I soliti Mussi che volano

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A grande richiesta, commentiamo la proposta di Mussi sui nuovi concorsi da ricercatore. Veramente c'e' poco da dire: trattasi della solita minestra riscaldata. Il nostro giudizio: Procedura barocca, piena di scappatoie formali, che usa malamente il tempo degli esperti, senza toccare i problemi cruciali del reclutamento accademico in Italia. Insomma, fumo negli occhi.

La proposta di regolamento per il "reclutamento ricercatori"

(sembra di essere in caserma!), datata 3 maggio, la trovate linkata in quest'articolo del Sole 24 Ore. Il meccanismo e' ovviamente complicato (altrimenti che regolamento sarebbe?), ma si compone grosso modo di due fasi distinte.

Nella prima, la ANVUR (Agenzia

Nazionale di Valutazione dell'Universita' e della Ricerca) fa valutare

a sette esperti revisori estratti a caso da due liste da essa mantenute

la qualita' della produzione scientifica dei candidati. Questi giudizi

esterni vengono aggregati in una graduatoria in base alla quale una

commissione giudicatrice forma una lista ristretta di candidati.

Nella seconda fase della selezione, la

commissione giudicatrice valuta (a) i titoli scientifici e didattici,

(b) le lettere di presentazione, (c) i giudizi dei revisori esterni,

(d) una prova seminariale pubblica, (e) dei "pareri valutativi"

espressi da "strutture didattiche e

scientifiche dell'universita' " dove viene bandito il posto da

ricercatore. Questi cinque criteri non sono riportati qui a casaccio,

sono minuziosamente descritti nella proposta di regolamento

all'articolo 4, comma 5.

Entriamo un po' nei dettagli - noiosi ma

utili. La ANVUR non esiste ancora, e quindi finche' essa non nascera'

le liste di esperti revisori verranno curate dal Comitato per

l'Indirizzo e la Valutazione della Ricerca (CIVR). Le due liste sono

cosi' composte: la prima, da professori di prima fascia di universita'

italiane e da "dirigenti di ricerca degli enti pubblici di ricerca

italiani; la seconda, da studiosi "impiegati stabilmente presso

università o enti di ricerca stranieri o internazionali." Dei sette

esperti revisori chiamati a valutare la qualita' della ricerca del

candidato, cinque vengono sorteggiati dalla prima lista e due dalla

seconda.

Per la seconda fase, la commissione giudicatrice e' formata da tre

professori di prima fascia del macro-settore interessato, "designati

dalle strutture didattiche e scientifiche dell’ateneo" ove viene

bandito il concorso; e da quattro professori di prima fascia (della

stessa o di altre universita') "designati, in rappresentanza

dell’ateneo, dal senato accademico, che nomina altresì tra loro il

presidente." Infine, i concorrenti devono essere in possesso del titolo

di dottore di ricerca od equipollente (anche conseguito all'estero) e

"le selezioni saranno organizzate per "macro settori" disciplinari,

aggregati in base all'affinità: il ministero sta lavorando per ridurre

i settori dagli attuali 370 a 100" (dall'articolo di commento del Sole).

Siamo pronti per i commenti.

1)Tutto ‘sto po’ po’ di roba per i ricercatori? Quella

di ricercatore e’ la qualifica iniziale con cui si entra tra il

personale di insegnamento e ricerca in accademia. Per definizione

queste sono persone con minima esperienza di ricerca e di insegnamento,

pochi titoli, la cui valutazione e’ necessariamente imprecisa ed

aleatoria. Per questa ragione, i contratti migliori sono contratti a

tempo determinato (di solito dai 6 ai 9 anni - gli anglo-sassoni lichiamano

contratti “tenure-track”) con una garanzia di valutazione seria alla

fine. Non si spendono enormi risorse in valutazioni che sono per

necessita’ molto incerte; la tesi, un seminario, e le lettere bastano e

avanzano. La valutazione seria si fa dopo questo periodo, e li' si' che si valuta la produzione scientifica in dettaglio. In Italia i ricercatori hanno posto a vita (“tenure”).Questo

e’ un errore madornale. E’ inutile continuare a modificare il

meccanismo di selezione senza andare a incidere sull’elemento

fondamentale, il contratto.

2)E chi se ne frega, tanto tocca agli altri. Non a casola

procedura prevista dal progetto di legge e’ incredibilmente

dispendiosa soprattutto nella prima parte, quella fatta dagli “esterni”

prima che le liste siano definite. Qui si rischia di mandare 4.000

faldoni con papers e altro in giro per il mondo, richiedendo

valutazioni. Tanto questo lo fanno le segretarie, e poi si fa per

e-mail, non c’e’ nemmeno il costo del francobollo. I membri interni

della commissione, quelli che decidono, e quelli che hanno interesse ad

avere un candidato piuttosto che un altro, non fanno nulla. Ma gli

amerikani leggono, per il bene della patria. Servisse a qualcosa! Uno

di noi ha fatto il lettore della valutazione CIVR; e’ stato un

lavoraccio immenso, fatto perche’ straordinario. Ma ordinariamente,

tutti gli anni, non si puo’ fare. E soprattutto non per i ricercatori

(vedi punto 1).

3)Vabbe’, ma almeno si va nella direzione giusta, no?

Dopotutto, entra il giudizio degli stranieri (meno legato alla politica

di bottega) e si riducono i sotto-settori disciplinari (che sono

serviti da sempre come rendite dei baroni). L'articolo 5 comma 7,

pero', in modo del tutto innocente, dispone che "Nel caso in cui non

sia possibile reperire nella seconda lista di cui al comma 2 esperti

revisori per i profili richiesti, si prescinde dal loro contributo."

Ecco quindi gia' pronto il modo per liberarsi dei tanto strombazzati

"esperti revisori" stranieri che dovrebbero assicurare una specie di

controllo di qualita' dei concorsi, un'apertura internazionale di vasto

respiro, eccetera eccetera. Lo stesso per i settori scientifici: il

regolamento, al misteriosissimo articolo 2 comma 5, dispone che per uno

o piu' posti di un dato procedimento concorsuale "l’università può

richiedere nel bando uno specifico profilo scientifico,

espresso esclusivamente mediante l’indicazione di settori

scientifico-disciplinari di riferimento facenti parte del

macro-settore, nel numero massimo di due per ciascun profilo." Quindi

il tanto auspicato snellimento dei settori scientifici dagli attuali

370 a 100 in realta' viene svuotato di significato perche' comunque nel

bando di concorso si puo' indicare uno specifico settore scientifico,

un profilo appunto: chesso', l'economia degli esercizi di estetiste, o

delle imprese di facchinaggio, o cose simili. Se poi non si riusciranno

a reperire due revisori stranieri che siano esperti di imprese di

facchinaggio, pazienza, vorra' dire che i giudizi della prima fase

verranno formulati solo dai cinque esperti revisori italiani.


4) Chi comanda?! E

dissezioniamolo questo meccanismo. Facciamo i conti: nella prima fase

ci sono 5 italiani e 2 stranieri. E quindi gli stranieri fanno le belle

statuine, ma la maggioranza e’ degli italiani. Inoltre, la prima fase

non conta nulla, nemmeno gli fanno fare la lista ristretta a questi

della prima fase, e’ nella seconda fase chesi

decide. E qui, naturalmente gli “interni” all’universita’ sono 4 mentre

gli “esterni” 3. Insomma, tutto ‘sto casino per avere i 4 membri

“interni” che decidono.

5) Il meccanismo senza obiettivo.

Ma insomma, perche' tutto questo? Il progetto sviluppa un meccanismo di

selezione complesso e dispendioso senza che sia chiaro quale sia

l'obiettivo. Come le liste di esperti

nella prima fase vengano mantenute e chi siano

gli esperti che decidono chi sono gli esperti da mettere in lista, non

e' dato sapere; i criteri oggettivi che la

seconda commissione dovrebbe usare per estrarre la lista ristretta dei

candidati, non sono dati; e i misteriosi "pareri valutativi" espressi

da altrettanto misteriose "strutture didattiche e scientifiche

dell'universita'" cosa sono? Ma gli obiettivi sono ovvi, direbbero al

ministero, il progresso della ricerca in Italia. Beh,

in questo caso, invece di mettere in piedi questo sistema, uguale per

ogni universita' nella penisola, e Dio sa quante ce ne sono di inutili,

si pensi a come garantire agglomerati di qualita': non c'e' ragione

che l'Universita' di Buccinasco (non esiste, cosi' evitiamo l'email del

rettore) scelga candidati con pubblicazioni da Harvard, se li' si

insegna solamente. Il professore di fisica sperimentale

dell'universita' di Buccinasco deve fare ricerca? Deve avere il suo

laboratorio all'avanguardia? Magari un acceleratore di particelle tutto suo? Sapete quanto costa? Chi paga? E se non

c'e' il laboratorio allora non insegnamo fisica teorica a Buccinasco?

Non capire questo, e fare finta che le universita' siano tutte uguali,

porta l'Universita' di Buccinasco a girare intorno alle regole per

potere avere qualcuno che la fisica sperimentale l'abbia capita e la

sappia insegnare, anche se non fa ricerca, o ne fa poca. E una volta

che gira intorno alle regole, l'Universita' di Buccinasco, allora

tanto vale che per quella cattedra di fisica assuma il cugino del

preside o la figlia del segretario amministrativo.

6) Ah la Bulgaria dei tempi che furono!Il

primato della burocrazia! Non e' che chi ha un Ph.D. all'estero non

puo' fare domanda. Puo' farla, ma ci vuole l'equipollenza.

L'equipollenza, "ai soli fini della partecipazione allo specifico

procedimento concorsuale, è riconosciuta con provvedimento del rettore sulla base della documentazione presentata..." dai candidati stessi, per documentare il percorso formativo seguito. Ci vuole un provvedimento del magnifico rettore, capite?

Riassumiamo il giudizio sulla proposta: Procedura barocca (sostiene Mussi: complesso e' bene, suona che ci abbiamo pensato, e fa molto piano quinquennale bulgaro, che ad alcuni di noi piace molto), piena di buchi (sostiene Mussi: che senno' come fa l'universita' del posto dove sono stato eletto a chiamare chi voglio io?), con utilizzo libero di esperti (sostiene Mussi: coglioni che non stanno aspettando altro che la nostra chiamata per perdere tempo), senza toccare i punti cruciali (sostiene Mussi: vorrete mica trasformare i ricercatori in "precari"? almeno in accademia la flessibilita' no e poi no!).

State cercando il pelo nell'uovo,

direte voi. La riforma rappresenta comunque un passo avanti nella

direzione di una valutazione oggettiva dei meriti scientifici e

didattici dei candidati. Ma il problema vero e' proprio questa ennesima

sovra-regolamentazione di un processo che dovrebbe invece essere

snellito e decentrato. Come sempre in Italia, si vuole regolare fin nei

minimi particolari un processo che sarebbe meglio lasciato

all'iniziativa e alla responsabilita' dei singoli dipartimenti e delle

singole universita'. Che siano loro a decidere quali criteri usare per

le assunzioni, quali esperti consultare per avere un'opinione sui

candidati, come comporre la commissione interna che si occupa di

selezionare i candidati. Il tutto in modo consono con i propri

obiettivi specifici, siano essi di ricerca o di insegnamento, e con il

proprio posizionamento strategico rispetto agli altri dipartimenti

presenti in quel campo. Se poi i dipartimenti e le universita' vogliono

assumere solo parenti dei loro baroni, ovvero candidati chiaramente

inadeguati, mascalzoni e scalzacani, per motivi totalmente estranei

alla qualita' scientifica e didattica, che facciano pure: ne subiranno

alla lunga le conseguenze, venendo totalmente screditati con seguito

di prosciugamento dei fondi - almeno in un mondo ideale.

Ma, aime', qui non siamo in un

mondo ideale, qui al massimo siamo nel paese di pulcinella, dove anche

i mussi, pardon, gli asini, possono volare.

 

 

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Commenti

Ci sono 55 commenti

Direi che non fa una piega, credo che il fine principale di queste iniziative sia non dare l' impressione di disinteressarsi dell' università.

Sono d'accordo che la selezione dei ricercatori e docenti dovrebbe essere responsabilità delle singole università, e credo che gli accademici debbano restare "precari" a vita. Ho invece grossi dubbi sul fatto che gli atenei di serie C verrebbero schifati dagli studenti: la maggior parte sceglie l' università sottocasa, quella più facile o la città con più movida.Le università di provincia prosperano anche perchè non gli mancano gli studenti, e lo stesso vale per le specializzazioni più astruse o inutili.

Tra l'altro credo che il nostro mercato del lavoro giustifichi in parte questi atteggiamenti, sia per l' ampiezza del settore pubblico che per la scarsa meritocrazia ed utilizzo delle conoscenze tecniche che colpisce anche buona parte del settore privato.

 

sono d'accordo che alcuni  atenei di serie C avrebbero vita florida. ma va bene cosi'. che la gente vada dove vuole e che anche la domanda di movida sia soddisfatta. il punto che volevamo fare e' che e' ipocrita pensare che tutte le universita' siano/debbano essre  uguali, centri di eccellente ricerca.  se hai insegnanti pessimi dovrai avere qualcosa d'altro. vendi un bene diverso.

 

Non e' il pelo nell'uovo, e' proprio il cuore del prolema:

regolamenti cosi' "morbosi" rivelano l'assenza di incentivi

appropriati, sia dal lato della domanda sia dal lato dell'offerta.

Dal

lato della domanda, quando si reclutano i ricercatori, in Italia non

c'e' incentivo ad assumere i migliori, per il semplice motivo che

assumere una promessa o un evidente fallimento non fa differenza. La

farebbe se, per esempio, le valutazioni del CIVR venissero utilizzate

per allocare le risorse, ma cosi' non e' (cosa incomprensibile, se non

alla luce di quanto scomode siano queste valutazioni per chi percepisce

rendite accademiche). Ogni tanto capita che le commissioni siano

composte da persone sopra le parti e che il processo diventi veramente

competitivo, ma si tratta di "noise". Incidentalmente, il fatto che non

ci sia incentivo ad assumere i migliori spiega perche' in Italia non

esistano graduate school di qualita', dove appunto i migliori si

formano.

Dal lato dell'offerta, l'inamovibilita' del personale

accademico e il dogma della stessa paga per la stessa qualifica (a

parita' di anzianita), implicano che i ricercatori siano pagati alla

produttivita' media, che e' molto bassa, senza alcuna garanzia di

carriere veloci per i piu' produttivi (per esempio, al momento sono

possibili concorsi solo per essere assunti come ricercatori: tutto il

resto e' bloccato a tempo indefinito). A queste condizioni chi resta (o

torna) a fare ricerca in Italia lo fa solo per ragioni

extra-professionali, oppure perche' trova conveniente il tradeoff tra

assenza di controlli e "lifetime income" (ma e' improbabile che chi

trova conveniente questo tradeoff abbia interesse a fare  e

pubblicare ricerca di alto livello).

Punch line: e'

inutile regolamentare minuziosamente un sistema che non funziona

perche' intrinsecamente sbagliato, cosi' come inutile mettere toppe a

una barca che fa acqua perche' il legno e' marcio. Il rattoppo e'

costoso e, semplicemente, non puo' risolvere il problema. Peraltro, e'

assurdo che un regolamento di questo tipo venga proposto per il

reclutamento dei giovani e non per gli avanzamenti ai ruoli di

associato e ordinario, dove -- come tutti ben sapete -- avvengono

spesso porcherie inenarrabili.

Infine, una chicca: recentemente,

applicando parte delle riforme predisposte da Letizia Moratti, il

titolo di ricercatore e' stato abolito, almeno da alcuni atenei. Il

nuovo titolo e': professori aggregati. Viva Gorman!

 

Sulla valutazione condotta dal CIVR e sul suo mancato utilizzo per la distribuzione di finanziamenti alle Università, si veda il mio articolo sul "Riformista" 

http://scs.sa.infn.it/rubele/EUROSCIENCE/Rubele_Riformista.pdf

RR

 

Primaditutto, grazie ad Alberto e Giorgio che hanno accolto il mio (e immagino di molti altri) appello a commentare il progetto Mussi. Il commento è, come quasi sempre su NfA, brillante ed esauriente.

Faccio anche pubblica ammenda per essermi fatto trascinare dall'ottimismo riguardo al regolamento in questione. Mi erano infatti sfuggite le due "chicche" (comma 7, art.5, e comma 5, articolo 2) tese a depotenziare le uniche due novità rilevanti della proposta, cioè il coinvolgimento degli "stranieri" (reso di fatto facoltativo) e la scomparsa dei famigerati sotto-settori disciplinari (cacciati dalla porta e riammessi dalla finestra...). Al solito, in Italia siamo maestri indiscussi nell'uso dei commi per far dire ad un provvedimento l'esatto opposto di quello che una lettura superficiale (come la mia!) potrebbe far credere. Ma agli ottimi redattori di NfA, come noto, non la si fa!

Condivido anche le altre critiche e la loro "filosofia" di fondo. Ma a questo punto rimane la questione: che fare?

Per esempio, se il pessimo regolamento passasse in questa forma, è vero che si avrebbe solo un incasinamento ulteriore delle procedure, ma saremmo anche a soli quattro emendamenti da un sistema più serio, sia pur sempre non ottimale. Li elenco: emendamenti 1 e 2: cancellazione delle due chicche di cui sopra, em.3: ribaltamento delle proporzioni tra italiani ed esteri in commissione, em.4: estensione del regolamento a tutti i ruoli accademici). Chissà, forse un domani qualcuno potrebbe anche proporli, e farli approvare, questi quattro benedetti emendamenti...

Purtroppo, l'alternativa delle libere assunzioni, prefigurata da Alberto e Giorgio è tanto auspicabile quanto, ahinoi, utopistica. La sanzione "se assumi imbecilli, sarai anche tu considerato tale e quindi verrai remunerato di conseguenza" in Italia non funziona per una serie di ben noti motivi. Non ultima, e vi pregherei di non sottovalutarne la rilevanza, la nostra tradizione giuridica che ricerca nella regola scritta la conferma della validità di una qualsiasi procedura o deliberazione (tipo appunto l'assunzione pubblica: è anche, vi ricordo, in Costituzione), mentre rifugge come la peste le scelte libere e responsabilizzanti. 

Anche il discorso sull'ateneo di Buccinasco vale fino ad un certo punto, perché il dramma dell'Università italiana non riguarda (o riguarda meno) materie tipo la fisica o la chimica, dove si può distinguere tra didattica e ricerca in base ad attrezzature, laboratori, ecc., e dove il terreno di confronto è comunque internazionale, quanto materie tipo "storia dell'ateneo di Buccinasco", in cui vi sfido a trovare: a) esperti stranieri del tema in grado di valutare le pubblicazioni del candidato, b) qualcuno disposto a negare all'aspirante prof il suo diritto (!?) a fare ricerca su tale fondamentale argomento (e quindi alla sua struttura accademica il contestuale diritto ad auto-considerarsi una struttura di tipo "research", con relativa dotazione di fondi). 

Rimane quindi la domanda: che fare? Nella prospettiva L&E, le norme giuridiche non sono altro che una serie di incentivi e disincentivi per orientare il comportamento di agenti razionali al fine di massimizzare il benessere sociale. Anche le regole concorsuali devono dunque essere informate a tale obiettivo. Quelle di Mussi non vanno bene, ok, concordo (e mi pareva strano che da quelle lande potesse venire qualcosa di serio...). Ma chi propone un'alternativa concreta, subito operational, non utopistica?

 

Caro

Nicola, grazie per averci chiesto di farla questa analisi del provvedimento. Anche

noi lo abbiamo letto e abbiamo detto, “beh, non pare male.” Poi a una seconda

lettura....

Rispondiamo

alla tua richiesta finale di “un'alternativa

concreta, subito operational, non utopistica.” Non siamo d’accordo!!! Con cosa, dirai. Beh, con la premessa che

una tale alternativa concreta i) esista, ii) sia utile sforzarsi di produrla. Noi

butteremmo tutto a mare. Ma per davvero. Ogni tentativo di compromesso ha avuto

effetti perversi. Ed e’ chiaro il perche’. Perche’ per salvare il poco

salvabile (l’obiettivo del compromesso) si finisce per pagare oro la

spazzatura.

Ma proprio la

vuoi una alternativa facile facile ? Riduciamo i fondi di dotazione delle

universita’ del 25% e garantiamo borse di studio per studenti undergraduate ammessi

a una universita nelle top 100 al mondo (italiana o non italiana) sulla base di

un ranking indipendente fatto bene (ce ne sono tanti, se ne puo’ fare uno

apposta per evitare moral hazard). Che l’Universita’ della Calabria competa con

l’Ecole Polytechnique e con l’Universita’ di Essex per quel 25% di fondi. Lo stesso per i fondi di ricerca : a ricercatori italiani senza vincoli di

affliazione universitaria, con un meccanismo di scelta tipo NSF o similari (ce

ne sono in tutto il mondo e funzionano benissimo, sara’ mai impossibile in

Italia ? Noi abbiamo fatto reports

per le agenzie di ricerca di USA, UK, Israele, Belgio, Canada, e non ricordiamo

quali altre, ma ricordiamo bene che non l’abbiamo fatto mai per il CNR; che

chiuda il CNR e che si paghino le istituzioni inglesi per farlo, che loro lo

sanno fare bene). Che Pasinetti e Zamagni competano con Battaglini e Persico.

Solo

questo. A questo punto vedrai che sara’ la Bocconi e Bologna e chi altro abbia

obiettivi di ricerca a chiedere che i ricercatori possano essere assunti con

contratto a termine e che chiederanno di pagare gli ordinari con contratti

liberi di diritto privato.

Alberto e Giorgio

 

 

 

Ma proprio la

vuoi una alternativa facile facile ? Riduciamo i fondi di dotazione delle

universita’ del 25% e garantiamo borse di studio per studenti undergraduate ammessi

a una universita nelle top 100 al mondo (italiana o non italiana) sulla base di

un ranking indipendente fatto bene (ce ne sono tanti, se ne puo’ fare uno

apposta per evitare moral hazard).

 

Esatto! La cosa tra l'altro ha applicabilita' universale, non solo italiana. Qualche anno fa, qui in Hong Kong, l'allora Financial Secretary noto' che con quel che le universita' locali costano al contribuente si potrebbero pagare a ogni studente tuition fees e soggiorno in ottime universita' all'estero. Il problema pero' e' che i reali beneficiari della spesa in education (terziaria o no) non sono gli studenti, ma il personale scolastico, dai docenti giu' fino ai bidelli... Se non fosse cosi', forme di sussidio che migliorano l'efficienza del sistema scolastico, come l'uso di vouchers, sarebbero state adottate da lungo tempo.

 

io voglio spendere un'altra lancia (l'ultima, che poi mi annoio) a favore delle politiche economiche giuste anche se "inapplicabili". Cosa vuol dire "inapplicabili"? quale vincolo le rende tali? se fossero vincoli di tecnologia o di informazione, vabbe'. ma il vincolo politico non e' mio compito considerarlo. io non sono in parlamento. io scrivo su un blog. cerco di convincere la gente che mi legge che le alcune politiche economiche oggi in vigore  danneggiano la maggioranza. mi si dice "e' inapplicabile"  non perche' la proposta lede gli interessi della maggioranza. me lo si dice per il fatto che una maggioranza della popolazione e' contraria alla mia proposta di politica economica perche' non la comprende, cioe' perche' non ha diretto interese e non ha modo e tempo di pensarci e quindi ragiona ideologicamente,. questo non e' problema mio; o meglio lo e' solo nel senso che dovrei provare a convincerli. mi sidice "e' inapplicabile" per  il fatto che il parlamento non e' a favore della mia proposta perche' i parlamentari hanno interessi personali che la proposta danneggia. ancora una volta:  non e' problema mio; o meglio lo e' solo nel senso che dovrei provare a convincere gli elettori che si stanno facendo fottere.

io non faccio politica. io faccio economia. ma come faccio a convincere qualcuno se non appena argomento a favore della mia politica mi viene detto "non e' implementabile, producimi un compromesso"? e mi viene detto in un consesso di discussione, come questo, non in parlamento.  e mi viene detto per inapplicabilita' politica, non di tecnologia e informazione. mi spiace ragazzi, questi argomenti sono logicamente scorretti. e' come dire: non puoi argomentare che A e meglio di B, perche' B e' in vigore. ma e' proprio per il fatto che B e' in vigore che voglio provare a suggerire A. questi argomenti  tirano acqua al mulino di chi e' contrario alla proposta per ragione di interessi privati ed e' contrario allo status quo sempre per ragioni privati. cosi' non si fa dibattito intellettuale.

 

 

Non vorrei essere frainteso. Io ammiro (non sempre, ma quasi) quanto fate e proponete su NfA. Soltanto mi piacerebbe che almeno quando si parla di università, settore dove NON è del tutto vero che nessuno di noi può fare davvero nulla, assumeste un atteggiamento più pragmatico, forti della vostra esperienza d'oltreoceano. E' già capitato di discuterne riguardo alla valutazione delle ricerca, ora ci ritorniamo in tema di regole concorsuali. Scusa Alberto, ma mi pare un po' un alibi dire "non sono un politico, sono un teorico, cosa posso fare?". Nel campo dell'accademia ciascuno di voi ha certamente agganci, contatti, conoscenze in Italia e quindi colleghi a cui dare utili suggerimenti concreti per migliorare le cose,invece che limitarsi ad impartire lezioni astratte "from the ivory tower".

E ribadendo la massima stima nei vostri confronti, credo che il punto sia proprio questo. Lavorando in America potete permettervi - anzi, avete il diritto ed il dovere (beati voi!) - di stare in una torre d'avorio e scrivere da essa. Potete, in breve, rimanere "puri". Chi lavora in Italia, invece, se vuole davvero incidere sul funzionamento dell'accademia - e soprattutto se è animato dalle migliori intenzioni - deve per forza "macchiarsi", cioè dotarsi di, e affinare, istinti "politici" (= saper costruire e "vendere" soluzioni di inevitabile compromesso). Perché questo il sistema richiede. E perché solo usando tali istinti potrà, se vuole, davvero incidere sulla realtà e possibilmente migliorarla. Chi non lo fa, chi rimane "puro" anche in Italia, è condannato purtroppo all'irrilevanza, ovvero a lasciare campo libero ai molti che tali istinti li usano per ben altre finalità. E quindi viene meno a quello che, a mio avviso, è un suo preciso dovere di accademico in un contesto come quello italiano

Dite che questo significa adeguarsi al sistema? E' verissimo (vedi mia risposta di oggi a Giorgio), ma le soluzioni "pure" tipo exit o voice non mi pare che abbiano la capacità di incidere sul sistema stesso. E se usando l'istinto "politico" riesco ad ottenere un certo risultato, ho il diritto di essere giudicato in base ad esso (migliora o no lo status quo? ci avvicina o no all'obiettivo finale, cioè il modello USA?), piuttosto che per il modo in cui l'ho raggiunto o per il fatto di non aver "inseguito l'impossibile", come dice Michele.

In fondo, ciò che chiedo a voi di NfA - e lo chiedo a voi proprio perché so che potete farlo - è solo di aiutare chi prova a condurre tale battaglia, scendendo dalla "torre"  e suggerendo ricette implementabili.  

 

Io davvero non vi capisco, davvero.

Ma non vi rendete conto che il "fattibile" per eccellenza e' stare fermi?

Ma Tommasi di Lampedusa (o, nel caso vogliate qualcosa di figo che pochi conoscono, De Roberto) vi e' mai capitato di leggerlo?

Ma non riuscite proprio a rendervi conto che, ovunque nel mondo e nella

storia, le cose son cambiate solo quando (condizione necessaria, non

sufficiente) qualcuno si e' scordato della fattibilita' politica della

proposta?

Ma non avete ancora capito che il vecchio slogan di "soyon realistes

exigeont l'imposssible, etc" mica era una burla! Era un manuale di

scienze sociali riassunto in uno slogan ...

Insomma: lo fate o lo siete?

Alternativamente: non e' che vi piace l'esistente e, allo stesso tempo, campate facendo finta che non vi piaccia?

Cosi', tanto per fare un'ipotesi ...

P.S. Da Barcellona, dove qualche tempo fa qualche demente con un cognome da vino piemontese accentato ha provato a chiedere, nel suo piccolo, l'impossibile.

 

 

Per quanto impossibile è questa LA strada da seguire.

Anche io non sono convinto delle argomentazioni di Nicola anche se non

dubito della sua buona fede (!). La cosa folle dell'universitaitaliana è

che come la metti la metti sei un colluso. Se accetti la proposta di un barone

per quanto tu possa sentirti legittimato dal tuo curriculum in realtà diventi

anche tu complice nella messa in scena di questa farsa pietosa ed al suo

orribile perpetuarsi.

Ma ci rendiamo conto o no della mostruosità del meccanismo concorsuale? E della pochezza della proposta del Seboso Mussi?

Non c'è approccio cerchiobottista che tenga, Michele ha ragione e nello

slogan rivoluzionario che cita c’è la vera chiave etica per uscire da questa

empasse.

Purtroppo però qui siamo in italia e di rivoluzioni proprio non se ne vedono

all'orizzonte...

PS: Dovrebbero essere i giovani dottorati, gli assegnasti di ricerca, e gli

altri che vanno sotto la grande insegna del precariato i primi ad esigere un

cambiamento, a chiedere trasparenza ed ammodernamento ma anche qui c’è qualcosa

che non torna. Anche qui le priorità sembrano essere altre e l'avanguardia dei

ricercatori-precari propone come soluzione l'assunzione di massa....

 

probabilmente abbiamo una concezione diversa della professione di economista. Per Lei l'economista è come il fisico, vive nel mondo delle idee; per me l'economista è talvolta fisico talvolta ingegnere e l'ingegnere non progetta ponti che starebbero in piedi solo se valessero condizioni teoriche assurde, ma progetta ponti che stanno in piedi nella sporca realtà di tutti i giorni. Putroppo non ci sono solo vincoli tecnologici e di informazione, ma ci sono anche vincoli politici, come tanta letteratura economica insegna. Va benissimo indicare la soluzione ottimale, poi però ci si dovrebbe impegnare per raggiungere un second o un third best che è sempre meglio dello schifo in cui viviamo.

 Detto questo, la proposta mussi certamente fa pena e non porta né a un second né a un third best, non è in difesa di mussi che criticavo la vostra proposta. Penso semplicemente che ci può essere un compromesso, una via di mezzo, che può essere raggiunta solo con la collaborazione di tutti, voi compresi. Tutto qua.

 

andrea, non e' con logica claudicante che puoi sostienere posizioni di superiorita' morale ("abbiamo diverse concezioni dell'economia e, implicitamente, la mia e' superiore. Se io  fossi come il fisico scriverei nel blog di equilibri markoviani in spazi di Haussdorff. Ionvece mi occupo del ponte. Ma mi preoccupo che il ponte regga le auto. Tu vuoi un ponte fatto di carta perche' il politico di turno non accetta altro. Ma se nessuno lo dice come e' fatto un ponte vero, saranno sempre di carta. E se al primo che dice che i ponti vanno fatti in cemento armato, tutti dicono, "ma sei un fisico terico utopista, io, moralmente superiore, mi adatto a farli di carta", in che mondo siamo? E comunque, a te qualcuno ha chiesto di fare un ponte? A me no. Io, da economista, giudico il ponte di un altro e dico che non tiene. O forse tu ingegnere eticamente superiore saresti disposto a firmare una verifica che il ponte tiene perche' il politico che lo ha costruito pensa cosi'?