle candidature elettorali?

Se proprio si deve effettuare un filtro a monte (e sinceramente anche lì non capisco perché), tanto vale usare il sistema del deposito, che è più efficiente.

Come direbbero tipicamente alcuni commentatori spiccioli di NFA,

STANDING OVATION !!!

E poi tornammo a faticare.

RR

Per una volta concordo con Renzino: standing ovation!

Sperando non si noti troppo la cenere in testa....

Tra l'altro è una discussione già fatta su nFA ed alquanto ripetitiva

 

Concordo in tutto e per tutto...

Ho cercato di scorrere i commenti in cerca di qualche spunto interessante da cui imparare ma non ne ho trovati e sinceramente non sono interessato ha discutere della casta dei notai (avrei qualcosa da dire, sia in positivo che in negativo ma preferisco farlo in un post ad-hoc più chiaro).

Mi sento solo di dare un consiglio a Daniele: segui la regola Boldrin, don't feed the trolls! Lo dico per mio interesse personale (ma credo anche di molti lettori), quando ho poco tempo tendo a leggere prima i thread in cui commenta l'autore e poi eventualmente quelli dove commentano i redattori ed in terza istanza quelli in cui sono attivi alcuni commentatori che ritengo di qualità... Con questo post questa regola non ha funzionato...

Grazie Sabino, almeno ora non sono solo contro tutti!

Stamattina abbiamo cancellato un commento che offendeva pesantemente uno degli autori del post e che quindi violava le regole del blog.

Ricordiamo ai commentatori che qui esistono delle regole e che le regole le facciamo rispettare.

Buona lettura e buona discussione.

 

Mi spiace che la discussione sia trascesa in un'ordalia pro o contro i notai e spero di aver espresso chiaramente nei commenti precedenti che trovo inutile discutere in quel modo (è ovvio ed evidente che la funzione che assolvono è utile e necessaria, al più ci si potrebbe chiedere il modo in cui essa viene assolta potrebbe essere suscettibile di miglioramenti,ma in ogni caso si uscirebbe fuori tema).

In merito alla riforma ho qualche dubbio (di tipo logico perchè non ho competenze per fare osservazioni di merito) che possa portare sensibili cambiamenti e che contenga un qualche apporto di tipo liberista o liberale.

Il dubbio logico sul carattere liberale è il seguente: il provvedimento è liberale se aumenta la concorrenza o se la difende. Mi pare di capire che l'impatto in questa direzione sia molto limitato, la possibilità di costituire delle società non implica che nuovi concorrenti possano entrare nel mercato (il numero di avvocati e ingegneri rimane quello stabilito dalle selezioni, quello dei notai rimane il numero prefissato dal ministero). Se poi ci sono delle tariffe minime (ignoro se le abbiano anche gli ingegneri e i geometri per dire) non è neanche possibile che società meglio organizzate degli studi singoli possano praticare prezzi più bassi. Resta eventualmente la possibilità che le società, avendo le spalle più larghe possano competere offrendo servizi aggiuntivi, orari più lunghi etc. Mi sembra comunque un ambito limitato.

NB ho conoscenza diretta di società già esistenti che lavorano a stretto contatto con studi legali per la redazione di atti molto semplici (precetti, pignoramenti etc) che hanno sbaragliato diversi piccoli studi e questo è avvenuto in assenza della legge in questione (non so bene con quali modalità tecniche). Quindi mi sentirei di dire che, dove c'è un esigenza forte, il mercato sta sempre un passo avanti al regolatore.

L'altro argomento logico è la limitazione della responsabilità che mi pare uno dei motivi principali per cui si costituisce una società. Nello specifico, la responsabilità rimarrebbe in capo al soggetto singolo, per dire l'ingegnere che firma il documento sulla sicurezza. Insomma, può essere una mia miopia, ma non vedo trasformazioni rilevanti all'orizzonte.

Anche io nel mio primo commento ho espresso il dubbio che la riforma sia liberista, probabilmente è "liberale", nel senso che apre la possibilità di ingresso nel mercato di figure sconosciute, come le società di capitali, Daniele Muritano esprime il dubbio che tale apertura prefiguri un lauto pasto per grosse società di consulenza, in America effettivamente le prime quattro (Deloitte,KPMG,Ernste&young) si spertiscono il mercato "ricco", quello delle imprese, in un commento ho linkato il dato, non lo ripeto, anche io penso che così possa essere, come faranno non lo so.

Anche a me il discorso pro/contro notai non mi affascina, mentre si avvicinano nuove "figure professionali obbligatorie" come il "tecnico certificatore di energia termica degli edifici" (che credo che come notai Daniele e Sabino conoscono, essendo adesso OBBLIGATORIO allegare la certificazione energetica degli edidfici agli atti di compravendita), ecco se posso dire la mia, a me non piace che io sia "Obbligato" ad avvalermi del professionista Tizio o Caio per il servizio XZY, vorrei essere libero di farlo da solo, assumendomene le conseguenze, un pò come nel diritto anglosassone, che da questo punto di vista è più liberista.

Il discorso errato non è quello sulle "tariffe professionali", ma il fatto che poi questi minimi siano collegati ad atti obbligatori, se sparisse l'obbligo di avvalersi di professionisti per una serie di cose, che non sono solo atti notarili, ma, ripeto, ad esempio l'obbligo di "Certificazione energetica" (che non serve a una beata mazza), tutte le discussioni non avrebbero più senso.

E' ovvio che se mi devo far progettare una casa, piuttosto che un ponte, vado in uno studio di ingegneria, che possibilmente ha anche un geologo al suo interno (così è contento anche Gibbo -)), che se devo acquistare un immobile frazionato chiamo il miglior notaio in circolazione (escludendo quindi Daniele e Sabino -)), ma vorrei esser libero di scegliere i servizi offerti, ad esempio potrei chiedere all'ingegnere solo i calcoli del cemento armato, facendomi progettare il resto da un architetto, senza dover chiamare il geologo perchè sto costruendo su una rupe tufacea, mentre oggi il geologo è obbligatorio a prescindere, oppure nella lite condominiale non vorrei dover a forza chiamare un avvocato, ma essere libero di difendermi (e perdere) da solo.

Cioè è pretestuoso gettare la croce addosso agli ordini professionali per le tariffe minime (che comunque sono una barriera all'ingresso dei new comers), quando poi il nodo è che tariffa minima + obbligo di rivolgersi al professionista= rendita di posizione.

Quindi, invece di continuare a parlare del notaio, o dell'atto tabellare, o del concenceyor, parliamo della stortura economica della rendita di posizione: esiste ? è eliminabile ? Questa "riforma" la colpisce ?

Più su Sabino ha esemplificato l'importanza di un sistema di certificazione illustrando come funzioni bene quello di questo sito. Mi sembra una eccellente nota in formativa per quelli che hanno dei pregiudizi contro i notai senza capire bene quello che fanno.

Per completare il parallelo, va ricordato che:

  • I redattori svolgono il loro ruolo gratuitamente
  • Non c'è un interesse pubblico a che i cittadini possano pubblicare su questo sito

 

Procedendo nell'analisi della realtà si pongono dunque le seguenti questioni:

  • Qual è il modo migliore di remunare i soggetti che svolgono l'attività di certificazione? 
  • In che modo si può tutelare l'interesse pubblico a che la certificazione avvenga correttamente?

 

Qualche pagina  dal libro di economia I ci dicono che la soluzione preferibile per la collettività è che 

  • Lo stato (o qualche entità super partes) verifichi esclusivamente i requisiti di competenza dei soggetti che voglio espletare l'attività di certificatori
  • Le tariffe e il numero dei soggetti che svolgono l'attività sia determinato dalla domanda e dall'offerta

 

Pertanto liberalizzare NON vuol dire consentire a chiunque di fare il certificatore significa invece lasciare che tutti quelli che hanno i requisiti di competenza possano esercitare la professione e che possano liberamente competere sulle tariffe dei servizi prestati.

Come si fa col solito paese sulla montagna dove nessuno vuole andare a fare il certificatore? Due pagine nel libro del buonsenso (non serve neanche quello di Economia) ci suggertiscono

  • Un funzionario pubblico, che possiede i requisiti di competenza, svolge il servizio a fronte di uno stipendio fisso nei posti dove a nessuno conviere fare il certificatore di libero mertcato
  • Rendiamo deducibili le spese per chi non ha un certificatore entro x km da casa
  • Rimborsiamo le spese a quei certificatori di buona volontà che periodicamente vanno in missione nella terra di nessuno
  • Usiamo una web cam e un corriere espresso per i documenti originali e facciamo la certificazione in conference call

 

Questo per dire che non ci vuole una laurea per renderesi conto che un sistema in cui il numero dei certificatori è prefissato dallo stato e sussistono delle tariffe minime aumenta i costi per la collettività a vantaggio di chi svolge l'attività di certificatore: si chiama oligopolio. 

 

 

Questo per dire che non ci vuole una laurea per renderesi conto che un sistema in cui il numero dei certificatori è prefissato dallo stato e sussistono delle tariffe minime aumenta i costi per la collettività a vantaggio di chi svolge l'attività di certificatore: si chiama oligopolio.

 

alla fine della fiera, cioè di un dialogo fra sordi, il sugo sembra proprio questo.

noi amiamo profondamente i notai, il loro complicato lavoro e anche la loro figura austera e super partes. è per questo che ne vorremmo tanti e la nostra gloriosa nazione di sicuro può produrne molti di più.

 

Non è OT, anzi. A mio avviso hai centrato l'essenza del problema.

 

Sfogliando il libro di economia 1:

In un mercato concorrenziale il prezzo del servizio prestato da un notaio (ma vale lo stesso per qualsiasi altro professionista) dovrebbe tendere al costo marginale di produzione e i margini di profitto dovrebbero essere bassi. Dalla mia esperienza personale (ma posso sbagliarmi) le tariffe applicate dai notai sono ben superiori ai loro costi variabili. Non so quanto possa costare fare una checklist anche di 50 pagine e farla bene, magari i notai anno spese occulte che io non riesco a quantificare.

Se la mia impressione fosse corretta, significherebbe che il mercato in cui operano i notai non è affatto concorrenziale, ma come scrive Formularo si tratta di oligopolio. 

Liberalizzare, ossia rendere il mercato più concorrenziale avrebbe SOLO effetti positivi per i consumatori. Non è necessariamente importante che le società che offriranno il servizio nel futuro mercato liberalizzato siano tante, la cosa fondamentale per avere prezzi bassi è la rimozione di barriere all'ingresso.

 

 

Qualche pagina  dal libro di economia I ci dicono che la soluzione preferibile per la collettività è che 

  • Lo stato (o qualche entità super partes) verifichi esclusivamente i requisiti di competenza dei soggetti che voglio espletare l'attività di certificatori
  • Le tariffe e il numero dei soggetti che svolgono l'attività sia determinato dalla domanda e dall'offerta

Verificare la competenza ex-ante è utile se e solo se un soggetto certificatore non competente può combinare disastri di cui lo Stato non potrebbe accorgersi ex-post, neanche in via probabilistica (o se la probabilità è troppo bassa).  In caso contrario può richiedere al certificatore di assicurarsi, e far pagare risarcimenti punitivi/esemplari (ossia moltiplicati in base alla probabilità di rilevazione) se si accorge di un errore.  Se la società è ultraliberista possiamo pensare che il contratto tra certificatore e assicurazione specifichi anche le punizioni da comminare al certificatore in caso di grave inadempienza, previa decisione di un arbitrato.  (Il mondo reale, con il suo diritto penale, si avvicina alquanto a questo ideale.)

Se invece si pensa che sia necessario certificare ex-ante, perché lo Stato non può accorgersi della qualità del lavoro svolto, allora è necessario anche prevedere una tariffa minima, altrimenti la concorrenza porterebbe a collusione opportunistica tra chi si rivolge al certificatore e chi certifica, con prezzi bassi e scarsa qualità.  (In effetti, quello che si prevede è una tassa per chi fa certificare e un sussidio per chi certifica, ma la differenza evidentemente è di lana caprina.)

Pertanto liberalizzare NON vuol dire consentire a chiunque di fare il certificatore significa invece lasciare che tutti quelli che hanno i requisiti di competenza possano esercitare la professione e che possano liberamente competere sulle tariffe dei servizi prestati

Pienamente d'accordo, aggiungo che la competizione sulle tariffe c'è già.

Come si fa col solito paese sulla montagna dove nessuno vuole andare a fare il certificatore? Due pagine nel libro del buonsenso (non serve neanche quello di Economia) 

Bene, ragioniamo finalmente col buonsenso. In tutti i paesi con sistema notarile il numero è programmato e non libero e ciò essenzialmente per due ragioni:

a) garantire il servizio uniformemente su tutto il territorio (il notaio viene assegnato ad una sede ed ha l'obbligo di aprirvi lo studio e di essere presente un numero predeterminato di giorni a settimana) 

b) garantire l'efficacia dei controlli cui i notai vengono sottoposti, non sei ovviamente tenuto a saperlo, ma:

- ogni quattro mesi il nostro repertorio (ossia il registro dove annotiamo giornalmente gli atti stipulati) viene controllato dall'agenzia delle entrate, dato che, facendo da esattori e responsabili di imposta, passano per le nostre mani un bel po' di soldi del fisco

- ogni due anni tutti i nostri atti vengono verificati dal conservatore dell'archivio notarile per accertare eventuali nullità, violazioni di legge ecc.

Le uniche eccezioni alla regola del numero programmato sono l'Olanda, che ha eliminato il numero chiuso, mantenendo la serietà dell'accesso con la conseguenza di un modesto aumento del numero dei notai, ed il Quebec, in tutte le altre nazioni il sistema è molto simile all'Italia. Si può ovviamente cambiare (e come detto io non ho nulla in contrario), però il buonsenso ed il confronto internazionale  mi dice che forse la cosa non è così semplice.

 

Veniamo ai tuoi suggerimenti.

  • Un funzionario pubblico, che possiede i requisiti di competenza, svolge il servizio a fronte di uno stipendio fisso nei posti dove a nessuno conviere fare il certificatore di libero mertcato
  • in pratica stai suggerendo un aumento di spesa pubblica. Oltre al funzionario, tra l'altro dovresti anche considerare gli impiegati di supporto (diciamo almeno quattro ?) e i mezzi materiali, locali, computer, fotocopiatrici, telefoni, luce, riscaldamento ecc. Oltretutto, il funzionario deve essere anche ben preparato, perchè anche i cittadini che vivono nel pasino di montagna hanno diritto ad un servizio di qualità, conseguentemente il fiunzionario dovrà essere adeguatamente pagato.
  • Rendiamo deducibili le spese per chi non ha un certificatore entro x km da casa
  • Possibile, ma poco pratico. Alla signora di 85 anni che deve fare la donazione della casa al fglio e che non si può muovere da casa, non gliene importa niente del rimborso spese, vuole solo un soggetto che vada a casa sua a raccogliere le sue volontà (esempio banale, ma mi capita almeno quattro volte al mese). Inoltre, segnalo che anche questa soluzione si sostanzia in un aumento di spesa pubblica.

 

  • Rimborsiamo le spese a quei certificatori di buona volontà che periodicamente vanno in missione nella terra di nessuno

 

  • Ancora una volta, aumento di spesa pubblica.
  • Usiamo una web cam e un corriere espresso per i documenti originali e facciamo la certificazione in conference call

 

Te la vedi la signora di cui sopra in conference call ?

 

Che i professionisti siano impreparati, l'università troppo facile e gli esami pure, mi pare non sia esattamente conprovato dai dati sui fuori corso o l'età media con cui i giovani (o meglio dire, gli adulti) entrano nel mondo del lavoro da iscritti agli ordini.

A tal proposito si cita il consiglio all'italia il report all'Eurogruppo:

"Fully implementing the Services Directive, and liberalizing professional services. In particular, the role of professional associations ("ordini professionali") should be overhauled to ensure that it is limited to monitoring the quality of the services provided by their affiliates and do not create or perpetuate hidden barriers to entry"

A tal proposito si cita il consiglio all'italia il report all'Eurogruppo:

"Fully implementing the Services Directive, and liberalizing professional services. In particular, the role of professional associations ("ordini professionali") should be overhauled to ensure that it is limited to monitoring the quality of the services provided by their affiliates and do not create or perpetuate hidden barriers to entry"

E cos'è una "hidden barrier"? Quali sarebbero queste "hidden barriers"? Lo vuoi spiegare tu?

RR

è quello di affrontare il problema in soli termini normativi.

E' un fatto che il primo governo Prodi ha operato un'abrogazione storica, ma "il sistema" ha continuato a funzionare alla stessa maniera se non peggio.

Molti (forse la maggior parte) dei miei colleghi commercialisti preferisce essere il tramite necessario (la solfa dell'interesse pubblico) per cui il cliente passa per parlare con lo Stato, mentre completamente diversa è una visione della professione innovativa e competitiva come piacerebbe a me.

Ora, dire che sul piano normativo l'Italia sarebbe in teoria più liberale di altri Paesi lascia il tempo che trova, quando le prassi degli attori (primi fra tutti quelli pubblici) ed i business models sono completamente da rivedere.

Puoi spiegare la tua visione? Mi interessa molto.

N.B. Non sto scherzando.

Benchè il dibattito sui notai (funzioni, garanzie, retribuzioni, numerus clausus, paesini di montagna e anziane signore da cui raccogliere ultime volontà, alternative  etc. etc.) sia per me di grande interesse facendo una professione diversa ma avendo qualche occasione di frequentare notai per il mio lavoro, mi sembra che l'intento degli autori del pregevole articolo intendessero dal particolare andare sul generale, che penso sia di interesse anche per categorie professionali diverse dal notariato.

Mi permetto di porre qualche domanda di carattere generale, valida erga omnes:

- quanto è condiviso il concetto che l'attività professionale, sia essa giuridica economica o tecnica, costituisca un ambito specifico non sempre riconducibile all'attività di impresa?

- se si condivide il concetto (ripeto se), nasce il quesito successivo. L'attività di impresa è libera, ma l'attività professionale deve invece avere delle soglie legali di accertamento delle competenze indispensabili?

- se si ritiene che questo occorra, chi è giusto eserciti questa attività di controllo? Lo stato attraverso organi specifici? Le università? Associazioni professionali libere, anche in concorrenza fra loro? Terzi privati? Dato che le attività professionali sono molto specifiche, è fatale che il controllo coinvolga chi queste attività conosce a fondo in quanto le esercita, come evitare allora che vi sia corporativismo? Come evitare che vi sia un numerus clausus di fatto?

- Una volta ottenuta una qualsiasi patente, brevetto o iscrizione che sia, è giusto che non sia concessa a vita, ma sottoposta a controlli periodici. Su che basi e da parte di chi?

- E' giusto che vi sia una qualche autorità di vigilanza sulla qualità delle prestazioni e sui prezzi? Di che natura? Pubblica o privata?

A me sembra che il "comma Bombassei" che ho citato nel miei primi interventi risponda in senso negativo alla prima domanda, equiparando ipso facto l'attività professionale a quella d'impresa, il che rende le risposte alle domande che seguono abbastanza pleonastiche, demandando tutto alla cornice legale dell'attività d'impresa. 

Posto questo, il dibattito diventa abbastanza ozioso, e non resta che dire che "sarà quel che sarà", visto che nessuno ha la palla di vetro. Ma non accontentandosi di questa prospettiva, quali possono essere le linee guida di una reale riforma degli ordinamenti professionali in senso liberale, senza che ciò sia inteso (come mi pare qualcuno tenda a fare) come un abbandono dell'intero settore ad uno stato confusionale?

Queste sono le domande che da molti anni mi pongo.

GD

 

 

 

- quanto è condiviso il concetto che l'attività professionale, sia essa giuridica economica o tecnica, costituisca un ambito specifico non sempre riconducibile all'attività di impresa?

- se si condivide il concetto (ripeto se), nasce il quesito successivo. L'attività di impresa è libera, ma l'attività professionale deve invece avere delle soglie legali di accertamento delle competenze indispensabili?

 

 

Domande interessanti.

Che impresa e professioni fossero due mondi separati, come detto nel post, in passato era un dato di fatto non messo in discussione.

La tendenza è oggi quella di equiparare le due cose, sulla spinta soprattutto delle normative antitrust, in base al principio che, "se ti fai pagare per quel che fai, allora la tua attività non è diversa dalle altre". Il dibattito è acceso, ma la tendenza è comunque questa.

Ciò non implica tuttavia che l'accertamento preventivo  delle comptentenze ed i controlli inerenti siano questioni obsolete e superate.

E' vero infatti che l'attività imprenditoriale è libera, tuttavia, alcuni settori che coinvolgono interessi generali,  sono soggetti comunque a valutazioni preventive di idoneità all'attività di impresa: pensa alle banche, alle assicurazioni, al trasporto aereo, alle case di cura e così via.

quanto è condiviso il concetto che l'attività professionale, sia essa giuridica economica o tecnica, costituisca un ambito specifico non sempre riconducibile all'attività di impresa?

No. Qualsiasi attività può essere riconducibile ad attività di impresa.

Alle altre domande si può rispondere anche rispondendo no a questa.

A titolo di esempio:

se si ritiene che questo occorra, chi è giusto eserciti questa attività di controllo? Lo stato attraverso organi specifici? Le università? Associazioni professionali libere, anche in concorrenza fra loro? Terzi privati? Dato che le attività professionali sono molto specifiche, è fatale che il controllo coinvolga chi queste attività conosce a fondo in quanto le esercita, come evitare allora che vi sia corporativismo? Come evitare che vi sia un numerus clausus di fatto?

Ci devono essere più livelli di controllo.

Se la UE, posto che esistesse ancora, decidesse una buona volta di armonizzare, il più alto livello di controllo dovrebbe essere quello. Per quanto (e fintantoché) non armonizzato dalla UE, tocca allo Stato, che, citando il corrente PdC, può sì delegare ad associazioni professionali, ma non può abdicare totalmente (e rimane in ultima istanza suo compito quello di risolvere rapidamente eventuali degenerazioni, i.e. oligopoli o monopoli). La forma della delega però è importantissima. Delegare il controllo a chi rappresenta è una scelta indifendibile, che porta necessariamente a degenerazioni. Il controllo (che deve tutelare il consumatore) e la rappresentanza devono necessariamente essere distinti e separati.


 

Anche io non vedo la necessità di una distinzione tra professionista e imprenditore, anzi.

E non escludo nemmeno a priori l'opportunità o la necessità che un professionista sia soggetto ad un'abilitazione, ma solo che essa non dipenda in alcun modo dagli ordini, non sia soggetta a limiti quantitativi e non sia soggetta a periodi di praticantato, a meno che il praticantato non venga radicalmente riformato in modo che non costituisca una barriere all'accesso alla professione.

Mi permetto di porre qualche domanda di carattere generale, valida erga omnes

Pure io ho una domanda: perchè in Italia il dibattito sulla materia presenta queste caratteristiche? Perchè non è di dominio comune una comprensione dei concetti di base almeno del tipo, per dire, di una lista di FAQ?

Scrivo questa cosa mentre leggiucchiavo un po' il sito della National Society of Professional Engineersstatunitense, e le loro, di FAQ...

RR