Appunti di lettura: Quando il potere è operaio

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Brevi note su un volume del 2009 a cura di D. Sacchetto & G. Sbrogio' (parte di una papera più lunga sul tema che è più di un appunto e che andrà su nFA).

Il libro (pubblicato da manifestolibri) ha sottotitolo "autonomia e soggettività politica a Porto Marghera 1960-1980" ed ha interesse molto storico.

Contiene la storia orale, o quasi, della nascita, vita, e morte del comitato operaio di Porto Marghera.

È dedicato alla memoria di Augusto Finzi, che da rifugiato politico (la sua famiglia fu rifugiata in Svizzera in seguito alle leggi razziali italiane) divenne un tecnico (la famosa aristocrazia operaia) a Porto Marghera ed un reale leader delle lotte in tutta la zona industriale che circonda la laguna di Venezia.

È la storia del più recente fenomeno di anarco-sindacalismo. Il comitato fu fieramente indipendente da partiti e sindacati (all'epoca: PSI, PCI, Psiup, Filtea, CISL, ACLI, e altri ancora.)

Fu implacabilmente un fenomeno di classe, in tutti i sensi del termine: venne dalla e fu della classe operaia che all'epoca esisteva e divenne un organismo di gran classe, la sua cultura fu una cultura raffinatissima che si scontrò con apparati sia industriali che politici antiquati e sclerotici.

Il volume contiene anche un video (non brutto) che marca bene il tempo. Nella prima intervista (filmata prima del suo decesso) Finzi richiama come la cultura che spinse le lotte fu quella che da' priorità alla persona prima che al processo industriale (non so se, per chi ricorda quei tempi, fosse questo il modo in cui le lotte d'avanguardia contro la nocività del lavoro venissero presentate e percepite.)

Il libro contiene anche due saggi (uno di Massimo Cacciari e uno di Antonio Negri) che rivedono le esperienze in luci assai diverse e con molto senno del poi.

Fu anche una grande utopia (a pagina 161 è riportato nella sua integralità il "Rifiuto del lavoro"  del 1970, che è di gran lunga migliore delle corbellerie di G. Debord & Co. che tanto inchiostro fecero scorrere) e come le utopie vere fu una mistura instabile di ciò che non esiste e di ciò che è bene.

Il secondo paragrafo, magistrale ad avviso del sottoscritto, inizia e finisce con le parole:

 

Quello che dobbiamo prima di tutto dire è che è falso il luogo comune che i padroni sfruttino gli operai per arricchirsi.

[....]

Il capitale è insomma una potenza che si riproduce al di là della buona volontà dei singoli individui; il problema della sua eliminazione non sta quindi nella eliminazione della proprietà privata, ma nella distruzione stessa del rapporto di produzione, cioé nella distruzione della necessità di lavorare per vivere.

 

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Commenti

Ci sono 10 commenti

distruzione della necessità di lavorare per vivere.

Adriano, questo paragrafo sara' magistrale ma e' anche utopico. La necessita' di "lavorare" per procurarsi del cibo, una casa, un vestito e' roba precapistalica, preistorica, pretutto.

Tu che hai letto il libro forse ci puoi spiegare il senso di questa affermazione, che forse mi sfugge.

Giulio, appunto. 

Come forse ricordi le utopie (e More ne era cosciente) sono un ibrido tra cio' che non esiste (una specie di "paese di cuccagna" dove automobili si guidano da sole, il cibo e' manna dal cielo discesa, o le case si costruiscono come fenomeni geologici) e cio' che e' bene, i.e. cio' che viene desiderato.

Il "rifiuto del lavoro" e' di queste instabili misture. Se la cosa interessa, ci si puo' ritornare, anche su un fenomeno culturale che ebbe una qualche influenza.

 

Completamente OT per il Grande Timoniere: ti sembra normale quel link che si trova a piè di pagina (strisciolina più scura sotto la licenza CC) e che punta al sito russo viking 21? Sembra resente in tutte le pagine della biblioteka.

Rimosso, grazie per la segnalazione

Suppongo che la frase parentetica nel sottotitolo preannunci un paper, non una papera.

Esatto il rilievo di Di Laurea; il rifiuto del lavoro appartiene ad un orientamento critico verso la tradizione marxista-leninista, benché proprio nei Grundrisse - non a caso pubblicati in Italia negli anni 70 e presentati come il genuino pensiero di Marx, quasi che il Capitale ne fosse uno stravolgimento engelsiano - si possano ravvisare i tentativi di valorizzare il tempo libero come antitesi alla condizione lavorativa, occasione di liberazione dal giogo produttivo.      

e papere. No sig. Luponti e' una papera. Sarebbe un paper in inglese, ma in italiano e' una papera. 

Del resto, no, Panzieri aveva infiniti difetti, ma non il rifiuto del lavoro. Appunto, forse bisognera' ritornarci, quando mi libero dal lavoro (assai improbabile) e mi occupo dell'introduzione all'archeologia classica.

Per aver un'idea tendo a concordare con chi ritenga l'operaismo -cosidetto- ma in realta' il fabbrichismo un cocktail diYevgeni Alekseyevich Preobrazhensky e Friedrich Nietzsche.

 

 

Dai Grundrisse si puo' tirar fuori quasi di tutto (inclusa la non esistenza del marxismo, come discutemmo tempo fa anche qui , a proposito di storia e materialismo storico.)

 

Spendi due minuti, Adriano, a spiegare perché Bifo e Sbrogiò non siano farina dallo stesso mulino.

Fallo per noi: ci piace leggerti, anche da qui.

Alcuni d'un lato, altri dall'altro di fanes e travenanzes ...

P.S. Ma la tua copia, almeno, era impaginata giusta?

 

dunque, mi scuso per il tono stenografico.

1. la mia copia si, era impaginata giusta.

2. Qui (risposta a Michele) sono giudizi che risentono molto del mio punto di vista.

L'operaismo e' un fabbrichismo di proporzioni inusuali. Il piano del capitale (il famoso piano contro cui si batteva contropiano) consiste nel mutare l'universo in fabbrica, da cui tutte le amenita' sull'operaio-massa-sociale-socializzato-sessuale (le donne sono "operaie" della famiglia etc.)

I fatti dicono altrimenti: gli operai (non la classe, prego, gli operai) avevano interessi (non ingoiare cloruro, non svegliarsi col turno delle quattro, e molti altri.) I bifi etc. avevano in testa, a mio avviso, corbelleria alla Debord, in cui tutto e il contrario di tutto avveniva (per cui era operaio vedere i film di Sergio Leone, ma non leggere Elsa Morante.) Di qui le incessanti differenze.

A modesto riscontro di quel che dico. Nel (film/dvd) in cui molte interviste vengono raccolte (molte sono non prive di interesse) un operaista-non-operaio nota --col senno di poi-- che molte delle "lotte" sono un pochino "meccanicistiche" (nel locale idioletto il meccanicismo e' un peccato mortale, ci vuol sempre il sale dell'artista per produrre gli sformati della rivoluzione), ad esempio: se ]in fabbrica] si chiese un aumento salariale uguale per tutti, a scuola [letteralmente, all' IT Paolo Sarpi] si chiese il voto uguale per tutti. Forse nessuno si chiese se i voti sono salari.

3. Come indicavo, mi scuso perche' sto scrivendo una pistoletta assai lunga, che tiene conto dei seguenti

 

i. Operaismo e centralita' operaia (a cura di G. Napolitano, M. Tronti, A. Accornero, M. Cacciari; Roma ER 1978

ii L'operaismo degli anni sessante, da "Quaderni Rossi" a "classe operaia"( a cura di G. Trotta e F. Milana; Roma: Derive 2008)

iii. il supra discusso Quando il potere e' operaio; Roma 2009

 

 

Essendo il sottoscirtto schiavo dl lavoro( e essendonel mezzo de semestre invernale, non a fare l'alpinista, abbiate pazienza.

Sui fatti, prima della grande industrializzazione a bordo laguna, poi delle lotte e movimenti operai di Porto Marghera, lo storico  DOCG è il compagno Cesco Chinello, recentemente scomparso. Cesco fu un carismatico dirigente del PCI Veneziano che passò la seconda metà della sua vita, roso dal tarlo di non essere uscito col Manifesto. Nel suo ultimo libro, uscito appena postumo (poi cerco il titolo e lo aggiungo qui) la PERLA  è la vera storia di come siano andate le cose; e poche se e ricordano dal vivo, se  non raccontate da Cesco; con una certa obiettività sui FATTI (ovviamente a suo modo da operaista).

Per esempio, nel culmine di una lotta del Petrolchmico (penso  nel 1968) gli operai bloccarono la stazione di Mestre; alla fine il solo Sbrogiò (niente sindacati, che lo rincorrevano invano) andò a trattare e  se lo misero in tasca dando un aumento salariale IRRISORIO, quando la Montedison era in ginocchio e poteva avere un aumento largamente superiore. 

Limiti del leaderismo operaista-Peronista, se poi il leader non sa fare il proprio mestiere: CONTRATTARE.

Andrò a comprare il libro, mi hai convinto (di solito le mie cose giovanili le rimuovo).

Per chi affetto da ubbie archeologiche (enzo f. arcangeli) fa velati riferimenti a

BARBARO VENEZIANO, di Ivone Chinello, (nome di guerra Cesco) pubblicato da Poligrafo nel 2008.