Questa doveva essere la seconda puntata della telenovela sulla giustizia, ma vista l’attualità del tema, ho pensato di fare un piccolo (si far per dire) commento sulla questione, molto attuale, del testo unico sulla prevenzione infortuni in approvazione da parte del governo. Specifico che io, qui, utilizzerò il testo pubblicato sul sito del Sole24Ore e, quindi, un testo non ufficiale, né ancora approvato nella sua versione definitiva.
A dispetto del titolo apparentemente burlesco, il tema evidentemente non fa ridere. Nella mia carriera professionale ho visto giovani padri di famiglia con il cranio fracassato e ragazzi di 15 anni paralizzati dalla testa in giù e, quindi, mi asterrò dal fare le mie solite battute più o meno ciniche. Se il testo unico, pur facendo perdere competitività al paese, servisse realmente a salvare vite umane, non avrei scritto questo articolo. Personalmente ho cominciato ad occuparmi della prevenzione infortuni da uditore, quando alcuni giudici mi dissero che, per questi reati, era importante che al processo fosse presente un PM togato e non un semplice viceprocuratore onorario. Pian piano mi sono appassionato alla tematica ed ho scoperto che essa è uno dei pochi campi in cui ho ancora la sensazione di utilità sociale di quello che faccio. Questo articolo vuole essere una sorta di prosecuzione del lavoro che Andrea fece prima di Natale, ma anche un tentativo di fermare, in qualche modo, gli errori in cui, a mio avviso, sta per incorrere il governo. Inoltre l'articolo è una dimostrazione concreta dei tantissimi motivi per cui la giustizia in Italia non funziona.
Andiamo con ordine. In Italia, a livello penale, il fenomeno degli infortuni sul lavoro viene combattuto su due piani, uno, chiamiamolo di prevenzione, che, punisce penalmente il datore di lavoro o chi per esso per la violazione delle norme di prevenzione ed uno, meramente repressivo, che punisce un soggetto ad infortunio avvenuto a causa della violazione delle norme di prevenzione. Quest’ultimo piano dovrebbe avere una funzione di deterrenza, per gli altri datori di lavoro, ed una funzione educativa per il colpevole. La normativa di prevenzione cerca di anticipare e, quindi, di evitare gli infortuni. Si tratta di reati di tipo contravvenzionale puniti, fino ad oggi, con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. A differenza della stragrande maggioranza dei paesi europei, queste violazioni, in Italia, sono sanzionate penalmente. La cosa, di per sé, presenta qualche vantaggio derivante dall’indipendenza della magistratura. Ho potuto verificare direttamente come gli organi di vigilanza siano soggetti a notevoli pressioni di natura politica, pressioni cui possono resistere solamente perché rispondono all’autorità giudiziaria. Fino al 1994 la prevenzione era regolata da alcuni provvedimenti legislativi degli anni ’50, ottimamente scritti, ma retaggio di una vecchia cultura di impresa. Nel 1994, grazie alla legislazione europea, in particolare alla direttiva n. 89/391/CEE ed alle successive direttive di dettaglio, la prevenzione ha visto un radicale ed innovativo cambio di impostazione, attraverso la nota “legge 626”. Si è passati da un intervento parcellizzato sul singolo settore lavorativo o sulla singola macchina, ad un intervento globale che agisce sostanzialmente su tre fronti: quello della valutazione preventiva di tutti i rischi presenti nell’ambiente di lavoro e conseguente pianificazione delle misure da adottare, con la nomina e l’ausilio di un soggetto particolarmente qualificato denominato responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP); quello della formazione costante di tutti i lavoratori; quello del coinvolgimento dei lavoratori nella gestione della sicurezza attraverso i rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori (RLS). La legge, pur affetta da una criticabile tecnica legislativa, secondo me, ha funzionato, ed ha contribuito alla crescita del paese. Gli studi di Andrea (qui, qui, e qui ) lo documentano chiaramente.
Nel contempo, sempre nel 1994, il Legislatore ha varato una legge che non esito a definire assolutamente geniale per il suo pragmatismo, tanto che sembra scritta da marziani o da ameriKani. Si tratta del decreto legislativo 758/94. Questa norma prevede che, quando l’organo ispettivo ravvisa una violazione fa una cosiddetta “prescrizione”, imponendo al datore di lavoro o a chi per lui la rimozione della situazione pericolo entro un certo termine. Se il termine viene rispettato, l’indagato è ammesso al pagamento di una sanzione, definita amministrativa, corrispondente ad un quarto del massimo della pena pecuniaria prevista, dopodiché il reato si estingue ed il procedimento viene archiviato. Con questa legge si raggiungono immediatamente, o quasi, tre obiettivi:1)l’eliminazione del pericolo e, nel contempo, l’educazione del responsabile, ove non si fosse reso conto della violazione; 2)un rapido incasso della pena pecuniaria. Mi sono informato presso l’organo di vigilanza. A Bolzano si parla di una somma complessiva di circa € 400.000,00 nell’ultimo anno. Infine, si ottiene anche 3), l’eliminazione del potenziale contenzioso. Sempre a Bolzano parliamo di una percentuale tra il 5 ed il 10% delle notizie di reato che, in un anno, arrivano in Procura. Ciò comporta vantaggi organizzativi anche per l’organo di vigilanza, il quale si limita a trasmettere alla procura solamente il verbale di prescrizione e successivamente a comunicare l’ottemperanza alla prescrizione ed il pagamento della sanzione. In caso di contenzioso deve invece mandare una dettagliata informativa alla procura con allegazione degli atti e, successivamente, l’ispettore deve recarsi a testimoniare ai processi che si celebrano.
Và, quindi, fissato un primo paletto e cioè che non siamo all’anno zero della prevenzione infortuni, e che, nel settore, abbiamo, tutto sommato, delle buone leggi. Tuttavia, evidentemente, siamo ancora indietro rispetto al resto dell’Europa e c’è ancora molto da fare. In presenza di numerose leggi, non coordinate tra loro, si
è sempre reclamata un’armonizzazione delle stesse in un unico corpus
normativo che poi sarebbe il testo unico. Essendo comunque un intervento di natura legislativa, era opportuno adeguarlo alle esigenze del nostro tempo e siamo dunque giunti all’oggi. Nell’agosto dello scorso anno il Parlamento ha approvato la legge 123/2007, contente la delega al governo a riformulare la normativa in un testo unico. Nel medesimo provvedimento legislativo si sono previste alcune norme immediatamente precettive sulle quali tornerò in seguito. Và detto che la legge 123/07 prevede alcune cose buone che vanno nella direzione di aumentare e migliorare i controlli mediante un maggior coordinamento tra i vari servizi ispettivi e l’assunzione di circa 800 nuovi ispettori del lavoro e, nel contempo, di incentivare le aziende che vogliano migliorare, nonché di incentivare la diffusione della cultura della sicurezza.
In questa sede vorrei invece mettere in risalto alcune delle “chicche” che ha voluto introdurre il legislatore e che hanno suscitato le, più che legittime, ire di Confindustria. Come dicevo, uno dei pilastri sui quali si basa la legislazione di derivazione europea, è quello della pianificazione, mediante il c.d. documento di valutazione del rischio predisposto dall’RSPP. Questi è un soggetto particolarmente qualificato, dotato di una competenza specifica acquisita mediante appositi corsi di formazione. Le imprese di minori dimensioni possono rivolgersi a tecnici liberi professionisti esterni all’azienda. Il decreto legislativo 626/94 non prevede nessuna sanzione per l’RSPP che fa male suo lavoro. Del documento di valutazione fatto male sarà sempre solo il datore di lavoro a rispondere. La ratio di tale scelta sembrerebbe discendere dal comma 2 dell’art. 7 della direttiva 89/391/CEE, laddove dice che “I lavoratori designati non possono subire pregiudizio a causa delle proprie attività di protezione e delle proprie attività di prevenzione dei rischi professionali”. Và aggiunto che giurisprudenza e dottrina hanno sempre ritenuto sanzionabile come mancante il documento di valutazione incompleto. Spesso, a seguito di infortuni sul lavoro, si va a prendere il documento di valutazione, si verifica se il fattore scatenante era stato previsto e valutato ed, in caso contrario, si persegue il datore di lavoro. Senonchè, con il senno del poi, è facile dire che un determinato rischio doveva essere previsto e valutato (ricordate la famosa sentenza del gatto nel forno a microonde? Non era una sentenza di un giudice amerikano? Sempre che non si tratti di una leggenda metropolitana). Così ci troviamo nella seguente paradossale situazione. Io, legale rappresentante di un’azienda di notevoli dimensioni, non mi intendo di prevenzione e mi occupo delle strategie globali dell’azienda, pertanto delego un mio dirigente alla gestione della prevenzione ed assumo un RSPP particolarmente qualificato. Se l’organo di vigilanza ritiene che il documento non contenga l’analisi di tutti i rischi, logica vorrebbe che ne risponda in primis l’RSPP e poi il dirigente addetto alla materia. Sempre logica vorrebbe che si scinda tra la mancanza della valutazione (da addebitare al datore di lavoro) e l’incompletezza della stessa (da addebitare in primis all’RSPP e poi, ma solo eventualmente, al dirigente delegato o allo stesso datore di lavoro). Invece no, il legislatore ha stabilito che la valutazione non è delegabile e l’RSPP non è sanzionabile.
Aggiungo un altro particolare. Nel settore edilizio il datore di lavoro, a prescindere dalla dimensione della sua azienda, deve predisporre, per ogni singolo cantiere, un piano operativo della sicurezza (POS). Questo piano, per espresso dettato normativo, corrisponde all’obbligo di redazione del documento di valutazione del rischio. In altre parole, esso è parte integrante del documento di valutazione. Anche qui la norma è, a dir poco, paradossale. Prendiamo una grande impresa edile che opera a livello nazionale che ha decine di cantieri aperti. Poiché la redazione del POS non è delegabile, il legale rappresentante dell’azienda, dovrà rispondere del contenuto di ognuno di questi documenti sparsi per il territorio nazionale…In caso di infortunio la giurisprudenza, fin dall’inizio, non si è attenuta a questo sistema e gli RSPP sono stati spesso perseguiti assieme ai datori di lavoro. In caso di controllo in sede di vigilanza, dell’errore dell’RSPP continua a rispondere solo il datore di lavoro e la mancanza e l’incompletezza del documento sono sanzionati in egual misura. Ma, attualmente, la cosa è un po’ meno grave di quello che appare, laddove esiste e si applica il famoso decreto 758/94. Dopo la contestazione, metto a posto il documento secondo la prescrizione dell’organo di vigilanza, pago la sanzione ed il reato si estingue, dopodiché mi arrangerò a livello contrattuale con l’RSPP. Invece, cosa fa il Governo nel testo unico? La direttiva, pur impedendo la sanzione dell’RSPP, non impedisce di graduare la sanzione tra l’omessa e la parziale redazione del documento. Il testo unico prevede, invece, che l’omessa redazione venga sanzionata in egual misura alla redazione incompleta, ed, inoltre che, per tutta una serie di aziende, tra cui tutte le aziende edili anche di piccole dimensioni, che operano in cantieri aventi un’entità superiore ai c.d. 200 uomini-giorno, la sanzione non sia più alternativa (arresto o ammenda), ma solo quella dell’arresto da 6 a 18 mesi, con ciò impedendo l’applicazione del decreto 758/94. E così arriviamo all’ulteriore paradosso per cui l’imprenditore che su di un cantiere con pericolo di caduta dall’alto non monta il ponteggio, esponendo i lavoratori ad un rischio immediato e mortale, sarà punito con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 5.000 euro, mentre quello che ha realizzato un bellissimo ponteggio, ma lo ha descritto in maniera generica nel POS, dovrà, in linea teorica andare in galera per almeno sei mesi e, comunque, non potrà mettersi in regola seguendo il decreto 758/94… Se l’azienda si mette in regola, il giudice può applicare solo un’ammenda che va da un minimo di € 8000,00 fino ad € 24.000,00. Così si innesca un meccanismo di contenzioso per cui l’accertamento del fatto deve passare il vaglio del processo penale.
Mettiamoci nei panni di coloro che si sono inventati questa norma. Questi imprenditori, titolari di grosse aziende ma anche di piccole imprese, se edili, sono dei padroni sfruttatori del proletariato e, quindi, è giusto che vadano in galera. Ecco che scatta il modello superfisso (ammesso che, leggendo l’articolo di Brusco, io abbia capito che cos’è, visto che la logica (?!!) del modello continua a sfuggirmi): di fronte ad un numero fisso di magistrati e di risorse nel settore giustizia, si introducono sempre nuove fattispecie di reati, perché tanto la giustizia (non) funziona lo stesso. Infatti, il legislatore, tanto per cambiare, fa i conti senza l’oste e, in particolare, non tiene conto del procedimento penale e del principio di effettività della pena. Proviamo, infatti, a prefigurarci il seguente scenario: titolare di grossa azienda edile sottoposta ad ispezione dell’organo di vigilanza cui viene contestato un documento incompleto. È ovvio che questo datore di lavoro non patteggerà la pena, ha disposizione le risorse finanziarie per affrontare il processo, dunque si mette alla finestra ed aspetta che il PM avvii il procedimento penale. Ricordo che questi reati sono delle contravvenzioni e che esse si prescrivono in 5 anni dal fatto, periodo che, apparentemente potrebbe sembrare lungo, ma, per la giustizia italiana, è alquanto breve. Per questi reati, generalmente, si agisce con l’emissione di un c.d. decreto penale con i seguenti passaggi: richiesta del PM al GIP, emissione del decreto, notifica dello stesso, opposizione da parte dell’imputato, inizio del processo, primo grado, se condanna all’arresto, appello e successivamente Cassazione; totale 4 gradi di giudizio in soli 5 anni. Evidente il concreto rischio di prescrizione del reato, ma anche quello di un’assoluzione, di uno dei soliti provvedimenti sananti e quant’altro. Ma, poniamo che il processo non abbia questa fine ingloriosa e l’imputato venga condannato a giusta pena. Se fosse condannato al pagamento di una pena pecuniaria, il nostro industrialotto, potrebbe, in linea teorica, essersi spogliato di tutti i beni, per cui non ci sarebbe nulla da incassare. Ma, mettiamo che venga condannato ad una pena detentiva (i famosi sei mesi di arresto), ci va finalmente in galera? Nossignori, viene concessa la sospensione condizionale e, se ciò non dovesse essere possibile, perché l’imputato ha già dei precedenti, allora c’è pur sempre l’affidamento in prova ai servizi sociali. Così abbiamo il seguente brillante risultato: mentre, potendo applicare il decreto 758/94, lo Stato incasserrebbe subito del denaro ed eviterebbe il contenzioso (e le spese ad esso connesso), con questa norma, lo stato spende tanti soldi per il processo, non incassa nulla e l’unico a guadagnarci è l’avvocato.
E veniamo ad un’altra chicca della quale Confindustria nemmeno si lamenta, forse perché non si rende conto delle potenziali conseguenze. Nella legge delega 123/07, per ragioni sconosciute, è stata introdotto, quale norma immediatamente precettiva, anche l’art. 25septies del decreto legislativo 231 del 2001, che prevede la responsabilità amministrativa degli enti in caso di infortunio sul lavoro. Il predetto decreto legislativo sancisce, in generale, la responsabilità degli enti, nel caso in cui i suoi responsabili o anche dei dipendenti di esso commettano determinate fattispecie di reato, quali, ad esempio, truffa in danno dello Stato per pubbliche erogazioni, corruzione, concussione, reati societari, terrorismo ecc. Si badi bene che per enti si devono intendere non solo le persone giuridiche, ma anche associazioni e società di persona. Non si applica allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Quali sono gli enti con funzioni di rilievo costituzionale? Ma i partiti ed i sindacati, ovvio no? Quindi, se un manager di un’azienda privata, corrompe il cassiere di un partito, risponde anche l’ente, il partito non risponde (perché è importante per la patria).A seconda della fattispecie di reato sono previste sanzioni economiche. Oltre alla sanzione economica il decreto 231/2001 prevede anche delle gravissime sanzioni di natura interdittiva che possono consistere: a) nell’interdizione dall’esercizio dell’attività; b) nella sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; c) nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) nell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; e) nel divieto di pubblicizzare beni o servizi.L’art. 25septies sancisce la punibilità dell’ente con una sanzione non inferiore a mille quote in caso di infortunio. Quant’è una quota? Nel minimo € 258,00, nel massimo € 1.549,00. Dunque, facendo un piccolo calcolo, per un infortunio sul lavoro, in cui un lavoratore si rompe una gamba, rimanendo in malattia per 50 giorni, senza invalidità permanente, l’ente viene sanzionato con una pena minima di soli € 258.000,00, se poi il Giudice si arrabbia, potrebbe, in astratto, applicare anche una pena di € 1.549.000,00.
Ma vi è di più. Il decreto legislativo prevede la pena di 1000,00 quote come limite massimo di pena irrogabile. In altre parole, il minimo corrisponde al massimo: devo trattare la gamba rotta dell’esempio predetto alla stessa stregua di un infortunio mortale, sempre € 258.000,00. Non vi basta? Eccone un’altra. La gamba rotta è una cosiddetta lesione colposa (e quindi, per definizione, non voluta) grave. Tra i reati puniti dal decreto legislativo 231/2001 c’è anche quello dell’infibulazione, per la quale vengono puniti gli enti religiosi che la praticano. Questa è una lesione dolosa gravissima perché lede in maniera permanente l’organo genitale della donna. Quant’è la sanzione in questo caso? Da 300,00 a 700,00 quote. E così l’ente che tollera che, al suo interno, qualcuno deliberatamente mutili per sempre una persona è punito con una sanzione molto più blanda di quello che, suo malgrado, nonostante la formazione, la presenza di macchinari efficienti e quant’altro, si veda coinvolto in un infortunio dovuto, principalmente, ad un’imprudenza del dipendente…Come dicevo, infatti, la sanzione si applica anche nell’ipotesi in cui il reato sia stato commesso da un dipendente dell’ente purchè sia stato commesso a suo vantaggio. Secondo le prime interpretazioni della norma, tra i vantaggi rientrerebbero anche quelli consistenti in risparmi dell’ente, ad esempio, sulle macchine o sulla formazione.
Ed allora proviamo a fare un banale esempio di un infortunio che è tutt’altro che infrequente. Impresa di dimensioni medio-grandi, poniamo una Spa, con più stabilimenti autonomi, ciascuno guidato da un dirigente. Nel magazzino di uno di essi si utilizza un carrello elevatore perfettamente funzionante che viene guidato da un cartellista appositamente formato. Capita che, ogni tanto ed ad insaputa del dirigente, ed ancor più del legale rappresentante dell’azienda, il carrello venga guidato anche dall’apprendista privo di formazione, il quale, per una disattenzione, investe un collega causandogli la famosa frattura alla gamba. Secondo quella che è la pacifica applicazione della giurisprudenza in materia, il dirigente risponde penalmente dell’infortunio, perché si era instaurata una prassi distorta che egli aveva l’obbligo di impedire con un’adeguata vigilanza. La violazione della norma di prevenzione consiste nell’aver affidato un macchinario ad una persona non adeguatamente formata sull’uso della stessa. Poiché il dirigente non ha formato il lavoratore, la società ha risparmiato sulla formazione e quindi, anche se, penalmente, il datore di lavoro non risponde, essendo responsabili dell’infortunio l’apprendista ed il dirigente, risponde la sua società, con le sanzioni sopraindicate.Di fatto, la norma, nella sua attuale formulazione, è talmente folle che sarebbe stata immediatamente cancellata dalla Corte costituzionale alla sua prima applicazione. Lo capisce anche un bambino. Lo aveva capito perfino il governo (il che è tutto dire), tanto che, a distanza di due mesi dalla sua entrata in vigore, era stata creata un’apposita commissione per rivedere le sanzioni. All’errore si cerca, dunque, di rimediare in sede di approvazione del testo unico, graduando, come logica voleva, le pene, e così, l’art. 300 della nuova legge prevede una pena fino ad un massimo di 250 quote, in caso di lesioni, da 250 a 500 quote in caso di omicidio colposo, 1000 quote in caso di omicidio colposo in cui la morte sia stata determinata da un’errata valutazione dei rischi per quelle aziende ai cui titolari si applica la più severa sanzione dell’arresto da 6 a 18 mesi. Tornando, all’esempio di cui sopra, se quell’apprendista, guidando il carrello, malauguratamente uccide il collega, si applica all’ente una sanzione da 250 a 500 quote, cioè una sanzione che va, nel minimo, da € 64.500,00 ad € 129.000,00, per non parlare delle sanzioni interdittive, il cui periodo minimo parte da tre mesi fino ad un anno.
Resto del parere che la legge non sia conforme a Costituzione. Dunque anche qui si verrà a creare un inutile contenzioso. Infatti, mentre, rimanendo all’esempio di cui sopra, l’apprendista ed il dirigente, probabilmente, opteranno per il patteggiamento, l’ente sarà a costretto ad affrontare il processo, pena la chiusura dell’azienda. Bel risultato del tipo modello superfisso, non c’è che dire. Qualcuno mi potrebbe obiettare che sono un amico dei padroni, a libro paga di Confindustria, che non vuole tutelare i lavoratori ed un catastrofista perché la legge prevede la possibilità di evitare tutte queste sanzioni. Come? Adottando dei c.d. modelli di organizzazione e gestione previsti, attualmente, dall’art. 6 del DLVO 231/2001 ed, in futuro dall’art. 30 del testo unico. Senonchè, il modello deve essere “efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici”. Cosa significa “efficacemente attuato”? Non potrebbe il Giudice argomentare che, essendosi verificato l’infortunio, l’adozione del modello non era “efficace”? Se non era efficace, allora l’esistenza del modello non scriminerebbe l’ente con conseguente applicazione delle sanzioni previste dal decreto 231/2001, e, quindi, ed ancora, contenzioso, contenzioso, contenzioso.
Non ho finito. A fronte di una norma che, di fatto, è già in vigore da 8 mesi, quante sono le società che sono al corrente del rischio potenziale di questa sanzione? Non è prevista nessuna moratoria. A quindici giorni dalla pubblicazione del provvedimento tutte le società avrebbero dovuto adottare il modello, pena l’applicazione della sanzione in caso di infortunio. Attenzione anche qui, se attualmente la norma è palesemente incostituzionale, e, quindi si potrebbe dire che per gli incidenti verificatisi da agosto ad oggi non ci sarebbe problema, in realtà, essendo la sanzione prevista dal nuovo testo unico norma più favorevole, essa si applica retroattivamente. In altre parole, a questi incidenti si applicano le sanzioni del testo unico anche se entrato in vigore successivamente.
Concludendo questo articolo, fin troppo lungo. Per quella che è la mia personale esperienza, i processi per infortunio sul lavoro non raggiungono lo scopo. Non rieducano, perché, quasi mai, il datore di lavoro o, in generale l’imputato, si sente colpevole, specie quando, a monte dell’infortunio, vi sia stato anche un errore del lavoratore; non fanno da deterrente, in quanto chi non fa prevenzione non teme il processo, mentre chi la fa, ha altre motivazioni; non puniscono, in quanto le pene non sono effettive. L’unico risultato effettivo che raggiungo è quello di far ottenere in tempi abbastanza celeri un risarcimento del danno alla vittima. Sanzionare eccessivamente in sede di vigilanza e per di più escludendo la possibilità di estinguere il reato con il meccanismo del decreto 758/94 è una completa sciocchezza, perché non favorisce i comportamenti virtuosi e crea solamente un inutile contenzioso, aggravando lo stato comatoso della giustizia. Un’efficace politica di prevenzione passa, necessariamente attraverso: a)una capillare diffusione della cultura della sicurezza; b)una capillare rete di controlli con applicazione di sanzioni che non possono essere troppo elevate in modo da incentivare la regolarizzazione; c)l’incentivazione, anche economica, delle prassi virtuose.Solo mediante un miglioramento culturale oltre che tecnologico ed una costante pressione sul territorio, in modo da riuscire ad evitare comportamenti distorti, si riuscirà a prevenire gli infortuni che, in fondo, sono una sconfitta per tutti.PS: rileggendo l’articolo di Brusco ho capito perché il modello superfisso mi ha colpito negativamente, sono un ragioniere anch’io (qui, in fondo).
Sono d'accordo con le tue proposte sulle politiche preventive. Ho solo un dubbio sull'efficacia dei controlli da parte degli ispettori. Un'amica spagnola che si occupa di ispezioni sanitarie (negozzi di alimentari, piscine, ...) mi ha raccontato di come fosse difficile svolgere il suo lavoro per le minacce e gli insulti che riceveva. I suoi colleghi piu' anziani non andavano piu' neanche a controllare ma redigevano dei documenti falsi, in cui raccontavano di aver ispezionato tizio e caio. Non immagino cosa succederebbe in alcune zone d'Italia dove bisognerebbe controllare l'azienda del mafioso locale!
Non capisco invece bene la legge nell'aspetto repressivo.
1) Se un lavoratore si rompe la gamba ma il datore di lavoro ha il POS in regola, non si attiva nessun procedimento penale. O mi sbaglio? Se fosse cosi, non sara' il caso che presto circoleranno POS standard che ispettori e giudici considereranno validi?
2) Parlando di un lavoratore che si rompe una gamba e che resta a casa 50 giorni, dici che l'ente e' punibile con una sanzione non inferiore a mille quote in caso di infortunio. Ma poi, quando fai l'esempio del carrello elevatore, dici che all'ente si applica una sanzione di 250 a 500 quote in caso di omicidio colposo, e 1000 quote se l'omicidio deriva da un'errata valutazione dei rischi. Come mai questa differenza? Forse perche' nel secondo caso, la morte e' dovuta ad un'altro collega che stavo utilizzando il carrello elevatore?
Infine: chi e' il "legislatore"? Come si arriva a scrivere tante porcate? Forse e' colpa dei politici che le approvano ma non credo che siano loro a scriverle.
Non è tanto un problema di chi materialmente scriva le leggi (sebbene, in generale, anche quest'aspetto produca guasti inenarrabili), quanto, nel caso specifico, il risultato della trasformazione in normativa di una visione alquanto ideologica del mondo.
Bisogna, insomma, colpire l'avido "padrone" (ricordate il manifesto elettorale "anche i ricchi piangano"?) ed ogni mezzo è buono, senza star troppo a pensare a quale sia la normale realtà dei luoghi di lavoro, che troppo spesso lorsignori conoscono solo per sentito dire, potendo contare su un'esperienza lavorativa ridotta al ruolo di sindacalista in servizio permanente effettivo ......
Le tue domande chiedono articolate risposte:
1) L’efficacia dei controlli: Io, ovviamente, posso parlare solo per la realtà di Bolzano, dove, qualche volta, è capitato che l’ispettore abbia subito delle minacce, tuttavia, generalmente, questo non costituisce un problema. In ogni caso, un ispettore che fa prevenzione ha molti più strumenti di uno che agisce nel campo amministrativo perché opera in un contesto penale. Noi, a Bolzano, ad esempio, ci siamo concentrati sul pericolo di caduta dall’alto nei cantieri, essendo esso la principale causa di morte. A tal fine abbiamo coinvolto anche l’arma dei carabinieri, da noi capillarmente diffusa, facendo loro un apposito corso sugli aspetti sui quali devono focalizzare l’attenzione. In presenza di un cantiere con evidenti e gravi rischi di caduta dall’alto, l’ispettore procede al suo sequestro preventivo di concerto con la procura della repubblica. Così si blocca immediatamente il pericolo e, nel contempo si disincentiva le aziende dal non adottare le misure di prevenzione collettive, in quanto il sequestro del cantiere comporta un notevole danno per l’azienda stessa. Tutto ciò funziona solamente se il rischio di essere “beccato”, non sia semplicemente possibile, ma abbia un certo grado di probabilità, altrimenti all’imprenditore conviene monetizzare il rischio stesso coprendosi, in caso di infortunio, con una buona polizza assicurativa. L’assunzione di più ispettori, in parte, finanziariamente, si coprirebbe da sé, dato che, come dicevo, vengono incassate discrete somme di denaro attraverso il meccanismo del decreto 758/94. Oltretutto ridurre gli infortuni significa anche ridurre i costi economici e sociali ad essi collegati. Un altro grosso problema, specie sui cantieri, è costituito dall’esistenza di un numero impressionante di imprese fittizie, prive di struttura, capitale e quant’altro che si limitano a fornire mano d’opera a basso costo, non qualificata e non assicurata. La soluzione è, necessariamente, quella di trovare il modo di eliminare tali imprese dal mercato, sanzionando coloro che se ne avvalgono. Il testo unico punta invece sulle sanzioni alle imprese fantasma. Sanzionare con pene pecuniarie i datori di lavoro fittizi è una completa idiozia, poiché essi non possiedono assolutamente nulla e, quindi, non pagheranno mai. Anche qui è necessario incrementare i controlli, con sanzioni per chi utilizza queste aziende. Se è possibile ma improbabile che io venga controllato, sono incentivato ad avvalermi di tali imprese, poiché sono a basso costo, non devo assumere dipendenti, chiuso il cantiere, mi libero dell’impresa e dei suoi lavoratori.
2) Il POS: generalmente, in caso di infortunio, oltre alla presenza di un POS fatto male, vengono contestate anche una serie di altre violazioni (se ad esempio in un cantiere un lavoratore cade da un’altezza superiore a 2 metri e si rompe una gamba in assenza di misure di prevenzione ed in presenza di un POS generico o assente, verranno contestati questi due profili di colpa). La problematica del POS non vale tanto in caso di infortunio, in cui, come dicevo, il POS inidoneo apre la porta a contestazioni più sostanziali, quanto in caso di controllo in sede preventiva (senza che vi sia stato alcun infortunio). È qui che, con il testo unico, si finisce con il dare più peso alla forma (POS fatto bene) che alla sostanza (misure di prevenzione contro il rischio di caduta dall’alto) ed a creare un inutile contenzioso. Sul contenuto del POS hai perfettamente centrato la problematica, essi sono standardizzati e, quindi, fatti male, ed in quanto tali, vengono contestati dagli ispettori e dalla magistratura, e capita anche che il giudice, in assenza di un chiaro criterio per stabilirne il contenuto c.d. minimo, assolva perché non sa fino a che punto il piano debba essere dettagliato.
3) La responsabilità degli enti: evidentemente mi sono espresso male. La legge delega 123/07 ha introdotto la sanzione fissa di 1000 quote nell’agosto 2007. Essa è la sanzione attualmente applicabile perché il testo unico non è ancora entrato in vigore. Non appena esso sarà entrato in vigore, le sanzioni verranno graduate in base alla tipologia di infortunio (lesivo o mortale).
4) Infine chi è il legislatore: Bella domanda. In questo caso la politica ha dettato la linea generale (ad esempio, introduzione della responsabilità amministrativa degli enti, sanzione penale dell’errata pianificazione, ecc.), le norme, materialmente, le hanno scritte i tecnici del ministero, senza, peraltro, avvalersi di veri conoscitori della materia. Le colpe sono di entrambi.