Sono una delle persone la cui vita è stata calcolata dal punto di vista della contabilità. Per chi sia curioso la mia vita è stimata dover durare tra ventimila e venitduemila giorni. Il suo valore è stato stimato a 1200,000 (in dollari US del quarto trimester del 1985) la ragione per cui il conto all'epoca mi lasciò abbstanza di “stucco”, – tanto per usare termini tecnici – è che la vita di un operaio di Bhopal costa circa $56.000. I conti li fece il sottoscritto e non sto a tediarvi con le algebre e le stime. Se vi interessano ve li spiego in altra sede. Non so bene voi, ma che io valga 21 operai... mi sembra dubbio assai.
Il primo paragrafo è un pretesto che indica solo la mia sensazione di incertezza e insoddisfazione. In prima approssimazione, chiamatela sdegno morale (“ma come, questo demente che fa il filosofo, all'epoca, manco quello, studiava da filosofo, non fa figli ed è eccentrico e dir poco, vale 21 operai?!?!?”)
Qui comincia la questione seria, visto che della serietà della mia esistenza ha seri dubbi, in primis, il sottoscritto. Brusco, a mio avviso giustamente, fa notare come vi sia un forte retrogusto di arbitrarietà nel sostenere, come appar fare l'ignavo Rodotà, che vi sia una “dignita” non calcolabile e a fortiori non monetizzabile della “vita” umana, e non ad esempio delle stime che si fanno sui cavalli che galoppano più veloci o le squadre che giocano meglio al calcio, con conseguenti fenomeni di assicurazione e distribuzione del rischio. Credo sia analiticamente vero e condivido nessuna delle preferenze, dicansi “morali”, di Rodotà. Essendo professionalmente delegato a spaccare il capello in sezioni di trentaduesimi, però.. però... mi vengon dei dubbi.
Dunque vi propongo una maniera di pensare il problema. Personalmente credo sia un problema date certe implicite premesse. Per cui un modo di annullare il problema è negare tali premesse. Su questo punto torno in un minuto.
Si chiami “Brusco” il pensiero economico, sse (quello è il se-e-solo-se dell'identità funzionale in logica e in matematica) Sandro Brusco non si offende. Brusco propone il seguente, tutto meno che stupido, argomento. Smettetela di babbionare sul valore intrinseco, d'uso, secondo gusto di x e y. È perfettamente possibile che il valore d'uso dell'apriscatole sia determinato dalla rottura della scatola, ma è irrilevante e scientificamente nullo, se non si capisce che per il naufrago in Patagonia con lo scatolame il valore di un apriscatole venduto da me, piazzista dei mari, sia più elevato del valore di Kubang per Montezemolo, che di Kubang ne ha tre, una per ogni banda verticale del tricolore. Si capisce, spero il punto, il valore di un X, sia X intuitivamente una merce o meno, è dato da curve di domanda e offerta, da scarsità relative in termini più semplici. Se così è, ne seguono due conseguenze. Vi è nessun limite naturale in termini di definizione concettuale o di legge fisica su che cosa sia una X con un valore. Dall'apriscatole al tempo tutto ha un valore. La cosa dovrebbe esser ovvia ai lettori di Das Kapital, il tempo di lavoro è valutabile quanto il risultato del medesimo. Ne segue che anche un picco di mortalità e finanziariamente e attuariamente calcolabile. Tutto il resto che Brusco S. ridicolizza è fanfaroneria dei moralisti un po' d'accatto. E fino a qui siamo tutti (circa) d'accordo.
Dove forse non siamo tutti d'accordo e attendo le furenti smentite dei lettori è sul seguente ragionamento. Se tutto è dotabile di un valore, tutto è calcolabile. Dopo tutto le singolarità avranno appunto valori altissimi data la loro completa e assoluta inutilita: I sovrani del Qatar che pagano 250 000 000 (us$) per I Giocatori di carte di Cezanne hanno di fatto comprato 250 Hummers corazzati, e il quadro non si può nemmeno guidare. La mia “vita” di cui sopra va valutata in termini della sua relativa scarsità, qualche anima pia deve aver computato che addestrare un PhD implica sforzi equivalenti a produrre 21 ooperai etc..
Se questo è corretto vi è un valore, arbitrariamente elevato, per qualsiasi cosa. Perché arbitrariamente elevato? Perché se inseguito dai pescani una gita un motoscafo la pagherò molto di piu che scelgo di far la gita in motoscafo per scuotermi dal tedio delle spiagge.
Propone dunque Brusco, signori, signore e Rodotà, tutto è monetizzabile/calcolabile e se così non fosse non capiremmo nulla, ne dell'assicurazione sulla vita ne del motivo per cui si paga il carbone in prezzi così diversi (per gli incolti il diamante è allotropo di carbonio, il carbone costa 72 dollari per tonnellata corta – di 2000 libbre – un diamante, bruttino pure, di un carato costa 9000 dollari).
Ora per riscaldamento cerebrale, prima domanda stupida, qual è il valore della tua vita lettore? Dovrebbe esserci un prezzo pure per quella... La domanda è un tranello, ma solo fino ad un certo punto. La tralascio, è possibile parare il colpo sostenendo che non potendo 'iò usufruire del beneficio se mi suicido a pagamento, il problema è un po' futile. Meno, assai meno, futile è l'estensione di “Brusco” a merci come la vita (se vi garba di più “altrui” vita) o il tempo. Qui la domanda è seria. “Brusco” implica o no, una volta che vengano a mancare le regole morali di guarantigia “alla Rodota'”, che tutto ha un valore? Si può sperimentare. Prendete quel che piaccia a voi, forse che piace molto a voi (a seconda dei gusti, il proprio marito, il proprio cane, la propria figlia, il diritto di passeggiare in Val Sugana., etc.) a quale prezzo siete disposti a cederlo?
La domanda che posi nel commento (sovra menzionato) è semplice e mi sembra un dilemma di non ovvia risoluzione. Si prenda la mamma di X e si assuma che la mamma di X è una singolarità assoluta (nessuno, ma proprio nessuno, può rimpiazzare/sostituire/farquelche fa la mamma di X) e X deve dichararne un prezzo. Due possibilità (almeno algebricamente) devono presentarsi: tale prezzo è infinito, e quindi qualsiasi offerta di acquisto della mamma d X viene rifiutata da X. Oppure tale prezzo è, sia pur arbitrariamente alto, un prezzo finito. Qui parla Palma e non X: X è un pazzo in ambedue I casi. Nel primo perché rifiuta e rigetta le supremamente razionali e scevre da moralità da burletta istanze di “Brusco”. Nel secondo scenario perché X ha venduto la mamma di X a Y per, dicasi, un miliardo di sterline. Vale lo stesso per chi venda il proprio cane, pargoletta, etc. Se avete dubbi controllate le sentenze dei tribunali contro chi vende la propria figlia a gangs che organizzano prostituzione minorile.
Qui gradisco che I lettori mi dican la “loro”: venderebbero la mamma a un prezzo arbitrariamente alto? Rifiuterebbero ogni offerta?
Per quel che mi riguarda vi propongo una schema di interpretazione (e se vi interessa in separata sede vi racconto cosa rispondo io, per deformazione professionale son di scuola francese, in “pratica” sembra così e così ma come funziona la teoria?)
Una possibilità è che “Brusco” (Sandro, chiedo venia, vedi la nota su “Brusco” che non è identico a Brusco) sia errato e che non sia vero che il modello avalutativo amorale sia un buon modello di come funzionano agenti (o agenti umani, le aragoste sono agenti economici ho appreso di recente). “a” in amorale è l' alpha privativa, non si riferisce ai “cattivi.” E se Brusco ha torto, si apre la, spaventosa, prospettiva che un qualche Rodotà abbia avuto un'intuizione se non la teoria di una cosa seria. Esistono “beni” che non transitano sul cammino del valore, non sono scambiabili, nell'espressione più estrema esistono valori che non hanno un valore. Siccome so di esser odiato, se leggete il Battaglia “valore” è ambiguo tra ciò che si stima e ciò che si valuta, un valore che non ha valore è un bene positivo in qualche senso il cui esser tale è non misurabile, indipendemente dall'unità di misura (se avete dubbi, usate di nuovo la mamma di X, la mia congettura è che X se non disposto a ceder la mamma di X a me per un miliardo di sterline, non è nemmeno disposto a ceder a me la mamma di X in cambio Helen Mirren & Angelina Jolie & Denzel Washington & tre ville a Hong Kong & dodici cassette di Saint Émilion)
Ne segue una canea infinita di discussioni su quali siano o debbano essere I beni che non posson esser soggetti a transizioni valoriali (le persone? Gli umani? I gatti? L'acqua? Il paesaggio nel senso di spiagge e monti?). La ragione per cui insisto è che ho l'impressione che vi sia una maggioranza di umani che non venderebbe la mamma a nessun prezzo.
Seconda possibilità. Ha ragione “Brusco” e la mamma si può (ad un certo livello di prezzo si “deve”) vendere. A meno di non avere una preformata ed assai dogmatica nozione di un'innata morale che blocca la razionalità, a me pare che la seconda opzione sia giusta. Perché dunque tutti non son disposti a vender la mamma al suo giusto prezzo?
Mi interessa sentire cosa ne pensate. Con meno sottintesi, l'economia seria è un derivato della filosofia morale e mi sembra proprio che dovrebbe prendersi la seconda alternativa e rivendicarla, allo stesso tempo ci dovrebbe speigare come mai sia così lontana dall'essere un modello di come molti (??) alcuni (??) sottogruppi (??) illuminati (??) di individui esibiscono questa malsana certezza che esistano valori di valore infinito, il che spero sia chiaro è qui il punto chiave. Se un valore ha valore infinito (non può esser assegnato ad un prezzo) non è un valore, è una bestia di tutt'altra specie.
Spinto da lamentele e critiche di acuti lettori (Bisin, Boldrin, Forti, Michelangeli, Urbani, altri con cui mi scuso per la dimenticanza) ritorno sul problema, anche per evitare punti che generano insulse ambiguità. Cito, per primo un lungo testo (dovuto a Michele Boldrin, spero di citare con permesso)
Reply Requested: By 2/12/2012
>>> Michele Boldrin <micheleboldrin@gmail.com> 2/11/2012 8:21 PM >>>
per evitare discussioni assurde sul blog, meglio farle prime le domande critiche.
0) Il problema, con la mamma, è un po' mal posto. La mamma è, per
definizione, maggiorenne (a meno che non si consideri un figlio di un
anno che intende vendere la mamma di 17 ...) e quindi proprieta'
propria e non altrui. Nessuno, di per se, può "vendere" la mamma se
si accettano le regole antiche (e precapitalistiche) di proprietà.
Questo complica inutilmente l'intera cosa, perché l'atto di vendita
implica e richiede sia la coercizione che la violenza su altra
persona. Io userei una figlia minorenne o roba del genere, ed anche
qui abbiamo problemi di violenza implicita. Ma si possono risolvere
rispondendo alla prossima questione.
1) Cosa implica, per la figlia, venderla? Trattasi di, per esempio,
affitto temporaneo come serva residente 24/7 in casa di ricco
possidente? Avvenne milioni di volte, inclusa alla nonna materna mia
per un certo tempo ... Insomma, meglio definire COSA l'atto di
"vendita" implichi.
2) Stai affermando che nessun umano mai "vendette" (chessò,
costringendola a prostituirsi) la mamma/figlia/sorella/moglie?
Ovviamente no, perché accadde. Quindi andrei cauto con la
generalizzazione. Forse vuoi argomentare che tu pensi che nessun umano
DOVREBBE vendere, eccetera. Ma è altra cosa.
3) Positivamente stai quindi affermando che tu (e molti altri) non
riescono a pensare alla figlia come vendibile? E tu in procinto di
morir di fame, sete e stenti veri con un'agonia di due mesi, sei
sicuro che daresti la stessa risposta? Io non son certo per nulla. Se
poi son con mio figlio e la vendita della buona figlia può salvare
anche lui, temo d'aver pochi dubbi.
4) Se mettiamo la mamma (sorella, figlia o financo figlio) dal lato
potenzialmente perdente nel famoso paradosso della buona Philippa, a
quanti milioni di morti alternative occorre arrivare, secondo te,
perché persino PPP ammazzi la sua di mamma? Isn't that a TRADE?
P.S. Non mi perderei a notare che ti mettono in galera se fai
prostituire la figlia dodicenne. Ti mettono in galera anche se giri
con un po' di coca, ma questo nulla implica sulla moralità dello
sniffare.
Cheers
m
Allora. L'obiezione giuridica. Dato che la mamma è maggiorenne e ho nessun diritto a venderla, non si vede perché ponga il problema del prezzo a cui la venderei. Ho nessun diritto perché la mamma non è una proprietà mia, e se la vendo sono come Totò che vende la fontana di Trevi. Tutto vero sul piano del codice civile (posso vendere le scarpe mie e non tue). Ma falso sul piano, di estrema astrazione, in cui mi propongo di distendere queste osservazioni. Questo a sua volta ha due ragioni. 1. Il diritto è positivo, è scritto dal Lycurgo del giorno, è posto appunto. Quindi il modello “Brusco” ha il compito di mostare quale sia la scelta razionale di Lycurgo nell'escludere le persone e la dignità dal rango del possedibile, e secondo questa linea, dunque del vendibile. E, seconda ragione, perché esiston casi giuridici (nel passato, credo) in cui si poteva vendere se non madre, prole. Ancor più impressionante, a mio avviso, è che la mamma non può, sotto il paradigma dominante nel diritto attuale, italiano ma non solo, vendere se stessa. Nel caso meno buffo del nano, il nano non ha diritto, ancora per ragioni di dignità di vendere il proprio tempo di lavoro se il lavoro circense consiste nel farsi lanciare 2. La mia risposta: l'esempio indica come, e soprattutto nei casi che coinvolgano umani, non sia l'unicità, rarità, singolarità, a far la differenza e che, a meno che il Rodotà non abbia un accesso unico alla ragion giuridica che esisbisce dei principi altrove impenetrabili, anche la salvaguardia giuridica della non-possedibilità degli umani va giustificata razionalmente.
Le precedenti considerazioni primarie mi appaiono sufficienti per sbarazzarsi di quelle che chiamo sofistiche dei giuristi (ma l'esempio non “conta” perché è un crimine etc.)
Passiamo dunque ai fatti e abbandono le pandette degli avvocati.
Vuole il mio esempio sostenere che non esiste una “vendita mamma”, vale dire che non è un evento di vendita etc.? No, succede e ed è accaduto 3. È l'esempio invece il suggerimento che io, o una persona, non sia mai in grado di concepire la vendita della propria madre? Qui la situazione è un tantino più contorta. È concepibile, ci si scrivono tutti romanzetti su “Scelte da Sophie” e qualche caso vero ci sarà. La criptica critica di Boldrin (si veda qui sopra, al quarto punto della sue disanime) è l'invenzione assai geniale dovuta a P.R. Foot appunto per mettere alla prova il tipo di scelte razionali che uno immaginare di fare. Per chi non segue questo tipo di problemi, quando maturò il tramonto dell'epoca più dorata dell'utilitarismo vari gruppi intellettuali raccolti intorno a varie scuole si misero a metter sotto sforzo le struttre, di qui varii problemi di carrelli ferroviari e l'esempio più chiaro. Foot immagina, nel saggio del 1967 che una giudice sia
a. perfettamente razionale
b. perfettamente informata del fatto che l'accusato sia innocente e vittima di un inganno, ingiustizia
- assolutamente convinta che il crimine commesso da altri in realtà sia orrido e meriti, ad esempio, la pena di morte,
- ma--- qui sta il problema – le masse sono in rivolta con scontri con la polizia perché il giudice non si decide all'impiccagione. Le masse vogliono vedere il dissoluto punito.
Ergo: la magistrata deve decidere se sia legittimo commerciare (scambiare) la vita dell'innocente accusato in cambio della vita dei molti innocenti e scemi e confusi che tumultano per le strade. Il dilemma è: esiste o non esiste un numero sufficiente di vittime (tra le vittime degli scontri e dei tumulti) che renda “giusta” (?) “razionale” (??) “moralmente auspicabile” (??) l'azione del giudice di far impiccare l'accusato/innocente?
Se la vostra inclinazione è a dir sì, siete in pieno accordo con “Brusco”, se la vostra inclinazione è di dir di no, siete con Rodotà, o una cosa simile a Rodotà. Nel modo in cui io posi il problema: se il numero di vite che siete disposti a sacrificare per un pene (la dignità dell'innocenza dell'accusato) è infinito, avete dato un valore infinito al salvataggio e preservazione della 'dignita” dell'innocenza dell'accusato (come lo dareste alla mamma in condizioni normali.) Se avete un numero finito di vite fa pender l'asse della bilancia, siete modellizati bene da “Brusco.”
Forse adesso è un po' più chiaro almeno in che cornice vada letto il paradossale richiamo alla follia di chi vende la mamma e di chi non la vende (chi più aulico di me e più dotato parla, chiama queste cose le tragedie.)
Ritorno al punto che approssima di non pochi gradi quella che ritengo sia la dissoluzione del problema. Per metterla formalmente: si considerino due modelli detti di Rodotà e di “Brusco”, quale dei due è corretta approssimazione alla verità? Riassunto ai (rimanenti) tre lettori, Rodotà sostiene che ad esser trattatibili, scambiabili, commerciabili, valutabili sono sottoinsiemi di beni (è probabile che il modello sia pure inclusivo di gruppi e gruppetti illuminati che hanno il compito di interpretare lo Zeitgeist e decidono di tempo in tempo se far una legge sui nani, sui trapianti organi, sulla mamma, sulla criminalità assoluta della schiavitù etc.) “Brusco” sostiene che tutto è trattabile in principio e in pratica e si fissano alcuni paletti giuridici che hanno il compito di lubrificante ed evitano condizioni deviate (commercio di troppi reni di bambini mongoloidi, etc.)
Qui la questione è empirica e esprimo solo e solamente la mia impressione. Vince “Brusco”, non tanto per la massa di fatti storici (la schiavitù e l'abolizione della medesima un terreno eccellente in cui metter sotto sforzo sperimentale la domanda), ma perché anche se non trovassimo nessun caso di vendita della madre, mi appare chiaramente una verità di ragione che si riesce a concepire la condizione in cui sarebbe la soluzione da scegliere. Se l'analogo problema di Dame Foot vi sembra più facile da concepire, il mio “prezzo” valore a cui farei impiccare l'innocente è due. Tuttavia, credo sia vero, molti e forse moltissimi in condizioni non troppo riflessive son tentati da un modello Rodotà. Perché? Due diagnosi. In una essi impongono condizioni normative fortissime (vale a dire la loro risposta deve tradursi: “Guarda, Palma, può darsi e forse è persino vero che mi riesci a costruire uno scenario in cui io stesso impiccherei il capro espiatorio innocente/accusato, mia madre, etc. e detto tutto ciò NON DEVO farlo, se lo faccio esibisco solo il mio fallimento morale”). La risposta è debole, a mio avviso, ma implica un tipo di problemi che interessa solo I filosofi, e lascio perdere. La seconda diagnosi, molto meno filosofica, è a mio avviso molto più interessante. L'economia è scienza deprimente, dicevano I romantici per irridere. Vi propongo un'ipotesi alternativa della depressione indotta da “Brusco”. Se accettiamo “Brusco” dobbiamo lacerare il velo di civiltà, diritti umani, e generale buona creanza che vieta di vender mamme, siamo su un crinale estremamente instabile e subito ne segue un abisso in cui tutto è merce, l'incubo descritto dalle prime righe di Das Kapital. E il tutto è psicologicamente invivibile per molti.
Esercizio spirituale: a scuola mi han detto che Cristo è l'agnello di dio e il suo figlio prediletto che EGLI accettò per la remissione dei peccati degli umani, in cambio della remissione? Che Dio avesse in mente il modello “Brusco”?
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