Come abbiamo visto sui giornali, il Papa ha chiesto che si trovi una soluzione per la vicenda della multinazionale Alcoa, che come sappiamo da alcuni mesi ha annunciato la sua volontà di disimpegnarsi dall'Italia. Per quanto riguarda le parole del Papa c'è poco da aggiungere. Su questo sito si ironizza in continuazione sulle posizioni di principio, da chiunque sostenute, che per quanto commendevoli sono in realtà vuote e non avvicinano di un passo alla soluzione pratica dei problemi sul tappeto. Oggi il pontefice parla di politiche industriali...domenica prossima passerà ad enunciare un'altra posizione di principio su pace, guerra o fame nel mondo...pazienza, lui è fatto così.
In merito invece alla multinazionale americana, come già detto sappiamo che essa non intende più continuare a investire nè a Portovesme (in Sardegna) nè a Fusina (in Veneto). Dietro la decisione presumo ci siano valutazioni di organizzazione industriale, così come immagino che i vertici debbano rendere conto ai loro azionisti, che sono comunque titolari di interessi altrettanto legittimi di quelli che i miei compaesani intendono promuovere: un punto che solitamente si trascura quando si contrappongono gli interessi dei lavoratori alle multinazionali, che non sono entità astratte o necessariamente demoniache nei loro obbiettivi. Ovviamente si potrebbe pure valutare fino a che punto l'azienda intenda realmente tirare la corda con la decisione della chiusura, dal momento che in tanti temono che le sue minacce altro non siano che un modo per alzare il prezzo dell'accordo al tavolo della trattativa. Io non ho informazioni e competenze per poter verificare le reali volontà dell'azienda, anche se a giudicare dal punto fino a cui si sono spinti, pare che l'Alcoa abbia davvero deciso di abbandonare l'Italia.
Tutta la vicenda però lascia l'amaro in bocca per come è stata gestita e per gli aspetti che rivela del nostro (italiano) modo di affrontare i problemi. Intanto, non si può fare a meno di notare che i lavoratori di Portovesme contestano le politiche di una multinazionale che intende disimpegnarsi da un territorio dopo aver acquisito, solo pochi anni fa, un impianto di lavorazione dell'ossido d'alluminio, impianto costruito ai primi degli anni '70, nel quadro del famigerato sistema noto come "partecipazioni statali". Già questa constatazione la dice lunga sull'enormità della situazione di un territorio e dei suoi amministratori, che per oltre 40 anni non hanno saputo costruire nulla di alternativo all'esistente, e ora subissati dalla loro stessa insipienza, si permettono di fare la voce grossa, prima pretendendo che il governo si faccia garante di prezzi scontati per l'energia elettrica (come è successo per svariati anni passati e in tal modo beneficiando con un regime di tariffe speciali solo Alcoa, e provocando così una procedura di infrazione contro Alcoa stessa da parte dell'UE); poi chiedendo (e ottenendo) l'approvazione di un decreto per Sicilia e Sardegna al fine di scontare il prezzo dell'energia elettrica per tutte le aziende che investano nelle due regioni; e infine con la richiesta che il governo imponga all'Enel un accordo con Alcoa per la cessione di energia elettrica a prezzi scontati (a quest'ultima misura Enel è del tutto contraria, e quindi non è stata realizzata ma solo proposta).
Come dicevo la vicenda è rivelatrice di come si affrontino i problemi da noi: con un miscuglio insopportabile di minacce impotenti, leggine congegnate in fretta e furia, debolezza reale e su tutto un populismo straccione in stile sud-americano. Basta passare in rassegna alcune dichiarazioni delle più alte autorità politiche sarde per averne conferma (ma ovviamente l'opposizione non si è distinta in meglio, del resto anche in Sardegna sia a scorrere l'intero arco delle forze politiche da destra verso sinistra o viceversa ci si leggerebbero comunque gli stessi contenuti: una sorta di palindromo idiota). A scorrere quelle dichiarazione si vedrebbe che prima si è detto che Alcoa sarebbe vigliacca, che avrebbe martoriato il territorio, e che nel caso non avesse rivisto le sue decisioni sarebbe incorsa in ritorsioni neppure troppo velate (si tenga presente che quando a fine estate 2009 ci sono state delle incontestabili fuoriuscite di fluoro dalla stessa Alcoa, l'ARPAS era intervenuta sostenendo che le concentrazioni di fluoro nell'area industriale erano ben al di sotto dei limiti di legge); alcuni poi si sono spinti anche oltre, anche se ovviamente il più grande di tutti è stato come sempre Lui, che ha detto nientemeno che la chiusura di Alcoa:
"potrebbe modificare i rapporti fra il governo italiano e la multinazionale".
Curioso poi che oggetto delle contumelie e dell'ira dei sardi siano sempre gli americani. Per esempio, per decenni in Sardegna si è sostenuto che gli americani se ne sarebbero dovuti andare via dall'isola de La Maddalena perchè "quella era casa nostra": anni e anni di retorica contro gli americani che ci invadevano, che addirittura avrebbero introdotto di soppiatto armi nucleari in casa nostra...mai una parola di riconoscimento per gli americani sotto il cui ombrello protettivo abbiamo avuto pace, libertà e prosperità; e neanche una parola per tutti i ragazzi americani morti per liberarci. Solo e soltanto marce, petizioni e anti-americanismo. Alla fine, comunque, gli americani se ne sono andati via per davvero. Si sperava così che un luminoso periodo di progresso economico per tutta la zona si sarebbe aperto con il turismo d'elite. E invece le uniche elites che sono arrivate sono quelle di sempre, quelle italiane purtroppo cioè politica e imprenditori del belpaese che alla Maddalena hanno fatto questo: sperperi e cialtronerie. E qui gli americani non c'entrano niente.
Adesso al sud dell'isola, si implorano gli americani a restare. Si dice che se se ne vanno lasceranno il deserto. Ma io mi chiedo, ma chi l'ha fatto il deserto? Chi è che non crea condizioni perchè si possa investire? Dove erano i consorzi industriali intasati di politici, quando si trattava di organizzare le infrastrutture della zona che ora sono a dir poco fatiscenti? Avevamo ben due consorzi industriali nel raggio di pochissimi kilometri. Dove sono coloro che erano preposti a rendere vita facile agli investitori? E' davvero colpa degli americani? E che colpa ne hanno gli americani se noi non abbiamo risorse per garantire un sistema di ammortizzatori sociali e dobbiamo accettare che si conceda la CIG solo a discrezione del governo e con condizioni non uguali per tutti? Se noi preferiamo distribuire prebende per creare consenso elettorale invece di avere un welfare state serio, di chi è la colpa? E dove sono le istituzioni sarde? Perchè si lasciano andare al peggio della retorica anti-americana, invece di riconoscere che la colpa di questo deserto è nostra e solo nostra? Anche nostra di cittadini che votiamo personaggi impresentabili che concepiscono la politica come scambio di favori e di cestini natalizi portato sotto l'albero da sudditi riconoscenti in cambio di un lavoro. Dove sono i sindacati che hanno taciuto della multa europea contro Alcoa per anni, salvo poi scatenare il finimondo solo al momento del suo pagamento, lasciando intendere ai più cinici che stessero facendo gli utili idioti buoni perché l'azienda ottenesse quanto voleva, utilizzando la carta del disastro sociale?
E se gli americani NON se ne devono andare da casa nostra, possiamo davvero pretendere, in condizioni di libero mercato, che siamo noi a decidere quando se ne devono andare e cosa devono produrre? E cosa penseranno eventuali investitori di un posto dove un Presidente della Giunta Regionale minaccia controlli di tipo ambientale solo se l'azienda non accoglie le richieste della politica? E questa sarebbe la politica forte che desideriamo? Una politica che fa la voce grossa (e disperata) contro un'azienda multinazionale solo perchè è consapevole che da sola non potrà fare nulla tranne che gestire la miseria?
E che costi avrà continuare ancora la produzione di alluminio? Penso, ed è la cosa più semplice, al fatto che le bollette dei privati in questa zona già costino di più perchè su di essi si è traslato il costo degli accordi con i quali si sono realizzati in passato altri suicidi di politica industriale; poi vi sono i costi ambientali e sanitari, visto che gli impianti sono obsoleti; e poi ancora ci sono i costi opportunità del fatto che scegliamo di continuare a produrre una cosa piuttosto che un'altra; e così via...se non ci si pensa non è perchè quei costi non ci siano ma non si pensa ad essi solo perchè la situazione in cui siamo è talmente disperata che non possiamo nemmeno assumere un orizzonte temporale di programmazione che vada al di là dei mesi. Cosa ci vuole ancora per capire che questo paese non ha futuro? Bastano le facce ingrigite e incartapecorite della gerontocrazia che ci governa? Bastano i giovani parcheggiati e annichiliti da leggi fatte solo per i padri e i nonni? Bastano i trentenni chiamati spregiativamente "ragazzini", e bolliti in un'attesa infinita? No no, alle volte è sufficiente guardare al tipo di scelte che si prendono anche alla periferia dell'Italia: scelte che sembrano fatte giusto per tirare a campare, così senza nessun progetto, senza nessun orgoglio e nessuna prospettiva tranne che la linea di galleggiamento. E mi chiedo sempre: ma basterà avere l'ipod nelle orecchie, l'ultima maglietta della Nike addosso, il filmino su youtube e l'account facebook per occultare l'anello al naso che abbiamo e fare finta di essere come i giovani di paesi più civili del nostro?
Senza la pretesa di essere particolarmente acuto o originale, secondo me la questione Alcoa (come anche lo stabilimento Fiat di Termini Imerese) e' un esempio di un problema generale.
In Italia e' sempre piu' difficile fare impresa con una produttivita' del lavoro in declino (il deterioramento delle infrastrutture e' un elemento aggiuntivo), il peso delle tasse, il disastro della pubblica amministrazione, l'assenza di un sistema legale-giudiziario, la criminalita', il capitale umano di livello patetico, eccetera. Insomma i problemi che conosciamo tutti stanno diventando troppo gravosi, specie in una fase in cui anche le economie piu' efficienti dell'Italia hanno enormi difficolta' a rimanere a galla.
Quasi nessuna impresa straniera investe in Italia, tantomeno nel settore manifatturiero, e quindi non deve sorprendere se quelle poche rimaste stanno per andarsene una volta che gli impianti siano stati spremuti fino all'ultimo. Del resto anche le imprese italiane chiudono e anche se gli operai si appollaiano sulle gru, e riescono a scucire qualche soldo alla Regione fino a quando le telecamere non si spengono, la realta' non cambia.
Il punto non e' tirare l'Alcoa per i capelli o esercitare pressioni, ma rendere il "sistema paese" (per pigrizia ricorro al gergo da Sole24Ore) meno schizofrenico e piu' efficiente.
Beh si, credo che il punto siano esattamente le cose che dici tu. Ma è troppo doloroso ammetterlo. E infatti, l'argomento standard è: "se ne vanno dalla Sardegna o dall'Italia perchè vogliono andare a fare i pirati altrove, dove la legislazione ambientale o sul lavoro è meno rigorosa". Insomma, il problema sarebbe solo l'ingordigia delle multinazionali. Perchè poi non arrivino altre aziende, ovviamente non se lo chiede nessuno.