La vittoria di Trump ha, come prevedible, innescato un enorme interesse, con migliaia di articoli di giornali, post etc. Indubbiamente diventerà oggetto di approfonditi studi politologici che ne indagheranno le cause con raffinate analisi dell’elettorato (perchè le donne ispaniche con reddito familiare inferiore a 30000 dollari non sono andate a votare? Gli omosessuali ebrei sposati hanno votato sulla base delle scelte sessuali o della politica verso Israele? etc.). Ovviamente non ho la pretesa di partecipare a questo dibattito tecnico. Noto solo che l’idea di tagliare l’elettorato a fettine e offrire a ciascuna di esse un messaggio personalizzato non funzionò nella prima campagna di Hillary vs. Obama (yes we can) e non ha funzionato questa volta. Forse gli elettori votano in base ad una pluralità di motivi non riconducibili meccanicamente al loro status socio-economico (quando ero giovane si parlava addirittura di idee o ideologie).
Non entrerò neppure nell’arte della divinazione delle caratteristiche della presidenza Trump sulla base del primo discorso, del contratto con gli americani testè annunciato e/o di voci (forse interessate) sulle nomine. Spero solo che mantenga non più del 10% delle sue promesse elettorali, altrimenti siamo davvero nei guai. E spero che le reazioni degli altri paesi (Europa, Cina) ad eventuali mosse azzardate, tipo l’imposizione di dazi doganali unilaterali, siano misurate. Non abbiamo certo bisogno di una guerra commerciale e di un ritorno agli anni Trenta. Mi sembra invece importante distinguere fra due interpretazioni generali di quello che sta accadendo.
Da un lato abbiamo una visione "ottimista" che vede la vittoria di Trump (e prima la Brexit) come un episodio molto sgradevole ma determinato da circostanze specifiche – in particolare la scelta di una candidata democratica secchiona, antipatica, ostaggio dell’alta finanza, donna (purtroppo può aver contato) etc. La Clinton ha vinto il voto popolare e sarebbero bastate poche migliaia di voti in più in alcuni stati chiave per farla diventare presidentessa. In questa narrazione, Trump avrebbe perso se solo i democratici avessero scelto un candidato migliore. Non ho ancora capito se ne avrebbero avuti, che per complesse alchimie politiche abbiano deciso di non presentarsi (lasciando solo Sanders, che non aveva nulla da perdere), o se invece la Clinton non avesse veramente alternative credibili.
La tesi "pessimista" alternativa è, ovviamente, che l’elezione di Trump sia parte di un trend nazional-populista anti-globalizzazione che sta affermandosi in tutto l’Occidente. Unisce spinte protezionistiche vecchio stile, avversione cultural-razzista verso l’immigrazione e la società multiculturale, paura del futuro e nostalgia del passato, ostilità verso l’establishment accusato della crisis finanziaria etc. Il mix esatto differisce da un paese all’altro e da un elettore all’altro e conoscerlo sarebbe utile per capire cosa fare. Ma per questo, come detto, ci sono i politologi, sperando che ci riescano.
Personalmente spero che la tesi "ottimista" sia vera, ma non ne sono convinto per una ragione molto semplice. Anche se Trump avesse perso, avrebbe comunque vinto le primarie repubblicane e avrebbe ottenuto decine di milioni di voti. Inoltre la scelta del candidato non spiega la Brexit o il successo dei partiti populisti in Europa. Rischiamo molto seriamente di avere la Le Pen presidente in Francia e Di Maio presidente del consiglio in Italia (i tedeschi sembra siano molto meno affetti dal trend, giustificando la mia ammirazione per loro). Houston, abbiamo un problema.
Credo non ci sia bisogno di spendere parole in questa sede per difendere la globalizzazione e per criticare il nazional-populismo. Siamo tutti d’accordo, ma che facciamo? Cosa può fare l’élite globalizzata (ahem) per contrastare l’ondata nazional-populista? Ho letto un sacco di commenti ipocriti sulla necessità di "ascoltare", "venire incontro al disagio", "essere umili" etc. – e sopratutto una continua invocazione del "primato della politica". Ma ho letto ben poche analisi concrete su cosa dovrebbe fare la politica. Allora provo a dire la mia. Visto che sono un pessimista cronico, in una frase: non vedo una strategia vincente e neppure una strategia difensiva con possibilità di successo.
Ovviamente la globalizzazione (cum progresso tecnico, non dimentichiamocelo) ha avuto effetti differenti fra paesi ed all’interno dei paesi. Riporto un (affascinante ma discutibile, quindi ve ne offro dozzine di versioni alternative e critiche) grafico di Milanovic sulla crescita del reddito reale per ventili (5%) della popolazione mondiale dal 1988 al 2008 e 2011.
Dal 1988 al 2011 il reddito è raddoppiato o più che raddoppiato nelle fasce mediane (con reddito dal 45% al 65% della media mondiale), è aumentato del 40% per i ricchi (top 5%) ma solo del 10-15% per la fascia 80-95% (nota tecnica: la composizione dei ventili per paesi/individui non è costante e le variazioni di un singolo gruppo possono essere molto più ampie). Semplificando molto, si potrebbe dire che il top 5% comprende quasi tutta l'élite globalizzata dei paesi occidentali (più i ricchi degli altri continenti) e la fascia 80-95% il resto della popolazione dei paesi occidentali. Una parte di essa ha subito un calo del reddito, pero' il grafico suggerisce che la massa abbia avuto benefici modesti, ma positivi, dalla globalizzazione. Evidentemente, non è questa la percezione prevalente. Molti pensano che il loro reddito assoluto sia calato, moltissimi si sentono insicuri del futuro e quasi tutti ritengono profondamente ingiusto l’aumento del divario fra se stessi ed il 5% più ricco. Quasi nessuno sembra rendersi conto che non si possono avere i benefici della globalizzazione (iPhone, internet etc.) senza i relativi sacrifici (p.es. la concorrenza asiatica).
In teoria, la strategia vincente sarebbe un mix di convincimento della massa della popolazione, trasferimenti verso i veri perdenti (p.es. operai anziani senza possibilità di reimpiego) e forti investimenti in istruzione per rafforzare le competenze dei giovani ed evitare che fra vent’anni finiscano fra i perdenti. Non credo che questa strategia "socialdemocratica" possa funzionare perchè non capisco come sia possibile smontare la narrazione prevalente sulla crisi e convincere la massa che la globalizzazione ha avuto ed avrà effetti benefici. Fra le caratteristiche più negative dell'ondata anti-globalizzazione è la crescente sfiducia nei confronti degli "esperti" in genere, e degli economisti in particolare, rafforzata dallo sviluppo dei social media. Mi colpisce p.es. la partecipazione di giovani di alto livello di istruzione, che potenzialmente fanno parte del 5% che ha beneficiato e continuerà a beneficiare della globalizzazione, alle manifestazioni contro i trattati di commercio. Pensano che siano un complotto delle multinazionali. Se non si convincono loro, quante speranze ci sono per gli altri? D’altra parte convincere la massa che le sue condizioni non sono così terribili e (magari) che potrebbe fare qualche modesto sacrificio è indispensabile per poter concentrare risorse sufficienti sui veri perdenti e sull’istruzione. E’ ovvio che un trasferimento verso il 50-60% della popolazione è impossibile. Tanto per chiarire, è impossibile che un bancario allo sportello possa tornare al reddito relativo ed allo status sociale dell’era pre-internet. Al massimo si può (nei limiti del possibile, si deve) garantirgli una pensione minima per una dignitosa sopravvivenza.
Una strategia difensiva di successo implica una scelta di quale aspetto della globalizzazione da sacrificare – il commercio, il libero movimento dei capitali o l’emigrazione? Guardando da un punto di vista di pura strategia politica, è probabile che il male minore sarebbe l’introduzione di barriere all’emigrazione non qualificata. L’immigrazione è economicamente necessaria per contrastare l’invecchiamento della popolazione, ma l’effetto è di lungo periodo e comunque le restrizioni possono sempre essere abolite. Inoltre, la presenza di immigrati, magari molto abbronzati e/o abituati a pregare cinque volte al giorno verso la Mecca, suscita ostilità e reazioni anche in persone non direttamente danneggiate. Però le restrizioni all’immigrazione sono difficili da far rispettare, a meno di provvedimenti drastici e moralmente abbastanza ripugnanti. Il protezionismo è, come tutti sanno, estremamente dannoso. Rimarrebbe la restrizione ai movimenti di capitale – cioè versioni più o meno dure della Tobin tax. A parte i danni economici, sicuramente gravi (ma forse meno di quelli del protezionismo), si pone la domanda – basterebbe?
A stretto giro nulla risulta efficace. E tutto rimarrà inefficace se si cerca un sotterfugio. Inoltre bisogna anche chiedersi se esista veramente questo famigerato “establishment”, il quale potrebbe prendere iniziative a piacimento.
Ad esempio trovo azzeccata l'accusa di Hillary all'FBI, non tanto perché questo serva per scagionarla, quanto perché mette in discussione proprio l'interpretazione più gettonata che sostiene che lei avrebbe perso perché rappresenta l' “establishment”, mentre Trump ne sarebbe fuori. Un pezzo dell' “establishment”, dunque, sarebbe sfuggito al controllo? Ma non esiste nessun “establishment”, ovvero “establishment” è l'intera società nel senso di chiunque gestisca una sua rendita di posizione, dunque anche il clochard che prende l'elemosina in questo quartiere tenendone lontani gli altri suoi “competitori”.
Se ho una qualche ragione in questo, ripropongo un mio spunto non raccolto nel post precedente che tentava di impostare il problema non sullo scontro di interessi, e men che meno di classe, ma sul destino dell'intera società. Del resto, mi pare che il mio stesso dubbio pervada questo nuovo articolo.
Trump è completamente inesperto, Hillary direi un poco di meno. Come mai si vota per l'avventurismo? Non è un reality, si dovrebbe pensare che è in gioco il destino del mondo. O mettendola come in questo articolo: come mai la competenza viene vista di cattivo occhio?
“Fra le caratteristiche più negative dell'ondata anti-globalizzazione è la crescente sfiducia nei confronti degli "esperti" in genere, e degli economisti in particolare, rafforzata dallo sviluppo dei social media.”
Popper, prima di morire, scrisse “Cattiva maestra televisione”, e fu criticato perché si disse che era una critica d'altri tempi, ma lui intendeva riferirsi al tracollo culturale dell'era moderna. Ultimamente Oddifreddi nel suo “Dizionario della stupidità” ha riportato un giudizio analogo: l'AUDITEL misura la stupidità degli spettatori.
Ora, se tutto quanto dico ha senso credo che una strada, lunga da percorrere e non una scorciatoia, potrebbe essere quella di Socrate: migliorare i propri concittadini. E cioè puntare su una maggiore cultura del popolo, ridare fiato ad una istruzione che in tutto l'occidente è diventata un problema secondario, ma allarmante. In uno dei suoi ultimi interventi che si trova in rete Marcello De Cecco ha sostenuto un parere simile. Io lo condivido, ma attenzione, si tratta di investire, e molto. Poi, certo, nel breve periodo si può provare con la Tobin tax, o qualche altro ordigno de genere, ma il problema di fondo non lo si risolverà così.
il che ci riporta al grosso tema dell'analfabetismo funzionale. Spesso ne discutiamo relativamente all'Italia ma il fenomeno riguarda tutto l'occidente. Il mondo è diventato via via piu' complesso e la sua complessità non è più comprensibile sulla base delle conoscenze che mediamente ha la popolazione. A questo si aggiunge che alcuni "banalizzatori", o semplificatori, sanno fornire spiegazioni e soluzioni semplici e accattivanti, diventando capipopolo.