beh... che dire, Adriano? non pretendo di dire nulla di più (ma molto di meno) di quanto non sia già stato detto da secoli di storia e pensiero. Però certamente una caratteristica del poeta è quella di lavorare "per sottrazione", di puntare cioè alla sintesi estrema pur intessendo nessi nel suono e nel senso, impensabili per altri generi (e fini) di scrittura.
Il lavoro dei dialoghi è davvero molto vasto, raccoglie in sé almeno tre raccolte che potrebbero benissimo avere una loro identità e vita autonoma e staccata dal resto, ma che nel complesso tracciano un percorso riflessivo e di ricerca nel suono, nello stile, nell'evoluzione del pensiero, che raccoglie almeno due anni di lavoro. E' un libro sulla scrittura, ma ancor più sulla lettura, nella misura in cui non siamo altro che il risultato di ciò che ci forma, che si annida in noi, germogliando.
Ecco che la poesia di Wilcock, quella di Eluard, della Rossetti, di Rilke, di Simic e Strand, oltre alle letture dei contemporanei, amici e non, [cito tra questi Enzo Campi, Francesco Marotta, Mariangela Gualtieri, Francesco Tomada, Stefania Crozzoletti, Andrea Pomella, Vincenzo Mancuso, Salvatore Sblando, Giovanni Catalano, Marco Ercolani, Pasquale Vitagliano, Pier Maria Galli, Maria Iervolino, Gianni Montieri, Antonella Taravella, Andrea Raos, Vincenzo Bagnoli, e tantissimi altri, tutti diversi tra loro] in un miscuglio di generi che va dal lirismo all'attenzione per la metrica, all'abbandono della stessa in cerca della "fotografia", del frammento visivo, del piccolo racconto con gusto minimalista, sono il succo di questo percorso che fa dialogare in forma ora epistolare, ora di dialogo versificato, un personaggio femminile che è risultato di osservazione e ascolto, oltre che espressione intima e personale, con un ideale mondo maschile che si permea intoro alla figura di Philip (Glass), presenza assente ed ossessiva di musica e poesia, glaciale e irragiungibile come la felicità, che non a caso viene definita *così densa / così innaturale* da diventare scomoda quanto l'attesa del dolore per la sua stessa fine. Sì che l'unico possibile dialogo appare rimanere fine a se stesso, materia d'arte e sogno chiusa nel suo stesso canto, in una corruttrice solitudine in cui la risposta non è altro che lettura.
In questo clima che sa di jakarandas, ti mando un aneddoto (non e' mio, viene dai "sette pilastri")
Una guida (bedhu) porta il protagonista a visitare uno dei tanti castelli (sono ancora li' se ci mai vai) e spiega che quando fu costruito ogni muro venne imbevuto di profumo, cosi' il mattone alla rosa, il mattone al rosmarino, il mattone al tulipano.
Lo porta al muro che di fronte ha solo khmasimh e spazio, e spiega che questo e' l'odore migliore, il vento asciuga talmente che il deserto non ha odore.
The common base of all the Semitic creeds, winners or losers, was the
ever present idea of world-worthlessness. Their profound reaction from
matter led them to preach bareness, renunciation, poverty; and the
atmosphere of this invention stifled the minds of the desert
pitilessly. A first knowledge of their sense of the purity of
rarefaction was given me in early years, when we had ridden far out
over the rolling plains of North Syria to a ruin of the Roman period
which the Arabs believed was made by a prince of the border as a
desert-palace for his queen. The clay of its building was said to have
been kneaded for greater richness, not with water, but with the
precious essential oils of flowers. My guides, sniffing the air like
dogs, led me from crumbling room to room, saying, 'This is jessamine,
this violet, this rose'.
But at last Dahoum drew me: 'Come and smell the very sweetest scent of
all', and we went into the main lodging, to the gaping window sockets
of its eastern face, and there drank with open mouths of the
effortless, empty, eddyless wind of the desert, throbbing past. That
slow breath had been born somewhere beyond the distant Euphrates and
had dragged its way across many days and nights of dead grass, to its
first obstacle, the man-made walls of our broken palace. About them it
seemed to fret and linger, murmuring in baby-speech. 'This,' they told
me, 'is the best: it has no taste.
Thomas Edward Lawrence, The Seven Pillars of Wisdom, ch. III
bellissimo, Adriano. grazie caro.
L'opera di Castaldi ha l'odore, inconfondibile, della poesia, e ricorda Montale, perche' e` dolce e turbatrice come i nidi delle cimase. Non bisogna cercarvi profondita' filosofica, non perche' non ve ne sia, ma perche' non e` cio` che promette; profondita` di pensiero, questo si`, perche' Castaldi sa pensare, e non filosofare.
grazie Fausto, è bellissimo ciò che dici, grazie infinite.
i dialoghi con nessuno di Natàlia, in realtà, parlano ad ognuno di noi. Ci tengono vivi, ci mettono in guardia, ci prednon per mano, ci toccano e ci trasportano, ad occhi chiusi, un po' più in là. Natàlia Castaldi è una poetessa. Vera.
o fràteme, grazie ;)
siamo tutti l’altro nella misura in cui siamo nessuno.
perche' invece di perder tempo a spiegare a levinas & co il punto...