Prefazione di Natàlia Castaldi e OUTro di Alessandra Pigliaru
***
10 dita
Ti sembreranno poche 10 dita
A contare nelle sere quelle stelle e
al meriggio, ogni fiore del tuo bosco.
Scoprirai così, nella quiete di un sorriso
la sorgente più profonda dei tuoi occhi
per contenere il cielo e ogni suo orizzonte
Se poi ripieghi, ogni mattino, un sogno
lo tieni stretto in tasca, fino a sera
Ritroverai il destino di ogni stella.
Sarà il tuo canto a conservarla accesa
ad ogni tuo ritorno cupo o stanco.
Coglierai così sorrisi in ogni ombra,
sentieri nuovi per ripartire ancora.
*
Parole
Ho
parole
Divise da colpe
scavate nel fango,
Parole uniformi
Alle voci
Che sento aldilà
Parole di fame
E silenzi
Spezzati a metà
parole tronco
Dove incido
Sputi e carezze,
Parole compagno
a cui affido ricordi
e bagagli
Parole proiettili
Sparati verso occhi
Riflessi nei miei.
Parole per te
Che sordo giaci
Poche urla più in là
Liberamente ispirata ad “Ossicine” di Mariangela Gualtieri
*
È bene che tu sappia
Amore di un matrimonio per contratto:
Che questa casa ha già cambiato odori
(La luce stessa vi traspira più leggera).
E come i suoi colori, cambia il giardino.
Non più il tuo arancio di calendule e tageti
Ma un semplice, bianco profumato gelsomino
E dell’orto che vantavi come impresa
Resta un solco che non si lascia fecondare.
Amore delle urla e delle botte:
Che ho spazzato via con soffio lieve
I lividi e i graffi che hai lasciato
Prima che come omertoso fango sotto neve
lascino croste ai miei occhi lucidi al risveglio
io e la mia storia martiri prescelti
per un dolore che non ho mai causato.
vittime sacrificali al tuo passato.
Amore dei 2 o 3 libri vantati come eletti:
Che ho cancellato l’unica poesia
non perché incompiuta o scritta male
Ma sterile, bugiarda, inutile, blasfema.
Parlava di una donna che non c’era
Di sensazioni provate con chiunque
fragili e scontate, come le tue scuse
davanti a un mondo offerto in poche righe
Amore esibizionista e senza meta:
Che non conservo nulla del passaggio
Tutto si è dissolto nel silenzio
di questo azzurro che sorvola bieco
i tuoi fragili e stupidi sentieri
A cui forzavi spesso i miei di passi.
Con la scusa di un desiderio da esaudire
Per catalogare disillusioni come alibi
Amore dei “contintasca” e senz’amore:
Che se penso a dove e come sei finita
Rido di gusto dentro al mio bicchiere
Da solo o condiviso in questa casa
Che resta mia, così come l’ho trovata
la porta ora è aperta ad altri colori.
Il tuo si è diluito nel lavabo.
e il resto, poco o nulla: già slavato
Amore d’altro in soli 20 giorni:
Che 3 anni sono svaniti in una notte
Schiantati sminuzzati e inceneriti.
Donati al vento, che ne faccia nuvole
Per chi “saluta il sole” ma fugge l’alba
Sorgente della più dolce mia occasione.
Calda, curativa e profumata
Come teriaca che si dona al benvenuto.
*
Cadenze
La raccontano in molti la verità
Il dovere di non trasecolare.
Il bisogno di non trascendere
I colori delle tue abitudini
Correre alla festa di tua figlia
Contarne gli anni sulla punta dei capelli
Aspettando che ti dica il nome giusto
Prima di riprendere il respiro
Provare poi a filtrare l’orologio
Privare le lancette di ogni punta
Scolorire il tempo di ogni goccia
O stringere i riflessi al suo rintocco
Puoi anche star sdraiato ad origliare
Ai pavimenti di cento e mille bar
Per cogliere il respiro di ogni vetro
Caduto o consumato in qualche gola
Mescolare allora il coìto con la birra
innamorarti della docile cassiera
Prima che il rutto dello sconosciuto
La desti dal suo sogno primordiale
Risolverti poi a casa, riassumendo
Il tuo sentire in frasi tanto esanimi
Indirizzate a un’anima incantata
Che tutto accoglie eccetto il tuo dolore
Puoi piangere se vuoi, ma nel silenzio
esile di un cantuccio di deserto
Scandire le sincopi di ogni lacrima
Fingerne un’ eco per toccarne la distanza
La verità te la succhiano tutti.
È questione di stile e non è poco
Sedersi sopra il ciglio ed ammirare
Il vuoto che vorrebbero lasciarti
Stenderti poi e rivelare al cazzo
poesie che riportano altri odori
Vomitare il tuo sperma quotidiano
In un angolo delle tue solitudini
Prendere allora il filo di ogni soglia
Addomesticare porte e ogni finestra
Al battere e levare di ogni foglia
Prima che autunno inclemente ti divori.
*
712010
Confesso che ho cambiato casa stamattina
Bruciato il letto e ogni spora estranea al tuo respiro
Gli occhi rimasti ad indicare sulla porta
Le stelle che mi hai chiesto di lasciare.
Ecco è così che il cuore si separa
Dal silenzio tuo addormito in quella cassa
E io appeso al singhiozzo di ogni passo
Conto il battere dei giorni, ritmo al tuo saluto
Oggi è di qua che si va e ci si conserva
Deviato è Il passo e poco oltre il cancello
sei tu leggera sulla testa del corteo
che guidi ogni lacrima ad attecchire ai muri
Nel silenzio, trasfiguro le carezze
Come la mano che si lascia dalla stretta.
Mi fermo a consumare il vacuo che ci resta
Tra ogni sillaba e il tuo morire stanco
Ho Briciole per terra per perderci nei sogni
Dita fragili per conservarci appesi ad ogni attesa
Una ferita gelida per ricordarci ad ogni fine
Un bicchiere rotto, per annegarci ad ogni nuovo inizio.
In quest’assenza percepisco ogni tua visione
La purifico da ogni lontananza
Come preghiera e canto che si accorda nei presenti
ai freddi marmi accorsi come suoni
***
Di tutte le impronte possibili su diecidita.
Intraprendere la lettura di una raccolta poetica necessita sempre un passo doppio, che nello scarto letterale rintracci tutte le possibili connessioni che fanno di quest’arte la voce più intima ed immediata dell’universalmente meravigliosa e colorata, dolorosa e cruda parabola spazio-temporale, che convenzionalmente chiamiamo vita e di cui, invano e consapevolmente, tentiamo di decifrare le aporie.
La raccontano in molti la verità
Il dovere di non trasecolare.
Il bisogno di non trascendere
I colori delle tue abitudini
Correre alla festa di tua figlia
Contarne gli anni sulla punta dei capelli
Aspettando che ti dica il nome giusto
Prima di riprendere il respiro
Provare poi a filtrare l’orologio
Privare le lancette di ogni punta
Scolorire il tempo di ogni goccia
O stringere i riflessi al suo rintocco
[…]
Ma, in modo direi quasi prepotente, prescindere l’esperienza vita da quella poetica, nel caso di Diecidita, apparrebbe un’operazione forzata, innaturale, quasi priva di fondamento, giacché pensiero e parola appaiono cesellati e “musicati” per essere espressione l’uno dell’altra, senza mai perdere di tono, senza cadute né abbandoni, ma con un alta e spontanea delicatezza, che si fa ricerca nella scelta di ogni nota, di ogni singolo suono.
Ho
parole
Divise da colpe
scavate nel fango,
Parole uniformi
Alle voci
Che sento aldilà
Parole di fame
E silenzi
Spezzati a metà
[…]
La scelta del verso libero affida al ritmo intrinseco al verbo, alla sua naturale espressione fonetica, il compito di “cantare” e “tra-durre” ogni sfumatura emotiva che pensiero e immagine esprimono, lasciando al lettore il compito di sussurrarne la verità senza dover ricorrere ad artifici declamatori, ma abbandonandosi ad una semplice lettura piana, che in sé rivela tutti i colori e le possibili intersezioni di luci ed ombre, consoni ad una vera sinfonia.
Confesso che ho cambiato casa stamattina
Bruciato il letto e ogni spora estranea al tuo respiro
Gli occhi rimasti ad indicare sulla porta
Le stelle che mi hai chiesto di lasciare.
Ecco è così che il cuore si separa
Dal silenzio tuo addormito in quella cassa
E io appeso al singhiozzo di ogni passo
Conto il battere dei giorni, ritmo al tuo saluto
Oggi è di qua che si va e ci si conserva
Deviato è Il passo e poco oltre il cancello
sei tu leggera sulla testa del corteo
che guidi ogni lacrima ad attecchire ai muri
[…]
In questi versi a pulsare è la vita, intesa come percorso gravido di colori, speranze, sogni, umori, aspirazioni; dunque imprescindibile dagli schianti, dai dolori, dalle inevitabili mancanze.
[…]
Pietra d’angolo la saliva
Luce schiva, tu di paura
Nel silenzio diluito e vaginale
Ov’io m’addormo, tiepido
Indole segreta il tuo sudarmi
indomita tu e la tua ferita acerba
Cantami la ruggine del sangue
Ricamo e fonte del tuo respiro
[…]
La morte stessa acquista movenze sinuose e nitide, ed il dolore trova dignità nuova, lucida e sensibile che non può lasciare indifferenti dinanzi alla sua tensione mai melensa, mai languida ed abbandonata, ma – paradossalmente – vivida, vera, intensa, che sembra gridare la necessità del ricordo, la volontà di memoria, nonostante tutto, nonostante la speranza, che rigenerata dei sogni e delle movenze di dieci piccole dita, sussurra che c’è ancora percorso, che c’è ancora vita.
[…]
Ho Briciole per terra per perderci nei sogni
Dita fragili per conservarci appesi ad ogni attesa
Una ferita gelida per ricordarci ad ogni fine
Un bicchiere rotto, per annegarci ad ogni nuovo inizio.
[…]
Dunque perché Diecidita?
Dieci sono le dita bambine che tattilmente scoprono come giocare col mondo, dieci sono le dita che ancorano Jacopo alle stelle di una creatura da crescere, e dieci sono le dita di due mani che si intrecciano insieme, tenendosi per mano.
Ti sembreranno poche 10 dita
A contare nelle sere quelle stelle e
al meriggio, ogni fiore del tuo bosco.
Scoprirai così, nella quiete di un sorriso
la sorgente più profonda dei tuoi occhi
per contenere il cielo e ogni suo orizzonte
[…]
E Diecidita perché attraverso dieci dita attuiamo la nostra prima ed infinita missione alla scoperta dello spazio che ci ospita e ci “dà luogo”, tastando e definendo le distanze tra tutto ciò che oggettivamente ci circonda e ciò che soggettivamente sentiamo di essere: materia di sogno, materia di sentimento, materia d’istinto e bisogno, materia di curioso esplorare, materia di conoscenza.
[…]
Ho spazi e mani
per contendere emozioni,
contrasti alla tua bocca
carezze ai tuoi silenzi.
[…]
Una nota a parte credo meriti la poesia - o sarebbe meglio dire le poesie (?) - “È bene che tu sappia”, in cui la fine di un amore è narrata con disincanto e crudezza “scenica”, cinematografica, in cui colori, graffi, odori, esperienze, ricordi, angoli di casa ed azioni, confluiscono in un narrato denso, tagliente, duro, che non giudica, non infierisce, eppure si mostra determinato a voler cacciare per ricostruire, consapevole della sua esperienza, dell’importanza che comunque ogni passo ha inciso, sia pure dolorosamente.
[…]
Che ho cancellato l’unica poesia
non perché incompiuta o scritta male
Ma sterile, bugiarda, inutile, blasfema.
Parlava di una donna che non c’era
Di sensazioni provate con chiunque
fragili e scontate, come le tue scuse
davanti a un mondo offerto in poche righe
[…]
La caparbia volontà di sopravvivenza in Ninni supera ogni acredine attraverso la delicatezza d’animo sua propria, che traspare nella ponderatezza di ogni termine, che si rivela soppesato, calibrato ad esprimere i colori di ogni singola esperienza.
[…]
Che questa casa ha già cambiato odori
(La luce stessa vi traspira più leggera).
E come i suoi colori, cambia il giardino.
Non più il tuo arancio di calendule e tageti
Ma un semplice, bianco profumato gelsomino
E dell’orto che vantavi come impresa
Resta un solco che non si lascia fecondare.
[…]
Ed il colore, difatti, è protagonista indiscusso di tutta la raccolta, dacché in essa si può perfettamente distinguere un piccola silloge Chromethica, attraverso la quale Ninni sembra rispondere alla fatidica domanda “qual è il tuo colore preferito?”, con una paradossale risposta: “il suo calore”. Ma cosa significa, “il suo calore”? È semplice: il colore, lo studio pittorico del colore che Ninni effettua attraverso la parola, tende ad affermare l’imprescindibile tra percezione visiva e affezione emotiva, che lega ogni esperienza sensibile alla sua interiorizzazione.
Dunque il rosso, sarà calore nella dimensione del fuoco, della passione, del desiderio, della rabbia;
[…]
Ovunque tu
Passi
Calore, rosso
di fuoco
Di Terra su capelli
Rossi
Come tracce su lenzuola
Raccolte
Su rossi morbidi corpi
In Calore
di Silenziosi morbidi Colpi
Come mattutini flebili
Passi
E ovunque tu vada
[…]
ed il bianco espressione percettiva della neve e dei silenzi, ma anche assenza di inchiostro, di suono, ed ancora luce, trascendenza ed inspiegabile memoria; poi ancora i blu e le svariate gradazioni dal cupo al trasparente azzurro che legano indissolubilmente elementi vitali quali acqua ed aria, alla materia di terra e cielo, reale ed ideale, tangibile ed “inspirabile” nel calore dell’irrimediabilmente infinito, etereo, inafferrabile.
A quest’ora che si orienta
al gelido risveglio
Ho una luna riflessa nel vetro
Di un treno che infecondo
sprofonda
Nella liquida sonnambula aria
Per plasmarsi in case
E poi città.
[…]
Un lavoro complesso Diecidita, su cui scrivere è intraprendere lo stesso naturale percorso dell’autore, col rischio di perdersi, senza saper mettere un punto finché ci sia inchiostro per poter dire. Un lavoro del quale mi preme sottolineare il messaggio ultimo e complessivo di una speranza tutta terrena e vitale, ancorata al senso semplice di tutte le piccole impronte di un cammino, che ci sia concesso trattenere su diecidita.