La notizia e' riportata ovunque, una buona sintesi di cio' che l'accordo fra Governo, Confindustria e CGIl-CISL-UIL prevede la trovate sul Corriere, assieme alle false e vergognose grida di giubilo delle parti coinvolte nel patto. Un altro, orribile, patto a danno dei lavoratori italiani. Cio' che segue dimostra che le dichiarazioni di costoro, secondo cui con questo patto <<finalmente sarà dato avvio alla previdenza
integrativa» e che il medesimo costituisce «un fatto positivo per i giovani» sono completamente infondate.
Introduzione. Cos'e' il TFR?
La legge 297 del 1982, che essenzialmente ancora oggi regola il TFR, prevede che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando, per ciascun anno di servizio, una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5.
Il trattamento è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal settantacinque per cento dell'aumento annuale dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, come accertato dall'ISTAT. Questo significa che, quando l'inflazione eguaglia il 6%, il rendimento reale e' zero e quando l'inflazione supera il 6% e' negativo. In pratica, il TFR e' uno strumento di finanziamento a buon mercato per le imprese: anche con un tasso d'inflazione al 4%, queste ricevono credito dai propri dipendenti ad un tasso del 4,5%, di molto inferiore al tasso d'interesse praticato dalle banche in circostanze simili. Questo fatto e' ben noto, ma e' bene ricordarlo.
La legge Maroni del 2004 stabilisce il dirottamento automatico del TFR alla previdenza complementare, a partire dal 2008 e salvo diverso avviso da parte del lavoratore. Se questi non esprime nulla in merito alla quota del TFR, questa verrà automaticamente versata nel fondo pensione di categoria. Qualora non esistesse il fondo pensione negoziale, o di categoria, è facoltà del lavoratore scegliere a quale fondo pensione aderire. E’ opportuno precisare che si tratta del TFR maturando, ossia delle quote di trattamento di fine rapporto che i lavoratori matureranno da una certa data in poi; quanto già è stato maturato non è affetto dalla legge Maroni e rimane alle imprese. Per quanto riguarda questo aspetto, il nuovo patto semplicemente anticipa al 2007 cio' che la riforma Maroni faceva cominciare nel 2008. Al contempo, come si spiega piu' sotto, toglie alle imprese e trasferisce all'INPS tutto il TFR maturando che i lavoratori non decidono di mettere nei fondi pensione.
Perche' il TFR? Una briciola di teoria economica.
Credo valga la pena interrogarsi sulla ratio economica del trattamento di fine apporto. Il TFR e' parte integrale della retribuzione. C'e' una ragione per cui gli stipendi mensili durante gli anni di servizio vengono diminuiti, a favore di un pagamento in soluzione unica corrisposto alla fine del rapporto di lavoro? La teoria economica ha individuato diversi motivi che potrebbero rendere efficiente un profilo retributivo che cresce con l'anzianita' di servizio. Per esempio, differire parte della retribuzione, incentivando il lavoratore a restare con l'impresa, potrebbe indurre quest'ultima ad aumentare l'investimento nel capitale umano del lavoratore. Questa non puo' essere la ragione, perche' (1) il TFR e' sostanzialmente proporzionale al numero degli anni di servizio e, (2), il lavoratore ne ha diritto anche se ha lavorato per un solo mese; l'incentivo a rimanere "fedeli" all'impresa, quindi, non c'e'. Ci sono poi situazioni in cui il pagamento della buonuscita ha un ruolo assicurativo. Questo e' il caso, per esempio, per l'alta dirigenza di grandi aziende. In pratica, si riconosce la possibilita' che un alto dirigente venga rimosso per ragioni essenzialmente casuali e che poco o nulla hanno a che fare con il suo operato. Limitando i danni per l'AD in caso di licenziamento inaspettato, la buonuscita evita che lo stesso sia piu' prudente di quanto gli azionisti desiderino. E' ovvio che neanche questa puo' essere la ragione d'esistenza del TFR, perche' il trattamento viene corrisposto in qualsiasi evenienza.
Veniamo ad argomenti validi. Il trattamento di fine rapporto obbliga il lavoratore a risparmiare una parte del proprio reddito e ad investirlo nell'azienda per cui lavora, ad un tasso commisurato (ma inferiore) a quello di altre attivita' a basso rischio, ma molto minore di quello garantito da attivita' piu' rischiose, come ad esempio l'investimento azionario nell'azienda stessa. D'altro canto, l'impresa ha accesso ad una fonte di finanziamento garantita e a basso costo. Essenzialmente, prima della legge Maroni, lo Stato obbligava il lavoratore a prestare denaro a basso costo al proprio datore di lavoro. Tale costrizione si traduceva in un trasferimento di ricchezza dall'uno all'altro. Con la riforma Maroni, il lavoratore ha ottenuto il diritto di investire gli accantonamenti come meglio crede.
La distorsione che e' rimasta consiste nella forzosita' del risparmio. Ha senso che lo Stato obblighi il lavoratore al risparmio? Negli Stati Uniti, ed in molti altri paesi, lo Stato concede la deducibilita' fiscale (fino ad un limite) dei risparmi che i lavoratori accantonano nei fondi pensione privati, a condizione che il lavoratore non tocchi quei fondi sino all'eta' di 59 anni e mezzo. Se il lavoratore ritira quei fondi in anticipo, essi vengono tassati al 10%, fatti salvi vari casi di difficolta' (spese mediche, spese di educazione, evitare perdita prima casa, eccetera) per i quali la tassazione e' zero. In pratica, lo Stato incentiva il risparmio per la vecchiaia. Questo sussidio viene giustificato in due modi: 1) lo Stato incentiva il lavoratore che, forse, non saprebbe determinare esattamente quanto risparmiare per la pensione; 2) lo Stato intende evitare che il lavoratore si approfitti della collettivita'. Infatti il lavoratore stesso, conscio che lo Stato non farebbe mai morire di fame un anziano, potrebbe avere interesse a consumare tutti i suoi guadagni e non risparmiare, per poi vivere alle spalle degli altri durante la vecchiaia. In principio, non e' possibile applicare queste considerazioni al caso del TFR perche' questo puo' essere incassato "semplicemente" cambiando lavoro.
Sostanzialmente, visto che ancora oggi molti Italiani sono usi mantenere la medesima occupazione per tutta la vita, non appare del tutto avventato concludere che il TFR costituisce una maniera, forzosa, di "risparmiare per la vecchiaia", anche se cio' avviene a tassi di rendimento particolarmente bassi rispetto a quelli che fondi pensione decentemente gestiti potrebbero offrire ai lavoratori. Da questo punto di vista la riforma Maroni e' stata una buona riforma, con l'unico difetto di mancare di retroattivita' poiche' tutto il TFR maturato sino al 2004 e' rimasto nelle casse delle imprese.
Tutto questo implica che l'unica ed ovvia riforma che potrebbe avvantaggiare i lavoratori, specialmente quelli a basso reddito perche' quelli a redditi alti gia' investono abbastanza in fondi pensione privati, sarebbe ridar loro il totale controllo sull'utilizzo del proprio TFR, sia futuro che maturato. Quest'ultimo, altrettanto ovviamente, occorrerebbe "scalarlo nel tempo" per non privare le imprese, dalla mattina alla sera, di una fonte di credito a buon mercato. Ma il principio e' quello: il TFR va dato in gestione ai proprietari dello stesso, ossia i lavoratori, che facciano con esso cio' che meglio ad essi aggrada. Questo aveva iniziato a fare la riforma Maroni e su tale strada bisognava continuare. La finanziaria 2007 non fa nulla di tutto questo, anzi fa tutto il contrario.
Gli effetti delle disposizioni contenute nella Finanziaria.
(1) Il mero trasferimento alle casse dello Stato del TFR maturando che il lavoratore ha deciso di non destinare ai fondi pensione ha un effetto nullo sulla finanza pubblica. Allo stesso tempo in cui lo Stato ottiene un flusso di cassa, accumula una passivita', cioe' un debito nei confronti dei lavoratori. Secondo la legge, l'interesse su questo debito e' pari all' 1.5% piu' tre quarti del tasso d'inflazione. Dato che il tasso cosi' composto, all'inflazione attuale e prevedibile, e' molto vicino a quello che viene pagato sui titoli del debito pubblico, la disposizione del governo ha effetti analoghi all'emissione di nuovi titoli. Il provvedimento ha la stessa natura delle cartolarizzazioni che hanno reso famoso l'ex ministro Tremonti e che molti, anche e soprattutto in questo governo, hanno definito "finanza creativa" con ovvio sottinteso ironico-negativo. Gran cazzate le cartolarizzazioni implica gran cazzata il traferimento del TFR allo Stato: il debito pubblico in esistenza non cambia di un centesimo.
(2) E' osceno, quindi, che il Commissario Almunia abbia deciso che tale trasferimento venga conteggiato come diminuzione del deficit. C'e' di piu'. Secondo i rendiconti dei giornali e le dichiarazioni festose di Montezemolo, l'accordo firmato tra Governo e Confindustria prevede delle, non meglio precisate, compensazioni finanziarie per le imprese interessate (quelle superiori ai 50 addetti). E' chiaro che queste compensazioni graveranno sulla finanza pubblica, facendo quindi aumentare, non diminuire, il debito pubblico a parita' di tutto il resto. Inoltre, nella misura in cui il trasferimento forzoso impatta negativamente sul livello di attivita' economica lo stesso porta ad una riduzione delle entrate fiscali. Infatti il ragionamento di cui sopra implica che alle imprese interessate viene a mancare del credito a buon mercato. Questo succede perche' i tassi di interesse pagati dalle imprese (soprattutto le piu' piccole, tra le circa 25mila interessate) per forme alternative di finanziamento e' ben piu' alto di quello corrisposto ai propri dipendenti sull'accantonamento del TFR. Questo aumento dei costi del credito avra' sicuramente effetti negativi sui loro investimenti. Quanto negativi, non e' dato sapere. Per i dipendenti che decidono di non trasferire i propri accantonamenti ai fondi pensione, nulla cambia. Il credito che vantavano nei confronti del proprio datore di lavoro, sara' ora nei confronti della pubblica amministrazione.
(3) Chiudo con una noticina. L'accordo Governo-Confindustria, limitando il trasferimento del TFR alle imprese con piu' di 50 dipendenti, introduce una nuova distorsione sulle scelte dimensionali delle imprese. Considerate per un attimo un imprenditore con 49 dipendenti che ha a disposizione un'opportunita' di sviluppo che lo porterebbe ad assumere altre 5 persone. Con le nuove disposizioni, una decisione che sarebbe stata conveniente per l'impresa (e avrebbe creato occupazione, cari Diliberto e Giordano, non okkupazione), non lo sara' piu', a causa degli oneri aggiuntivi dovuti alla sostituzione del finanziamento implicito garantito dal TFR con il debito bancario. Questo succede perche' il trasferimento non si applica solo al lavoratore marginale (i nuovi assunti), ma anche a quelli infra-marginali (i 49 pre-esistenti).
Riassumendo: il governo ha emesso nuovo debito pubblico, forzando i lavoratori a comprarlo ad un tasso d'interesse basso e prefissato (se i tassi sul debito crescessero, l'interesse pagato ai lavoratori sul TFR NON crescerebbe di per se). Tale emissione e', per le ragioni spiegate, inefficiente rispetto ad una emissione normale di debito sul mercato perche' danneggia sia le imprese che i lavoratori. Quest'ultimi, in particolare quelli a salari bassi che in maggioranza depositavano il TFR presso le imprese, e' probabile perdano per questa via una buona parte di quei pochi Euro che la riforma fiscale contenuta nella finanziaria concedeva loro. Proprio una cosa di cui vergognarsi, sia tecnicamente che politicamente. Gli economisti con Ph.D. che lavorano a via XX Settembre ed a Bruxelles che fanno? Dormono?
Consiglio, tecnico, ai lavoratori: poiche' vi rimane la possibilita' di optare per il deposito del vostro TFR futuro (il pregresso rimane o all'azienda o nei fondi, se dal 2004 avete compiuto tale scelta) optate immediatamente per depositare il vostro TFR in un fondo pensione affidabile. Ve ne sono a palate (non lavoro per nessuno di essi, quindi non do i nomi perche' non mi sembra il caso) e non dovrebbe essere difficile individuarne uno che faccia al vostro caso. Ci guadagnerete di sicuro qualche punto percentuale di rendimento aggiuntivo ed avrete la soddisfazione morale d'aver fatto capire a Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Montezemolo, ed anche ad Almunia, che non vi si puo' sempre prendere in giro raccontandovi balle.
Gianluca, un bel pezzo, davvero bello, complimenti! Lucido, to the point, preciso....sono le cose che bisognerebbe spiegare ai lavoratori italiani, che spesso non hanno la minima idea di quali cose vergognose governo, sindacati e confindustria tutti insieme stiano facendo con i loro soldi!