YANKEE GO HOME! Anzi no, rimanete: senza di voi siamo perduti.

/ Articolo / YANKEE GO HOME! Anzi no, rimanete: senza di voi siamo perduti.
  • Condividi

Di sardi, americani e deserti industriali. E di corsi e ricorsi con un finale sempre eguale.

Come abbiamo visto sui giornali, il Papa ha chiesto che si trovi una soluzione per la vicenda della multinazionale Alcoa, che come sappiamo da alcuni mesi ha annunciato la sua volontà di disimpegnarsi dall'Italia. Per quanto riguarda le parole del Papa c'è poco da aggiungere. Su questo sito si ironizza in continuazione sulle posizioni di principio, da chiunque sostenute, che per quanto commendevoli sono in realtà vuote e non avvicinano di un passo alla soluzione pratica dei problemi sul tappeto. Oggi il pontefice parla di politiche industriali...domenica prossima passerà ad enunciare un'altra posizione di principio su pace, guerra o fame nel mondo...pazienza, lui è fatto così.

In merito invece alla multinazionale americana, come già detto sappiamo che essa non intende più continuare a investire nè a Portovesme (in Sardegna) nè a Fusina (in Veneto). Dietro la decisione presumo ci siano valutazioni di organizzazione industriale, così come immagino che i vertici debbano rendere conto ai loro azionisti, che  sono comunque titolari di interessi altrettanto legittimi di quelli che i miei compaesani intendono promuovere: un punto che solitamente si trascura  quando si contrappongono gli interessi dei lavoratori alle multinazionali, che non sono entità astratte o necessariamente demoniache nei loro obbiettivi. Ovviamente si potrebbe pure valutare fino a che punto l'azienda intenda realmente tirare la corda con la decisione della chiusura, dal momento che in tanti temono che le sue minacce altro non siano che un modo per alzare il prezzo dell'accordo al tavolo della trattativa. Io non ho informazioni e competenze per poter verificare le reali volontà dell'azienda, anche se a giudicare dal punto fino a cui si sono spinti, pare che l'Alcoa abbia davvero deciso di abbandonare l'Italia.

Tutta la vicenda però lascia l'amaro in bocca per come è stata gestita e per gli aspetti che rivela del nostro (italiano) modo di affrontare i problemi. Intanto, non si può fare a meno di notare che i lavoratori di Portovesme contestano le politiche di una multinazionale che intende disimpegnarsi da un territorio dopo aver acquisito, solo pochi anni fa, un impianto di lavorazione dell'ossido d'alluminio, impianto costruito ai primi degli anni '70, nel quadro del famigerato sistema noto come "partecipazioni statali". Già questa constatazione la dice lunga sull'enormità della situazione di un territorio e dei suoi amministratori, che per oltre 40 anni non hanno saputo costruire nulla di alternativo all'esistente, e ora subissati dalla loro stessa insipienza, si permettono di fare la voce grossa, prima pretendendo che il governo si faccia garante di prezzi scontati per l'energia elettrica (come è successo per svariati anni passati e in tal modo beneficiando con un regime di tariffe speciali solo Alcoa, e provocando così una procedura di infrazione contro Alcoa stessa da parte dell'UE); poi chiedendo (e ottenendo) l'approvazione di un decreto per Sicilia e Sardegna al fine di scontare il prezzo dell'energia elettrica per tutte le aziende che investano nelle due regioni; e infine con la richiesta che il governo imponga all'Enel un accordo con Alcoa per la cessione di energia elettrica a prezzi scontati (a quest'ultima misura Enel è del tutto contraria, e quindi non è stata realizzata ma solo proposta).

Come dicevo la vicenda è rivelatrice di come si affrontino i problemi da noi: con un miscuglio insopportabile di minacce impotenti, leggine congegnate in fretta e furia, debolezza reale e su tutto un populismo straccione in stile sud-americano. Basta passare in rassegna alcune dichiarazioni delle più alte autorità politiche sarde per averne conferma (ma ovviamente l'opposizione non si è distinta in meglio, del resto anche in Sardegna sia a scorrere l'intero arco delle forze politiche da destra verso sinistra o viceversa ci si leggerebbero comunque gli stessi contenuti: una sorta di palindromo idiota). A scorrere quelle dichiarazione si vedrebbe che prima si è detto che Alcoa sarebbe vigliacca, che avrebbe martoriato il territorio, e che nel caso non avesse rivisto le sue decisioni sarebbe incorsa in ritorsioni neppure troppo velate (si tenga presente che quando a fine estate 2009 ci sono state delle incontestabili fuoriuscite di fluoro dalla stessa Alcoa, l'ARPAS era intervenuta sostenendo che le concentrazioni di fluoro nell'area industriale erano ben al di sotto dei limiti di legge); alcuni poi si sono spinti anche oltre, anche se ovviamente il più grande di tutti è stato come sempre Lui, che ha detto nientemeno che la chiusura di Alcoa:

 

"potrebbe modificare i rapporti fra il governo italiano e la multinazionale".

 

Curioso poi che oggetto delle contumelie e dell'ira dei sardi siano sempre gli americani. Per esempio, per decenni in Sardegna si è sostenuto che gli americani se ne sarebbero dovuti andare via dall'isola de La Maddalena perchè "quella era casa nostra": anni e anni di retorica contro gli americani che ci invadevano, che addirittura avrebbero introdotto di soppiatto armi nucleari in casa nostra...mai una parola di riconoscimento per gli americani sotto il cui ombrello protettivo abbiamo avuto pace, libertà e prosperità; e neanche una parola per tutti i ragazzi americani morti per liberarci. Solo e soltanto marce, petizioni e anti-americanismo. Alla fine, comunque, gli americani se ne sono andati via per davvero. Si sperava così che un luminoso periodo di progresso economico per tutta la zona si sarebbe aperto con il turismo d'elite. E invece le uniche elites che sono arrivate sono quelle di sempre, quelle italiane purtroppo cioè politica e imprenditori del belpaese che alla Maddalena hanno fatto questo: sperperi e cialtronerie. E qui gli americani non c'entrano niente.

Adesso al sud dell'isola, si implorano gli americani a restare. Si dice che se se ne vanno lasceranno il deserto. Ma io mi chiedo, ma chi l'ha fatto il deserto? Chi è che non crea condizioni perchè si possa investire? Dove erano i consorzi industriali intasati di politici, quando si trattava di organizzare le infrastrutture della zona che ora sono a dir poco fatiscenti? Avevamo ben due consorzi industriali nel raggio di pochissimi kilometri. Dove sono coloro che erano preposti a rendere vita facile agli investitori? E' davvero colpa degli americani? E che colpa ne hanno gli americani se noi non abbiamo risorse per garantire un sistema di ammortizzatori sociali e dobbiamo accettare che si conceda la CIG solo a discrezione del governo e con condizioni non uguali per tutti? Se noi preferiamo distribuire prebende per creare consenso elettorale invece di avere un welfare state serio, di chi è la colpa? E dove sono le istituzioni sarde? Perchè si lasciano andare al peggio della retorica anti-americana, invece di riconoscere che la colpa di questo deserto è nostra e solo nostra? Anche nostra di cittadini che votiamo personaggi impresentabili che concepiscono la politica come scambio di favori e di cestini natalizi portato sotto l'albero da sudditi riconoscenti in cambio di un lavoro. Dove sono i sindacati che hanno taciuto della multa europea contro Alcoa per anni, salvo poi scatenare il finimondo solo al momento del suo pagamento, lasciando intendere ai più cinici che stessero facendo gli utili idioti buoni perché l'azienda ottenesse quanto voleva, utilizzando la carta del disastro sociale?

E se gli americani NON se ne devono andare da casa nostra, possiamo davvero pretendere, in condizioni di libero mercato, che siamo noi a decidere quando se ne devono andare e cosa devono produrre? E cosa penseranno eventuali investitori di un posto dove un Presidente della Giunta Regionale minaccia controlli di tipo ambientale solo se l'azienda non accoglie le richieste della politica? E questa sarebbe la politica forte che desideriamo? Una politica che fa la voce grossa (e disperata) contro un'azienda multinazionale solo perchè è consapevole che da sola non potrà fare nulla tranne che gestire la miseria?

E che costi avrà continuare ancora la produzione di alluminio? Penso, ed è la cosa più semplice, al fatto che le bollette dei privati in questa zona già costino di più perchè su di essi si è traslato il costo degli accordi con i quali si sono realizzati in passato altri suicidi di politica industriale; poi vi sono i costi ambientali e sanitari, visto che gli impianti sono obsoleti; e poi ancora ci sono i costi opportunità del fatto che scegliamo di continuare a produrre una cosa piuttosto che un'altra; e così via...se non ci si pensa non è perchè quei costi non ci siano ma non si pensa ad essi solo perchè la situazione in cui siamo è talmente disperata che non possiamo nemmeno assumere un orizzonte temporale di programmazione che vada al di là dei mesi. Cosa ci vuole ancora per capire che questo paese non ha futuro? Bastano le facce ingrigite e incartapecorite della gerontocrazia che ci governa? Bastano i giovani parcheggiati e annichiliti da leggi fatte solo per i padri e i nonni? Bastano i trentenni chiamati spregiativamente "ragazzini", e bolliti in un'attesa infinita? No no, alle volte è sufficiente guardare al tipo di scelte che si prendono anche alla periferia dell'Italia: scelte che sembrano fatte giusto per tirare a campare, così senza nessun progetto, senza nessun orgoglio e nessuna prospettiva tranne che la linea di galleggiamento. E mi chiedo sempre: ma basterà avere l'ipod nelle orecchie, l'ultima maglietta della Nike addosso, il filmino su youtube e l'account facebook per occultare l'anello al naso che abbiamo e fare finta di essere come i giovani di paesi più civili del nostro?

Indietro

Commenti

Ci sono 59 commenti

Senza la pretesa di essere particolarmente acuto o originale, secondo me la questione Alcoa (come anche lo stabilimento Fiat di Termini Imerese) e' un esempio di un problema generale.

In Italia e' sempre piu' difficile fare impresa con una produttivita' del lavoro in declino (il deterioramento delle infrastrutture e' un elemento aggiuntivo), il peso delle tasse, il disastro della pubblica amministrazione, l'assenza di un sistema legale-giudiziario, la criminalita', il capitale umano di livello patetico, eccetera. Insomma i problemi che conosciamo tutti stanno diventando troppo gravosi, specie in una fase in cui anche le economie piu' efficienti dell'Italia hanno enormi difficolta' a rimanere a galla.

Quasi nessuna impresa straniera investe in Italia, tantomeno nel settore manifatturiero, e quindi non deve sorprendere se quelle poche rimaste stanno per andarsene una volta che gli impianti siano stati spremuti fino all'ultimo. Del resto anche le imprese italiane chiudono e anche se gli operai si appollaiano sulle gru, e riescono a scucire qualche soldo alla Regione fino a quando le telecamere non si spengono, la realta' non cambia.

Il punto non e' tirare l'Alcoa per i capelli o esercitare pressioni, ma rendere il "sistema paese" (per pigrizia ricorro al gergo da Sole24Ore) meno schizofrenico e piu' efficiente.  

 

In Italia e' sempre piu' difficile fare impresa con una produttivita' del lavoro in declino (il deterioramento delle infrastrutture e' un elemento aggiuntivo), il peso delle tasse, il disastro della pubblica amministrazione, l'assenza di un sistema legale-giudiziario, la criminalita', il capitale umano di livello patetico, eccetera. Insomma i problemi che conosciamo tutti stanno diventando troppo gravosi, specie in una fase in cui anche le economie piu' efficienti dell'Italia hanno enormi difficolta' a rimanere a galla.

 

Beh si, credo che il punto siano esattamente le cose che dici tu. Ma è troppo doloroso ammetterlo. E infatti, l'argomento standard è: "se ne vanno dalla Sardegna o dall'Italia perchè vogliono andare a fare i pirati altrove, dove la legislazione ambientale o sul lavoro è meno rigorosa". Insomma, il problema sarebbe solo l'ingordigia delle multinazionali. Perchè poi non arrivino altre aziende, ovviamente non se lo chiede nessuno.

A parte tutte le altre considerazioni, la cosa che più mi ha lasciato perplesso è la volontà del pontefice di intervenire specificamente su una vicenda che, per quanto sia importante per le parti interessate, è pur sempre minuscola rispetto ai recenti sviluppi del mercato del lavoro. Mi spiego.

Secondo l'ultima rilevazione Istat sulle forze di lavoro (andate alla tabella 15, pagina 10) in Italia nell'ultimo anno sono stati distrutti 508mila posti di lavoro, di cui 20mila solo in Sardegna. Se ho capito bene il numero di posti di lavoro in gioco ora per l'Alcoa in Sardegna è di circa 2000, di cui 1000 imputabili all'indotto (non ho idea della metodologia usata per il calcolo). Capisco benissimo il dramma degli operai, che si trovano esposti al rischio di una disoccupazione prolungata e in una situazione nella quale le opportunità di impiego alternativo sono comunque scarse, ma purtroppo il loro dramma sembra essere anche il dramma di molti altri (2000 è meno dello 0,4% di 508mila) che invece sono stati, e saranno, ignorati dai media.

Vorrei sapere perché il papa ha ritenuto di dover menzionare proprio i problemi di Alcoa e della Fiat a Termini Imerese. Il Vaticano sa quanto valga in termini di risonanza mediatica il discorso della domenica del papa, quindi faccio fatica a credere che la scelta non sia stata meditata. Viene da chiedere: se varie migliaia di precari della scuola non vengono riassunti e restano senza lavoro il problema merita meno attenzione da parte del vaticano? In base a quale logica si sceglie di menzionare una cosa piuttosto che un'altra?

 

 

se varie migliaia di precari della scuola non vengono riassunti e restano senza lavoro il problema merita meno attenzione da parte del vaticano?

 

Ad esser cinici potrebbe essere perchè, nel settore scolastico, hanno già trovato una soluzione per le proprie pecorelle ?

 

Evidente: c'è uno scambio di favori tra Vaticano e Roma, che consentirà maggiore ingerenza del Vaticano nella politica italiana.

 

Ormai, bisogna dirlo, sentire parlare un prete, un no-global, o Tremonti è sempre la stessa solfa. Da questo punto di vista il papa, che dovrebbe essere in questo mondo ma non di questo mondo si associa alle fesserie che vanno per la maggiore. Contento lui...

Rimane però l'incoerenza dei compagni della CGIL o della sinistra in genere, che chiedono al papa sempre di tacere, e poi, quando queste dice fesserie collimanti con le loro, eccoli che applaudono al rinnovato impegno pastorale e alla funzione profetica ecc ecc. Che il papa persegua un fine di giustizia sociale in cui il limite alla libertà d'impresa è parte di un mosaico che non consente l'aspersione dello sperma in indebito vaso; la possibilità di procreare con metodi tecnologicamente in grado di dare felicità terrena a chi cerca un figlio ma non lo trova; di ricercare sulle cellule staminali la ricerca sulle quali potrebbe portare sollievo a molto di quel dolore fisico umano su cui i preti lucrano ed edificano molto del loro ripugnante potere morale e spirituale...ecco, che il pacchetto Ratzinger comprenda tutta una serie di cose che sono ben ben collegate, a loro non interessa proprio. La sinistra vuole decidere lei quando il papa deve parlare e quando deve stare zitto: io propenderei per un silenzion generalizzato.

Che poi la gente si richiami al cielo quando non sa letteralmente che santi pigliare, beh mi ricorda molto le vicende della plebe napoletana che all'apparire dei francesi nel '700 intonava canti, sfilava in processione e invocava lo sciogliemento delle reliquie ematiche di S.Gennaro. Forse è cambiata l'enfasi, ma l'approccio è il medesimo. (Duggan, lo storico molto citato qui le descrive bene queste cose).

E che dire di un paese che critica sempre la casta, leggendo e citando libri di successo, e poi delega alla politica, in tutte le sue forme, la risoluzione dei suoi problemi? Evidentemente la casta esiste perchè qualcuno le da mandato di fare quello che fa, altrimenti non saremmo alla situazione in cui siamo.

Certo che se penso che ben altri appelli al cielo servirebbero nella presente condizione...

Leggere articoli come questo alla mia età, 60 anni, è di una tristezza infinita. Articoli analoghi si sono letti dagli anni 70 in avanti in toni sempre più allarmati, delusi, preoccupati, atterriti a commentare, chiosare, censurare loperato di una classe dirigente urfida moralmente ed incompetente che dagli anni 70 è psggiorata in maniera esponenziale. Essa, i suoi componenti portano l'anello al naso e legittimano quello di pseudo cittadini in realtà sudditi ad averne uno ancora più grosso.

E vabbè! E' uno sfogo che non serve a nulla. Ma qualche volta lo sconforto, per un momento, ha la meglio.

articolo molto interessante. beh, penso che le istituzioni, (giornali ecc) debbano per forza di cose accusare gli americani, che scelta avrebbero come alternativa, a parte ammettere le loro colpe? Perchè qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di una situazione, per di più grave o irreversibile, quando c'è il capro espiatorio pronto? Penso sia una soluzione perfetta, ideale anche per una paio di frasi dell'angelus. Si può scaricare la colpa sulla società che se ne va, passare da "buoni" tacendo le proprie responsabilità, fare dei generici richiami a proteggere l'occupazione che consistono appunto quasi solo nel dire: "proteggiamo l'occupazione". L'agenda del papa è uguale a quella dei media, e in diversi sensi: a volte la detta, a volte la copia.

Quando - superando il fastidio che mi danno i proclami solenni con toni da predicatori - leggo di esortazioni a proteggere i posti di lavoro, la mia reazione è sempre la stessa: nessuno può essere in disaccordo, ma l'onestà intellettuale - merce rara, indeed ... - dovrebbe obbligare a suggerire soluzioni, e rigorosamente praticabili.

Invece - essendo molto più comodo evitar di entrare razionalmente nel merito, e limitarsi alle roboanti enunciazioni di principio - le proposte latitano assai. Solitamente si fanno generici richiami alla solidarietà, si lanciano strali contro l'egoista ricerca di un cieco profitto, si attribuiscono le colpe d'ogni male al mitico "evasore fiscale", che fa il paio con il bieco sfruttatore delle risorse di tutti.

In questo sport si distinguono particolarmente i vertici d'Oltretevere che mostrano, così, la consueta ciarlataneria basata sulla descrizione di una realtà virtuale e - con l'abissale ignoranza del mondo reale che li caratterizza, non disgiunta dalla supponenza di chi si erge a bastione della Verità - forniscono comodi alibi ai veri colpevoli, coloro che amministrano il disastrato Paese.

Che la CGIL s'accodi, poi, non credo possa destar stupore, conoscendo la straordinaria cultura economica degli adepti: ricordate Agostino Megale, a Firenze, preso a sassate verbali da un po' tutti noi (Michele in testa, abbigliato da tupamaro .......)?

Il Papa dispone di una banca, lo IOR (Istituto Opere di Religione). Io vorrei proporre al Santo Padre di dare immediatamente istruzioni ai vertici dell'Istituto di fornire i capitali necessari per tenere in vita l'Alcoa in Sardegna, ristrutturare lo stabilimento FIAT di Termini Imerese e tante altre aziende che stanno per chiudere.

Io sono sicuro che ne dara' l'annuncio al prossimo Angelus, forse anche prima, altrimenti i soliti laicisti, atei e miscredenti potrebbero accusare il Vaticano di comportarsi esattamente come gli egoisti, gli affamapopolo e i capitalisti giustamente esecrati da Benedetto XVI e da Santa Romana Chiesa.

disclosure: sono sardo e come tutti i sardi sono profondamente innamorato della mia terra.

alla fine chi e' che li vota e rivota questi politici? noi sardi. chi e' che continua a votare politici/invocare politiche fallite da decenni? che protesta automaticamente contro ogni proposta di sviluppo? (da ultimo quando fu ventilata la possibilita' di mettere le centrali nucleari in sardegna venne giu' il mondo... magari e' una cattiva idea ma e' possibile che non si possa avere neanche una seria discussione sulla vicenda?) che tollera leggi mostruose tipo quella sui tre chilometri dalla costa, e anzi le supporta? che si lamenta di quando "i continentali" vengono ad investire in sardegna?

e allora, abbiamo cio' che ci meritiamo.

 

da ultimo quando fu ventilata la possibilita' di mettere le centrali nucleari in sardegna venne giu' il mondo... magari e' una cattiva idea ma e' possibile che non si possa avere neanche una seria discussione sulla vicenda?

 

Si si ricordo...isteria collettiva all'ennesima potenza. Il solito vittimismo piagnone del "e che siamo, la discarica d'Italia?".

Comunque, visto che siamo in democrazia e dunque vi è una relazione di libera scelta fra eletti ed elettori, beh si, la colpa è nostra.

Basta vedere cosa NON siamo riusciti a fare in anni e anni di trasferimenti di soldi dell'Unione Europea quando eravamo nell'Obbiettivo 1.

Purtroppo gli intellettuali sardi hanno altro da fare però: preferiscono o crogiolarsi nella storia della memoria, che essi contribuiscono a mistificare o scimmiottano semplicemente le elites della penisola.

 

 

che tollera leggi mostruose tipo quella sui tre chilometri dalla costa, e anzi le supporta? che si lamenta di quando "i continentali" vengono ad investire in sardegna?

 

Credo fossero 2 km, e se ricordo bene quella legge era stata fatta per consentire una revisione profonda del piano paesaggistico (o paesistico, mai capito quale sia la versione corretta) regionale. Una politica rozza, come purtroppo molte delle politiche di Renato Soru, pero' non fondamentalmente sbagliata. Bisogna dire che Soru mi sembrava l'unica novita' nel desolante panorama dei politici sardi e non mi aspetto che il ritorno a Cappellacci porti piu' sviluppo, non piu' di quanto ne sia arrivato nel periodo in cui lui era assessore al bilancio...

Piu' in generale, mi pare che gli investimenti dei cosiddetti "continentali" vadano valutati, non rifiutati ne' favoriti a priori. Un rifiuto a priori mi sembra stupido, ma lo sviluppo che hanno portato finora mi pare basato sul mattone e sul turismo "di massa" e mi sembra chiaro che tali investimenti debbano essere compatibili con una politica del territorio. IMHO, svendere risorse naturali in cambio di investimenti non e' una buona politica, a meno che non sia un modo di attirare temporaneamente investimenti sul territorio durante una ristrutturazione del sistema economico (di cui mi sembra che la Sardegna avrebbe bisogno).

Vorrei spendere due parole sulla attuale situazione della Alcoa, di Portovesme e della Sardegna. Ho vissuto per molto tempo a circa un chilometro di distanza dallo stabilimento Alcoa. Non sono capace di fare delle analisi tecniche e accurate, ma sento molto da vicino il problema della disoccupazione del Sulcis-Iglesiente perché ho sempre visto le persone che vivono e lavorano nella zolla geologicamente più antica d’Italia.

In breve, penso che gli operai dell’Alcoa in Sardegna non siano troppo diversi dagli operai degli altri stabilimenti Alcoa in Italia, o dagli stabilimenti della Fiat. Gli operai sardi si trovano anche a Torino. Gli operai non sono né veneti né sardi: sono operai.

Dico questo perché io ho sempre conosciuto gli stabilimenti industriali di Portovesme e capisco non solo che sentire sempre gli stessi discorsi sulla chiusura delle fabbriche per trent'anni sia abbastanza estenuante per chi di fabbriche non vive, ma anche perché la presenza delle fabbriche ha in un certo senso anestetizzato il bisogno di creare delle valide alternative alla industria chimica di base, che in Sardegna è arrivata anche con intenti di radicale trasformazione antropologica delle aree più arretrate dell’interno dell’isola.

In sostanza capisco una certa insofferenza nei confronti di una certa grossolanità del mondo operaio del Sulcis-Iglesiente. Questo perché la situazione economica dell’Italia e del mondo è cambiata dai tempi in cui scriveva Gramsci. La solidarietà fra i lavoratori non è coesa come ai tempi di Berlinguer. Oggi un giovane operaio del Sulcis-Iglesiente è anche operaio per scelta, non solo per necessità. Forse Gramsci oggi sarebbe più economista e meno marxista, e a volte mi chiedo che cosa penserebbe lui di ciò che sta avvenendo in questi giorni.

Per parte mia, il sentimentalismo ha il sopravvento. Mi viene da dire che a volte quando sento i giovani operai che gridano ‘nano di merda’ a Roma ho una sensazione di ribrezzo, perché gli stabilimenti di Portovesme in trenta anni hanno dato da mangiare a molti che ora sono in pensione e pre-pensionamento, hanno ridotto gli organici, e molti giovani sardi potrebbero emigrare come ho fatto io.

Non vorrei essere frainteso: voglio solo dire che non trovo sempre giustificato che si pretenda il posto fisso, cioè sempre quello, e nel territorio dove si è nati. Mi sento, nonostante qualche piccolo risentimento umano, solidale con i lavoratori di Portovesme.

Io al posto loro sarei disperato e forse non riuscendo a dire ‘nano di merda’ non mi resterebbe che piangere o andarmene. Il discorso dei lavoratori Alcoa, che naturalmente non sono tutti operai, è semplice e letterale. Essi dicono:  se qui chiudono le fabbriche chiudono poco dopo anche palestre di ginnastica, supermercati, negozi e botteghe. Insomma la crisi si sentirà, anche se c’è la cassa integrazione e il bisogno porterà a lungo andare ad una soluzione della crisi.

Ecco, forse io non me la sentirei di essere fisicamente al fianco dei lavoratori Alcoa oggi, però sono solidale con loro e con i tanti lavoratori che, in numero sempre maggiore, si trovano col culo per terra in Italia.

 

Amo la Sardegna , vi trascorro, quando posso, le vacanze estive, mi piacciono i sardi, e solidarizzerei con loro all'infinito. Stesso discorso potrei fare per la Sicilia.

Ma quando vedo vicende come Alcoa e Fiat mi bolle il sangue nelle vene e dò di matto.

In un mondo ideale le aziende producono beni e servizi per un mercato di beni e servizi. In Italia le aziende producono (o continuano a produrre) se sono foraggiate dallo Stato, e allo Stato si rivolge chi, per qualsiasi motivo perde il lavoro, indipendentemente da chi poi paga il conto.

Siamo il penultimo paese socialista della Terra, preceduti solo dalla Corea del Nord, che difatti muore (letteralmente) di fame, mentre la vicina e liberista Corea del Sud prospera.

Alcoa chiude perchè non ha più gli incentivi (pagati da tutti noi!) per stare in piedi ? Se ne vada, punto e basta. Se invece chiude perchè lo stabilimento è obsoleto, ma le forze lavoratrici sarebbero in grado di produrre di più e meglio con macchinari nuovi si cerchi un compratore che voglia investire in nuovi macchinari. Idem per Termini Imerese. Ricordo ancora che, volendo, gli operai si potrebbero riunire in cooperativa, godere di ampie facilitazioni fiscali e finanziarie, e mettersi loro a produrre, se pensano che è solo una logica "di padrone cattivo".

Perchè, ad esempio, Scajola ha oggi detto che, secondo il Governo, Fiat è in grado di mantenere Termini Imerese, e che gli incentivi non sono al momento all'ordine del giorno? Forse vorrebbe ribaltare il ricatto di Marchionne? E dove sono i 7(sette!!) investitori intenzionati a rilevare Termini Imerese ?

Quali sono i "buoni rapporti" che il Governo Italiano intrattiene con Alcoa ? Alcoa inquina il mare sardo? La costa sarda è favorita da uno sviluppo metallurgico e/o petrol/chimico (saras), o i sardi si stanno giocando il futuro per poi avere una colossale Italsider di bagnoli(NA) ?

Gli sforzi che si stanno facendo non sarebbe meglio indirizzarli verso quelle produzioni tipiche sarde (volgarmente definite agroindustria) su cui l'Emilia Romagna ha costruito una ricchezza senza eguali?

E il turismo è fatto da case sulla spiaggia una addosso all'altra (come Stintino, provate ad andarci in spiaggia alle 8 del mattino: non c'è già più posto per l'asciugamano) o è meglio avere spiagge come MontiRussu in Gallura (sei chilometri di spiagge raggiungibili solo a piedi, il paradiso in terra..)?

 

E il turismo è fatto da case sulla spiaggia una addosso all'altra (come Stintino, provate ad andarci in spiaggia alle 8 del mattino: non c'è già più posto per l'asciugamano) o è meglio avere spiagge come MontiRussu in Gallura (sei chilometri di spiagge raggiungibili solo a piedi, il paradiso in terra..)?

 

Dipende. La costa romagnola attira centinaia di migliaia di turisti ogni anno, di tutti i tipi, da quello di elite al piu' becero e per tutte le tasche. Oguno di questi cerca qualcosa che li' riesce a trovare.

E' un turismo di massa e per questo disdicevole? Sara', pero' ci campano (e bene) tutti gli abitanti senza bisogno di chiedere che lo stato finanzi delle fabbriche.

Vogliamo paragonare la risorsa "mare" che ha la Romagna rispetto a quella che ha la Sardegna? Non c'e' storia, il mare sardo e' incredibile.

Allora perche' non si viene incontro alle esigenze dei turisti, dandogli quello che vogliono e traendone di che vivere?

 

In Romagna ci si riesce e nessuno si sogna di chiedere che lo stato impianti un'industria a spese dei contribuenti.


Le cose si avvitano sempre di più. Come dicevo nell'articolo, adesso (in realtà lo fanno sempre)  la stampa si mette a fare da cassa risonanza per le minacce patetiche e impotenti della politica, che se continua così, perderà il giocattolino con cui, a mezzo sindacati, ha costruito consenso e potere gestendo posti di lavoro, concedendo prebende, privilegi e così via.

E' di oggi la notizia che i mitici controlli ambientali si faranno davvero (?), e si rispolverano all'uopo quelle vicende del fluoro emesso dalle celle elettrolitiche durante l'estate scorsa, su cui era calata una cappa ben più asfissiante del fluoro stesso, solo perchè si era deciso di chiudere occhi naso bocca dinnanzi a qualche possibile mese di deriva in più.

Al contorno, come sempre, un po' di retorica stile Ahmadinejad:

 

Renato Brunetta: "Non lasceremo chiudere gli impianti, abbiamo gli strumenti per fargliela pagare".

 

E ricostruzioni al limite del fantasioso, buone solo per gratificare un po' l'orgoglio ferito:

 

LA RABBIA DEI MINISTRI Balza all'attenzione il no quasi sprezzante di Alcoa davanti alle garanzie proposte da Palazzo Chigi sul buon fine del decreto di abbattimento dei costi dell'energia. La presenza in forze di ministri e sottosegretari al vertice dell'altra notte non è riuscita a far breccia tra gli azionisti di Pittsburgh. E la pausa lunga quattro ore imposta dagli americani ha rischiato di far perdere la pazienza ai rappresentanti dell'esecutivo. Claudio Scajola ha bussato di persona nella stanza in cui si trovavano i dirigenti italiani di Alcoa (in contatto con gli Stati Uniti) chiedendo rispetto. Il titolare del Lavoro Maurizio Sacconi è andato oltre: «Se voi fate come c.... vi pare, noi facciamo come c.... vi pare. E ve la faremo pagare». Renato Brunetta si è soffermato sui «300 milioni» che l'Alcoa dovrà versare alle casse di Bruxelles. «Deve pagare e ancora non l'ha fatto. E qui mi fermo».

 

 

E poi ancora si legge di cose che non so quanto siano legittime da un punto di vista giuridico (lo stesso giornalista infatti mette le virgolette allla parola "requisizioni", come se anche lui dinnanzi a una cosa del genere sentisse un bisogno minimo di pudore:

CAPPELLACCI E LA «REQUISIZIONE» «Avvieremo le procedure per ogni opportuna verifica della situazione ambientale e sanitaria» a Portovesme. È la presa di posizione del presidente della Regione Ugo Cappellacci. «Saremo al fianco del Governo per porre in essere tutte le iniziative fino alla requisizione degli impianti. Ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità in una situazione critica, in cui sono in gioco migliaia di posti di lavoro».

 

 

[...] Il titolare del Lavoro Maurizio Sacconi è andato oltre: «Se voi fate come c.... vi pare, noi facciamo come c.... vi pare. E ve la faremo pagare». Renato Brunetta si è soffermato sui «300 milioni» che l'Alcoa dovrà versare alle casse di Bruxelles. «Deve pagare e ancora non l'ha fatto. E qui mi fermo».

 

 

CAPPELLACCI E LA «REQUISIZIONE» «Avvieremo le procedure per ogni opportuna verifica della situazione ambientale e sanitaria» a Portovesme. È la presa di posizione del presidente della Regione Ugo Cappellacci. «Saremo al fianco del Governo per porre in essere tutte le iniziative fino alla requisizione degli impianti. Ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità in una situazione critica, in cui sono in gioco migliaia di posti di lavoro».

Grazie per la documentazione di questa tragicommedia italiana, Marco. Mi sembra un buon esempio di come uno Stato gia' corrotto stia completando la trasformazione in Stato-mafia di tipo balcanico e/o sudamericano.

A me ricorda il Venezuela di Chavez. O l'Argentina della signora Kirchner.

Scusate se continuo con il florilegio ideologico-demenziale delle fesserie che vengono dette intorno alla vicenda Alcoa, ma sembra davvero che intorno alla fonderia sarda (e veneta) si stiano distillando le forme di idiozia più crassa.

Il Presidente del Senato, non fa mancare le sue parole: "Alcoa, un presidio sociale."

Poi, se proprio vi vanno i lamenti con velleità storico culturali, che non dicono nulla ma riducono tutta l'analisi della vicenda a uno stato emotivo-confusionale dove si parla di Cartaginesi, miniere e altro, beh allora leggetevi queste pagine di narrativa scadente, che non solo non dicono nulla ma presumono anche di scandagliare chissà quale recondita profondità mettendo insieme suggestioni che non impressionano nessuno.

Poi, solo per stomaci forti, temprati da dosi massicce di omeprazolo, segnalo questo pessimo scritto di Massimo Carlotto, il Sofri de noartri, adottato dalla Sardegna e particolarmente amato per i suoi romanzi noir, specie da quei salotti cultural-letterari isolani la chiusura dei quali dovrebbe precedere quella di Alcoa, visto che la "cultura" che in essi si produce è l'equivalente immateriale dell'ideologia statalista e anti-mercato che vorrebbe mantenere in piedi produzioni anti-mercato: sono anch'essi un serbatoio di passatismo.

Anche le parole di questo acclamato romanziere, impelagato in vicende giudiziarie dalle quali è poi uscito fuori con una grazia concessa da Scalfaro, sono da annale:

 

Il Sulcis è stato fatto a pezzi a forza di promesse mancate, ce lo ricordiamo tutti Berlusconi che nella sua personale campagna elettorale per sostenere il silente candidato Cappellacci gridava agli operai: «ora telefono a Putin e salvo la fabbrica». Menzogne. Sempre menzogne. Tanto i sardi alla malaparata si fanno la valigia ed emigrano.

 

Come se fosse una questione di Cappellacci vs Soru. Al solito, tutto è buttato in politica e nella solita guerra per bande. Che ci siano dinamiche non politiche, uno come lui non lo può capire.

 

 

Oggi i lavoratori dell'Alcoa rappresentano quella parte del popolo che non ha mai abbassato la testa e non si è piegata alle logiche dello stillicidio delle promesse. Più a est, affacciati a un altro mare, altri operai della stessa azienda difendono il posto di lavoro. Ma il Veneto non è la Sardegna e il territorio trasuda ricchezza mentre gli industriali prendono a calci la vita di tutti coloro che non hanno un ruolo nel rilancio del grande Nordest.Con grande disinvoltura e senza un briciolo di senso etico i padroni delocalizzano, agitano la crisi per ristrutturare senza troppe rotture di scatole, chiudono fabbriche in attivo per aver sputtanato vagonate di soldi.

 

A parte i toni da realismo socialista russo, sconcerta la pochezza analitica messa in campo: i padroni, ecco di chi sono i colpevoli per Carlotto...ci mancava dicesse "le elites demo-pluto-giudaiche" e sarebbe stato davvero puro amarcord anni '30 del secolo scorso.

 

Se l'Alcoa trasferirà la produzione in Arabia Saudita dove stanno già costruendo gli stabilimenti non perderanno certo il sonno. I lavoratori e le loro famiglie tengono duro. Con fermezza. Dignità. Rabbia. E spero che sia contagiosa. Maledettamente contagiosa.

 

Cioè, vuole vedere i fuochi della rivolta? Lui che sembra istigare a rivolte è troppo: ma non sarà il caso che uno come lui si dia una calmata?

 

Nell'assenza imbarazzante di una sinistra in grado di organizzare opposizione e di immaginare un futuro possibile, i sardi continuano a essere maltrattati, a essere considerati «periferia dell'impero».

 

Maltrattati? Ma veramente questo scrittore non capisce che sta replicando il peggio del terzomondismo più scontato? Lui che non è sardo e che vive tra noi, come una specie di Kevin Costner in Balla coi Lupi, difende i poveri indigeni? Ma da che cosa? Ma chi è che ci maltratta? E cosa vuole fare, come Lawrence D'Arabia? Incitarci alla rivolta, come ha scritto sopra?

E poi ancora. Il futuro possibile lo devono pensare quelli di sinistra??!! E a destra? Non pensano? E perchè non dovrebbe essere la società civile a pensare, al di là di destra e sinistra? E Carlotto lo capisce che si può pensare anche senza dover mettere in campo destra e sinistra?  Ma non lo capisce questo soldato di complemento dell'ideologia statalista e partitocratica che è ora di finirla con questi appelli stile assedio di Stalingrado?

Fintantochè noi penderemo dalle labbra di questa gente, incapace di fare analisi delle cose REALI essendo succube di velleità estetizzanti e passatiste non avremo mai nulla di  meglio che piangerci addosso per ottenere solo commiserazione.

 

 

Anche gli Albionici di Glaxo se ne vanno. Fa un certo colpo, per il sottoscritto, visto che a Verona lo stabilimento Glaxo era un'istituzione, e poi ci ho ancora nella mente le imprese della Scaligera Basket Glaxo Verona che vinse anche una Coppa Italia nel 1991 battendo in finale Milano! Una grande stagione, quella, durata diversi anni (anche con marchi diversi), ma comunque segnata dalla presenza societaria della Glaxo.

Pare comunque che sia una decisione "indipendente dall'Italia", perchè dovrebbero chiudere altri 4 laboratori, incluso in UK e US, per delocalizzare in Cina, ove chiaramente ci sono dei ricercatori "low-cost".

RR

 

Ed è subito polemica. Mi colpiscono molto gli articoli di Carlotto, così come quelli che sottolineano la vergogna dei sardi, la colonizzazione esterna, i codici e le tradizioni dell’interno violate dal diavolo che viene dal mare: L’Alcoa. E’ tempo di dire cosa penso di questi commenti e razzisti in quanto sardo nato e vissuto in prossimità degli stabilimenti Alcoa, perché li trovo davvero inadeguati e anche un poco sconclusionati. Parliamo pure del mistero gaudioso dell’ identità sarda. Da dove viene e perché ce ne parla Carlotto? Vorrei dire la mia, come mi viene e senza pretese. Si può anche non esser d'accordo. Ad esempio, l’idea che l’interno della Sardegna presenti una forte resistenza al cambiamento – segno quasi indelebile dell’ identità sarda delle zone interne - affonda le sue radici non solo nelle teorie del Niceforo, eminente razzista siciliano e antropologo criminale di fine 800, ma anche nella letteratura di viaggio e nell’antropologia giuridica. Lei avrà di certo letto il seguente passaggio di D. H. Lawrence tratto da Sea and Sardinia (1921):

 

It is wonderful in them that at this time of day they still wear the long stocking-caps as a part of their inevitable selves. It is a sign of obstinate and powerful tenacity. They are not going to be broken in upon by world-consciousness. They are not going into the world’s common clothes. Coarse, vigorous, determined, they will stick to their own coarse dark stupidity and let the big world find its own way to its own enlightened hell. Their hell is their own hell, they prefer it unenlightened.And one cannot help wondering whether Sardinia will resist right through. Will the last waves of enlightenment and world-unity break over them and wash away the stocking-caps? Or is the tide of enlightenment and world-unity already receding fast enough?

 

Questo passaggio conferma come la Sardegna sia associata ad una cornice di ottusità indomita e arcaica attraverso gli occhi di un osservatore esterno. L’immaginazione geografica di Lawrence descrive la Sardegna come un’isola rimasta per secoli“outside the circle of civilisation”, un’isola che “has no history, no date, no race, no offering”. Queste erano le aspettative di un viaggiatore inglese della prima metà del 900. L’idea che la Sardegna conservi un altro senso del tempo, un ritmo diverso, non è da attribuire solo ai visitatori esterni che con grave ritardo hanno scoperto l’isola come meta dei loro viaggi immaginari ma anche a scrittori sardi come ad esempio Giuseppe Dessì.

Si potrebbe parlare, a proposito della Sardegna, di temi costantemente ricorrenti che formano una vera e propria estetica di granito molto simile alle formazioni discorsive cristallizzate che Edward Said definisce come discorsi orientalisti. Si potrebbe quasi parlare di “trascendentali della identità sarda”, cioè di quelle proprietà o momenti dell’identità che non solo non vengono messi da parte quando si scrive di cose di Sardegna, ma che possono essere isolati come tipici e ossessivamente  frequenti: la legge della vendetta, il banditismo, la condizione di arretratezza pietrificata della comunità pastorale delle zone dell’interno, l’esotismo sensuale dei colori delle donne sarde, l’idea di un popolo vittima degli abusi dei colonizzatori esterni. A questo proposito si deve anche aggiungere che la stragrande maggioranza della produzione letteraria e culturale sarda in senso lato sembra guidata da forze centripete che riportano alla Sardegna, sintomo questo dell’attualità e rilevanza che il discorso sulla propria identità riveste per i sardi, che spesso tendono a presentarsi nei confronti del mondo al di fuori dell’isola in quanto sardi, cioè in termini identitari. Io sono molto sospettoso di questo atteggiamento. Questa diffidenza non ha solo a che vedere con l’ambiguità ineludibile del termine identità come luogo virtuale cui si fa riferimento per spiegare una moltitudine di fatti spesso fra loro eterogenei. Questo scetticismo non è solo motivato dalla vaghezza intrinseca di un concetto la cui efficacia sembra risiedere proprio nella sua volatilità, intesa come sistema di valori, modelli culturali e simboli che una comunità riconosce come distintivi e legati alle proprie origini definite in contrasto con ciò che è esterno da sé stessa. La mia diffidenza e scetticismo nascono dalla osservazione stupita di come l’identità sarda viene continuamente sottoposta a processi di ossificazione ideologica e anti-empirica nella misura in cui tale identità si presenta come canone estetico e dottrina. La mia curiosità è attratta meno dal fatto che l’identità sarda rappresentata possiede degli elementi di aderenza alla realtà materiale dell’isola e molto dalla constatazione che esiste una distanza mentale estremamente seducente e affascinante tra la geografia fisica e umana rappresentata e romanzata (nella letteratura, nel cinema, nei mass-media) e la mia esperienza personale, partecipata e diretta di vita. Io credo che questa disparità sia talmente marcata da avere effetti negativi sulla psicologia individuale e collettiva sarda, poiché la fascinazione e la deformazione artistica e letteraria, attraverso i trucchi della retorica, si autoalimenta, divenendo egemonica al punto da scavalcare il livello fondamentale della verificazione empirica. Un esempio molto efficace in proposito riguarda il cinema d’ambiente sardo, i cui temi sono pregiudizialmente orientati nei confronti di aspetti tradizionali e, a mio modo di vedere, fintamente ‘autentici’ dell’identità sarda. Uno dei due quotidiani isolani, L’Unione Sarda, ha tempo fa promosso una serie di film all’interno della collana ‘Il cinema dell’identità’, in allegato con il giornale. Questi film sono una miniera di luoghi comuni e stereotipi sulla Sardegna che restituiscono l’idea di un popolo schiavo, arretrato e rinchiuso in problematiche che lo dissociano in modo drastico dal resto della penisola italiana. L’equivalente linguistico di questi film è ciò che in inglese è chiamato ‘sweeping statement’, affermazioni arbitrarie e ingiustificate. La mia preoccupazione al riguardo non verte solo sulla prevedibile noia e mancanza di creatività e libertà vera che la coerenza di certe rappresentazioni che si richiamano le une alle altre possiede, ma sul fatto che queste rappresentazioni siano associate ad una idea d’identità fossilizzata. Questo è un fatto grave. I sardi oggi dovrebbero essere incoraggiati a concepire la propria identità come una scelta, non come qualcosa le cui tracce devono essere verificate o scoperte. Gli innumerevoli sociologismi contenuti negli articoli di giornale, film, documentari e libri sulla Sardegna sono talmente feroci nel voler determinare i tratti dell’identità sarda da esercitare allo stesso tempo un ruolo preminente nel restringere il raggio di possibilità e scelte disponibili oggi ai sardi, soprattutto i giovani. L’identità sarda nelle rappresentazioni dominanti è il sepolcro della soggettività del sardo, invitato a ritenere importante, in modi spesso impliciti e sottili, la propria identificazione con il proprio gruppo di appartenenza. Le rappresentazioni dominanti della identità sarda contribuiscono ad alimentare le limitazioni percettive che sono alla base di un mancato allargamento reale dei margini di scelta, per non parlare degli orizzonti culturali del singolo. L’identità sarda rappresentata appare spesso il risultato di una affiliazione esclusiva in contrasto con il resto della realtà italiana, come se l’identità sarda e quella italiana fossero in qualche modo mutuamente esclusive. Le conseguenze politiche di tale atteggiamento nei confronti dell’identità sono molto concrete.

Esse vanno dalla difesa a spada tratta della alterità normativa e specificità culturale barbaricina rispetto allo stato italiano – è questa la tesi di La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico  ricettacolo dell’autenticità  dell’identità del popolo sardo, assediato dai colonizzatori di turno e compresso nella riserva indiana delle Barbagie, territorio tagliato fuori dalla storia per migliaia di anni. Queste ultime sembrano le elucubrazioni dissennate di un vagabondo, ma purtoppo affermazioni simili sono state scritte e pronunciate davvero da una persona che ha avuto responsabilità politiche nel governo della cosa pubblica ed è stata persino di recente insignita del titolo di Sardus Pater – non c’è bisogno di traduzione – dall’ex governatore della Regione Autonoma della Sardegna Renato Soru.     scritta da Antonio Pigliaru – alle speculazioni politico-culturali di Giovanni Lilliu, ex politico democristiano e archeologo dell’Accademia dei Lincei, il quale riteneva nei suoi discorsi pubblici che la civiltà nuragica sia il

Concludo dicendo che è sintomatico che almeno sino al 2001 (oggi le cose sono molto migliorate) le politiche culturali dell’Università degli Studi di Cagliari prevedano l’opportunità per gli studenti di sostenere corsi universitari attenti alla realtà regionale (i.e. grammatica campidanese, Storia del Medioevo Sardo, Antropologia culturale sarda,  etc…) e non mettesse a disposizione corsi di inglese “seri” per gli studenti - cioè internazionalmente riconosciuti - come ad esempio l’IELTS o il TOEFL test, resi “obbligatori” ai fini della laurea. Perché? 

Se l'Alcoa chiude non è perchè siamo sardi. E' per altri motivi...

 

Dall'Unione Sarda online di oggi

http://unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo/166946

 

 

Cagliari, lo sciopero generale e la grande manifestazione

 

I TEMI La mobilitazione serve a ottenere risposte dalle istituzioni, Governo e Regione in primo luogo, e non finirà con la giornata di oggi: «Questo sciopero vuol essere un punto di partenza», scrive il leader della Cgil sarda Enzo Costa sul periodico L'altra Sardegna, «pretendiamo che dal giorno dopo si apra un confronto politico». In piazza anche altre organizzazioni sindacali, come l'Ugl («parteciperemo per avanzare risposte concrete», spiega il segretario confederale Piergiorgio Piu) e la Css.

Hanno annunciato la propria adesione allo sciopero tutti i partiti del centrosinistra, e diversi esponenti politici del centrodestra («sento la necessità di essere vicino a chi lotta per salvare il posto di lavoro», dice il senatore Pdl Piergiorgio Massidda). Sarà presente anche il mondo dell'associazionismo, del volontariato, e la Chiesa sarda rappresentata dall'ufficio per la pastorale del lavoro: «Vogliamo rivolgere un appello alle istituzioni - sottolinea il direttore don Pietro Borrotzu - perché si costruisca una risposta straordinaria a una crisi eccezionale».

 

Insomma, scioperano tutti, anche i politici che dovrebbero avanzare le proposte per un piano di sviluppo. Probabilemente l'idea é che il problema ce lo devono risolvere da Roma, noi non ne siamo capaci da soli. 

A questo proposito trovo interessante che lo (o almeno uno degli) slogan della maifestazione fosse 

"lavoro, sviluppo, autogoverno: dalla crisi alle opportunità"

Ossia, risolveteci i problemi li a Roma che noi ci sappiamo governare benissimo da soli!

<em>

Non capisco. Qual'è lo scopo della manifestazione? "vogliamo questo e quest'altro" oppure "non sappiamo cosa vogliamo, ma lo vogliamo subito"?

In altre parole ci sono richieste, progetti, suggerimenti riguardo ai contenuti di questa "risposta straordinaria", oppure vogliono solo un "piano"? Perchè se è cosí un "piano" si prepara in 24 ore, o anche meno.

Mi scuso per l'intromissione in un post poco concernente, sarò un pò OT, ma poi rientro.

Sgombro il campo: sapere se e quanto Fiat (o Alcoa, come in questo caso) ha avuto dallo Stato, come contributi diretti è , secondo me, questo, quando poi le anatre starnazzano conti a naso, infilando la CIG (che va agli operai) o i "contributi alla rottamazione" (che sono un aiuto al mercato di quel bene prodotto) negli aiuti mi sale l'urgente necessità del Maalox.

Io vorrei capire, ma veramente, dove sono i liberisti (o presunti tali) italiani, ma anche quelli che sostengono vagamente l'idea del mercato, senza essere per questo amerikani, in questo momento dove sono.

In gioco non c'è solo la permanenza di due siti produttivi (con le conseguenze economiche per migliaia di famiglie che con quel salario ci campano), ma proprio il limite della decenza e della nozione di mercato.

Fiat e Alcoa (sia pure per motivi diversi) vogliono chiudere e di cosa si parla ? "degli aiuti" Ma chi glieli ha dati ? Perchè ? Hanno fatto un contratto con cui c'era scritto: ti dò i soldi, ma tu rimani aperto fino a che sorge il sole ? Gli hanno dato il 100 % dell'investimento ? Dei costi ? Anche Oscar Giannino (di cui ricordo un'analisi "spannometrica" degli aiuti alla Fiat, secondo me analisi molto sbagliata) ieri ha dato una'analisi molto disincantata e staccata dalla logica ricattatoria: FIAT non ha alcun interesse a dialogare con il Governo, perchè pensa molto di più in termini di mercato, profitti e logiche industriali.

Lo stesso penso valga per l'Alcoa.

E il governo che fa ? Marcia compatto, con ridicole richieste di "nazionalizzazione", "requisizione" e minacce nemmeno tanto velate di "ritorsioni".

Liberisti: sveglia! E' ora di scrivere e descrivere che questo "socialismo peronista e qualunquista in salsa italiota" non ci porta da nessuna parte, ma ci allontana sempre di più dal resto del mondo.

D'altronde solo in URSS si producevano le ruote in Siberia e le auto a Togliattigrad, e a nessuno veniva in mente che forse le due località erano un pò lontane...

 

i "contributi alla rottamazione" (che sono un aiuto al mercato di quel bene prodotto)

 

I contributi per rottamazioni e gli altri incentivi per l'auto sono un provvedimento economico distorsivo della concorrenza tra produttori e beni di servizi nell'attirare la spese dei consumatori: se lo Stato fosse neutrale imporrebbe una tassazione neutrale e indifferente al tipo di prodotto acquistato. Quando lo Stato approva sconti fiscali di qualunque tipo a favore di una merce particolare (le auto) avvantaggia i produttori di auto, quindi anche la Fiat, rispetto a chi offre sul mercato per esempio computer, frigoriferi, frutta e verdura, assicurazioni contro danni e cosi' via. Si tratta di fatto di un contributo statale alla Fiat (che ha il 30% del mercato italiano) e ai produttori di auto di tutto il mondo che hanno stabilimenti altrove e di cui interessa ben poco ai contribuenti italiani, ma che il governo italiano e' obbligato ad aiutare esattamente come la Fiat dalle norme UE contro gli aiuti di Stato. In assenza di incentivi la Fiat venderebbe meno auto: la differenza tra i guadagni con e senza incentivi corrisponde a quanto percepisce la Fiat dallo Stato, sicuramente meno del totale degli incentivi contabilizzato, e comunque circa il 30% di quanto lo Stato complessivamente ha regalato ai produttori di auto del mondo. I consumatori non guadagnano esattamente nulla al contrario da quanto dice Montezemolo, perche' lo Stato italiano non ha mai ridotto nemmeno di un centesimo la spesa statale per offrire gli incentivi, ma si e' solo occupato di trovare la "copertura" delle mancate imposte rubando qui e la' dal portafogli dello stessa mandria di buoi consumatori che ha approfittato acquistando un'auto.

 

Eppure, il ragionamento non va fatto così, per l'ovvio motivo che non è questo il modo più efficiente di investire quella stessa quantità di risorse pubbliche, con il medesimo obiettivo di supportare la produzione italiana e, di conseguenza, sostenere i livelli occupazionali.

 

Franco, tu hai ragione da vendere, e io sottoscrivo in pieno questo ragionamento. Ho parlato di Fiat perchè da molto tempo si dice solo che Fiat è brava a prendere i soldi dello Stato, che senza Pantalone non starebbe in piedi nemmeno un minuto di più, che devono ubbidire perchè si sono presi i soldi e adesso non devono scappare. Per l'Alcoa (se è possibile) è anche peggio: un'azienda che sta in piedi solo per i contributi (indiretti), che l'UE dice essere aiuti di stato (e ha ragione),e quindi l'Alcoa non può non prendere atto che produrre in perdita è una follia, e chiudere. Tutti adesso a dire "eh, ma Alcoa ha preso i soldi dello stato, adesso deve rimanere aperta!" , confondendo mele, pere e arance. Idem per Fiat: ha preso soldi dello stato deve rimanere aperta Termini Imerese.

Non c'è logica nel distorcere il mercato con gli incentivi, gli aiuti e le prebende, ce n'è ancora meno a far lavorare le aziende in perdita. Se si vuole questo, si dica: rivogliamo l'IRI e le perdite memorabili. Almeno è chiaro.

Last but not least: Fiat è in grado di prendere molti più soldi in altri paesi, che non in Italia, se non ci credete informatevi su quanto ha avuto dalla Serbia, la Repubblica Ceca e la Polonia per aprire gli stabilimenti. Gli "aiuti" li danno tutti, se Fiat vuole disimpegnarsi in Italia è perchè solo in Italia poi i politici vogliono dire la loro sulla politica industriale. Mi correggo: in Italia e in Corea del Nord.

E non chiamiamolo colbertismo; ecco in fatti il pensiero di Colbert: "Une entreprise qui est soutenue par l"Etat, si elle ne fait pas de bénéfices au bout de cinq ans, doit être abandonnée" (riportato da JF Revel)

 

www.youtube.com/watch

In memory of Simone Medas

 

Primo febbraio 2010. Scacciavillani, nel primo commento del post, scrive:

 

Quasi nessuna impresa straniera investe in Italia, tantomeno nel settore manifatturiero, e quindi non deve sorprendere se quelle poche rimaste stanno per andarsene una volta che gli impianti siano stati spremuti fino all'ultimo. Del resto anche le imprese italiane chiudono e anche se gli operai si appollaiano sulle gru, e riescono a scucire qualche soldo alla Regione fino a quando le telecamere non si spengono, la realta' non cambia.

 

Sembra di vivere in un tempo circolare.