L'opinione tradizionale sulla tassa
Gli economisti sono in genere molto scettici sull'efficacia di una tassa sulle transazioni finanziarie. Essi ritengono che sia molto difficile raggiungere i due obiettivi che i sostenitori di questa tassa ritengono possa realizzare: ridurre la volatilità dei mercati e raccogliere somme rilevanti. Un'aliquota troppo piccola, si dice, non attenua la volatilità dei mercati ma evita elusione e riesce a raccogliere somme importanti. Un'aliquota troppo elevata, invece, potrebbe ridurre la volatilità ma farebbe fuggire i capitali verso altri lidi e quindi di fatto risulterebbe inefficace anche ai fini del primo obiettivo spostando le transazioni verso attività finanziarie over the counter (OTC) o su mercati regolamentati ma nei quali la tassa non si applica.
L'appello in sintesi
L'approccio dell'appello sottoscritto da 130 economisti è leggermente differente e si propone di introdurre degli elementi di novità nel dibattito tradizionale. Si parte dall’osservazione del fatto che il problema della volatilità dei mercati finanziari e delle loro turbolenze non si risolve con una tassa sulle transazioni ma con un insieme di iniziative molto più complesse che investono la regolamentazione complessiva dei mercati. Tali iniziative riguardano il problema degli incentivi perversi all'eccessiva assunzione di rischio per le istituzioni finanziarie "too big to fail", l'ipotesi di regolamentazione dei mercati OTC, la riforma delle regole di capitalizzazione delle banche (prociclicità dei buffer di capitale, costituzione di accantonamenti ulteriori per fronteggiare il rischio di liquidità) secondo un approccio diverso da quello di Basilea III, che non prezza sufficientemente la differenza di rischio tra la tradizionale attività di intermediazione e quella di trading, il ruolo delle società di rating, la separazione tra attività di trading e di intermediazione e l'evitare che i processi originate to distribute allontanino troppo il cliente dalla banca riducendo l'incentivo ad un'efficiente allocazione del credito.
Relativamente alla questione della volatilità e del rischio dei mercati si riduce dunque la portata di ciò che potrebbe realizzare la tassa al meno ambizioso possibile obiettivo di ridurre le transazioni ad altissima frequenza in mercati regolamentati (sia l'attività degli scalpers che quelle delle piattaforme ad alta frequenza degli istituzionali) e sui quali si applica la tassa visto che per queste ultime anche aliquote molto piccole possono incidere pesantemente sulla redditività delle operazioni.
Ci si concentra poi sul secondo obiettivo: quello di raccogliere somme importanti da destinare ad alcuni possibili obiettivi (finanziamento beni pubblici globali, lotta alla povertà, riequilibrio del prelievo fiscale tra capitale e lavoro, riduzione dei debiti pubblici nazionali, riduzione di altre imposte). Su questo punto si insiste in modo particolare sul fatto che non è vero che un'aliquota del tipo di quella proposta (5 per 10.000) non è applicabile, se non su tutti i mercati finanziari contemporaneamente, pena la fuga dei capitali. La nostra convinzione parte dall'osservazione dei 23 episodi di applicazione di tasse simili in un solo mercato su importanti piazze finanziarie prevalentemente di paesi ad alto reddito che non hanno messo in crisi tali mercati. E dalla constatazione che una rassegna di circa 20 studi sulle elasticità dei volumi di transazioni a tasse di simile entità appare contenuta o comunque non tale da generare, se applicata all'aliquota proposta, spostamenti particolarmente significativi di capitali.
Si ragiona poi brevemente su quanto ci si può aspettare di raccogliere con una tassa siffatta a seconda del perimetro geografico e di attività finanziarie cui la tassa si applicherebbe.
Nell'ultima parte riflettiamo sul possibile utilizzo della tassa. Per fini interni da utilizzare per riacquistare debiti sovrani o come prelievo che potrebbe sostituire altre tasse (ad es. le imposte sul lavoro). In questo ambito l'appello, pur non chiudendo altre vie, ragiona in maniera specifica su una destinazione che ritiene particolarmente utile ai fini del doppio obiettivo di creare valore economico e di combattere la povertà promuovendo inclusione: destinare tali somme alla capitalizzazione delle istituzioni di microfinanza nascenti nei paesi a basso reddito.
La tassa sarebbe efficace? Quanto rischia di essere elusa?
Passando in rassegna la storia delle esperienze del passato, scopriamo che esistono (o sono esistiti) 23 episodi di tasse sulle transazioni con aliquote simili a quella proposta (5 per 10,000) imposte nei paesi del G20 più alcuni altri, per finanziare borsa o istituzioni che non hanno generato le temute fughe di capitali. Il lettore può consultare la Tabella 1 in questa rassegna sul tema scritta da Matheson (2010) e pubblicata come working paper dal Fondo Moneteario Internazionale. In gran parte dei casi la tassa è stata imposta sulle transazioni dei titoli azionari ed in alcuni altri casi anche su options e futures.
Chi paga la tassa? Quelli che non scappano la pagheranno in maniera progressiva e in modo tale che, data l'aliquota, anche chi ha meno non fa grandi sacrifici. Immaginiamo che un cassettista dotato di modesta ricchezza compri 100.000 euro di titoli di stato. Pagherebbe su questa transazione un totale di 50 euro. Anche in termini di rendimento, pur essendo scarsi i rendimenti dei titoli di stato, questo investitore non perderebbe molto (cinque centesimi di punto). Tra l'altro, considerando costi della vita e parità di potere d'acquisto, i 50 euro spostati nei contesti in cui proponiamo di utilizzare i proventi della tassa (si vedano i paragrafi successivi che discutono sull'utilizzo per capitalizzare istituzioni di microfinanza in aree a basso reddito) avrebbero un valore molto diverso. Da noi sono un cinquantesimo di un reddito mensile, nelle aree di destinazione possono spesso rappresentare più di un reddito mensile.
Un'altra obiezione alla "fuga dalla tassa" è che essa dà per scontato che tutti gli individui abbiano preferenze autointeressate. L'economia sperimentale ci dice però che l’insieme di preferenze degli individui è molto più variegato di quello che ipotizzavamo fino a qualche tempo fa (avversione alla diseguaglianza, reciprocità, altruismo puro e strategico, ecc.). Fuori dagli esperimenti di laboratorio le preferenze rivelate dai comportamenti osservati sul mercato confermano che gli individui quando risparmiano non cercano solo e sempre il massimo rendimento aggiustato per il rischio e per la liquidità dell'attività finanziaria che acquistano ma soddisfano bisogni più complessi. Per citare solo qualche dato di sintesi, il rapporto 2007 su Socially Responsible Investing Trends in the United States riporta che la quota di gestori dei fondi di investimento privati e istituzionali che presta attenzione agli elementi di responsabilità sociale d’impresa, includendo fondi privati e istituzionali, ha raggiunto i 2,71 trilioni di dollari (circa l’11% del risparmio gestito da intermediari negli USA) nel corso dello stesso anno. Quindi ci sarà anche una quota di persone che compenserà il fastidio di dover pagare con il beneficio di contribuire a qualcosa a cui dà un valore. In fondo quella che proponiamo è una tassa di scopo. In altri termini esiste una disponibilità a pagare per il tipo di obiettivo che ci proponiamo che sarà minima ma non è pari a zero in una parte della popolazione. Questa disponibilità a pagare potrebbe dissuadere alcuni di quelli che pensiamo potrebbero potenzialmente eludere dal fare la fatica di spostarsi.
Entrando nello specifico di alcuni dei 23 episodi storici di applicazione si può citare l'esempio di Wall Street, la borsa di New York, dove esisteva un'imposta molto bassa (poi dimezzata dall'amministrazione Bush) su tutte le imprese quotate sui due mercati principali, il New York Stock Exchange e il NASDAQ. L'imposta attuale è pari allo 0,003%, e il gettito viene utilizzato per finanziare l'ente di controllo e supervisione dei mercati, la Security and Exchange Commission – SEC.
Altro caso interessante è quello della Stamp Duty in vigore presso la City di Londra. Si consideri che un vantaggio di questo tipo di imposta è che il costo amministrativo è molto ridotto se comparato con quello di altri tipi di imposte tradizionali. Nel caso della Stamp Duty (tassa sulle transazioni dello 0,05%) in vigore in Gran Bretagna può essere di aiuto le autorità stimano che il costo sia meno dello 0,05% del gettito raccolto. Per fare un confronto, il costo amministrativo dell'applicazione dell'imposta sugli utili delle imprese è pari allo 0,7% del gettito, ovvero in proporzione 14 volte superiore.
Tasse simili dunque esistono. Sono entrate in vigore anche in un solo paese e non hanno portato alla rovina i sistemi finanziari locali. Anzi rappresentano una fonte di finanziamento delle società borsa o delle autorità di supervisione dei mercati. Nella tabella qui sotto, riprodotta dallo stesso lavoro di Matheson (2010) linkato sopra, leggiamo che il gettito misurato in proporzione del PIL non è stato trascurabile arrivando sino ad un massimo del 2.4 percento ad Hong Kong e ad uno 0.44 percento nel Regno Unito.
Riguardo all’estensione di queste tasse ad aree geografiche progressivamente più ampie la storia dell'impegno della task force finanziaria internazionale contro il riciclaggio ci insegna che quando la comunità internazionale vuole allargare l'applicazione di regole comuni a tutte le piazze finanziarie ha gli strumenti di pressione per convincere tutti o quasi tutti. Anche la progressiva estensione della sua applicazione ad aree geografiche sempre più vaste non può dunque essere esclusa in principio.
Quanto si può raccogliere
Un errore da evitare quando si parla di una tassa di questo tipo è quella di pensare che la ricchezza sia un flusso che si riproduce in eguale quantità ogni anno. Quella parte di ricchezza che non è sfuggita alla tassazione del reddito è infatti in origine reddito già tassato e comunque deve avere a livello globale una correlazione con il reddito prodotto a livello mondiale anche se può crescere per via dei rendimenti delle attività finanziarie stesse. Se pensiamo infatti proprio al valore di attività finanziarie come le azioni sulla base delle cosiddette valutazioni dei fondamentali esso non è altro che la somma dei dividendi futuri attesi scontati e quindi è legato alla capacità di un azienda di produrre reddito oggi e in futuro. Sappiamo anche però che la ricchezza (pochissimo e mal misurata rispetto al reddito nelle statistiche che ignorando gli stock e concentrandosi sui flussi hanno rallentato la comprensione di alcune dinamiche che hanno portato alla crisi finanziaria, ma questo è un altro problema) è un multiplo del reddito, e che il reddito complessivo che include quello illegale e sommerso. Per questi due motivi una tassa sulle transazioni non tassa per principio due volte la stessa cosa ma potrebbe riuscire a tassare una parte di valore (sempre in principio ed elusione permettendo) che di solito sfugge all'imposizione.
Quanta di questa ricchezza in più può essere catturata dalla tassa rispetto a quello che la tassa si propone di realizzare data la sua aliquota? Secondo noi molta, perché l'aliquota è molto bassa e le elasticità stimate (di lungo periodo) sono anch'esse basse. La tabella qui sotto, riprodotta ancora da Matheson (2010), fa riferimento a venti lavori empirici che stimano l'elasticità del volume degli scambi ai costi di transazione (si va da risultati in cui la reazione è chiaramente inelastica o inferiore all'unità in valore assoluto ad estremi in cui si arriva ad una elasticità di 2.7 sempre in valore assoluto. Applicate all'aliquota che proponiamo anche le elasticità maggiori non provocano sconquassi.
La posta in gioco dunque non è piccola e dipende, oltre che dall'elasticità, dal perimetro delle attività finanziarie considerate. Secondo le stime di un recente lavoro di Schulmeister (2010) è possibile arrivare a 242 miliardi di dollari annui considerando i soli mercati regolamentati e fino a 660 se si includono i mercati non regolamentati (OTC) in caso di applicazione a livello mondiale. Le due cifre diventano circa 120 e 290 miliardi di dollari se si limita l’area geografica all'Europa. Ma mentre nel primo caso è molto semplice imporre la tassa (la proprietà delle attività finanziarie acquistate viene assegnata solo dopo la trattenuta alla fonte della tassa stessa), nel secondo caso, per essere sicuri di evitare l'elusione, si dovrebbero regolamentare quelle transazioni. E’ quindi prudente attestarsi sulle cifre inferiori che sono comunque molto elevate. Basti pensare che si calcola bastino circa 30 miliardi per assicurare l'istruzione primaria obbligatoria in tutto il mondo, uno degli obiettivi del millennio.
Come utilizzare i soldi?
Pur avendo ben presenti tutti gli episodi di cattiva gestione di fondi, non esiste un principio a priori per il quale tutte le raccolte di risorse debbano essere sprecate o oggetto di corruzione. Conosciamo ed abbiamo sicuramente sperimentato modi utili di utilizzare queste somme altrimenti non raccoglieremmo nessun imposta.
La letteratura recente di economia dello sviluppo sottolinea alcune iniziative di successo (ad esempio alcuni progetti food to school e le iniziative per i vaccini) e ultimamente la cultura dell’efficienza e della valutazione rigorosa di impatto sembra essere cresciuta molto anche grazie al lavoro degli economisti e alla costruzione di molti randomized experiment che affrontano in maniera rigorosa i problemi di selezione tipici di tutte le valutazioni d'impatto.
Nell'appello si parla (genericamente dato il genere letterario del documento) di interventi per ridurre l'aggravio delle finanze pubbliche dei vari stati e, più dettagliatamente, di quello che a nostro avviso sarebbe un modo intelligente di usare i soldi. Ovvero capitalizzare start-up di istituzioni di microfinanza in aree a basso reddito (le istituzioni da finanziarie andrebbero selezionate sulla base di indicatori di performance tipicamente usati in letteratura su cui non c'è spazio purtroppo per approfondire in questo contesto). In questo modo si promuoverebbe a nostro avviso la cultura dell'inclusione nella responsabilità di chi riceve (che è chiamato alla controprestazione di mettere in piedi un’attività produttiva che consente di restituire il prestito) e non dell'assistenzialismo. In secondo luogo si andrebbe a nostro avviso ad intervenire su un punto chiave per favorire pari opportunità ed inclusione sociale. Facendo ricerca ed esperimenti nelle periferie delle grandi città africane e latinoamericane è evidente che moltissimi progetti di scolarizzazione si infrangono contro lo scoglio dell'incapacità delle famiglie di origine di mettere in piedi attività che generino reddito. Si possono "adottare a distanza" bambini, costruire scuole e finanziare la partecipazione degli studenti (la scuola primaria è ormai virtualmente obbligatoria in moltissimi paesi a basso reddito ma di fatto la mancanza di risorse incide pesantemente sulla qualità della scuola con elevati tassi di abbandono, di assenteismo dei docenti, rapporti studenti/docenti elevatissimi per classe) ma se le famiglie non superano una certa soglia di reddito vale il luxury axiom di Ban e Vasu, ovvero mandare il figlio a scuola diventa un bene di lusso che non ci si può permettere.
E’ per questo che stanno nascendo in queste realtà moltissimi progetti di microfinanza per i genitori dei bambini. E il problema di quasi tutte queste istituzioni finanziarie nascenti è quello della capitalizzazione. Non c’è Basilea III ma il principio è lo stesso: avere più capitale vuol dire poter fare più prestiti e poter resistere senza fallire a shock che possono aumentare improvvisamente le sofferenze e che rischiano di esaurire il capitale proprio. Si badi bene che tali shock soprattutto in questi contesti, non necessariamente dipendono dalla qualità dei progetti dei riceventi, ma possono essere sovente causati da fattori esogeni (conflitti politici, epidemie) indipendenti dalla qualità del processo di concessione del credito.
Se l'utilizzo fosse questo avremmo in sostanza buoni argomenti per contrastare l'obiezione che la tassa distruggerebbe ricchezza perché distoglierebbe risorse da attività più produttive per indirizzarle verso attività meno produttive o parassitarie.
Capitalizzare istituzioni di microfinanza in paesi poveri ed emergenti è infatti potenzialmente un moltiplicatore di risorse che genera progetti e creazione di altro valore economico se la banca fa bene la sua attività di screening. Le risorse poste a capitale generano un volume di redditi superiori nel tempo per via del moltiplicatore dei depositi bancari e, se i progetti sono redditizi, un valore economico complessivo superiore al totale dei prestiti proporzionalmente al tasso di rendimento dei progetti d’investimento. L'esperienza storica ci dice che i rendimenti del capitale di questi progetti in aree dove i tassi di crescita dell’economia sono molto più alti dei nostri sono in genere molto elevati e questo spiega perché i borrowers possono sopportare un costo del credito talvolta molto elevato (anche quello praticato da organizzazioni come Compartamos (che può avvicinarsi al 100 percento annuale), Bancosol o simili e non quello più basso della Grameen dove ci sono sussidi incrociati).
La tassa sulle transazioni finanziarie come tassa sostitutiva
Come già accennato i proventi della tassa possono in principio essere indirizzati anche a destinazioni interne. Riprendendo le osservazioni di Michele Boldrin (scaturite dal dibattito su questo sito) in commento ad un paper di Feige che presenta una proposta di tassa sulle transazioni si possono aprire considerazioni interessanti, anche se non è questo il nostro intento originario, relativamente alla possibilità di utilizzare la tassa come sostituto di altre imposte. Il tema è di grande attualità anche in Italia. Le aliquote sui redditi da lavoro sono a detta di tutti arrivate a livelli quasi insostenibili. Per molti esperti sarebbe opportuno ridurle se vogliamo rilanciare lavoro e consumi e rimuovere quei fattori di declino del potere di acquisto della classe media che sono tra le cause remote della crisi finanziaria globale.
Il vantaggio di utilizzare una tassa sulle transazioni per ridurre le imposte sul lavoro sarebbe quello di maggiore trasparenza, riduzione dei disincentivi a domandare e ad offrire lavoro (nella misura in cui l’offerta di lavoro è elastica al salario come sappiamo esserlo soprattutto per il lavoro femminile), semplificazione procedurale e forte riduzione dei costi amministrativi.
Spostandosi ancora leggermente dall'idea di tassare le transazioni finanziarie e rimanendo nell’ottica della sostituzione di altre imposte si può ragionare sull'efficacia di una tassa sui prelievi di moneta (sia al bancomat che allo sportello) che avrebbe i vantaggi sopracitati e in più supererebbe in maniera ancora più convincente il problema dell'elusione riuscendo a catturare quote importanti di reddito sommerso ed illegale (non è un caso forse che il governo colombiano abbia introdotto da due anni una tassa del 4 per mille sui prelievi del bancomat e non ha intenzione di abolirla). Come eludere una tassa del genere? Non sembra plausibile che per farlo si assisterebbe ad un aumento particolarmente elevato di scambi non monetari o utilizzi di banche del tempo. Per evitare l'elusione e un impatto negativo sui depositi bancari sarebbe fondamentale tassare anche alla fonte i redditi percepiti dai lavoratori. Certo ai confini del perimetro geografico di applicazione di tale tassa potrebbero crescere i movimenti transfrontalieri e i paesi che la applicassero potrebbero avere conseguenze negative sui flussi turistici ma anche queste conseguenze potrebbero essere limitate o evitate da meccanismi che limitano il prelievo ai residenti.
Restano i problemi generali che abbiamo considerato sopra. Quanto prelievo realizzato con altre tasse vogliamo sostituire? Più esso è elevato, più alta l’aliquota da imporre maggiore l’incentivo all’elusione.
Brevi considerazioni conclusive e disclaimer
E’ evidente che questa breve riflessione che è alla base dell'appello su un tema così importante non è un paper scientifico fondato su modelli teorici o ricerche empiriche originali ma un ragionamento su evidenze prodotte da altri e sulla rassegna di una letteratura esistente. Sono consapevole che i ragionamenti sviluppati si basano su una mole di studi e di lavori non particolarmente estesa e quindi sono aperti a critiche e prove contrarie. Ma uno degli obiettivi della nostra iniziativa è proprio quello di stimolare la professione a ragionare su un'ipotesi che fino a poco tempo fa veniva scartata priori e a fare ricerca su questi temi per esplorare più approfonditamente limiti e potenzialità. Saremmo lieti se, dalle critiche e dai commenti a questo sasso lanciato nello stagno, nascessero proposte più efficaci e con meno punti deboli in grado di perseguire l'obiettivo di equità e di rispondere ad alcune emergenze sociali (malnutrizione, ostacoli alle pari opportunità) nel rispetto del principio di creazione di valore economico che è la motivazione che ci ha spinto a formulare e sottoscrivere l’appello.
Viene fuori un costo di N milioni di € che E' pensabile che l'intermediario toglierà questi soldi ai profitti per i propri azionisti? Io dico di no. Dico che il costo finirà sul piccolo cliente rigido che non cambia intermediario come si cambia un vestito. Non parlo del canone del conto corrente, che fai presto a cambiare (e io non pago perchè ce l'ho on line) parlo delle commissioni di gestione sui fondi pensione, sui fondi comuni di invesrtimento, delle commissioni sul trading on line etc etc. Dico sui clienti piccoli perchè quelli grandi hanno potere contrattuale e maggiori possibilità di cambiare intermediario, oltre ovviamente a fare più caso ai costi.
Se io fossi la banca lascerei invariate le fee di trading (caso in cui i clienti possono aprire un conto on line a Dubai presso Scacciavillani Finance) e aumenterei qui costi a cui i poveri disgraziati non fanno quasi mai caso (es commissioni di gestione dei fondi comuni, caricamenti delle polizze assicurative etc.)
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Ma non si finirà per prendere da tasche diverse della stessa giacca? Se riduci ad es le imposte sui redditi da lavoro dipendente, trasferisci l'onere dai contribuenti con meno attività finanziarie a quelli che ne hanno di più, penalizzando indirettamente il risparmio più "evoluto"