La Turchia è un paese profondamente diverso dal nostro: la popolazione è giovane, il tenore di vita medio basso da far paura (circa 9.000$ l'anno di GDP per capita), servizi ospedalieri carenti (almeno nel settore pubblico), ingresso all'università che è regolato da test (per tutte le facoltà) e ultimo, ma non meno importante, l'esistenza di prospettive di crescita importanti che fanno pensare, anche al turco medio, che i figli vivranno meglio dei genitori. Nonostante differenze così nette non è che la Turchia poi non ci somigli sotto qualche aspetto: corruzione politica diffusa, un settore statale forte e centralista, sole e buona cucina.
I paragoni sarebbero finiti qua, non fosse che un paio di settimane fa, stanchi di Ankara, decidiamo di passare una giornata ad Eskişehir, cittadina collocata a circa 250km dalla capitale, fino a qualche anno fa provincia industriale dalla vita impossibile, attraversata da un fiume paludoso, malsano e puzzolente, oggi dimostrazione di come una buona amministrazione possa cambiare le sorti di una città dalle reali potenzialità inespresse. I paragoni con lo stivale, avevamo detto, sarebbero finiti, non fosse che la Turchia, così come l'Italia, ha una forte predilizione per il trasporto su gomma.
Per inciso, è bene aggiungerlo, avendo girato per motivi di studio l'Italia in lungo e largo ho una buona esperienza nel campo dei trasporti nazionali. Ho viaggiato per anni sul Freccia del Sud (treno tristemente famoso per avere poco della "Freccia" e molto "del Sud") temendo ad ogni giro che mi stessero deportando, data la qualità del servizio. Ho viaggiato per anni sull'infame Iveco 370 dell'Arpa SPA, società per azioni controllata al 95% dalla Regione Abruzzo e al 5% degli enti locali, tristemente famosa per essere l'unica azienda trasporti in Italia che ha ancora un parco mezzi completamente basato sul suddetto autobus (uscito di produzione nel 1999!). Viaggio ancora su un autobus RomaMarcheLinee, da Teramo a Napoli, questa volta compagnia privata, unico vettore tra la mia sperduta città natale e la decadente capitale del sud.
Al solo sentir parlare di autobus sembro un tarantolato. Alla quinta sesta volta che ciancio di sporcizia, posti stretti, biglietti costosi e difficoltà nel prenotare, i turchi mi interrompono e dicono che penseranno a tutto loro e di starmene tranquillo. Vedendo che non muovono una paglia (e la possibilità di acquistare il biglietto online ci sarebbe, non come nel caso dell'Arpa in Italia) non riesco a capire cosa succede. Le risposte, alle mie domande da cittadino proveniente da un posto ormai sottosviluppato anche rispetto alla Turchia, arriveranno l'indomani.
Arriviamo in stazione tramite dolmuş, una sorta di pulmino da 10-12 posti che è forse il mezzo più pratico per spostarsi in città: passa di frequente, fa molte fermate, va in tutte le direzioni e costa soltanto un euro a corsa. Avendo in mente quella cloaca immonda che è Tibus (secondo Wikipedia un moderno terminal arrivi e partenze per autobus a lunga e media percorrenza) arriva la prima sorpresa della giornata. Non siamo di sicuro in Olanda, ma neanche in Italia. La Stazione Autobus di Ankara è sì spartana, ma accogliente: è chiusa e al coperto (una feature non di poco conto se paragonata a Tibus), gestisce un traffico imponente (ci sono circa 60 peron - i parcheggi monoposto a raso da dove partono o arrivano gli autobus), è pulita e decorosa. Visibilmente spaesato, non avendo dovuto affrontare scale, gradini, gruppi di zingari e suonatori di bonghi, la mia compagna e la sua amica decidono di prendersi carico dell'acquisto dei biglietti. Non volendo avere a che fare con maleducati che parlano in dialetto e che sembra stiano facendomi un favore, accetto di buon grado.
L'arrivo nella biglietteria (anche questa al coperto) è un'altra sorpresa: la quantità di compagnie è incalcolabile. Tre si offrono di farci viaggiare entro la mezz'ora (sono le 9 del mattino), aspettando un'oretta si arriverebbe fino a dieci. Le tre compagnie, neanche a dirlo, offrono comfort diversi a prezzi diversi. Essendo la differenza di prezzo esigua decidiamo di viaggiare con Kâmil Koç, la più grande azienda di trasporti del paese, a capitale privato. Paghiamo 15ytl (al cambio attuale circa 8 euro), per 250km. Il personale, contro ogni aspettativa di un italiano come me, è gentile, educato e fa di tutto per servirci nel miglior modo possibile. Dopotutto facendo 10 metri troveremmo 10 compagnie in grado di portarci nello stesso posto. Mentre la curiosità di vedere cosa i turchi intendano per Ekstra-Lüks mi assale, ho venti minuti buoni per girare la stazione, alla disperata ricerca di un barbone o un mucchio di spazzatura che mi faccia sentire a casa. Missione fallita.
L'autobus è già in strada alle 9:31 e si dirige spedito alla volta di Eskişehir. Per i miei standard (calibrati su convogli bestiame come il Freccia del Sud o lo sconquassato e sporchissimo Iveco dell'Arpa SPA) l'autobus è indescrivibile. E' grande come quelli da 52 posti, ma ne contiene solo 38, una doppia fila a destra (dove sono seduto) e una fila singola sulla sinistra. I sedili sono comodi, larghi (ci starebbe qualcuno anche di 200kg) e soprattutto puliti. Ci si può sedere senza rannicchiarsi, c'è sufficiente distanza tra un sedile e l'altro, il sedile di fronte ha incorporato un televisore di 7-8 pollici, con 20 canali televisivi, la possibilità di inserire la propria penna USB e guardare contenuti propri, aria condizionata regolabile e funzionante.
Il personale di bordo parla turco (e non qualche dialettaccio), non urla, è gentile e premuroso. Al minimo cenno si presenta uno steward con un carrello (largo quanto quelli che si vedono sugli aerei), che ci rifornisce di vivande. I miei compagni di viaggio bofonchiano, dicendo che essendo mese di Ramadan l'offerta di cibo è poco varia. Poco varia magari, ma comunque comprende snack dolci e salati dei migliori brand turchi, the e caffè caldi di ottima qualità.
Il viaggio fila liscio, siamo in orario. Unica pecca il paesaggio. L'Anatolia centrale è un posto arido e roccioso, popolato a sprazzi e per buona parte del viaggio ci accompagnano immense distese di terreni aridi e incolti, intramezzati da qualche sparuto appezzamento dove l'opera dell'uomo cerca di strappare qualche metro a quello che, di fatto, è un deserto.
Arriviamo ad Eskişehir in perfetto orario, dopo aver dormito per buona parte delle 3 ore di viaggio su un autobus silenzioso, dal ritmo di marcia stabile, pulito e confortevole. La stazione di Eskişehir non è molto grande. E' dopotutto la stazione di una città da seicentomila abitanti (niente se paragonata a quegli enormi agglomerati che sono Istanbul, Ankara e Izmir), tuttavia decorosa, pulita e dove si può andare al gabinetto senza timore di infettarsi. Per raggiungere il tram (sì, il tram, di quelli silenziosi e puliti che si vedono ad Amsterdam) non c'è neanche uno scalino, per i disabili è attrezzato un servizio pubblico di carrozzelle, senza che così questi debbano caricarsi l'ingombrante e necessario mezzo per un viaggio che potrebbe essere lungo centinaia di chilometri.
Eskişehir (che in turco vuol dire "vecchia città", ma che di vecchio ha ben poco) meriterebbe un discorso a parte. Dovrebbero portarci in gita quel branco di incapaci che per organizzare un cencio di fiera a Milano son riusciti, in un anno, giusto a spartirsi le poltrone.
Al ritorno, tanto per vedere se gli scalini infami per salire sul treno descritti da Boldrin esistevano ancora, decidiamo di tornare con il nuovo treno veloce della TCDD, le ferrovie dello stato turco. Gli scalini, almeno sul binario dei treni veloci, non ci sono più. Alla modica cifra di 16ytl (ancora 8-8,5e) siamo ad Ankara in 1h33m (velocità non elevatissime, per una ferrovia veloce, per buona parte del tempo viaggiamo intorno ai 230, per brevissime tratte sotto i 150km/h). Il treno, neanche a dirlo, pulito, preciso, comodo e in orario (dagli altroparlanti si scusano per i 3 minuti di ritardo, in turco e in inglese). Avevo preso tempo fa un Ankara-Istanbul, il Fatih Ekspress (equivalente dei nostri espressi) e per 30ytl mi offrirono un viaggio di gran lunga migliore di quei treni della morte che erano la condanna di quei poveri disgraziati che viaggiavano da nord a sud in un paese dove "si vive bene come in nessun altro".
La morale
Questa storia, oltre che ad essere oltremodo lunga, ha una morale. La morale è che, in primo luogo, la competizione fa bene. Continuo a non voler credere che gli italiani siano degli zotici fannulloni per predisposizione genetica. Credo invece che siccome Kâmil Koç ha almeno 10 altre compagnie concorrenti sulle sue medesime tratte, o mi tratta bene o ciao. L'ARPA (o migliaia di altre compagnie in Italia) o mi vanno bene come stanno o a quel paese mi ci mandano loro. Credo anche che l'avere servizi diversi a prezzi diversi sia a tutto vantaggio del cliente. Quella mattina avrei potuto viaggiare meno comodo e spendere meno, ho viaggiato più comodo e ho speso di più. La scelta è stata mia e non di qualche burocrate con i piedi in troppe scarpe. Il mercato, magicamente, si è regolato per i fatti suoi, e le tratte sottoposte a quella che in Italia sarebbe considerata una "concorrenza feroce e spietata" sembrano essere ancora profittevoli, le dimensioni del business di Kâmil Koç sembrano testimoniarlo inequivocabilmente.
Alla morale potremmo aggiungere un altro pippone sulla condizione delle "cose pubbliche" in Italia. Ormai non reggiamo il confronto nemmeno con un paese scapestrato come la Turchia. Come avevo detto nell'incipit, il rischio (o forse la certezza) è che nel giro di pochi anni il nostro termine di paragone si sposterà verso est, verso paesi che partivano da condizioni disastrate e che a fatica e con molti sforzi stanno cercando di migliorare la loro "qualità della vita". Qualità della vita che, nota per la classe dirigente di casa nostra, non sta tutta in un piatto di spaghetti al dente.
Sono stato ad Istanbul un anno fa, per la prima volta, e l'ho trovata una citta' pulita ed efficiente, oltre che bella. Il paese non mi pare per niente scapestrato.
Cerchiamo di non lasciarci prendere dall'entusiasmo. Come tutti i Paesi in via di sviluppo, la Turchia presenta realta' di eccellenza e enormi sacche di poverta' e ignoranza.