Certo, non si può dire che questi non siano “soldi veri”, ma nemmeno che siano molti se è vero, com'è vero, che l'innalzamento (da 0.516 a 1 M€) del limite di compensazione debiti-crediti con l'erario comporta solamente ...... un “anticipo sul ritardo” di una modesta quota delle somme indebitamente trattenute dallo Stato, mentre l'istituzione di un fondo di garanzia per il credito alle PI potrebbe anche – ce lo si deve augurare, peraltro – non comportare alcuna uscita dalle casse pubbliche. Vediamo di fare chiarezza.
A tal fine, giova ricordare il fatto che l'attuale assurda normativa prevede il puntuale pagamento dei debiti del contribuente verso l'erario (tasse, imposte e quant'altro), senza che avvenga la medesima cosa a parti invertite (as esempio, crediti IVA legati all'esportazione), il che pare configurare un diverso valore di crediti e debiti, a seconda di chi siano il creditore ed il debitore: davvero non si capisce perché non debba essere automatica la totale compensazione, se non si assume la sudditanza come quadro di riferimento filosofico. D'altro canto, l'istituzione di un fondo di garanzia non costituisce automaticamente una spesa, dal momento che - trattandosi appunto di una garanzia statale su una parte dei finanziamenti concessi dalle banche alle piccole imprese, posta in essere per ridurne il rischio - l'esborso si avrebbe solo in caso d'insolvenza, che è ragionevolmente impensabile nella sua totalità e, tra l'altro, minimizzabile tramite l'utilizzo dei Confidi che conoscono il territorio e funzionerebbero da filtro. Inoltre la somma ad esso destinata (1,5 miliardi) pare anche decisamente insufficiente, per quanto fantasiosamente giudicata in grado di generare credito pari a 60-70 miliardi (considerando, dunque, una spropositata leva finanziaria pari a 40-45). Per di più, nemmeno è disponibile in unica soluzione, ma pare verrà spalmata su 3-4 anni, cioè non tutta con effetto nel momento dell'attuale difficoltà, ma in parte in un futuro nel quale il problema – si spera – sarà ormai risolto, pur con tutte le conseguenze sull'assetto del mondo come oggi lo conosciamo.
Va aggiunta l'informazione che Confindustria aveva chiesto al governo – sulla base di una delle tante idee uscite dal Consiglio Centrale PI e fatte sue dalla presidente Marcegaglia – di utilizzare a tale scopo l'accantonamento TFR che il precedente esecutivo – il più anti-imprenditoriale della storia d'Italia – aveva forzosamente sottratto al sistema produttivo per rimpinguare le casse dell'INPS (gestita, guarda un po', dai consueti compagni di merende ....). Si tratta di 5 miliardi – da mettere a disposizione per ottenere una liquidità di 80 miliardi, stimando una leva ben più prudente - che sono attualmente remunerati da lorsignori del clepto-sindacal-statalismo esattamente come facevano le aziende, cioè senza alcun vantaggio per i lavoratori, rendendo evidente che l'operazione non aveva senso economico, al di là di quello puramente politico e di potere.
Per quanto riguarda, inoltre, l'abnorme ritardo dei pagamenti ai fornitori da parte del Grande Fratello dalle mani lunghe – e dalle tasche bucate - siamo ancora alla fase delle promesse. Sia chiaro a tutti che non si sta parlando di una richiesta di agevolazioni, ma di un paradigmatico esempio d'inciviltà - absit iniuria verbis – giacché non si può discutere che si tratti di un diritto violato, per di più da parte di chi sanziona le altrui infrazioni. Comunque si eseguano i conteggi, la cifra in gioco è davvero stratosferica (la stima confindustriale si aggira sui 70 miliardi, l'esecutivo minimizza ma non ne contesta l'enormità) ed ha spinto anche l'egregio Mario Draghi a segnalare pubblicamente tale anomalia – un termine da usarsi solo se in vena di estrema cortesia - sollecitandone il contenimento sino ad un graduale rientro nei canoni della normalità: è pur apprezzabile l'impegno a tempi di pagamento di 60-90 giorni a fronte delle nuove forniture, ma – come per ogni azienda che, in un momento di difficoltà, voglia garantirsi la prosecuzione dei rapporti e, con essa, la continuità – non si può prescindere da un serio piano di rientro.
Si parla, invece, di una vaga promessa di certificazione del credito – senza farci mancare la consueta burocrazia dell'Ufficio Complicazione Cose Semplici per studiare le indispensabili modalità d'esecuzione a prova d'abuso, ça va sans dire .... – per poterlo scontare presso il sistema bancario, magari tramite la SACE, che probabilmente otterrebbe un compenso: una controllata dello Stato che farà business sul debito del suo controllante? Suvvia, siamo seri! Sarà peraltro opportuno far notare, a chi non lo sapesse, che la Cassa Depositi e Prestiti ha la disponibilità di cospicue risorse – pari, alla fine dell'anno 2008, a circa 100 miliardi – ed a nessuno sembra curioso che là rimangano in attesa di essere utilizzate per l'esecuzione di quelle infrastrutture alle quali sarebbero destinate, mentre i creditori delle amministrazioni pubbliche soffrono, incolpevolmente, una tale massa di mancati pagamenti.
I “soldi veri-veri”, invece, rimangono sogni, in attesa di ........ opportuno e ponderato studio. La riduzione di un carico fiscale – per non dire di quello contributivo, al quale colpevolmente nemmeno si accenna – che i confronti internazionali non mancano di collocare ai vertici delle classifiche, deve essere assoggettata ad ampia riflessione circa la compatibilità con il bilancio dello Stato. Eppure, da tempo ci si batte, al momento ancora invano, per una misura di detassazione degli utili reinvestiti in azienda che, oltre a presentarsi eticamente corretta perché sgraverebbe da prelievo somme che non costituiscono reddito, aiuterebbe la miriade di piccole aziende che costituiscono la finanziariamente fragile ossatura del sistema produttivo italiano ad affrontare meglio i momenti di difficoltà.
Pare ormai, finalmente, condivisa l'opinione che flessibilità e creatività, caratteristiche fino ad ieri vincenti di questa modalità del fare impresa, debbano essere affiancate dalla disponibilità di risorse da investire massicciamente in formazione ed innovazione, unica via per affrontare mercati sempre più concorrenziali: pur considerando che siamo ancora alle prese con l'incapacità – specie, come sempre, al Sud - di spendere i fondi comunitari da parte di una congrega di amministratori pubblici incapaci, è ovvio che tali risorse, lungi dal potersi cogliere sugli alberi, debbano essere rese disponibili consentendo alle imprese – specie alle PI, che hanno le tipiche difficoltà della modesta dimensione – di non trovarsi a dover cedere la gran parte dei propri utili alla sanguisuga fiscale. Alle parole, però, mai seguono i fatti correlati. La rapina continua imperterrita e finanzia, ad esempio, le immancabili regalie alle amministrazioni locali amiche - Roma, Catania e Palermo, che hanno dilapidato il dilapidabile – in aggiunta a costi per la politica vergognosamente superiori ad altri luoghi del pianeta – non solo nella generosissima Sicilia, che detiene il record mondiale dei dirigenti pubblici, ma anche nell'Alto Adige che premia il suo possente nocchiero con uno stipendio da far invidia a qualunque capo di Stato – e persino deficit sanitari apparsi dal nulla tra l'ipocrita sorpresa generale, ricchi premi e cotillons. Nihil sub sole novi.
Conseguentemente a quanto esposto e, in particolare, alla fastidiosa sensazione di esser presi per i fondelli che si prova ogni volta che si ha a che fare con le loro signorie illustrissime, gli incantatori di serpenti, verrebbe la voglia di concludere con uno scurrile anatema, ma in uno scritto che si proponga d'illustrare rigorosamente una tematica nei suoi aspetti tecnici e nei suoi risvolti pratici, pur utilizzando un linguaggio semplice e comprensibile ai non addetti ai lavori, non si dovrebbe indulgere a contumelie ed improperi vari. Facciamo così: senza che qui siano rese esplicite, il lettore si senta autorizzato a scegliere le sue “parolacce” preferite. Saranno sempre troppo cortesi.
Cionondimeno, sarà pure opportuno azzardare qualche idea, anche cercando di dare risposta alla prima e più diffusa obiezione che viene addotta – tutti chiedono, e mancano “i schei”, di questi tempi, poi ….. - sostenendo con forza che no, non è vero: manca, in realtà, la volontà politica di reperire le ingentissime risorse prelevabili dall'intervento sulle grandi aree di spesa pubblica. Ad esempio - tanto per essere chiari - non si capisce davvero perché l'Italia debba continuare ad essere l'unico Paese nel quale la pensione si raggiunge così precocemente. Basta uniformarsi al resto del mondo e decidere che – da ieri sera, senza blaterare di diritti acquisiti, gradualità ed altre simili amenità giacché, oggi, non è certo il momento – il sistema prevede il limite a 65 anni per tutti, legandolo, per il prosieguo, alla variazione dell'aspettativa di vita media. Il risparmio ottenibile in tal modo, come risulta da un documentatissimo studio del CERM, si aggirerebbe intorno allo 0,8% del PIL, abbastanza per coprire le somme impegnate in questo momento per la cassa integrazione in deroga (cioè destinata a chi non ne avrebbe diritto, perché non impiegato in aziende che hanno versato gli appositi contributi per costituire il fondo).
Ora, però, proviamo anche ….... a innescare la bomba. Si fa un gran parlare di solidarietà e si presentano anche proposte che – oltre a mirare ad una disperata dimostrazione di esistenza in vita del proponente - hanno il sapore della rivincita sociale (in chiave “anche i ricchi piangano” di matrice rifondarola) senza riuscire a procurare risorse di un qualche peso. Se vogliamo, invece, mettere in atto un provvedimento capace di fornire somme sostanziose, occorre ricordare che l'altro grande capitolo di spesa pubblica corrente - indipendentemente dal giudizio, diffusamente assai critico, che si voglia dare sulla qualità delle prestazioni lavorative che ne derivano – è costituito dalla voce stipendi della PA. Allora, se il momento è straordinario ed esige risposte straordinarie, ci vuole il coraggio di chiedere un piccolo contributo ai redditi garantiti, in favore di coloro che garantiti in tal senso non sono, potendo perdere il lavoro e, con esso, la possibilità di sostentamento. Tra l'altro, una scelta operativa che potrebbe migliorare la coesione sociale, da un lato facendo crescere la comprensione del fatto che "siamo tutti nella stessa barca" ed i sacrifici non possono che essere ripartiti, dall'altro riducendo il palpabile astio del mondo produttivo nei confronti di quello - a torto o, più probabilmente, a ragione - definito "della rendita" e "dello spreco". Anche perché, se è vero che i lavoratori privati perdono il posto ed i lavoratori pubblici no, il crollo dell'economia diminuirà il gettito, il che significa che lo Stato avrà meno risorse e non potrà certo pensare di aumentare ancora la pressione fiscale, innescando un circolo vizioso.
L'idea è certamente provocatoria, ma non è frutto di una solenne sbornia o di una digestione difficile – come indubbiamente riterrebbe la trimurti sindacale che, ormai, difende quasi solo gli interessi di pensionati e dipendenti pubblici, oltre ai propri privilegi, s'intende …. – dato che altrove si è presa questa strada: ad esempio, in Irlanda gli stipendi pubblici sono stati ridotti del 7%. In tal modo, sarebbe possibile anche spostare spesa pubblica da spesa corrente ad investimenti, prendendo due piccioni con una fava: da un lato, ordinativi al sistema produttivo che, così, garantirebbe posti di lavoro (ed introiti da imposte) anziché cassa integrazione e chiusure (con ulteriore aumento della spesa sociale improduttiva) e, dall'altro, ammodernamento del Paese e condizioni generali migliori per affrontare il futuro.
Sta di fatto, comunque, che qualche cosa di diverso – e rilevante - occorra inventarsi, dal momento che è chiaro come le attuali misure siano largamente insufficienti e denotino, soprattutto, l'incapacità di comprendere il funzionamento non solo del mitico “mercato”, ma semplicemente anche di un sistema produttivo efficiente. Era così anche per il precedente governo – fortunatamente presto deceduto, senza alcun rimpianto ma, purtroppo, già dopo aver procurato qualche gravedanno – dal quale, francamente, non ci si poteva aspettare alcunché di diverso, ma l'attuale esecutivo fa davvero ben poco di più ed il malcontento degli operatori economici – come anche la protesta dei sindaci del nordest, zona a grande diffusione di piccole imprese, dimostra – non fa che aumentare.
Insomma, basta con i giochi di parole e le promesse. Lavoriamo ed insistiamo, anche arrabbiandoci, per realizzare il sogno di un Paese normale, decisamente molto diverso da quello che Baffino D'Alema intendeva con questo termine.
Decisamente condivisibile al 95%. Vabbè, non allarghiamoci tanto, diciamo al 90%.
Il fatto è che questo NON è un paese "normale", ma solo "normalizzato".
Basta vedere che cappa di silenzio è scesa sulle dichiarazioni dell'AD di Atlantia, e successiva ritrattazione, circa l'intreccio perverso di favori e milioni scambiati con lo Stato.
E la Lady Lamiera EM che, giustamente, ci mancherebbe, rivendica soldi "veri" per le imprese, ci dica piuttosto come sono "veri" quelli che ha ottenuto dalla sua toccata e fuga da CAI/Alitalia dopo l'entrata di AF-KLM.
Che poi la coperta sia corta e serve altra stoffa, questo lo sa anche il mio gatto.
Il problema è che o ci si decide ad applicare il motto "idee magari poche, ma chiare" oppure non si va da nessuna parte.
Prendiamo il caso dei debiti delle PA nei confronti dei fornitori, nello specifico parlo degli Enti Locali.
Nel 2007 il mio comune ha sfondato il patto di stabilità interno di oltre un milione di euro non tanto perchè in situazione di deficit primario, quanto perchè noi, cozze dure, abbiamo voluto tenere fede a 2 impegni "normali": realizzare le opere contenute nel nostro programma e pagare le aziende che hanno lavorato per realizzarle.
Avevamo la situazione paradossale di avere conti aperti per circa 3 milioni di euro, avendo depositati presso la Tesoreria Unica, e quindi ANCHE a disposizione della Cassa Depositi e Prestiti, la bellezza di oltre 6 milioni di euro, ma in virtù del meccanismo cervellotico del patto (frutto del combinato disposto delle stratificazioni accademiche del duo Tremonti-Padoa Schioppa), potevamo spenderne, leggi pagare, non più di 2 milioni.
E per l'altro milione ? Semplice, il suggerimento che veniva da via XX Settembre era "pagate i fornitori l'anno prossimo".
Adesso gli stessi suggeritori sono quelli che dovrebbero far saltare fuori i soldi "veri" ?
E magari sempre tenendo la CDPP rimpinzata di liquidi peggio di un'oca all'ingrasso, al solo scopo di soddisfare le manie di grandezza di chi la statura non ce l'ha ?
Ma mi facci il piacere, mi facci... [cit. Totò].
Che poi ci siano enti locali che i soldi non ce li hanno del tutto, anche perchè li hanno bruciati in modi tra i più fantasiosi, questa è una verità assodata.
Ma, dato che la maggioranza ha i "fondamentali" ancora ben sani, tanto per cominciare, perchè non si estende la L.231 (ritardi dei pagamenti) anche a tutte le altre tipologie di appalti tipiche della PA, come quelle di pura prestazione di servizio ?
E soprattutto, perchè non si emana un de-cretino monoarticolo che tolga di mezzo il curioso impiccio per cui se il fornitore che ne ha titolo accetta la dilazione di pagamento proposta dalla PA, ma in cambio richiede l'applicazione degli interessi previsti dalla suddetta legge, sapendo che il cliente i soldi li ha in cassa (come era per il mio comune), poi il funzionario responsabile non da' parere favorevole per non poter essere accusato dalla Corte dei Conti di danno erariale per la cifra fuori bilancio corrisposta per gli interessi, ma allo stesso modo non autorizza il pagamento in sforamento del patto, sempre per non incorrere in sanzioni per omessa sorveglianza sui conti dell'ente ?
Ho fatto solo un'esempio di come si potrebbero facilmente superare molti ostacoli, la cui rimozione rimetterebbe in circolo, praticamente a costo zero, risorse tutt'altro che trascurabili e soprattutto subito accessibili, senza bisogno di astruse manovre, magari basate su ancor più astrusi calcoli di leve, ingranaggi, bielle, pistoni ed altri meccanismi finanziari di dubbia quantificazione ed ancor più dubbio controllo.