'<h' . (('3') + 1) . '>'Martedi' 17: Il Giorno dopo '</h' . (('3') + 1) . '>'
Non racconto
del Martedi’ 17 speso per tre quarti al telefono con qualche
giornalista (perche’ tutti mi chiedevano se volevo rimanere in America
dopo quello che era successo?), ne’ della quantita’ di polizia presente
nel campus (rimasta poi a lungo). I discorsi di commemorazione al
palasport (quando c’era anche Bush, per intenderci) li avrete
probabilmente visti nelle televisioni, forse merita di essere ricordato
quello di Nikki Giovanni,
se non altro perche’ le sue parole sono state riprese e diventate una
sorta di manifesto dell’impegno del Virginia Tech ad uscire da questo
momento (il motto ora e’: We are Virginia Tech, we will prevail). Abbastanza sorprendente anche il coro Let’s go Hokies
intonato alla fine, l'inno di incitamento per la squadra di football
universitaria. Voglio invece soffermarmi su come la gente ha reagito,
in seguito, a quanto e’ successo, in maniera talvolta sorprendente.
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Mercoledi' 18 si e' svolta la riunione di di tutto il mio dipartimento (Engineering Science & Mechanics),
esule da Norris Hall all’albergo/centro congressi dell’universita’. Il
capo del dipartimento ha dato la notizia ufficiale di quanti erano
stati feriti (quattro studenti, saltando dalle finestre) e quanti
uccisi (i professori Librescu e Granata) tra le persone del
dipartimento. Almeno due aspetti mi hanno sorpreso in questa giornata:
la presenza di un abbondante banchetto nel luogo dove eravamo e le
battute del capo dipartimento nel discorso in cui delineava le figure
dei due professori scomparsi. Fondamentalmente nel quasi paio d’ore di
riunione si poteva piangere per i ricordi, mangiare donuts, ridere
(sempre per i ricordi) e bere succo d’arancia.
Finita la
riunione siamo stati tutti dirottati in piccoli gruppi per degli
incontri con degli psicologi: qui in maniera ancora piu’ estrema si e’
ripetuto quanto sperimentato poco prima: alcune ragazze avevano passato
il giorno precedente a cucinare, quindi finche’ tutti raccontavano agli
psicologi come avevano vissuto il Lunedi’, cosa avevano fatto dopo,
quello che passava per la loro testa e le paure che avevano, giravano
scatole di cookies al cioccolato. Una commistione di dolciumi e lacrime
che sinceramente ho trovato un po' imbarazzante, cosiccome sentire i
racconti delle altre persone.
Tra l’altro anche in giro per la citta’ era un fiorire di
gente mai vista: chi offriva da mangiare (roba fatta in casa, da una
scatoletta senza tante pretese), chi sosteneva cartelli del tipo free hugs (abbracci gratis) ed addirittura un ardito, viste le circostanze, Jesus loves Virginia Tech. Tutto questo ad opera di singoli ma anche di gruppi di studenti, le fraternities e le sororities.
In serata, ho partecipato alla fiaccolata sul Drillfield, il
grande prato al centro del campus, davvero un bel momento (o almeno
molto scenico). Il Drilfield da Martedi’ era gia’ stato preso d’assalto
da gente che scriveva pensieri e frasi su dei tabelloni li’ esposti, e
da quanti depositavano fiori, lettere, foto, magliette, guantoni da
baseball… su una sorta di monumento (32 o 33 pietre - ne parlero' dopo
- disposte in circolo) con i nomi delle vittime. La voglia di tutti di
scrivere qualcosa ha portato alla realizzazione di chilometri di
pannelli con scritte fittissime: questi sono stati realizzati da gente
di VT ma anche da moltissime scuole e universita’ della nazione. Ci
sono cartelloni scritti dai bambini della first grade di Virginia Beach
e da studenti del MIT o di UCLA. Qui ho realizzato ancora una volta
come agli Americani piaccia esternare le proprie idee scrivendole da
qualche parte e portandole in giro.
Di questi giorni e’ anche da ricordare che il tempo libero
(assenza di classi) ed il clima mite hanno portato un aumento deciso di
barbecue e festicciole serali. Agli studenti sono state date varie
possibilita’ per completare il semestre e la stragrande maggioranza ha
deciso di non affrontare gli esami finali: immaginatevi tutti questi
undergraduate completamente liberi da impegni per due settimane, che
sono rimasti in citta’ solo per attendere la fine ufficiale dei corsi;
si’, ad un paio di giorni da quello che era successo, alla sera c’era
moltissima gente all’aperto, a giocare a a horse shoe, a bere birra ed
a fare il giro dei locali della citta’. E stato come se per una decina
di giorni fosse sempre Sabato (Martedi’ scorso -Martedi!- c’era la fila
per andare in discoteca, a mezzanotte).
'<h' . (('3') + 1) . '>'La seconda settimana'</h' . (('3') + 1) . '>'
Descriverei questa come la settimana delle chiese e del free
food: a Blacksburg sono arrivati gruppi di tutte le confessioni a dare
il proprio supporto a studenti e docenti. I battisti erano
organizzatissimi, con bambini al seguito, a offrire snack e
bottigliette d’acqua, a regalare copie del nuovo testamento, libretti
vari e CD di musica (musica Cristiana, non Marilyn Manson, ovvio).
Scientology era pure presente in forze, con persone riconoscibili da
T-shirt gialle e banchetti dove offrivano massaggi. Interessante il
loro libretto, che e’ tutto un insieme di regolette pratiche per vivere
serenamente ed essere contenti: dal comportarsi onestamente con le
persone vicine al lavarsi le mani prima dei pasti, dal curare il
proprio corpo con esercizi fisici al lavarsi i denti spesso (vi
assicuro che e' vero, e’ tutto scritto!!). I cattolici sono arrivati in ritardo, ed erano rappresentati da preti in tonaca nera, che qui non avevo mai visto.
L’universita’ dal canto suo aveva invece messo in piedi un
esercito di psicologi che erano disponibili ad ascoltare e parlare,
questo e’ un servizio che durera’ ancora a lungo, ed e’ completamente
slegato dal pagamento delle tasse universitarie. Un paio di psicologi
erano presenti anche in tutte le classi alla ripresa delle lezioni.
La seconda settimana si e’ conclusa, per me, con un ritorno
veloce alla transennata Norris Hall, durato il tempo minimo necessario
per riprendersi gli effetti personali. Anche questa azione e’ stata
strettamente controllata da polizia e psicologi, questi ultimi sono
stati assieme a chi entrava nel dipartimento prima, durante e dopo. Qui
e’ stato abbastanza strano: si entrava per un quarto d’ora in gruppetti
di cinque; il nostro gruppo ha preso la faccenda in maniera molto
organizzata per riuscire a portare fuori quanto piu’ materiale
possible: il risultato e’ stato che una volta fuori il nostro colloquio
era del tipo “Hey, ti sei ricordato di prendere la fotocamera
digitale?” “Si’, e i provini in composito li abbiamo?” “Cazz.., no,
dobbiamo dire a quelli che entrano dopo di prenderli!!”, mentre la
psicologa, con gli occhi lucidi ci diceva “Allora ragazzi, come state?
E’ stato uno shock? Noi siamo sempre qui per aiutarvi!”.
Come in altre situazioni, anche in questo caso ho avuto
l’impressione che piu’ la gente fosse stata lontana da Norris Hall
Lunedi’ 16, piu’ nei giorni successivi fosse in qualche modo provata e
suscettibile alla commozione nel ricordare l’evento.
'<h' . (('3') + 1) . '>'La terza settimana '</h' . (('3') + 1) . '>'
L’ultima settimana ha visto la diminuzione dei momenti
ufficiali, gli studenti sono ora quasi tutti a casa o stanno lasciando
il campus. Gli ultimi argomenti al centro delle discussioni ora sono
sul futuro di Norris Hall (i pareri sono discordi, alcuni vorrebbero
addirittura abbatterla) e, piu’ interessante, sul numero delle vittime:
sono state 32 o 33? In altre parole Cho Seung-Hui e’ da ricordare o no?
Le pietre disposte a cerchio nel Drillfield erano inizialmente 32. Poi
e’stato un susseguirsi di persone che aggiungevano la trentatreesima, e
di altri che la rimuovevano. Articoli e lettere sul giornale
universitario riportavano le ragioni per la aggiunta e la rimozione,
alcuni giorni ho visto che la tretatreesima pietra era presente, ma
senza alcun nome, ieri invece c’era una dicitura che riportava “ai
familiari di Cho Seung-Hui”. Probabilmente nella costruzione di un
memoriale questo tema sara’ ancora al centro di numerose discussioni.
Ora il semestre e’ finito, Venerdi’ ci sara’ la graduation ceremony
con un servizio di sicurezza abbastanza rigido che tentera' di tener
fuori i giornalisti, non piu’ molto benvenuti soprattutto dopo la messa
in onda del video di Cho sulla NBC. Questa storia rimarra’ legata al
nome del Virginia Tech per molto tempo. Per le persone presenti a
Blacksburg in questi giorni sara’ un ricordo dell’evento tragico, ma
anche dei momenti positivi vissuti dopo.
Grazie Edoardo.
Osservazioni a caso.
- Nessuno a parlare di armi, se capisco bene. Molto simile al dibattito nazionale, poche voci isolate, molti a dire che se gli studenti fossero stati armati avrebbero sparato e fine della storia, poco altro. Non sembra VTI faccia eccezione.
- In compenso, tutti i campuses a militarizzarsi. Io stesso ho avuto un incontro con l'associate dean preposto alla sicurezza per sentire opinioni su varie misure piu' o meno stile "grande fratello" in via di adozione.
- La mania americana detta "healing" non la capisco. La trovo una maniera non per lenire ma per rimuovere temporaneamente il dolore, stordendosi. Il dolore torna un po' dopo, nel privato, e non ha risposta ne' consolo.
Michele, riguardo le armi hai capito correttamente.
Permettimi una digressione lessicale per descrivere come la faccenda sembra essere analizzata (o, meglio, non analizzata).
Nei discorsi piu' o meno ufficiali ci si riferisce a quanto e' successo in termini di tragedy (tragedia), piuttosto che utilizzare termini piu' diretti tipo shooting, slaughter o massacre (sparatoria, carneficina e massacro, se traduco correttamente).
Per descrivere quanto e’ avvenuto ai 33 si utilizza quindi la stessa parola che si impiegherebbe se questi fossero morti sotto una valanga (quindi per combinazione di disattenzione, imprudenza e sfortuna) o con un incidente stradale (ancora disattenzione, imprudenza e sfortuna). Cosi’ facendo sembra che i morti e feriti siano stati frutto di un evento naturale o casuale, costellato dalla disattenzione della polizia nel ritenere che l’autore della prima sparatoria del mattino se ne fosse andato, dall’imprudenza del preside dell’Universita’ Charles Steeger nel non diramare la notizia della stessa sparatoria tempestivamente e dalla sfortuna di alcune persone nel trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Finche' si utilizzano questi termini penso sia difficile ammettere che una qualche azione alla base del problema (diffusione delle armi) potrebbe in futuro evitare situazioni come questa. E’ piu’ facile pensare ad attivita' volte a limitare disattenzione e imprudenza, quindi controllo piu’ stretto nel campus e realizzazione di sistemi di allerta piu’ veloci ed efficenti. Quanto alla sfortuna... per definizione ci sarebbe poco da fare.
A Blacksburg c’e’ una piccola lapide che ricorda due o tre pionieri che nei primi del Milleottocento sono stati uccisi in un’imboscata pellerossa. Questa lapide parla di massacro.