Test Invalsi: non lamentarsi ma farne tesoro

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Ci sono poche cose, al mondo, che uniscano e compattino gli insegnanti più che l’odio verso le prove Invalsi e l’immenso fastidio nel doverle somministrare e correggere. Ogni occasione diventa quindi preziosa per ripetere al mondo che questi test sono inutili, dannosi e andrebbero aboliti. Ma è davvero così?

I Test Invalsi non servono per valutare i docenti o i loro studenti. Oggi costituiscono ancora parte integrante dell’esame di terza media, ma dopo l’approvazione della delega sulla valutazione contenuta nella legge 107/2015 non sarà più così.

Le prove, invece, sono un importante strumento di ricerca, sia per l’Invalsi, che le utilizza per avere valutazione d’insieme del sistema scuola, sia per noi docenti, che le possiamo analizzare per capire punti di forza e di debolezza del nostro metodo didattico.

Provo a spiegarlo attraverso due esempi.

Il triangolo no, (così) non l’avevo considerato 

Nel 2010/2011, gli alunni delle classi III della Scuola Secondaria di I grado si trovarono di fronte a questo problema, apparentemente innocuo.

Domanda 6 - area del triangolo

All’epoca il quesito scatenò molte polemiche: solo il 29% circa dei ragazzi fu, infatti, in grado di calcolare l’area e appena il 25% riuscì a spiegare come aveva fatto ad arrivare alla soluzione.

Ma perché gli studenti di terza media si sono trovati in così grave difficoltà di fronte a questa semplice domanda?

La risposta è tanto semplice quanto disarmante: la colpa è nostra!

Sono convinto che la stragrande maggioranza di triangoli che noi insegnanti disegniamo alla lavagna siano come quello disegnato a sinistra: tre angoli acuti, base orizzontale e una comoda altezza verticale che cade all’interno del triangolo stesso.

Sarà forse per questo motivo che gli studenti, posti di fronte a una situazione “anomala” in cui l’altezza “ovvia” cadeva al di fuori della base, si sono trovati in difficoltà? 

triangoli

Facciamo quindi tesoro di questa prova, sforziamoci di proporre anche triangoli come quello disegnato a destra e facciamo disegnare tutte e tre le altezze. In  questo modo eviteremo cattive associazioni (l’altezza come segmento verticale che cade all’interno del triangolo) e spiegheremo correttamente il concetto di perpendicolarità.

Non è un caso isolato. Per semplificare disegni e conti, usiamo spesso condizioni particolari per illustrare concetti generali. Quanti docenti, per spiegare il legame tra integrale definito e area, utilizzano la seconda immagine e non la prima?

Integrali e aree

Percentuali, queste sconosciute

Passiamo ora ai test dello scorso anno e in particolare a quelli rivolti agli studenti di II della scuola secondaria di II grado. Qui l’esercizio che ha destato più problemi è stato il seguente:

esercizio percentuali

I risultati sono molto preoccupanti:

risultati D22

Non trovate anche voi sconcertante che in Italia meno di un quindicenne su dieci sia in grado di calcolare una semplice percentuale?

Certo, potrebbe trattarsi di un mero errore di distrazione (si richiedeva l’aumento percentuale dal 2001 al 2005 mentre i dati partivano dal 2000), ma purtroppo questo risultato è troppo in linea con quanto osservato in classe ogni anno per liquidarlo in questo modo: le percentuali sono un argomento che gli studenti fanno molta fatica a digerire, non solo al biennio.

Questa non deve, ovviamente, essere una giustificazione ma uno sprone a rivedere i nostri programmi didattici, magari riducendo l’enorme peso che diamo al calcolo algebrico, spesso fine a se stesso.

Conclusione

Questi sono solo due esempi ma potremmo andare avanti per ore, esaminando i quesiti uno per uno e ragionando sulle implicazioni che derivano dai risultati ottenuti dagli studenti. Potremmo, ma non lo facciamo.

È molto più comodo liquidare i Test Invalsi come noiosi, inutili e mortificanti test nozionistici a crocette.

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Commenti

Ci sono 26 commenti

all'università non sono riusciti a risolvere un quesito elementare (trova il numero mancante nella seguente sequenza 16 06 68 88 xx 98) proprio per il motivo ben evidenziato nell'articolo. Ma come insegnare a pensare?

Diciamo che nella formulazione originale era più facile arrivare alla soluzione :-)

Aggiungerei che anche chi prepara i test può imparare dai risultati -- sebbene i test Invalsi che ho visto siano generalmente di ottima qualità. Ad esempio, la domanda sulle percentuali D22 contiene un inutile trabocchetto, poi segnalato da Bollettino stesso, in cui anch'io sono caduto. Inutile in quanto non rileva la competenza nel calcolo delle percentuali, bensì una capacità attentiva che uno ragionevolmente non si aspetta che sia in gioco in una domanda del genere.

(Fuori tema. La domanda riportata dal sig. Ernesto, per quanto carina, non è né elementare né facile, anche tenendo conto della mia ottusità senile. Ho trovato la risposta solo tramite Internet. Può rilevare una certa elasticità e creatività intellettuale, o più realisticamente un addestramento a domande del genere, ma sarei perplesso riguardo alla sua utilità in un test di ammissione all'Università.)

scusa l'alzheimer, ma quale sarebbe il trabocchetto?

ho utilizzato l'esatta sequenza. Risolvere ragionando con una prospettiva diversa rispetto a quella offerta. Dovrebbe essere uno standard.. :)

Quello che manca nell'insegnamento della matematica, è l'approccio critico al problema. Molto spesso si insegna meccanicamente una procedura di risoluzione, ma non a ragionare in maniera più completa e ad usare lo strumento corretto a seconda dei casi. Non è sicuramente facile, ma altrimenti si rischia di ridurre la matematica ad un puro meccanicismo da mandare a memoria.

Ad esempio, nel primo quesito, basta misurare i tre lati ed usare la formula di Erone (a me fu spiegata in prima media) per calcolare l'area. Non c'è quindi neanche bisogno di calcolare l'altezza. 

Trovo compeltamente fuori luogo l'esempio fatto dal sig. Ernesto: quel tipo di quesiti lasciamoli alla Settimana Enigmistica, non servono a niente se non a dimostrare che la persona possieda un po' di intuizione.

Da oltre trent’anni somministro un (doppio) test nella secondaria superiore (nel le classi finali, ché nel primo biennio mi accontento che comprendano il valore dei numeri e non scambino la virgola con il puntino delle migliaia): “Pierino ha comprato 2 quaderni e un diario e ha speso 7 €;  Luigino ha comprato, allo stesso prezzo unitario, 5 quaderni e due diari spendendo 15,50 €.  Quale è il prezzo di un diario e quale quello di un quaderno?”  Le risposte corrette non superano mai il 10% e non di rado sono zero. 

Dopo di che propongo l’esercizio  “2a + b = 7;    5a + 2b = 15,5” .  Buona parte degli studenti risolve correttamente il sistema di equazioni.

 

Da oltre trent’anni cerco di convincere i miei colleghi di matematica (insegno economia aziendale) a dedicare meno ore all’algebra e alla “meccanicità” degli esercizi  in cambio di più applicazioni concrete e al (conseguente) uso della logica.  I risultati, però, sono nulli: nella burocratica scuola italiana il livello raggiunto dalla resistenza al cambiamento dell’insegnante medio (di qualsiasi materia, ma comunque sopraffatto dal timore di non finire il sacro programma ministeriale) temo abbia  superato il punto di non ritorno.

Proprio per essere rigoroso ai limiti del pedante: visto che il quesito diceva "col righello" e non con squadra, o riga a "T" o goniometro, e visto che col solo righello la costruzione di segmenti perpendicolari tra loro è malagevole, il candidato avrebbe dovuto applicare la neglettissima (nella scuola italica) formula di Erone. Per quanto riguarda il sistema risolutivo del problema di Pierino: mi contenterei del fatto che gli alunni abbiano risolto il sistema, e spero che lo abbiano fatto col "vergognosissimo" metodo di addizione e sottrazione, da molti insegnanti di fatto vietato, perché troppo intuitivo, stringato e semplice. Per il resto: facciamocene una ragione, 20 secoli di Chiesa cattolica hanno bruciato in questo paese (direi come in Spagna: www.fisicamente.net/SCI_FED/index-49.htm) ogni possibile appeal nello studio delle matematiche e delle scienze; gli alunni studiano controvoglia, gl' insegnanti lavorano peggio, i genitori preferiscono comprare l' iPhone 39 piuttosto che un appoggio didattico per i propri figli, "tanto a che serve sapere X (con X che assume i valori: matematica, fisica, chimica, almeno basi di statistica,...)" ? Sorge il problema di come e quanto la Scuola possa elaborare, proporre e trasmettere nuovi valori ed atteggiamenti, ma qui, come scrisse un anonimo romano il giorno dopo l' ingresso degli alleati nella capitale, "lassatece a piagne da soli".