Questa è una piccola e banale storia di ordinaria giustizia penale, che però ci aiuta a capire il successo del nostro Presidente del Consiglio. Un mio amico e collega notaio, che per comprensibili ragioni chiameremo col nome di fantasia di "Romolo Romani", ha avuto l’onore di ritrovarsi imputato in un processo penale per circonvenzione di incapace.
Questi i fatti.
Nel 2009 il nostro Romolo Romani stipula l’atto di vendita di un appartamento. A vendere è una elegante signora di poco meno di sessanta anni, che rivende una casa che ha acquistato due anni prima, a comprare sono due coniugi, a mediare il tutto ci sono due agenzie immobiliari. Un atto del tutto ordinario, senza nessuna particolarità: prezzo interamente pagato e dichiarato in atto, assegni circolari tutti intestati alla venditrice, atto stipulato senza alcuna fretta sospetta ed anzi preceduto da un prolungato scambio di e-mail con gli acquirenti per questioni collegate alla tassazione.
Insomma, un atto come se ne fanno tanti, senonchè, tre mesi dopo la firma, il mio amico riceve una telefonata da un avvocato che gli comunica di essere stato nominato tutore della venditrice, dato che la stessa, un mese dopo aver sottoscritto l’atto, è stata interdetta, perchè incapace di intendere e di volere in quanto schizofrenica. Il povero Romolo Romani casca dalle nuvole, perchè la signora non manifestava nessun sintomo apparente di incapacità e del resto nessuno, nè gli agenti immobiliari, nè gli acquirenti, nè gli impiegati dello studio, ha avuto sospetti. La cosa sembrerebbe finita lì, ma a maggio dello scorso anno due carabinieri si presentano nello studio del notaio, per sentirlo come “persona informata sui fatti”, dato che il figlio della signora ha presentato denuncia per la circonvenzione della madre, avanzando sospetti verso il di lei commercialista, che si sarebbe fatto pagare parcelle ingiustificate e, forse, appropriato di parte del prezzo incassato.
A quel punto il mio amico commette un errore fatale. Invece di fregarsene bellamente e dire che, dato il tempo trascorso non ricordava bene nè la signora, nè i fatti avvenuti al momento dell’atto di vendita, decide di aiutare la Giustizia (con la G maiuscola) e quindi fornisce ai Carabinieri una copia di tutto il materiale in suo possesso, risponde il più dettagliatamente possibile alle domande e, tra le altre cose, afferma che “la venditrice, al momento dell’atto di vendita, appariva del tutto presente a sè stessa”. Soddisfatto per aver dato il suo contributo di bravo cittadino, se ne sta per andare in vacanza, quando a luglio gli arriva una lettera dalla procura delle repubblica, con la quale il Procuratore gli comunica che lo ha sottoposto a indagini assieme al famigerato commercialista (che lui non sa neanche chi sia). La motivazione per la quale è indagato (tecnicamente il capo di imputazione) è proprio la famosa frase detta ai Carabinieri.
La notizia è di quelle che tolgono il sonno, anche perchè il mio amico è uno di quei notai precisi e prudenti in maniera quasi maniacale e non riesce a capacitarsi di essere visto come complice in un reato - dal suo punto di vista - infamante. Poichè è comunque un uomo di legge, sa che l’azione penale è obbligatoria e quindi, con rassegnazione e fiducia nella Giustizia (sempre con la G maiuscola) si difende: nomina non uno, ma due avvocati, dato che, per ragioni procedurali che non è il caso di spiegare in questa sede, la procura competente è a trecento chilometri da casa sua; scrive un lungo memoriale, raccoglie le testimonianze degli agenti immobiliari e degli impiegati del suo studio, deposita il tutto in Procura e chiede di essere sentito dal PM. In una calda giornata di agosto, mentre l’Italia è al mare, si fa un viaggio di trecento chilometri e viene sentito, come indagato, da un colonnello dei Carabinieri (delegato a raccogliere le dichiarazioni), il quale candidamente gli dice: “notaio, non so proprio cosa chiederle, dato che è evidente che lei non c’entra nulla con questa faccenda”.
A questo punto Romolo Romani è sollevato, pensa di essersi preso solo un bello spavento e attende fiducioso l’archiviazione, ma le cose non sono così semplici, dato che a febbraio di quest’anno gli arriva un’altra comunicazione, con la quale viene informato del fatto che il Procuratore della Repubblica chiede il suo rinvio a giudizio per la complicità nella circonvenzione della famosa signora. La situazione gli appare davvero inverosimile, anche perchè, dopo aver preso visione del fascicolo del PM, scopre che su di lui, a parte la famosa dichiarazione fatta ai carabinieri (“la signora era presente a sè stessa”) non c’è stato nessun atto di indagine. Anzi, il famoso colonnello dei Carabinieri, nel trasmettere gli atti al Procuratore, ha evidenziato, addirittura in neretto, che a suo parere il notaio è del tutto estraneo ai fatti. In generale, poi, sono proprio le indagini che sembrano fare acqua da tutte le parti, dato che si procede per circonvenzione senza aver fatto nessuna verifica, in fondo banale, su chi ha incassato gli assegni, su chi si è appropriato dei soldi, sui rapporti effettivi tra il commercialista e la sua cliente, su cosa ha fatto la signora dopo la vendita e cose del genere. Invece non c’è nulla di tutto ciò, se non la denuncia originaria del figlio (peraltro poco circostanziata), le testimonianze raccolte dai Carabinieri, del tutto generiche, e i documenti che il mio amico si è premurato di fornire.
Nient’altro, nicht, nada, nothing.
A questo punto arriviamo ad aprile di quest’anno, data in cui è fissata l’udienza preliminare davanti al G.U.P. Il mio amico, dopo avermi raccontato la sua avventura, ringrazia la fortuna perchè la vicenda sta venendo trattata lontano da casa sua, altrimenti la notizia di un notaio indagato sarebbe certamente uscita sul giornale locale, con tutte le conseguenze del caso e mi chiede di accompagnarlo anche perchè in passato sono stato magistrato e il Tribunale è vicino a dove io abito. L’udienza preliminare, che dovrebbe filtrare i giudizi inutili da quelli che hanno un minimo di fondamento, è una esperienza grottesca. Il giudice è seduto dietro una scrivania, sommerso da una trentina di fascicoli, gli avvocati con i clienti stazionano nel corridoio ammassati l’uno a l’altro, in attesa che venga il loro turno, il tutto in un’atmosfera che appare lontanissima dall’ideale di Giustizia. Il PM - per tutti i processi che precedono quello del mio amico - chiede il rinvio a giudizio "a prescindere" e il GUP, per tutti tranne uno, si adegua alla richiesta. L’avvocato del luogo ci fa infatti sapere che questo giudice tende ad appiattirsi sulle richieste del PM e quindi, a questo punto, la prospettiva di un rinvio a giudizio si fa concreta.
Perciò, quando arriva il suo turno, il mio amico chiede di essere giudicato col rito abbreviato, vale a dire che il giudice deve decidere esclusivamente sulla base delle carte che stanno nel fascicolo del PM che, come abbiamo visto, era decisamente lacunoso. Dopo che l’avvocato del nostro Romolo Romani presenta la richiesta per l’”abbreviato”, la situazione si fa comica. Il PM, che un attimo prima stava per chiedere il rinvio a giudizio, dice testualmente "un attimo signor giudice, che mi devo leggere le carte". Sfoglia il fascicolo per cinque minuti, forse anche meno, e quindi chiede la assoluzione del mio amico, dicendo "il notaio non poteva essere a conoscenza dello stato mentale della signora", oltre a richiamare altre motivazioni contenute nella memoria già presentata al Procuratore. La richiesta viene ovviamente accolta dal giudice, che assolve con formula piena. In sostanza, la richiesta di rinvio a giudizio era stata fatta - se perdonate il tecnicismo giuridico - a cazzo di cane, dato che è bastato sfogliare le carte per meno di cinque minuti per accorgersi della evanescenza dell'accusa.
Romolo Romani, oltre alla comprensibile preoccupazione e ad aver passato mesi con l'incertezza di un processo penale pendente sulla sua testa, si è dovuto pagare due avvocati per una vicenda che, dall'inizio, era palesemente inconsistente nei suoi confronti. Al termine dell’udienza, il mio amico, che tutto è tranne che un berlusconiano, ha pronunciato la seguente frase: “ma allora Berlusconi non ha tutti i torti quando parla male dei PM!”. Ed in effetti c'è da chiedersi cosa sarebbe successo al suo lavoro se la richiesta di rinvio a giudizio fosse stata pubblicata sui giornali e, più in generale, quale può essere la condizione di un cittadino sprovveduto di fronte ad un meccanismo che decide così superficialmente delle sue cose. Oltretutto, anche la povera signora interdetta - vittima di un possibile reato - non sarà minimamente tutelata, perchè se è vero che il notaio non c’entra nulla coi fatti, è altrettanto vero che la posizione del commercialista appare molto più torbida e sospetta. Solo che l’indagine è stata fatta talmente male che, con ogni probabilità anche lui sarà assolto nel processo che continua, dato che lui è stato rinviato a giudizio.
Ora, io sono perfettamente cosciente della difficoltà e complessità del lavoro dei magistrati e del fatto che molti sono costretti a lavorare in condizioni inaccettabili, tuttavia i fatti accaduti spiegano perchè, quando Berlusconi attacca i giudici, guadagna voti. L’esperienza vissuta dal mio amico è probabilmente condivisa da centinaia di migliaia di italiani i cui amici e parenti si fanno una precisa idea della magistratura. Su queste persone BS ha gioco facile nel dipingere i magistrati come una "casta di fancazzisti ed incompetenti, borderline criminali", approfittandone però per proporre e/o far approvare soluzioni ben peggiori del male, il cui elenco è troppo lungo per riproporlo qui.
Oltretutto, gli attacchi di Berlusconi spingono per reazione i magistrati ad arroccarsi ancora di più, con ciò facendo perder loro di vista quello che dovrebbe essere un obiettivo primario, ovvero è l’efficienza dell’azione giudiziaria. Magari il Procuratore che ha così malamente gestito l’inchiesta ha da smaltire un numero X di fascicoli superiore a quello che consente di leggere e valutare con un minimo di raziocinio gli atti. Nel qual caso, non è a lui che si dovrebbe dare la colpa, bensì alla corporazione che, per esempio con il sistema di carriera economica per anzianità, si mangia tutte le risorse economiche mantenendo un numero di giudici inadeguato alle necessità (in Germania ad esempio sono circa 22.000 per 80 milioni di abitanti, in Italia neanche 9.000 per 60 milioni). Insomma, la soluzione non sono le pseudo riforme di Berlusconi, che a tutto mirano, tranne che a migliorare realmente le cose, nè il mantenimento dello status quo dell’attuale sistema di valutazione e carriere per i magistrati, perchè garantisce l’immobilismo. In definitiva, e tornando al titolo del post, si potrebbe dire che, se Berlusconi ha torto, i giudici non per questo hanno ragione.
Ho avuto qualche contatto con la magistratura (per fortuna solo come "persona informata dei fatti")verso la metà degli anni '80, quando io lavoravo in banca e SB non si occupava di politica. All'epoca me ne feci un'opinione non troppo diversa da quella descritta nel penultimo paragrafo del post.
Nello stesso periodo coloro che adesso sono gli avversari politici di SB raccontavano che l'URSS era il paradiso in terra.
Oggi in una disputa fra SB e "i magistrati" io credo a SB. Eppure non ho mai commesso un reato, non evado il fisco, non frequento prostitute minorenni etc.
Io, per principio, tendo a non credere a qualcuno di default e, in generale, mi pare alquanto improbabile che le ragioni stiano solo da una parte ed i torti dall'altra.
Quel che posso testimoniare in prima persona - fortunatamente solo per quanto riguarda la giustizia civile, e limitatamente ad un paio di episodi - mi ha fatto, da tempo, completamente perdere la fiducia nell'operato della magistratura. A prescindere da Berlusconi, le cui parole - che ultimamente hanno raggiunto straordinari vertici di follia - mi appaiono solo il sintomo di un Paese in sfacelo.