Secondo la misura nessuno nel 2011 prenderà uno stipendio inferiore a quello odierno, ma tutti gli stipendi futuri, pensione compresa, saranno inferiori a quanto era stabilito a legislazione vigente, sia perché non ci sarà alcuno degli aumenti previsti, sia perché i docenti italiani perderanno tre anni di anzianità contrattuale, e cioé si troveranno nel 2014 con la stessa progressione di anzianità che avevano nel 2011.
Quindi, la legge stabilisce un fatto interessante: gli stipendi pubblici si possono tagliare. Invece di ridurre il loro livello corrente si cancellano le promesse fatte, riducendo gli stipendi futuri rispetto a quanto avrebbero dovuto essere. Non ci sembra una decisione deprecabile a-priori, ma ci sembra un'occasione persa.
Un'occasione persa perché si poteva fare qualcosa di meritocratico (se non erro, la signora ministro parla spesso di meritocrazia) stabilendo di tagliare in modo differenziato e (inversamente) proporzionale alla produttività. Certo, come misurare la produttività non era ovvio, ma qualsiasi modo, (sottolineo qualsiasi) era migliore della soluzione indifferenziata. Si poteva farlo dipartimento per dipartimento usando le valutazioni delle università dimenticate in un cassetto. Si poteva delegare ai rettori di decidere come fare obbligandoli a non distribuire a pioggia i tagli. Si poteva delegare ai dipartimenti alla stessa condizione. Per esempio, bloccare l'anzianità di 4 anni a qualcuno e di 2 ad altri.
Cari amici de LaVoce, la misura non è iniqua perché colpisce più i ricercatori dei baroni (nella logica che i primi vedranno tagli in più anni di carriera dei secondi). È iniqua perché colpisce nella stessa misura chi non fa nulla e chi produce. Perché non incentiva la produttività nella ricerca e nell'insegnamento. E non credo molto nella infattibilità politica della mia proposta: fino a due mesi fa si credeva poco anche nella fattibilità del tagliare le carriere e gli aumenti.
Insomma si poteva fare qualcosa di più per rompere questo assurdo schema salariale che stabilisce lo stipendio di un docente universitario dal momento dell'assunzione fino al pensionamento e non lo fa dipendere da nulla di nulla.
Se posso aggiungere: l'occasione e' perduta anche perche' si dimostra che i tagli si possono fare rimangiandosi quello che si e' promesso prima, quindi dicendo che se gli va, lo Stato puo' disfare un contratto senza accordo della controparte.
Non leggeteci la difesa della progressione precedente: il problema e' proprio aver promesso troppo prima e averci messo la firma. Sarebbe stato non solo piu' giusto fare come dice Andrea, ma anche piu' furbo per evitare future cause civili ed emorragie di personale valido, perche' quello non valido resta: o e' disonesto quindi i tagli li schiva come un'anguilla o e' mediocre quindi non ha alternative esterne e resta a ciucciare denaro pubblico, anche se di meno.
Notare che queste considerazioni si applicano anche al di fuori dell'universita'.