Tassa sulle transazioni finanziarie: le ragioni dell'appello

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Ho recentemente promosso, assieme ad altri economisti, un appello per introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, di cui si è già discusso su nFA. Con questo post vorrei rilanciare la discussione. Il punto del post è il seguente. Mentre gli economisti sono generalmente scettici su questa tassa (ritenendo impossibile la sua applicazione in un solo paese senza causare una fuga di capitali) esistono già tasse del genere applicate in singoli paesi, e l'effetto sui volumi scambiati è modesto. Noi proponiamo di utilizzare lo strumento con un’aliquota molto bassa (5 per 10.000) per raccogliere somme da destinare alla lotta alla povertà (capitalizzando le istituzioni nascenti di microfinanza) ma lasciando aperta la possibilità di utilizzi diversi (riduzione del debito, riduzione della tassazione sul lavoro) e indicando le potenzialità di utilizzo dello stesso per catturare reddito sommerso.

L'opinione tradizionale sulla tassa

Gli economisti sono in genere molto scettici sull'efficacia di una tassa sulle transazioni finanziarie. Essi ritengono che sia molto difficile raggiungere i due obiettivi che i sostenitori di questa tassa ritengono possa realizzare: ridurre la volatilità dei mercati e raccogliere somme rilevanti. Un'aliquota troppo piccola, si dice, non attenua la volatilità dei mercati ma evita elusione e riesce a raccogliere somme importanti. Un'aliquota troppo elevata, invece, potrebbe ridurre la volatilità ma farebbe fuggire i capitali verso altri lidi e quindi di fatto risulterebbe inefficace anche ai fini del primo obiettivo spostando le transazioni verso attività finanziarie over the counter (OTC) o su mercati regolamentati ma nei quali la tassa non si applica.

L'appello in sintesi

L'approccio dell'appello sottoscritto da 130 economisti è leggermente differente e si propone di introdurre degli elementi di novità nel dibattito tradizionale. Si parte dall’osservazione del fatto che il problema della volatilità dei mercati finanziari e delle loro turbolenze non si risolve con una tassa sulle transazioni ma con un insieme di iniziative molto più complesse che investono la regolamentazione complessiva dei mercati. Tali iniziative riguardano il problema degli incentivi perversi all'eccessiva assunzione di rischio per le istituzioni finanziarie "too big to fail", l'ipotesi di regolamentazione dei mercati OTC, la riforma delle regole di capitalizzazione delle banche (prociclicità dei buffer di capitale, costituzione di accantonamenti ulteriori per fronteggiare il rischio di liquidità) secondo un approccio diverso da quello di Basilea III, che non prezza sufficientemente la differenza di rischio tra la tradizionale attività di intermediazione e quella di trading, il ruolo delle società di rating, la separazione tra attività di trading e di intermediazione e l'evitare che i processi originate to distribute allontanino troppo il cliente dalla banca riducendo l'incentivo ad un'efficiente allocazione del credito.

Relativamente alla questione della volatilità e del rischio dei mercati si riduce dunque la portata di ciò che potrebbe realizzare la tassa al meno ambizioso possibile obiettivo di ridurre le transazioni ad altissima frequenza in mercati regolamentati (sia l'attività degli scalpers che quelle delle piattaforme ad alta frequenza degli istituzionali) e sui quali si applica la tassa visto che per queste ultime anche aliquote molto piccole possono incidere pesantemente sulla redditività delle operazioni.

Ci si concentra poi sul secondo obiettivo: quello di raccogliere somme importanti da destinare ad alcuni possibili obiettivi (finanziamento beni pubblici globali, lotta alla povertà, riequilibrio del prelievo fiscale tra capitale e lavoro, riduzione dei debiti pubblici nazionali, riduzione di altre imposte). Su questo punto si insiste in modo particolare sul fatto che non è vero che un'aliquota del tipo di quella proposta (5 per 10.000) non è applicabile, se non su tutti i mercati finanziari contemporaneamente, pena la fuga dei capitali. La nostra convinzione parte dall'osservazione dei 23 episodi di applicazione di tasse simili in un solo mercato su importanti piazze finanziarie prevalentemente di paesi ad alto reddito che non hanno messo in crisi tali mercati. E dalla constatazione che una rassegna di circa 20 studi sulle elasticità dei volumi di transazioni a tasse di simile entità appare contenuta o comunque non tale da generare, se applicata all'aliquota proposta, spostamenti particolarmente significativi di capitali.

Si ragiona poi brevemente su quanto ci si può aspettare di raccogliere con una tassa siffatta a seconda del perimetro geografico e di attività finanziarie cui la tassa si applicherebbe.

Nell'ultima parte riflettiamo sul possibile utilizzo della tassa. Per fini interni da utilizzare per riacquistare debiti sovrani o come prelievo che potrebbe sostituire altre tasse (ad es. le imposte sul lavoro). In questo ambito l'appello, pur non chiudendo altre vie, ragiona in maniera specifica su una destinazione che ritiene particolarmente utile ai fini del doppio obiettivo di creare valore economico e di combattere la povertà promuovendo inclusione: destinare tali somme alla capitalizzazione delle istituzioni di microfinanza nascenti nei paesi a basso reddito.

La tassa sarebbe efficace? Quanto rischia di essere elusa?

Passando in rassegna la storia delle esperienze del passato, scopriamo che esistono (o sono esistiti) 23 episodi di tasse sulle transazioni con aliquote simili a quella proposta (5 per 10,000) imposte nei paesi del G20 più alcuni altri, per finanziare borsa o istituzioni che non hanno generato le temute fughe di capitali. Il lettore può consultare la Tabella 1 in questa rassegna sul tema scritta da Matheson (2010) e pubblicata come working paper dal Fondo Moneteario Internazionale. In gran parte dei casi la tassa è stata imposta sulle transazioni dei titoli azionari ed in alcuni altri casi anche su options e futures.

Chi  paga la tassa? Quelli che non scappano la pagheranno in maniera progressiva e in modo tale che, data l'aliquota, anche chi ha meno non fa grandi sacrifici. Immaginiamo che un cassettista dotato di modesta ricchezza compri 100.000 euro di titoli di stato. Pagherebbe su questa transazione un totale di 50 euro. Anche in termini di rendimento, pur essendo scarsi i rendimenti dei titoli di stato, questo investitore non perderebbe molto (cinque centesimi di punto). Tra l'altro, considerando costi della vita e parità di potere d'acquisto, i 50 euro spostati nei contesti in cui proponiamo di utilizzare i proventi della tassa (si vedano i paragrafi successivi che discutono sull'utilizzo per capitalizzare istituzioni di microfinanza in aree a basso reddito) avrebbero un valore molto diverso. Da noi sono un cinquantesimo di un reddito mensile, nelle aree di destinazione possono spesso rappresentare più di un reddito mensile.

Un'altra obiezione alla "fuga dalla tassa" è che essa dà per scontato che tutti gli individui abbiano preferenze autointeressate. L'economia sperimentale ci dice però che l’insieme di preferenze degli individui è molto più variegato di quello che ipotizzavamo fino a qualche tempo fa (avversione alla diseguaglianza, reciprocità, altruismo puro e strategico, ecc.). Fuori dagli esperimenti di laboratorio le preferenze rivelate dai comportamenti osservati sul mercato confermano che gli individui quando risparmiano non cercano solo e sempre il massimo rendimento aggiustato per il rischio e per la liquidità dell'attività finanziaria che acquistano ma soddisfano bisogni più complessi.  Per citare solo qualche dato di sintesi, il rapporto 2007 su Socially Responsible Investing Trends in the United States riporta che la quota di gestori dei fondi di investimento privati e istituzionali che presta attenzione agli elementi di responsabilità sociale d’impresa, includendo fondi privati e istituzionali, ha raggiunto i 2,71 trilioni di dollari (circa l’11% del risparmio gestito da intermediari negli USA) nel corso dello stesso anno. Quindi ci sarà anche una quota di persone che compenserà il fastidio di dover pagare con il beneficio di contribuire a qualcosa a cui dà un valore. In fondo quella che proponiamo è una tassa di scopo. In altri termini esiste una disponibilità a pagare per il tipo di obiettivo che ci proponiamo che sarà minima ma non è pari a zero in una parte della popolazione. Questa disponibilità a pagare potrebbe dissuadere alcuni di quelli che pensiamo potrebbero potenzialmente eludere dal fare la fatica di spostarsi.

Entrando nello specifico di alcuni dei 23 episodi storici di applicazione si può citare l'esempio di Wall Street, la borsa di New York, dove esisteva un'imposta molto bassa (poi dimezzata dall'amministrazione Bush) su tutte le imprese quotate sui due mercati principali, il New York Stock Exchange e il NASDAQ. L'imposta attuale è pari allo 0,003%, e il gettito viene utilizzato per finanziare l'ente di controllo e supervisione dei mercati, la Security and Exchange Commission – SEC.

Altro caso interessante è quello della Stamp Duty in vigore presso la City di Londra. Si consideri che un vantaggio di questo tipo di imposta è che il costo amministrativo è molto ridotto se comparato con quello di altri tipi di imposte tradizionali. Nel caso della Stamp Duty (tassa sulle transazioni dello 0,05%) in vigore in  Gran Bretagna può essere di aiuto le autorità stimano che il costo sia meno dello 0,05% del gettito raccolto. Per fare un confronto, il costo amministrativo dell'applicazione dell'imposta sugli utili delle imprese è pari allo 0,7% del gettito, ovvero in proporzione 14 volte superiore.

Tasse simili dunque esistono. Sono entrate in vigore anche in un solo paese e non hanno portato alla rovina i sistemi finanziari locali. Anzi rappresentano una fonte di finanziamento delle società borsa o delle autorità di supervisione dei mercati. Nella tabella qui sotto, riprodotta dallo stesso lavoro di Matheson (2010) linkato sopra, leggiamo che il gettito misurato in proporzione del PIL non è stato trascurabile arrivando sino ad un massimo del 2.4 percento ad Hong Kong e ad uno 0.44 percento nel Regno Unito.

Riguardo all’estensione di queste tasse ad aree geografiche progressivamente più ampie la storia dell'impegno della task force finanziaria internazionale contro il riciclaggio ci insegna che quando la comunità internazionale vuole allargare l'applicazione di regole comuni a tutte le piazze finanziarie ha gli strumenti di pressione per convincere tutti o quasi tutti. Anche la progressiva estensione della sua applicazione ad aree geografiche sempre più vaste non può dunque essere esclusa in principio.

Quanto si può raccogliere

Un errore da evitare quando si parla di una tassa di questo tipo è quella di pensare che la ricchezza sia un flusso che si riproduce in eguale quantità ogni anno. Quella parte di ricchezza che non è sfuggita alla tassazione del reddito è infatti in origine reddito già tassato e comunque deve avere a livello globale una correlazione con il reddito prodotto a livello mondiale anche se può crescere per via dei rendimenti delle attività finanziarie stesse. Se pensiamo infatti proprio al valore di attività finanziarie come le azioni sulla base delle cosiddette valutazioni dei fondamentali esso non è altro che la somma dei dividendi futuri attesi scontati e quindi è legato alla capacità di un azienda di produrre reddito oggi e in futuro. Sappiamo anche però che la ricchezza (pochissimo e mal misurata rispetto al reddito nelle statistiche che ignorando gli stock e concentrandosi sui flussi hanno rallentato la comprensione di alcune dinamiche che hanno portato alla crisi finanziaria, ma questo è un altro problema) è un multiplo del reddito, e che il reddito complessivo che include quello illegale e sommerso. Per questi due motivi una tassa sulle transazioni non tassa per principio due volte la stessa cosa ma potrebbe riuscire a tassare una parte di valore (sempre in principio ed elusione permettendo) che di solito sfugge all'imposizione.

Quanta di questa ricchezza in più può essere catturata dalla tassa rispetto a quello che la tassa si propone di realizzare data la sua aliquota? Secondo noi molta, perché l'aliquota è molto bassa e le elasticità stimate (di lungo periodo) sono anch'esse basse. La tabella qui sotto, riprodotta ancora da Matheson (2010), fa riferimento a venti lavori empirici che stimano l'elasticità del volume degli scambi ai costi di transazione (si va da risultati in cui la reazione è chiaramente inelastica o inferiore all'unità in valore assoluto ad estremi in cui si arriva ad una elasticità di 2.7 sempre in valore assoluto. Applicate all'aliquota che proponiamo anche le elasticità maggiori non provocano sconquassi.


La posta in gioco dunque non è piccola e dipende, oltre che dall'elasticità, dal perimetro delle attività finanziarie considerate. Secondo le stime di un recente lavoro di Schulmeister (2010) è possibile arrivare a 242 miliardi di dollari annui considerando i soli mercati regolamentati e fino a 660 se si includono i mercati non regolamentati (OTC) in caso di applicazione a livello mondiale. Le due cifre diventano circa 120 e 290 miliardi di dollari se si limita l’area geografica all'Europa. Ma mentre nel primo caso è molto semplice imporre la tassa (la proprietà delle attività finanziarie acquistate viene assegnata solo dopo la trattenuta alla fonte della tassa stessa), nel secondo caso, per essere sicuri di evitare l'elusione, si dovrebbero regolamentare quelle transazioni. E’ quindi prudente attestarsi sulle cifre inferiori che sono comunque molto elevate. Basti pensare che si calcola bastino circa 30 miliardi per assicurare l'istruzione primaria obbligatoria in tutto il mondo, uno degli obiettivi del millennio.

Come utilizzare i soldi?

Pur avendo ben presenti tutti gli episodi di cattiva gestione di fondi, non esiste un principio a priori per il quale tutte le raccolte di risorse debbano essere sprecate o oggetto di corruzione. Conosciamo ed abbiamo sicuramente sperimentato modi utili di utilizzare queste somme altrimenti non raccoglieremmo nessun imposta.

La letteratura recente di economia dello sviluppo sottolinea alcune iniziative di successo (ad esempio alcuni progetti food to school e le iniziative per i vaccini) e ultimamente la cultura dell’efficienza e della valutazione rigorosa di impatto sembra essere cresciuta molto anche grazie al lavoro degli economisti e alla costruzione di molti randomized experiment che affrontano in maniera rigorosa i problemi di selezione tipici di tutte le valutazioni d'impatto.

Nell'appello si parla (genericamente dato il genere letterario del documento) di interventi per ridurre l'aggravio delle finanze pubbliche dei vari stati e, più dettagliatamente, di quello che a nostro avviso sarebbe un modo intelligente di usare i soldi. Ovvero capitalizzare start-up di istituzioni di microfinanza in aree a basso reddito (le istituzioni da finanziarie andrebbero selezionate sulla base di indicatori di performance tipicamente usati in letteratura su cui non c'è spazio purtroppo per approfondire in questo contesto). In questo modo si promuoverebbe a nostro avviso la cultura dell'inclusione nella responsabilità di chi riceve (che è chiamato alla controprestazione di mettere in piedi un’attività produttiva che consente di restituire il prestito) e non dell'assistenzialismo. In secondo luogo si andrebbe a nostro avviso ad intervenire su un punto chiave per favorire pari opportunità ed inclusione sociale. Facendo ricerca ed esperimenti nelle periferie delle grandi città africane e latinoamericane è evidente che moltissimi progetti di scolarizzazione si infrangono contro lo scoglio dell'incapacità delle famiglie di origine di mettere in piedi attività che generino reddito. Si possono "adottare a distanza" bambini, costruire scuole e finanziare la partecipazione degli studenti (la scuola primaria è ormai virtualmente obbligatoria in moltissimi paesi a basso reddito ma di fatto la mancanza di risorse incide pesantemente sulla qualità della scuola con elevati tassi di abbandono, di assenteismo dei docenti, rapporti studenti/docenti elevatissimi per classe) ma se le famiglie non superano una certa soglia di reddito vale il luxury axiom di Ban e Vasu, ovvero mandare il figlio a scuola diventa un bene di lusso che non ci si può permettere.

E’ per questo che stanno nascendo in queste realtà moltissimi progetti di microfinanza per i genitori dei bambini. E il problema di quasi tutte queste istituzioni finanziarie nascenti è quello della capitalizzazione. Non c’è Basilea III ma il principio è lo stesso: avere più capitale vuol dire poter fare più prestiti e poter resistere senza fallire a shock che possono aumentare improvvisamente le sofferenze e che rischiano di esaurire il capitale proprio. Si badi bene che tali shock soprattutto in questi contesti, non necessariamente dipendono dalla qualità dei progetti dei riceventi, ma possono essere sovente causati da fattori esogeni (conflitti politici, epidemie) indipendenti dalla qualità del processo di concessione del credito.

Se l'utilizzo fosse questo avremmo in sostanza buoni argomenti per contrastare l'obiezione che la tassa distruggerebbe ricchezza perché distoglierebbe risorse da attività più produttive per indirizzarle verso attività meno produttive o parassitarie.

Capitalizzare istituzioni di microfinanza in paesi poveri ed emergenti è infatti potenzialmente un moltiplicatore di risorse che genera progetti e creazione di altro valore economico se la banca fa bene la sua attività di screening. Le risorse poste a capitale generano un volume di redditi superiori nel tempo per via del moltiplicatore dei depositi bancari e, se i progetti sono redditizi, un valore economico complessivo superiore al totale dei prestiti proporzionalmente al tasso di rendimento dei progetti d’investimento. L'esperienza storica ci dice che i rendimenti del capitale di questi progetti in aree dove i tassi di crescita dell’economia sono molto più alti dei nostri sono in genere molto elevati e questo spiega perché i borrowers possono sopportare un costo del credito talvolta molto elevato (anche quello praticato da organizzazioni come Compartamos (che può avvicinarsi al 100 percento annuale), Bancosol o simili e non quello più basso della Grameen dove ci sono sussidi incrociati).

La tassa sulle transazioni finanziarie come tassa sostitutiva

Come già accennato i proventi della tassa possono in principio essere indirizzati anche a destinazioni interne. Riprendendo le osservazioni di Michele Boldrin (scaturite dal dibattito su questo sito) in commento ad un paper di Feige che presenta una proposta di tassa sulle transazioni si possono aprire considerazioni interessanti, anche se non è questo il nostro intento originario, relativamente alla possibilità di utilizzare la tassa come sostituto di altre imposte.  Il tema è di grande attualità anche in Italia. Le aliquote sui redditi da lavoro sono a detta di tutti arrivate a livelli quasi insostenibili.  Per molti esperti sarebbe opportuno ridurle se vogliamo rilanciare lavoro e consumi e rimuovere quei fattori di declino del potere di acquisto della classe media che sono tra le cause remote della crisi finanziaria globale.

Il vantaggio di utilizzare una tassa sulle transazioni per ridurre le imposte sul lavoro sarebbe quello di maggiore trasparenza, riduzione dei disincentivi a domandare e ad offrire lavoro (nella misura in cui l’offerta di lavoro è elastica al salario come sappiamo esserlo soprattutto per il lavoro femminile), semplificazione procedurale e forte riduzione dei costi amministrativi.

Spostandosi ancora leggermente dall'idea di tassare le transazioni finanziarie e rimanendo nell’ottica della sostituzione di altre imposte si può ragionare sull'efficacia di una tassa sui prelievi di moneta (sia al bancomat che allo sportello) che avrebbe i vantaggi sopracitati e in più supererebbe in maniera ancora più convincente il problema dell'elusione riuscendo a catturare quote importanti di reddito sommerso ed illegale (non è un caso forse che il governo colombiano abbia introdotto da due anni una tassa del 4 per mille sui prelievi del bancomat e non ha intenzione di abolirla). Come eludere una tassa del genere? Non sembra plausibile che per farlo si assisterebbe ad un aumento particolarmente elevato di scambi non monetari o utilizzi di banche del tempo. Per evitare l'elusione e un impatto negativo sui depositi bancari sarebbe fondamentale tassare anche alla fonte i redditi percepiti dai lavoratori. Certo ai confini del perimetro geografico di applicazione di tale tassa potrebbero crescere i movimenti transfrontalieri e i paesi che la applicassero potrebbero avere conseguenze negative sui flussi turistici ma anche queste conseguenze potrebbero essere limitate o evitate da meccanismi che limitano il prelievo ai residenti.

Restano i problemi generali che abbiamo considerato sopra. Quanto prelievo realizzato con altre tasse vogliamo sostituire? Più esso è elevato, più alta l’aliquota da imporre maggiore l’incentivo all’elusione.

Brevi considerazioni conclusive e disclaimer

E’ evidente che questa breve riflessione che è alla base dell'appello su un tema così importante non è un paper scientifico fondato su modelli teorici o ricerche empiriche originali ma un ragionamento su evidenze prodotte da altri e sulla rassegna di una letteratura esistente. Sono consapevole che i ragionamenti sviluppati si basano su una mole di studi e di lavori non particolarmente estesa e quindi sono aperti a critiche e prove contrarie. Ma uno degli obiettivi della nostra iniziativa è proprio quello di stimolare la professione a ragionare su un'ipotesi che fino a poco tempo fa veniva scartata priori e a fare ricerca su questi temi per esplorare più approfonditamente limiti e potenzialità. Saremmo lieti se, dalle critiche e dai commenti a questo sasso lanciato nello stagno, nascessero proposte più efficaci e con meno punti deboli in grado di perseguire l'obiettivo di equità e di rispondere ad alcune emergenze sociali (malnutrizione, ostacoli alle pari opportunità) nel rispetto del principio di creazione di valore economico che è la motivazione che ci ha spinto a formulare e sottoscrivere l’appello.

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Commenti

Ci sono 80 commenti

Ripropongo un quesito fatto anche nell'altro post: non è che questa tassa viene traslata sui soliti noti? Ossia, io e qualche altro milione di sig. rossi che ricevono i propri redditi già decurtati della trattenuta alla fonte?

Se banca X paga 0,0000x% magari se ne frega e continua a fare tante transazioni. Dico banca X per semplificare, ma può anche essere  intermediario Y che raccoglie gli ordini dei privati e aggiunge la micro tassa alle commissioni di intermediazione etc.

 

Viene fuori un costo di N milioni di € che E' pensabile che l'intermediario toglierà questi soldi ai profitti per i propri azionisti? Io dico di no. Dico che il costo finirà sul piccolo cliente rigido che non cambia intermediario come si cambia un vestito. Non parlo del canone del conto corrente, che fai presto a cambiare (e io non pago perchè ce l'ho on line) parlo delle commissioni di gestione sui fondi pensione, sui fondi comuni di invesrtimento, delle commissioni sul trading on line etc etc. Dico sui clienti piccoli perchè quelli grandi hanno potere contrattuale e maggiori possibilità di cambiare intermediario, oltre ovviamente a fare più caso ai costi.

Se io fossi la banca lascerei invariate le fee di trading (caso in cui i clienti possono aprire un conto on line a Dubai presso Scacciavillani Finance) e aumenterei qui costi a cui i poveri disgraziati non fanno quasi mai caso (es commissioni di gestione dei fondi comuni, caricamenti delle polizze assicurative etc.)

In questo nuovo post aggiungi un profilo interessante:

 

La tassa sulle transazioni finanziarie come tassa sostitutiva

 

Ma non si finirà per prendere da tasche diverse della stessa giacca? Se riduci ad es le imposte sui redditi da lavoro dipendente, trasferisci l'onere dai contribuenti con meno attività finanziarie a quelli che ne hanno di più, penalizzando indirettamente il risparmio più "evoluto"

 

Il suo punto e' che questa tassa e' meno distorsiva dele imposte sul reddito. Possibile, ma a questo punto perche' non tassare il consumo?

Non capisco bene perche' mescolare due proposte in una: la tassa e le sue utilizzazioni. Se la tassa e' piu' efficiente di altre, la si mette e si tolgono altre. Se la spesa e' giusta e desiderabile, la si fa e si decide cosa tassare. Mi sembrano due questioni separate: 1) e' la tassa piu' efficiente di altre? 2) e' giusto spendere come proponi? Perche' non lo si e' fatto sinora?

Idem qui, anch'io ho la stessa perplessita'. Personalmente condivido l'obiettivo (programmi di sviluppo, dal microcredito alla scolarizzazione) ma mi sembra completamente indipendente dallo strumento (la tassa sulle transazioni finanziarie). Di converso se, come dice Andrea, questa tassa e' preferibile ad altre allora e' desiderabile averla e come utilizzare il gettito e' un'altra questione.

Se capisco bene, quello che hai in mente e' che rendere la tassa sulle transazioni finanziarie una tassa di scopo la renderebbe piu' accettabile politicamente. E' questo il motivo per cui metti insieme le due cose? Questo argomento pero' indebolisce il claim che sia una tassa desiderabile di per se'.

Mi limito data la natura del secondo appello di 13o individui a indicare un fatto di cui lor signori dicono nulla.

Tutto cio' che si capisce a proposito degli effetti degli aiuti, sussidi, eccetera agli obbiettivi dell' "equita'"  e della "rimozione degli ostacoli alla pari opportunita'" indicano che questi denari vanno direttamente gestiti da organizzazioni governative o meno che si nutrono di questa scemenza. 

Azzardo un'ipotesi controrivoluzionaria: i due, esplosivi, casi di fuoriuscita dalla miseria (Rpc & India) non sono usciti grazie ad aiuti ed aiutini. 

Per il resto sono e rimango contrario alla proposta di questi individui di fornire piu' denaro a governi, quale quello Italiano, per non menzionare altri casi, perfin peggiori.

Attendo i 130 per dichiarare di vendere la RAI, essere rimborsati da suoi manutengoli di tutti gli emolumenti dal 1994 al 2010 e la devoluzione immediata alle scuole di un paese scelto per lotteria tra cinquanta che vi posso proporre. Voila, nessuna tassa, piu' soldi disponibili, la medesima, se cosi' vi aggrada, destinazione in termini d'uso del denaro raccolto.

 

 

 

Questa giovane economista sostiene che "aiuti ed aiutini" sono non soltanto inutili, ma addirittura dannosi allo sviluppo dei paesi più poveri: http://www.dambisamoyo.com/deadaid.html

 

Gli economisti sono in genere molto scettici sull'efficacia di una tassa sulle transazioni finanziarie. Essi ritengono che sia molto difficile raggiungere i due obiettivi che i sostenitori di questa tassa ritengono possa realizzare: ridurre la volatilità dei mercati e raccogliere somme rilevanti. Un'aliquota troppo piccola, si dice, non attenua la volatilità dei mercati ma evita elusione e riesce a raccogliere somme importanti. Un'aliquota troppo elevata, invece, potrebbe ridurre la volatilità ma farebbe fuggire i capitali verso altri lidi e quindi di fatto risulterebbe inefficace anche ai fini del primo obiettivo spostando le transazioni verso attività finanziarie over the counter (OTC) o su mercati regolamentati ma nei quali la tassa non si applica.

 

Posso chiedere conto del motivo (non ideologico) per cui si ritiene la volatilita' come la fonte di molti mali del nostro tempo e debba essere diminuita?

perche' poi invece di cercare di convincere le persone a fare spontanea beneficenza vi impegniate a fare lobbismo per tassare e redistribuire io proprio non me lo spiego, ma questo sara' per certo un mio limite.

 

 

 

 

 

Ho lo stesso dubbio. Posto che un mercato che non scambia ha volatilità nulla, dovrebbe essere questa la situazione auspicabile?

Credo dottor Calderoni, che vi sia nessun limite da parte sua.

I firmatari amano la coercizione, le tasse, le manganellate a chi a loro non aggrada. L'idea di convincere chiunque a dar "piu" denaro/aiuto/tempo/lavoro volontario in beneficenza, non li sfiora nemmeno.

Neppure potrebbe sfiorarli. Questi sono economisti della scuola di Amintore Fanfani. Lo legga: vi ritrovera' la stessa paranoia della "volatilita", le furfanterie moralistiche, il tartufismo accademico.

Mi trattengo, per carita' di patria, di commentare la qualita' dei consensi ricevuti dalle loro "idee" cosidette, da quelli del manifesto di ottobre, a ladri. 

Posso chiedere conto del motivo (non ideologico) per cui si ritiene la volatilita' come la fonte di molti mali del nostro tempo e debba essere diminuita?

la volatilità alta in realtà riguarda tutti. in particolare la volatilità attesa (la implicita) rende le opzioni a copertura del rischio finanziario più care, con aumenti di costi per il sistema economico. non  è solo un parametro di chi si balocca con strategie dai nomi esotici. è all'incirca come avere dei tassi di interesse alti, o meglio, delle stime del rischio del traffico troppo alte, per cui la RCA aumenta di prezzo.

il disastro è accaduto in buona parte per una sottostima generalizzata di tale rischio, dovuta all'eccesiva confidenza nelle quotazioni relative, che si sono rivelate troppo "sintetiche", non espresse da un mercato liquido, ampio.

l'esempio portato da federico de vita è illuminante. quelle opzioni OTC si sono "fabbricate" trovando un facile accordo sul prezzo, in base a condivise stime numeriche. poi però non si è più trovato un altro acquirente con le stesse idee, non c'era mercato "vero".

se la volatilità alta è quindi costosa, perchè si è dubbiosi su una tassa? perchè c'è il fondato sospetto che potrebbe abbassarla in modo insano, restringendo un mercato che avrebbe forse bisogno di essere ancora allargato. insomma sarebbe un antipiretico in assenza di una diagnosi sensata.

 

 

(...) si può ragionare sull'efficacia di una tassa sui prelievi di moneta (sia al bancomat che allo sportello) che avrebbe i vantaggi sopracitati e in più supererebbe in maniera ancora più convincente il problema dell'elusione riuscendo a catturare quote importanti di reddito sommerso ed illegale (non è un caso forse che il governo colombiano abbia introdotto da due anni una tassa del 4 per mille sui prelievi del bancomat e non ha intenzione di abolirla).

 

Quando ho letto un punto simile sul sito di  apttax mi è venuto da sorridere: io credo che in italia non puoi colpire i fondi neri tassando i prelievi perchè per definizione in banca non ci passano. Se guadagno 1€ in nero, lo ricevo in contanti e in contanti lo spendo. Chi poi ha tanti soldi da riciclare è abbastanza smart da eludere qualsiasi tipo di tassa.

Scusate, ma io ogni volta che leggo di questi articoli (sarà perché sto iniziando a studiare modelli matematici per la copertura dei derivati) mi domando se questa proposta, applicata a tutte le istituzioni finanziarie possa avere un senso, visto che in questo modo diventa molto più difficile per gli intermediari coprirsi dal rischio di emissione di derivati, di conseguenza si acuisce l'uso improprio di questi ultimi, che diventerebbe dunque praticamente un azzardo da parte di chi li emette, invece che una copertura dai rischi come dovrebbe essere. Secondo me grazie a questa tassa (ribadisco se applicata a tutto il mondo) avrebbe uno di questi due effetti:

1) o le banche non si fidano più ad emettere strumenti finanziari rischiosi senza un'adeguata copertura, lasciando le aziende a se stesse sui rischi di cambio valuta, crolli del mercato, ecc..

2) o, grazie al moral hazard, lo fanno lo stesso accollandosi dei rischi pur di non scambiare alla giusta velocità, e nei casi di crisi borsistica abbiamo dei bei fallimenti a catena.

Entrambi gli effetti sono molto gravi, come li combatteremmo? 

 

visto che in questo modo diventa molto più difficile per gli intermediari coprirsi dal rischio di emissione di derivati, di conseguenza si acuisce l'uso improprio di questi ultimi, che diventerebbe dunque praticamente un azzardo da parte di chi li emette, invece che una copertura dai rischi come dovrebbe essere.

 

detto così, forse andrebbe precisato: chi "emette" un'opzione è chi la vende (mica sono solo le banche :-)) e ha sempre una posizione speculativa, è coperto cioè solo per il margine. è necessario perchè possa esistere un compratore, l'unico che "si copre" da un rischio.

 

Vorrei capire meglio. Si vuole ridurre la turbolenza finanziaria o si vogliono finanziare iniziative meritevoli? La proposta vorrebbe prendere due piccioni con una fava. Ora però, se non ho colto male, i firmatari sono comprensibilmente attratti dal secondo aspetto (l'obbiettivo) e relativamente meno dal primo (lo strumento).
Sul primo. Ammettiamo che sia saggio e giusto ridurre la volitilità, l'imposta produce l'effetto desiderato in mercati liquidi, ma in thin markets l'effetto è esattamente opposto. Quindi uno avrebbe bisogno di qualcuno che fornisse quest'informazione e la tenesse continuamente aggiornata. Fattibile? Ho fortissimi dubbi: mercati oggi liquidi potrebbero diventare thin tutto di un colpo, e in mercati thin la tentazione di manipolazione delle quotazione è molto più fattibile e redditizia per chi dispone di maggiori informazioni, e normalmente non si tratta del piccolo investitore.
Sul secondo. Perchè non suggerire un diverso modo di finanziare, magari attraverso meccanismi fiscali che favoriscano donazioni e quant'altro? Ci sono molti che già investono in fondi etici: la bellezza di 2,17 trilioni, ci si dice, sono investiti così. Bene. Cominciamo dai soggetti che condividono questa sensibilità per il prossimo. Si potrebbero fare tante cose: ad esempio se essi destinano una parte dei loro profitti (come suppongo) ad iniziative meritevoli, facciamo in modo che questa quantità aumenti, con meccanismi fiscali e quant'altro. E magari incentiviamo gli altri, magari quelli che oggi investono che so, in bordelli australiani.

Se proprio si vuole imporre una tassa sovranazionale per finanziare iniziative meritevoli, si potrebbe proporre un'imposta, con aliuota nettamente più elevata, sulle vendite di armi.

A differenza della tassa su transazioni finanziarie non sarebbe necessario mettere in piedi un complesso sistema di riscossioni, in quanto le compravendite di armi sono già monitorate internazionalmente. Inoltre l'elasticità della domanda è abbastanza bassa, e sarebbe sufficiente coinvolgere meno di diesi stati, che coprono la stragrande maggioranza delle forniture.

E se il mercato dovesse soffrirne, ce ne faremo una ragione.

Stavo meditando un post ma vista questa ghiotta discussione incollo qui il testo.

Parlando di imposte sul reddito in Italia ci sono almeno 3 punti fermi

  1. la pressione fiscale è alta
  2. in parecchi riescono a evadere
  3. il sistema è complicato

I primi 2 punti non necessitano di spiegazione. Qualche parola sul terzo.
Il sistema è complicato perché i contribuenti devono presentare una dichiarazione dei redditi che in genere non sono in grado di compilare senza l'aiuto di un esperto con sufficienti conoscenze tecniche.
La complessità ha un costo: non solo il tempo di  compilare le dichiarazioni, ma anche quello che la pubblica amministrazione impiega per verificarle, comminare sanzioni,incassare le multe etc.
È plausibile ritenere che il punto 3 abbia un impatto sui primi 2: più complesso è il sistema maggiori sono le opportunità di evadere ed eludere e, in ultima istanza, maggiore è l'onere che si aggiunge sulla pressione complessiva.
Pertanto semplificare il sistema fiscale potrebbe essere una strada per ridurre la pressione fiscale e quindi avere "Meno Tasse per Tutti"

Un'idea affascinante in questa direzione  è sicuramente quella proposta Edgar L. Feige (qui  un draft del paper disponibile free)alla base dell'appello di Becchetti  e degli altri economisti. Sul paper di Feige a suo tempo Michele ha espresso i rilievi che si possono leggere in dettaglio qui.
A questo punto proporrei un'idea un pò più rozza:
sostituire le imposte sul reddito con una sola imposta sui beni immobili
Benefici:

  • Non si può evadere, le case non puoi trasferirle on line a Dubai, anzi se non paghi le tasse per un pò te le potrebbero anche mettere all'asta
  • Non si può eludere, anche se non possiedi immobili per vivere in Italia devi pagare un affitto o acquistare beni e servizi da chi gli immobili li possiede
  • E' semplice come pagare una bolletta, niente dichiarazioni, commercialisti, CAF o processi farsa in cui prima evadi, poi contesti  e alla fine paghi solo una frazione minima del dovuto e lo stato rigrazia
  • Disincentivo a lasciare gli immobili inutilizzati

Non credo che i rilievi che Michele muoveva alla APT Tax possano applicarsi agli immobili. Li riepilogo:

  • Il free riding verso intermediari/mercati:trasferisco la residenza formalmente nei paesi dove l'imposta non c'è e il sistema bancario è evoluto
  • Utilizzo di inside money ovvero mezzi di pagamento non soggetti all'imposta es un impresa emette voucher o carte fedeltà accettate come mezzi di pagamento
  • L'elasticità, se tasso le transazioni il numero di queste potrebbe ridursi molto più del previsto

In sintesi la tassa sugli immobili finchè vivi o consumi in Italia, direttamente (perchè sei proprietario) o indirettamente (chi è proprietario te ne trasferisce la parte che riesce) finisci per pagarla.

Quanto potrebbe pesare una tassa del genere? Poniamo che in media ogni 100€ di reddito se ne paghino 30€ di tasse.Quanti immobili può possedere uno che guadagna 100€? Una banca con mutuo a 30 anni potrebbe finanziargli  qualcosa come 3 volte il lordo di un anno, quindi 300€, se l'immobile si acquista con un finanziamento del 75% diciamo che chi guadagna 100€ ha immobili per 400€. Quindi la tassa di 30€ è pari al 7.5% del valore di mercato.

Il beneficio per tutti sarebbe che i minori oneri di verifica e riscossione delle imposte potrebbero tradursi in riduzione della pressione complessiva. L'altro effetto desiderabile sarebbe trasferire parte del carico fiscale su soggetti che oggi evadono o eludono.

Se l'idea vi pare troppo ingenua prendetela un pò con questa filosofia.

Mi chiedo una cosa, facendo quattro conti molto semplificati mi sembra di notare un trasferimento notevole della eventuale pressione fiscale da alcune zone verso altre, non che la cosa sia negativa in sè, se questo comporta maggiore equità, ma ovviamente la rasistenza verso l'introduzione di una simile misura potrebbe essere molto forte.

Per esempio  se si suppone che le tasse incassate siano +o-  proporzionali al PIL dato che il PIL procapite della città di Napoli è circa il 60% di quello di Milano questo significa che nel migliore dei casi a Milano si pagano circa il 50% di tasse in più che a Napoli.

Se si suppone che la proprietà immobiliare sia più o meno distribuita in modo simile nelle due città e dato che il valore al metroquadro degli immobili a Napoli è quasi l' 80% di quello di Milano indipendentemente da qualsiasi altra considerazione l'introduzione di una simile misura comportarebbe, a pari introito fiscale ad un aumento delle tasse incassate a Napoli e a una diminuizione di quelle incassate a Milano, abitando in Lombardia la cosa potrebbe interessarmi, ma i napoletani cosa ne penserebbero?

Dico forse scempiaggini?

 

Quindi la tassa di 30€ è pari al 7.5% del valore di mercato.

 

il mercato immobiliare non è quello delle commodities, le compravendite sono ben poche e i prezzi molto volatili, un settore cioè ad alto rischio. consiglio di andarsi a vedere i problemi che si creano nella valorizzazione delle quote (quindi del solo valore medio)  dei fondi  immobiliari negli stati uniti, i reits (da noi è molto peggio). si dovrebbe usare la rendita catastale, più o meno rivalutata, come base imponibile di tutte le imposte sul reddito (anche il reddito di impresa?)  perchè non sia troppo oscillante.. un sistema che già per l'ici, dal gettito enormemente inferiore, non funziona bene.

non vado oltre, non ne ho la competenza. a me  interessa rimarcare che, anche nella tua proposta sarebbe molto meglio avere  un buon prezzo di mercato, fatto di tante compravendite e di tanti speculatori, che alla fine fanno emergere un fair value.

 

Ho pure io un paio di obiezioni:

  1. gran parte degli immobili sono abusivi e non accatastati
  2. chi affitta ad inquilini morosi è cornuto e mazziato (ed in Italia ci vogliono anni a cacciarli)
  3. il miliardario che non si fa la reggia non paga un cazzo, pure se si vive in una suite al Principe di Savoia

NB: non è che ci tenga a tassare per forza il miliardario, è che temo sia sbilanciata verso chi investe gran parte del reddito nella casa.

 

Nel primo anno si fa il gettito previsto, ma paga molto chi ha immobili, nulla chi ha altri beni o redditi.

Nel secondo anno tutti quelli che hanno altri beni si trasferiscono a Dubai da Scacciavillani; non saprei se portando i beni mobili con se oppure no. Il valore degli immobili crolla.

Nel terzo anno i proprietari cominciano ad andare in bancarotta: non hanno soldi per pagare le tasse sugli immobili.

Nel quarto anno chiudono le industrie per via delle tasse sui capannoni e scompare l'agricoltura per via delle tasse sui terreni.

Il quinto anno lo trovi qui: www.youtube.com/watch

L'idea non è ingenua, è solo sbagliata, colpisce un capitale, ma per pagare hai bisogno di un reddito. A parte il trascurabile dettaglio di spostare indirettamente il carico fiscale su lavoro e impresa: i proprietari si rifarebbero su inquilini (di solito lavoratori) e affittuari di immobili industriali e commerciali. Certo, l'industriale potrebbe comprarsi il capannone, ma primo spende soldi che potrebbero andare in macchinari, ricerca, aumenti salariali, secondo delocalizza di corsa in Svizzera dove gli affittano il capannone per due lire.

Preferisco un sistema con una tassa  sulle transazioni per la fiscalità generale e una tassa locale sulla proprietà da destinare a viabilità, urbanizzazione, trasporto pubblico e servizi locali, in modo che l'uso sia immediatamente accountable dai contribuenti, nella speranza che il gettito complessivo possa sostituire IRPEF, IVA, IRAP etc. etc. Vabbè, poi bisogna prevedere la spesa per i sussidi di disoccupazione per i commercialisti... :-)

 

Io non ho capito una cosa. Nel paragrafo "L'appello in sintesi" si dice che un obiettivo è quello di ridurre le transazioni ad alta frequenza in mercati regolamentati. Perché questo è un obiettivo desiderabile?

 

 

Io non ho capito una cosa. Nel paragrafo "L'appello in sintesi" si dice che un obiettivo è quello di ridurre le transazioni ad alta frequenza in mercati regolamentati. Perché questo è un obiettivo desiderabile?

 

per farla breve, si può pensar male: le HFT sono recenti e misteriose (davvero) e nella logica FUD, possono essere indicate facilmente come i "cattivi".

in realtà sono tutti ingolositi dalle enormi cifre che ci vedono, senza costi politici. un po' come fantasticare del superenalotto; la villa con piscina, poi o prima del "wally" all'ancora? o, in omaggio alle latitudini di palma, del southern wind?

 

Premetto di condividere i fini ma non essere del tutto convinto dell'uso dei fondi sull'aiuto allo sviluppo (magari la storia fino a oggi insegna)...

Tuttavia, a prescindere da come usare  il gettito, credo che una potenziale tassa molto piccola sulle transazioni:

- non sia un peso per privati/imprese che fanno operazioni legate all'economia reale:  per cifre basse sarebbe possibile assorbirle nei costi standard (ossia viste il livello delle commissioni, in paesi con sistemi finanziari competitivi, potrebbe non esserci alcun effetto pass-through al cliente, come giustamente qualcuno nei commenti sosteneva). Per cifre piu' alte basta mettere un cap sulla percentuale.

- Creerebbe seri problemi per il c.d. "high-frequency trading". Il quale crea a sua volta notevoli problemi (technical crashes), come successo piu' volte nell'ultimo anno non solo da un punto di vista di operational risk, ma anche potenziando gli effetti di "herding", ossia operazioni che vanno tutte in una direzione, visto che i sistemi algoritmici usano spesso simili effetti di correlazione. (Scusate il troppo inglese). In sostanza, e' una causa non piccola di instabilita' dei mercati finanziari. Una tassa di questo tipo disincentiva chiaramente operazioni "istantanee", ma (notare bene) al contrario incentiva transazioni magari speculative, ma con una posizione aperta (diciamo long/short) definita. Ossia, quello che crea liquidita' e "deep markets". In sostanza, non credo creerebbe problemi ai fondi comuni o hedge, che hanno funzioni importanti.

- fuga degli operatori: probabilmente alcune piattaforme di online trading, se non lo sono gia', migrerebbero verso lidi meno regolati. Pero' non dimentichiamo che ci sono sempre trade-off a stabilirsi (anche solo formalmente) in diciamo Cayman o simili....i vari esodi minacciati negli anni da Londra (routine ogni volta che aleggiano regole piu' stringenti per banche, fondi etc), per esempio, non ci sono mai avvenuti.

 

Creerebbe seri problemi per il c.d. "high-frequency trading". Il quale crea a sua volta notevoli problemi (technical crashes), come successo piu' volte nell'ultimo anno non solo da un punto di vista di operational risk, ma anche potenziando gli effetti di "herding", ossia operazioni che vanno tutte in una direzione, visto che i sistemi algoritmici usano spesso simili effetti di correlazione. (Scusate il troppo inglese). In sostanza, e' una causa non piccola di instabilita' dei mercati finanziari. Una tassa di questo tipo disincentiva chiaramente operazioni "istantanee", ma (notare bene) al contrario incentiva transazioni magari speculative, ma con una posizione aperta (diciamo long/short) definita. Ossia, quello che crea liquidita' e "deep markets". In sostanza, non credo creerebbe problemi ai fondi comuni o hedge, che hanno funzioni importanti.

 

I problemi ed i benefici degli HFT non sono cosi' semplici. Piu' volte nell'ultimo anno, dici? A dire il vero, l'unico evento macroscopico che mi viene in mente nel 2010 e' il flash crash. Gli HFT possono create herding come diminuirlo. Ho l'impressione che in periodi come il mesi di agosto 2007 e settembre 2008 abbiano contribuito alla fluidita' del mercato piu' che ad aumentarne la volatilita' - ma sei hai dati a riguardo, ben lieto di ricredermi. Guardiamo anche eventi come l'ottobre 87 in cui gli HFT non esistevano e la mancanza di liquidita' ha peggiorato la situazione notevolmente.

Problemi ai fondi hedge ne creerebbe parecchi. I fondi di Reneissance Technologies, da soli contano per una trentina di miliardi di dollari e due su tre sono HFT. (ti potrei fare un lungo elenco, questo e' solo il primo esempio che mi viene in mente). I fondi comuni ed anche quelli pensione non sono HFT, ma spesso investono in fondi HFT.

Non sono un difensore dell'alta frequenza, solo che non mi pare una grande idea volerli schiacciare. Se creano problemi (e qualcuno lo creano, indubbiamente), bisogna capire esattamente come mai, e capire anche che cosa portano di buono al sistema (perche' certamente portano qualcosa di buono). Gli HFT sarebbero l'unica classe di investimento direttamente toccata da un provvedimento di questo tipo, ma poi bisognerebbe capire che impatto avrebbe la loro assenza dai mercati.

 

lunedì 25 ottobre Borsa Italiana ha introdottoSOLA, la piattaforma tecnologica innovativa per la negoziazione degli strumenti derivati sul mercato Idem. SOLA sostituisce l’attuale Idem Trading Service....

 

mah, se già uno diffida dei derivati, il nuovo nome lo convincerà?

E’ evidente che questa breve riflessione che è alla base dell'appello su un tema così importante non è un paper scientifico fondato su modelli teorici o ricerche empiriche originali ma un ragionamento su evidenze prodotte da altri e sulla rassegna di una letteratura esistente. Sono consapevole che i ragionamenti sviluppati si basano su una mole di studi e di lavori non particolarmente estesa e quindi sono aperti a critiche e prove contrarie. Ma uno degli obiettivi della nostra iniziativa è proprio quello di stimolare la professione a ragionare su un'ipotesi che fino a poco tempo fa veniva scartata priori e a fare ricerca su questi temi per esplorare più approfonditamente limiti e potenzialità. Saremmo lieti se, dalle critiche e dai commenti a questo sasso lanciato nello stagno, nascessero proposte più efficaci e con meno punti deboli in grado di perseguire l'obiettivo di equità e di rispondere ad alcune emergenze sociali (malnutrizione, ostacoli alle pari opportunità) nel rispetto del principio di creazione di valore economico che è la motivazione che ci ha spinto a formulare e sottoscrivere l’appello.

clap clap clap ... applaudo.

mi è piaciuto il post di Leonardo Becchetti.

Io sono favorevole alla FTT come tassa sostitutiva di altre imposte .

Ritengo che si stia creando confusione con questa ambiguità sulla destinazione del gettito . L'obiettivo di equità è giusto perseguirlo, ma prima di tutto a casa propria. La discussione sugli aiuti ai paesi poveri e sulle emergenze dovrebbe restare separata .

 

Dunque, a Marcello e Marino Zdollars cessarono di esistere (l'anno scorso, nel 2009.)

Per il resto, e solo per la trascrizione, sono contrario a aiuti a chicchessia, per la ragione banalissima che non aiutano le popolazioni destinatarie e inducono ulteriori livelli di imbecilli (economisti dello sviluppo) e di criminali (meta' circa dei governanti/funzionarii dei paesi africani) che ingrassano con l'olio che cola dall'industria dell'assistenza.

Quando i firmatari di tale quasi oscena esibizione delle loro "preferenze" come le chiama il sig. Becchetti, andranno a fare i maestri elementari in Zimbabwe, mi offro volontario per insgnar loro a guidare (che e' complicato in Zim, dato lo stato delle strade.)

A mio avviso l'articolo di Becchetti non ha risposto a nessuna delle domande cruciali che gli erano state poste.

Non le ripeto di nuovo, perché credo fossero chiare e credo che, seppur è vero che repetita juvant, è anche vero che aliquandum "scocciant" ...

Volevo solo annotare due o tre cose:

(1) Se l'obiettivo è quello di impedire o ridurre l'utilizzo di algorithmic trading (che ho studiato più approfonditamente nelle ultime settimane e comincia a sembrarmi cosa scarsamente utile) questo si può fare molto più direttamente, efficaciemente e chiaramente attraverso le regole con cui le varie borse, mercati o trading sites funzionano. Insomma, che lo facciano i regolatori dei mercati, non le imposte del ministero delle finanze mondiale.

(2) Se l'obiettivo è ridisegnare il sistema fiscale (Nazionale? Europeo? Mondiale?) basandolo sulla transacion tax, proposta dal vecchio Feige e da altri, la cosa andrebbe detta in modo esplicito e le stranote obiezioni e difficoltà sollevate, da decenni, sulla transaction tax andrebbero discusse. Non si può far finta sempre di "voler aprire un dibattito" quando il dibattito sul tema è stato aperto e chiuso mezza dozzina di volte. Occorre dire cose nuove e tecnicamente solide.

Capisco che tale tecnica funzioni bene come strumento di "captatio benevolentiae" del grande pubblico che applaude i volenterosi scienziati, ma non è un metodo intellettualmente sound e puzza un po' troppo di populismo a buon mercato. Siccome svariati decenni di studi suggeriscono che un sistema fiscale basato sulla tassazione delle transazioni sarebbe probabilmente ancora peggio di quello che abbiamo, PERCHÈ Becchetti e gli altri (che apparentemente questi studi conoscono o dovrebbero conoscere) fanno questa proposta come se niente fosse?

(3) Se il problema è aumentare la quantità di risorse da trasferire, sotto forma di pubbliche donazioni, ai paesi particolarmente poveri e dell'Africa soprattutto, occorre prima dimostrare che quanto documentato in articoli come questo non è vero e non conta.

 

Capisco che tale tecnica funzioni bene come strumento di "captatio benevolentiae" del grande pubblico che applaude i volenterosi scienziati, ma non è un metodo intellettualmente sound e puzza un po' troppo di populismo a buon mercato. Siccome svariati decenni di studi suggeriscono che un sistema fiscale basato sulla tassazione delle transazioni sarebbe probabilmente ancora peggio di quello che abbiamo, PERCHÈ Becchetti e gli altri (che apparentemente questi studi conoscono o dovrebbero conoscere) fanno questa proposta come se niente fosse?

Forse perchè pensano da politici più che da economisti.

Dio che e' potente, arrogante, insopportabile, e' giusto.

L'appello sorti' nessun effetto. E' giusto il dio, geloso e irato, perche' impedisce l'aumento dei salari dei vari sultanelli d'Aphrika che godono di queste prebende tolte da governi stolti e il cui rendimento viene dato a (mezzi) criminali.

Di eccellente vi fu che l'appello dei vari ZamagniBecchetti e affini ando' in nessun luogo.

Secondariamente per tutti i dementi che ritengono che il "plagio" sia ubbia da professori, vi suggerisco di leggere

http://walldorf.typepad.com/politics_economics_and_ot/2011/02/how-serious-is-guttenbergs-plagiarism.html

 

 

 

Senza togliere nulla alla nobilta' faunistica dell'uccello, questi esemplari della fauna dell'accademia sono uccelli del malaugurio.

Riuscira' il rinnegato becchetti a dar ancora PIU' soldi a (giuletta) Tremonti, (ictus) Bossi, e Letta e i suoi cuginetti?

 

http://www.repubblica.it/economia/2011/08/17/news/serve_la_sabbia_negli_ingranaggi_il_ritorno_benedetto_della_tobin_tax-20537968/