Immaginate che uno di questi
giorni estivi in cui vi godete le vacanze in riva al mare, un rappresentante
del governo venga intervistato in televisione e faccia la seguente
dichiarazione:
"È terribile che ci siano persone che non hanno amici con cui
passare i giorni di vacanza. Queste persone sono vittime di un sistema che
emargina, attraverso l'esclusione dalle cerchie amicali, gli individui più
timidi, quelli più antipatici e quelli meno attenti alla propria igiene
personale. Nello stesso tempo, alcune persone tradiscono la fiducia dei propri
amici, in varie forme, con la menzogna e con l'inganno, lasciando l'amico
tradito infelice e segnato per sempre. Questa situazione è diventata
intollerabile, e una nazione civile si deve far carico dei suoi cittadini meno
fortunati. Non è colpa loro se la
Natura non ha dato loro un carattere espansivo; d'altronde, è
la stessa nostra societa' iniqua, divisa tra chi è naturalmente divertente e
carismatico e chi non lo è, a creare le barriere che portano al formarsi di
sacche di disagio dove gli antipatici sono esclusi; e in fondo, la questione
dell'igiene personale è una questione privata, sulla quale non dovremmo creare
discriminazioni oggi nel 2007; purtroppo la realta' è ben diversa, e chi non si
lava viene perlomeno guardato con occhio storto, quando non scacciato
apertamente dai benpensanti profumati. Pertanto, da domani partirà un programma
governativo, il Piano Amicizia, che raccoglierà informazioni su ogni singolo
per poter decidere in modo efficiente con chi egli dovrà stringere amicizia,
con due obiettivi: dare almeno un amico a tutti coloro che non ce l'hanno, e
correggere le storture create dall'inefficiente allocazione degli amici
potenzialmente infedeli.
A tal proposito, abbiamo
creato una apposita agenzia, che si occuperà del raccoglimento delle
informazioni sugli individui, sia riguardo alle loro preferenze che alle loro
passate performance come amici, nonché sul numero di amici attualmente a loro
disposizione; abbiamo inoltre istituito un comitato di esperti, incaricato di
stabilire i criteri di ripartizione degli amici sulla base delle preferenze,
creando un meccanismo oggettivo che non si presti ad opportunismi e frodi dei
soliti furbi, che preveda sanzioni esemplari per chi non si attenga alla
ripartizione stabilita (come chi, per esempio, tenta di stringere amicizia con
persone con le quali non deve, o magari non tratta col dovuto affetto gli amici
a lui assegnati), e che privilegi la ripartizione in modo equo degli amici, con
particolare riguardo a coloro che sono particolarmente disagiati (antipatici,
timidi e sporchi); e per concludere, a fine mese si costituirà il NuVIPA
(Nucleo per la Valutazione
e l'Implementazione del Piano Amicizia), che si occuperà, ogni semestre, di
redigere un rapporto sulla attuazione del Piano Amicizia, e proporrà misure
atte a rendere più efficace ed efficiente la sua implementazione.
Contiamo,
con questa misura, di rendere l'Italia più giusta e di recuperare quelle sacche
di disagio sociale in cui versano i nostri concittadini meno fortunati".
Ecco, quanti di voi si sono fatti
una grassa risata leggendo queste righe? Quanti di voi ritengono che in
tal modo tutti godranno di un maggiore benessere? Quanti di voi ritengono che
il Piano Amicizia sia solo uno spreco di soldi, tra esperti, burocrati e
ispettori vari?
Ora ponetevi un'altra domanda. Perché
non avete la stessa reazione quando il governo propone la medesima cosa in
altri ambiti, come per esempio la sanità o il sistema previdenziale, o
l'università? Come mai i Big Plans non piacciono nella sfera delle questioni
ritenute private, e invece piacciono tanto se si parla di questioni "economiche"?
A ben guardare della medesima cosa si tratta: si parte dalla considerazione che
il sistema non è perfetto, che presenta delle storture così come è, e che tali
storture vanno eliminate; con un intervento deciso dello Stato degno del
miglior central planning di matrice sovietica.
Back to USSR
L'ultimo Big Plan salvifico lo
hanno proposto qualche giorno fa Mussi e Padoa-Schioppa, tirando fuori dal cilindro
magico del governo Prodi la soluzione dei problemi delle università
nostrane, ovvero il
"Patto per l'Università e la Ricerca",
nonché le http://www.governo.it/backoffice/allegati/35884-4047.pdf
"Misure per il risanamento finanziario e
l'incentivazione dell'efficacia e dell'efficienza del sistema universitario".
La nostra Università è piena di
problemi. In particolare qui Mussi e Padoa Schioppa prendono di mira due
fenomeni: quello dei finanziamenti uguali per tutti e basati sulla spesa
storica, per cui una università non viene né premiata né punita
finanziariamente a seconda dei risultati didattici e di ricerca che consegue;
e quello della solidità finanziaria, per cui gli Atenei non si preoccupano
dei vincoli di spesa imposti dal ministero visto che comunque i loro
eventuali deficit vengono ripianati.
Per risolvere il primo problema, il
già esistente CNVSU (Comitato Nazionale per la Valutazione del
Sistema Universitario) ha formulato dei criteri ai quali il finanziamento delle
università si deve attenere. Questi criteri esistono già da alcuni anni, ma
erano rimasti lettera morta sinora. Mi pare istruttivo andare a citare i
dettagli dal documento originale, per comprendere meglio la mentalità che sta
dietro questa proposta (il lettore che si annoi a legger tutto può saltare la
gran parte delle prossime righe e andare direttamente a vedere i "difettucci"
nel paragrafo successivo):
"Il modello, formulato nel
2004 e modificato nel 2005 accogliendo parte delle osservazioni formulate dalla
CRUI, tiene conto dei seguenti elementi:
- 30% - domanda da soddisfare (numero di iscritti);
- 30% - risultati di processi formativi (CFU acquisiti dagli studenti);
- 30% - risultati della ricerca scientifica;
- 10% - incentivi speciali.
La domanda è espressa in termini di studenti full time equivalenti (FTE) pesati
per la classe di Corso di laurea (i C.L. sono raggruppati in classi omogenee),
ulteriormente pesati per un fattore di correzione di Ateneo, Ka, legato al
rispetto dei requisiti minimi dei corsi e al "fattore qualita'" nella fornitura
del servizio."
Se vi sembra eccessivamente
burocratico, non avete ancora visto nulla. Andate avanti nella lettura:
"Dal 2004 al 2006, tuttavia,
gli studenti part-time, non essendo omogenee tra le Universita' le possibilita'
di iscrizione, hanno avuto lo stesso peso degli studenti full time. Si sono
ignorati, inoltre, gli iscritti al primo anno, perché i numerosi abbandoni
entro il primo anno potrebbero creare distorsioni (sono possibili comportamenti
opportunistici delle Universita'miranti alla massimizzazione delle entrate
derivanti da nuovi immatricolati che non proseguono gli studi). Si è quindi
tenuto conto solo degli studenti iscritti agli anni successivi. I risultati dei
processi formativi sono misurati:
• per il 20%, dai CFU guadagnati (si considerano solo i CFU guadagnati in n+1
anni di corso, dove n indica la durata legale del corso di laurea);
• per il 10%, dal numero di laureati dell'anno ponderati con dei coefficienti
che tengono conto del tempo impiegato per conseguire il titolo rispetto alla
durata "normale" del corso di studi."
Vediamo come si calcola il "fattore
qualità didattica":
"In applicazioni successive,
quando saranno pienamente operative le Anagrafi degli studenti e dei laureati,
il "fattore qualita' didattica" dovrebbe tener conto, secondo quanto indicato
dal CNVSU, di:
- accreditamento del corso;
- riscontro occupazionale dei laureati;
- successo negli studi successivi;
- gradimento ex post da parte dei laureati.
Nel 2004, 2005 e 2006 il fattore correttivo di ateneo KA è stato utilizzato
soltanto per modulare la "domanda", e i coefficienti di ponderazione dei C.L.
nel calcolo dei risultati sono stati assunti uguali a 1."
E come viene valutata la ricerca,
o meglio, il potenziale di ricerca?
"[...] la formula del CNVSU
considera il "potenziale di ricerca" in base al numero di docenti, ricercatori,
borsisti, assegnisti, ecc., opportunamente pesati secondo la categoria di
appartenenza e ulteriormente ponderati per indicatori di partecipazione e di
successo nella richiesta di fondi PRIN nel triennio precedente, cui si aggiunge
il numero di ricercatori "virtuali" calcolato in base ai fondi esterni ottenuti
dall'ateneo per attivita' di ricerca. Per il 2006 la valorizzazione del fattore
"ricerca" tiene conto dei risultati della valutazione operata dal CIVR."
E ora passiamo al secondo
obbiettivo, la stabilità finanziaria. Nel documento, si nota come molti
atenei siano in pericoloso stato di indebitamento e abbiano costi di
funzionamento esagerati. Si stabilisce quindi un criterio su cui basare il
finanziamento, che segue queste linee:
"Nel definire la formula per
l'indicizzazione, occorre pensare all'incidenza tipica di tali oneri [costi del
personale, NdR] sul FFO, astraendo dai casi anomali per eccesso e per difetto.
La misura dell'85% appare allora appropriata. Occorre peraltro scomporre la
spesa tra personale docente, soggetto ad aumenti di legge, e personale tecnico
amministrativo, soggetto ad aumenti in base a contratto nazionale. In mancanza
di indicazioni prescrittive, conviene basarsi sulla media del sistema e
adottare quindi le percentuali del 68% per docenti ( pari a circa il 58% sul
FFO) e del 32% per i tecnici e amministrativi ( circa il 27% sul FFO). La
regola tendenziale ( restando aperta la questione se la situazione di finanza
pubblica consenta o meno di applicarla interamente gia' per il 2008) implica quindi
una dinamica del FFO per l'intero sistema universitario pari almeno alla media
ponderata delle variazioni dei seguenti indici: indice delle retribuzioni del
personale non contrattualizzato delle pubbliche amministrazioni, stabilito con
DCPM (peso 0,58); indice delle retribuzioni del personale tecnico
amministrativo ( peso 0,27); indice generale dei prezzi al consumo (peso 0,15).
[...] Sarebbe inoltre auspicabile un ampliamento dell'autonomia degli atenei per
quanto riguarda le tasse universitarie. In coerenza con il livello medio della
contribuzione studentesca negli altri paesi europei, si suggerisce di
consentire che gli atenei aumentino le tasse, fino ad un'incidenza pari al 25%
del FFO, con vincolo di destinazione di almeno il 50% dei maggiori introiti ai
servizi agli studenti e alle borse di studio per i meritevoli."
Si stabilisce quindi un livello
massimo dei costi del personale sul totale (si noti: 85% è un numero che
farebbe impallidire qualunque manager privato), e si rende possibile anche colmare
la lacuna alzando le tasse (ma non troppo, mi raccomando!). Le conseguenze
sulle Università che superano il famoso limite e sono in dissesto finanziario "[...]
perché negli ultimi due anni hanno avuto un saldo di bilancio negativo (al
netto delle poste finanziarie), devono presentare un Piano di risanamento di
durata non superiore a 10 anni da sottoporre alla approvazione congiunta del
MUR e del MEF. Il Piano deve prevedere la limitazione delle assunzioni entro il
20% delle cessazioni e l'aumento obbligatorio e graduale delle tasse di
iscrizione fino al 25% del FFO. E' fatto obbligo al collegio dei revisori, in
cui va ovviamente mantenuto il rappresentante del MEF ( con spese a carico
dell'Universita', anche se da queste lasciato in soprannumero), di certificare
con cadenza almeno trimestrale l'osservanza del Piano. L'inosservanza del
suddetto Piano dovrebbe comportare adeguate sanzioni, senza escludere nel caso
estremo il commissariamento dell'ateneo."
I "difettucci" del Big Plan di
Mussi e Padoa-Schioppa
Lascio al lettore la valutazione
complessiva. Mi preme solo far notare come tutta l'impostazione sia basata
sulla fallace idea che il merito e il demerito sarebbero incentivabili con
questo tipo di schemi centralisti. Si crea un gruppo di esperti, si stila
una classifica delle università in base a determinati criteri, e si procede a
distribuire i finanziamenti secondo tale classifica. Si determina poi un
criterio contabile su cui basarsi per dire chi è virtuoso e chi no.
Primo problema: i criteri
utilizzati sono criticabili e ovviamente soggetti a scelte che non possono che
essere in parte discrezionali (per esempio: perché didattica e ricerca hanno lo stesso peso
nell'indice?). Come gia' sottolineato in altre occasioni, i ranking universitari
negli USA sono numerosi e diversi tra loro, proprio perché seguono criteri
differenti. Non esiste un criterio perfetto, ovviamente, e i criteri
dipendono anche da cosa si vuole misurare e come lo si misura. Per questo,
basarsi su un ranking per assegnare i fondi è rischioso: perché la scelta
stessa dei criteri non può tenere conto di tutti gli aspetti coinvolti.
Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: esistono università enormi come Harvard,
che fanno didattica e ricerca a livelli eccelsi, e che hanno molte facoltà; ma
esistono anche università che si dedicano solo all'insegnamento; e università
di nicchia che insegnano e/o fanno ricerca solo in alcune materie; altre università
eccellono in alcuni campi ma sono mediocri in altri. Come può un indice
sintetico tenere conto di tutti questi aspetti, che, si noti bene, non sono
esogeni e determinati una volta per sempre, ma vengono determinati dalle forze
economiche in gioco (domanda e offerta didattica e di ricerca, finanziatori,
nuovi campi di ricerca, innovazione tecnologica, mercato del lavoro nazionale e
internazionale, ecc.) e cambiano nel tempo?
E la soluzione non è nemmeno un indice più complicato che tenti di inglobare tutti
gli aspetti indicati sopra: perché anche questi aspetti cambiano nel tempo e si
modificano per l'interazione delle persone coinvolte nel sistema economico.
Secondo voi, un indice di questo genere avrebbe privilegiato le universita'
della Silicon Valley nel momento in cui avevano maggiore bisogno di fondi?
Secondo problema: da anni in Finanziaria i governi mettono
nero su bianco la regola che i debiti delle ASL non saranno ripianati; e
puntualmente, tutti gli anni, tali debiti vengono ripianati. Chi ci garantisce
che, analogamente, il commissariamento eventuale di una università in dissesto
sia attuato realmente? Una università è politically too big to fail,
nel senso che lasciarla al suo destino è politicamente costoso; ma è costoso
anche commissariarla avviando delle durissime misure finanziarie che
ricadrebbero inevitabilmente sugli elettori. Qualsiasi politico con un minimo
di raziocinio farebbe i patti col diavolo per evitare il commissariamento.
Non solo: un piano di risanamento di dieci anni va oltre il mandato di
qualunque rettore (in alcune università è di quattro anni, ci sarebbe tempo
per vedere tre rettori avvicendarsi...). Ancora peggio: va oltre il mandato di
qualsiasi governo, di qualsiasi giunta regionale, di qualsiasi organismo
elettivo. Davvero è credibile che per dieci anni nessuno cambi nulla? O
piuttosto è lecito ritenere che, dopo qualche anno di enormi sacrifici, e sotto
elezioni, il governo, o la giunta regionale, o la comunità montana faccia un
bel favore ai propri elettori chiudendo un occhio sul bilancio della tal
università o (peggio) finanziando il suo deficit, magari con un bel contratto
per corsi di formazione per i propri dipendenti?
Terzo problema: il criterio
contabile citato sopra è facilmente aggirabile. Per esempio, si immagini una situazione in cui
una Università deve assumere un certo numero di nuovi dipendenti, ma che tali
assunzioni facciano sforare i limiti di spesa. Rinuncia ad assumerli? Neanche
per sogno: può costituire una società esterna, controllata finanziariamente dall'Università,
che fornisca servizi all'Università stessa e che assuma tali nuovi dipendenti.
In tal modo la forma è salva. I conti no, ovviamente, ma quella che era spesa
per dipendenti diventa magicamente spesa per servizi.
Quali sono le alternative?
Anche a costo di ripetere per l'ennesima volta cose già
dette: la soluzione è
più mercato. Mettere le università in competizione tra loro, per contendersi ricercatori e studenti; lasciare liberi i privati di creare università a loro piacimento: ci
penserà poi il mercato a decretare quelle che sono buone e quelle che sono
mediocri, alcune più scadenti sopravvivranno fornendo il servizio a
studenti scadenti per un prezzo basso, mentre altre diventeranno eccellenti e
forniranno educazione di elevato livello a prezzi più elevati; si può e si deve discutere, e lo si è fatto anche su questo sito, sui dettagli , e sui pregi e difetti di varie forme istituzionali o di finanziamento dell'istruzione superiore.
Ma pensare che un Big Plan
burocratico salvi il nostro sistema universitario, francamente, è una idea che
poteva venire solo a Mussi e Padoa-Schioppa.