A me fa pena continuare a parlare male della sinistra. Fa molto male perché.... beh insomma, è ovvio, perché, come tanti altri cresciuti (leggi: "che hanno fatto il liceo") in Italia alla fine degli anni '70 inizio '80, non ho mai considerato la destra degna di considerazione. Non posso dire che i leader della sinistra in Italia erano amici miei, perché la gerontocrazia politica non permette ai miei coetanei di fare i leader di un accidente, ma insomma abbiamo letto gli stessi libri e loro attentavano alle "nostre" (leggi: "della nostra età") ragazze.
Però di idee nuove a sinistra non ce n'è. E devo dire che questa non è solo cosa italiana. È così dappertutto, anche in Francia e negli Stati Uniti (il più nuovo è Obama; a me anche piace; è nuovo come persona e come stile, ma quanto a idee...). Siamo ancora al controllo pseudo-socialista di tutto ciò che si muove:
- Prodi pensa a fare politica industriale, come era di moda l'ultima volta che lui ha letto un libro (azzardo, scommetto: era negli anni '60 e il libro era S. Vacca', Aspetti del finanziamento delle imprese industriali: emissioni mobiliari private ed altre acquisizioni finanziarie, Ed. Giuffre' 1963).
- Sego minaccia il tetto agli affitti e poi rilancia suggerendo che l'allocazione degli appartamenti privati in affitto potrebbe essere fatta "sulla base del bisogno" (ne parla anche Gilles Saint-Paul).
Questa non è ideologia: nel caso di Prodi è ignoranza abissale, mentre nel caso di Sego deve essere pura stupidità (perché lei con della gente intelligente ci ha parlato, visto che il mese scorso a Parigi mezza PSE - Paris School of Economics; il nome fa ridere ma è pieno di gente seria - aveva appuntamenti con lei).
Vabbé una ideuccia semi-nuova nella sinistra c'è: si chiama paternalismo; e cioè: il popolo è bue, non ci si può fidare delle scelte del popolo bue, e quindi sarà meglio che facciamo paternalisticamente
"noi". Naturalmente cosa si intende per "noi" dipende: "noi" potrebbero essere un piccolo gruppo di economisti di Harvard e
Berkeley, o i filosofi di Platone; in pratica, nella vulgata italiana "noi" e' chiunque abbia un pezzo di
carta (inclusa la carta elettronica) per scrivere e/o una sedia dove
sedere.
Sì nuova, direte voi,... ma il paternalismo e' idea vecchia come il mondo.
Vero, ma recentemente ha avuto nuova giustificazione intellettuale in una subdisciplina dell'economia, economia comportamentale. (In realta', la giustificazione sta in una versione apocrifa e superficiale dell'economia comportamentale - ma qui andremmo troppo lontano; ho aggiunto una appendice per i "nerds" e i "geeks", parole amerikane che significano qualcosa
tipo "secchioni", quelli che voglio andare a fondo di tutto - e se questo fosse il primo articolo giornalistico con una appendice saremmo felici per l'innovazione).
Nel contesto della ricerca sulla previdenza sociale la nuova giustificazione per il paternalismo fa piu' o meno cosi'. Supponiamo che gli agenti economici siano irrazionali. Supponiamo che lo siano nel senso esatto che l'economia comportamentale sostiene di avere documentato attraverso esperimenti: e cioe' gli agenti economici consumano in modo irrazionale, per esempio si comprano la Porsche ma poi si pentono perche' devono far la fame quando sono vecchi. Questo comportamento e' irrazionale perche' fa investire poco e spendere troppo (poco e troppo rispetto a quello che i consumatori desidererebbero fare prima o dopo essersi comprati la nuova Porsche o equivalente). Beh, non sarebbe cosa buona allora forzare gli agenti a investire una quantita' "sufficiente" (decisa dal politico paternalista) e a investirli in un fondo dal quale non possa essere disinvestita se non alla pensione (o per malattia grave, o simili)? Sembra ragionevole.
In realta' un agente di questo tipo, uno che prima di essersi comprato la Porsche voleva risparmiare per la propria pensione (o per comprare casa ai figli), puo' benissimo scegliere lui stesso un investimento che non gli permetta di disinvestire per comprarsi la Porsche. Se ci fosse domanda per questo tipo di investimento le banche sarebbero felici di offrirlo (le banche, non dovendo affrontare il rischio di liquidita', potrebbero offrire rendimenti relativamente alti su un investimento del genere). Notiamo pero' che fondi di investimento di questo tipo non esistono, segno che la domanda per questi fondi in realta' non c'e'. Ne deduciamo allora che la gente si compra la Porsche perche' vuole comprarsi la Porsche, ed e' contenta di consumare meno quando sara' piu' vecchia a causa di questo acquisto; e cioe' non per l'irrazionale preferenza per il presente di cui parlano gli economisti comportamentali. E vuol dire anche che quello che la gente racconta ai giornalisti, che la Porsche era cosi' bella e luccicante, che in effetti e' tutta colpa del consumismo, delle multinazionali, e della pubblicita' e delle donne stupide cui piacciono i cinquantenni in Porsche - che a noi non piacciono quel tipo di donne (ma si sa, la carne e' debole e la moglie invecchia.....), sono un po' fandonie.
Insomma, nessun bisogno di forzarli a risparmiare, i nostri agenti irrazionali. Sceglieranno loro gli investimenti che li forzano a farlo. In questo modo si evita di forzare al risparmio chi non ha intenzione di farlo, che sara' pur libero di fare quello che gli pare. (Beh, i politici di sinistra, almeno quelli nostrani, non sarebbero affatto d'accordo su questo; ma qui non siamo nel campo dell'economia comportamentale, ma in quello della scienza cognitiva - gente con Quoziente di Intelligenza inferiore a 80 quando parla dice stupidaggini). Per il paternalista rimane solo la decisione di cosa fare di fondi eventualmente accantonati da un agente che pero' non decide esplicitamente come investirli (questo avviene perche'e talvolta e' l'impresa o lo stato ad accantonare fondi per l'agente).
Ci sono altre due ragioni in verita' a favore del risparmio forzato. La prima e' che agenti razionalissimi potrebbero scegliere di non risparmiare per poi richiedere sostentamento pubblico; per ridurre il problema basterebbe pero' garantire un sostentamento pubblico minimo. La seconda e' che gli agenti economici potrebbero essere cosi' poco razionali da avere preferenze per il presente senza nemmeno accorgersene - e quindi senza investire in fondi che non permettano disinvestimento prima della pensione. Ma dopo un paio di Porsche, chi non se ne accorge? Quanti sono realmente cosi' stupidi? E poi anche nei paesi i cui sistemi pensionistici sono di gran lunga meno generosi del nostro io non vedo in giro tanta gente che muore di fame alla pensione. Qualcuno c'e', senz'altro, ma anche qui basterebbe garantire un minimo sostentamento pubblico.
E quindi veniamo a noi; alla pensione e al TFR. Tutta la discussione in Italia sulla pensione e sul TFR appare prendere per ovvio e scontato che il risparmio vada forzato almeno in parte e che limiti e vincoli agli investimenti possibili siano cosa buona e giusta. Ad esempio, si veda questo articolo su LaVoce.info di Bruno Mangiatordi. L'autore lamenta il fatto che il TFR possa essere disinvestito. Ne lamenta cosi', come fosse ovvio che non si possa lasciarlo disinvestire; le giustificazioni comportamentali devono apparire cosi' ovvie all'autore da nemmeno citarle. (A onor del vero l'autore ha altri articoli su LaVoce.info in cui si spende sulla necessita' di dare informazioni agli investitori sulla previdenza; cosa, questa si', veramente buona e giusta).
Piu' in generale, Andrea ha ben commentato e discusso in questo sito la nuova legislazione barocca (lui dice bizantina, fa lo stesso) e audacemente paternalistica che vincola gli investimenti previdenziali (cito liberamente dal suo articolo): la restrizione a fondi
"aperti" e fondi
"negoziali" (c.d. "chiusi", gestiti da sindacati e altri rentiers) e non a fondi gestiti da grosse
compagnie di gestione, come Vanguard o TIAA-Cref negli Stati Uniti, che lo fanno di mestiere nel mondo civile; il vincolo di irrevocabilita' della scelta di conferire
il TFR ai fondi (a differenza della scelta di non conferirli, di lasciarli in impresa).
La chicca naturalmente e' la versione italiana dell'unica forma di paternalismo davvero giustificata dall'economia comportamentale, e cioe' la decisione paternalistica nei confronti di chi non decide. Nel nostro caso e' la regola del
silenzio-assenso: in caso di silenzio, si passa nella maggior parte dei casi alla previdenza integrativa, ai fondi. E, come ancora a ben documentato da Andrea, una volta che i soldi sono nei fondi, generalmente si ricevono contributi dall'azienda solo se a gestirli i fondi sono i sindacati.
Insomma, paternalismo allo stato puro. E non solo, ma il pater e' il sindacato!
Come non bastassero questi vincoli, poi il legislatore ha deciso di tassare in modo diverso le due scelte - in modo assolutamente irrazionale (nulla in contrario sull'irrazionalita' del legislatore, del nostro in particolare; loro si' altro che gli agenti economici).
Insomma, come fare politica economica della previdenza sociale? Ecco la ricetta usata dal legislatore in Italia. Prendere un operaio metalmeccanico (ma ogni altro tipo di operaio fa lo stesso). Costringere il metalmeccanico a risparmiare che e' ignorante e irrazionale e altrimenti chissa' quante stupidaggini si comprerebbe; e poi tassarlo fino all'osso il nostro metalmeccanico che dobbiamo pur finanziare il baraccone della spesa per poterlo assicurare contro i vari accadimenti della vita a cui non pensa, in quanto metalmeccanico ignorante e irrazionale; e fare in modo che non se li possa investire dove vuole lui i soldi che risparmia, che tanto e' metalmeccanico ignorante e irrazionale, e nulla sa di investimenti; e infine assicurarsi che non abbia opzione di disinvestirli i suoi soldi, il metalmeccanico ignorante e irrazionale, che senno' siamo daccapo con le stupidaggini che si compra. E se questo metalmeccanico, confuso da tanta scelta, decidesse di non scegliere, beh allora metterlo nelle mani dei sindacati che sono buoni; gia' gli proteggono il posto di lavoro, gli possono proteggere anche la pensione. Il fatto che poi con la pensione il nostro metalmeccanico non possa esaudire il sogno di un bell'appartamentino a Cesenatico (e' li' che i metalmeccanici vogliono andare, oh no; che a Capalbio, dove vanno i sindacalisti, non si divertirebbero per nulla) perche' deve comprare la casa e deve fare la spesa a suo figlio che il lavoro non lo trova e se lo trova e' senza pensione perche' i sindacati hanno succhiato tutto il succhiabile per darlo al padre (il nostro metalmeccanico), beh questo raccomandarsi che i sindacati non glielo dicano (non c'e' problema, mica sono irrazionali loro, i sindacati, col c.. che glielo dicono), che lui tanto e' metalmeccanico ignorante e irrazionale e non lo capirebbe.
Pero' l'altro giorno NFA ha avuto un hit da qualcuno a Sesto San Giovanni (per i non milanesi/giovani/ignoranti-di-storia-sindacale: Sesto era la patria dei metalmeccanici, di quelli in tuta dei tempi d'oro; li' ci stava la Breda, la Falk, .. Sesto era nota come Stalingrado d'Italia, quando io andavo a scuola); costui e' approdato al nostro sito da una ricerca su Google di "TFR metalmeccanico". Insomma, un metalmeccanico, forse l'ultimo rimasto a Sesto... Ci piace pensare che stesse cercando informazioni e suggerimenti su cosa fare del TFR. Purtroppo, di suggerimenti non ne avra' trovati, ne' qui ne' altrove. L'unico suggerimento che mi sentirei di dargli, investi nei fondi americani in cui si trova la mia pensione, Vanguard, ma sarebbe inutile perche' i sindacati e il governo hanno pensato bene di non dargliela quella possibilita' che lui e' ignorante e irrazionale.
La vita e' strana. Il metalmeccanico di Sesto ha fatto battaglie su battaglie
contro padroni e governi, ha sognato la rivoluzione comunista e poi
semplicemente un governo socialista, o almeno un po' di sinistra. Chi
glielo va a spiegare al metalmeccanico (ignorante e irrazionale) che la
rivoluzione e' potere investire la propria pensione nei fondi Vanguard?
Questa si' che sarebbe una idea nuova per la sinistra.
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Appendice per nerds e geeks sull'economia comportamentale
Provo a spiegare cose' l'economia comportamentale
e cosa implica in termini di paternalismo, per poi discutere delle
applicazioni in Italia (ma non solo, purtroppo, non solo). L'economia comportamentale e'
una sotto-disciplina delle teoria delle decisioni in economia, che e'
recentemente assurta ai fasti dell'accademia. Relativamente pochi
economisti la praticano (alcuni teorici, pochissimi economisti
applicati, di quelli che vanno a guardarsi i dati), ma stanno
crescendo. Intendiamoci, uno puo' discuterne, anche sprezzantemente
come tendo a fare io, ma e' una cosa seria: gli economisti comportamentali (behavioral economists
diciamo in queste lande desolate) sono riconosciuti come tali dal
mercato accademico (stanno in ottime universita') e hanno avuto la
forza e la capacita' di imporre la loro visione del mondo alla
disciplina tutta, non nel senso che l'abbiano convinta la disciplina,
ma nel senso che e' difficile/impossibile oggi essere un economista
professionale senza avere una opinione sull'argomento.
Cosa c'e' di nuovo nell'economia comportamentale? Alla base di tutto
sta il rifiuto, in varie forme piu' o meno radicali, del postulato di
razionalita' che sta a fondamento dell'economia teorica e applicata
classica. Purtroppo, nell'economia comportamentale, nessuna generale
teoria delle decisioni prende il posto del postulato di razionalita';
ma forse e' ancora troppo presto per chiedere una teoria generale in
sostituzione di quella vecchia; dopo tutto l'economia comportamentale
e' giovane ed inesperta (alcuni tentativi ci sono, per scelte
inter-temporali e scelte in condizioni di incertezza).
Io non ne sono
un gran fautore, per varie ragioni. Soprattutto perche', a mio avviso,
uno dei piu' chiari risultati dello sviluppo in accademia della
economia comportamentale e' stata la riduzione degli standards di cosa
costituisca "spiegazione economica": ci si adatta a spiegazioni
teoriche del tipo "gli agenti economici si comportano cosi' perche'
sono irrazionali esattamente nel particolare modo che cosi' li fa
comportare" (al limite, si tende verso un diverso modello
comportamentale per ogni comportamento, cioe' verso la tautologia) e ci
si adatta ad analisi empiriche che sembrano piu' liste di aneddoti che
seri studi statistici. Detto questo, e' possibile, anzi probabile, che
alla fine l'economia come disciplina esca arricchita da questa corsa
all'analisi di emozioni, di limiti cognitivi, di componenti irrazionali
nelle scelte. Una grossa quantita' di esperimenti in laboratorio (nei
laboratori di economia si fanno decisioni, al massimo si giocano
giochi; non si disseziona nessuno, anche se ultimamente gli si infila
il cervello in un grande magnete per misurare dove corre l'ossigeno a
seconda di cosa scelgono - anche questo e' economia comportamentale)
cerca di testare varie forme di deviazioni dalla razionalita' in
supporto all'economia comportamentale. Molti di questi esperimenti sono
fatti male (ci ho lavorato un po' su questo punto), e molti dei
pronunciamenti degli economisti comportamentali a proposito sono
ridicole esagerazioni (e' naturale, in un certo senso, ad essere
onesti: questi hanno tutta la disciplina contro, o urlano o nessuno li
ascolta). Ma qualcosa c'e' nei dati. Quanto rimarra' quanto la polvere
sara' caduta e gli urli cessati non e' ancora chiaro. Io personalmente
credo che qualcosa rimarra'. Non molto, ma qualcosa si'.
Ma l'economia comportamentale non piace solamente agli economisti che
ci hanno costruito sopra una carriera. Piace tanto, ma proprio tanto
anche:
- ai peggiori tra i sociologi e gli altri scienziati sociali che si sentono vendicati nel non aver mai accettato il paradigma di scelte razionali; non hanno capito che fra l'economia comportamentale e le "teorie" verbali piene di paroloni e classificazioni e vuote di significato in cui si dilettano c'e' il mare; non hanno capito che d'ora in poi hanno addirittura perso il piccolo monopolio su cui sedevano, quello del rifiuto del paradigma di scelte razionali: non hanno capito che questa e' la loro fine;
- ai giornalisti che non hanno mai capito nulla di economia (non per colpa loro, ma perche' e' difficile) e che non lo hanno mai accettato: "la fisica e' un casino, lo sanno tutti, anche il latino e il greco, ma l'economia no, l'economia e la finanza devono capirla anche i cretini; che ci vuole, domanda-e-offerta, compra-quando-sale-e-vendi-quando-scende (o viceversa?)"; questi giornalisti scrivono articoli agiografici sugli economisti comportamentali ormai settimanalmente; saro' anche semplicemente invidioso, ma a me pare che questo sia un problema enorme - a tutti piace andare in tivu', avere la foto sul NYTimes, e avere un impatto sulle politiche economiche del proprio paese - un problema perche' premia confusione, pressapochezza, e "merda di toro" (come si dice bullshit in italiano)
- ai politici di sinistra che, come
dicevo, giustificano ogni forma di paternalismo consciamente o
inconsciamente con argomentazioni a prestito dall'economia
comportamentale; a differenza degli economisti comportamentali stessi,
che sono invece estremamente cauti nel sostenere posizioni
paternalistiche, sanno che questo sarebbe il loro "kiss of death" nella
politica e nella societa' americana, che nutre molta poca simpatia per
il paternalismo.
Nulla da fare con i cattivi sociologi e i giornalisti. I primi, come
dicevo, sono al suicidio intellettuale. E sui secondi, vabbe', non
andremo in televisione e continueremo a sentirci superiori proprio per
questo. Ma e' dei politici di sinistra che mi preme discutere, che
questi fanno danni, danni grossi.
L'economia comportamentale moderna non giustifica affatto una
versione stupida del "governo dei filosofi" di Platone (governiamo noi
filosofi che siamo intelligenti e che il popolo bue ci segua) come
spesso appare a giornalisti e politici di sinistra (e come spesso anche
gli economisti che ci si riconoscono amano presentarla ai giornalisti
per avere la loro approvazione e fotografie sui giornali). Le
implicazioni di politica economica che gli economisti comportamentali
accettano (nei loro lavori accademici) sono estremamente caute, cosi'
caute da apparire ridicole. Riferiscono alla propria posizione come paternalismo libertario o paternalismo asimmetrico
, e limitano enormemente le politiche paternalistiche che
esplicitamente supportano. Ad esempio, nel dibattito sugli
accantonamenti pensionistici, nessuno di loro che io sappia si e' mai
permesso di argomentare a favore del risparmio forzato. Ne'
suggeriscono vincoli alla libera scelta su come investire gli
accantonamenti pensionistici. Si limitano invece solo a suggerire una
scelta paternalistica nel solo caso di individui che non operino scelta
alcuna.
Gli economisti comportamentali capiscono (o almeno dicono di capire)
che il paternalismo tout court e' politica grave, non giustificabile
sulla base della teoria economica (anche quella comportamentale), e con
fondamenti intellettuale pericolosamente tendenti al totalitarismo. Ma
perche' il paternalismo non e' giustificabile sulla
base della teoria economica comportamentale? Dopo tutto se gli agenti
economici sono irrazionali.....
Per il nerd e il geek che non molla davvero mai: vai a leggerti Camerer , ma attento a farti troppo affascinare, che ci sa fare il nostro Camerer.
Oltre all'appendice, un addendum. Ieri ho
visto Ballaro': a tutti, da Franceschini al belloccio comunista che e' sempre in tv (non ricordo come si chiama; non Rizzo,
l'altro), pareva ovvio che bisogna costringere, in un modo o nell'altro, gli
studenti universitari a fare chimica invece che legge. Nessuno ha
pensato che, in una societa' dove per secoli i ragazzi intelligenti hanno studiato greco, in una economia in cui solo le rendite pagano e in cui gli avvocati non pagano tasse mentre i chimici che lavorano in impresa si', fare legge forse e'
scelta razionale.
Diliberto belloccio è la prima volta che lo sento. De gustibus...