Il Divo: Il Corpo del Reato

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Il film “Il Divo” di Paolo Sorrentino racconta l'incredibile storia politica di Giulio Andreotti. E' un film nuovo, non tanto per ciò che racconta, ma per come lo racconta. E per il peso che associa alla fisicità del protagonista.

Il film racconta la vicenda politica dell'ormai senatore a vita Giulio Andreotti, sia nel momento in cui è all'apice del potere politico, sia quando con le inchieste condotte su di lui nei primi anni '90, la sua stella sembra momentaneamente offuscarsi. Dal punto di vista della narrazione, il film è certamente originale, e questo per diversi motivi. Innanzitutto, contrariamente ai film che condividono l'analisi e il racconto di vicende controverse della storia italiana, il film di Sorrentino non è certamente un film “a tesi”, né si preoccupa di essere didascalico. A guardarlo, infatti, sembra molto diverso dal filone del cinema d'impegno, di denuncia o anche solo documentaristico, appunto perchè non costringe lo svolgersi della trama nella sola ricostruzione degli snodi storici o politici che dovrebbero spiegare e giustificare la tesi che il regista vuole enfatizzare. A questo proposito, è significativo lo spazio che è lasciato al personaggio umano di Andreotti e a specifici aspetti della sua personalità, in quel piano personale e privato che dovrebbe essere distante o slegato dalle vicende politiche nelle quali è coinvolto.

Sul primo aspetto, il fatto cioè che Sorrentino abbia svecchiato un genere narrativo (quello appunto del cinema storico-ricostruttivo documentaristico o chiamatelo come vi pare), basta guardare  l'incipit del film: Andreotti in penombra che, raggiante di una corona di aghi infilati nella fronte, prova l'agopuntura cinese per scacciare la sua terribile emicrania e nel mentre riflette sulla sorte toccata a quanti in passato lo avevano dato per spacciato. Allo spegnersi della luce del tavolo dove siede A., la scena prosegue con una musica che non è quella tradizionale degli anni in cui si svolsero le vicende, e nemmeno una musica grave, che dovrebbe esprimere magari la severità del giudizio per quanto si mostra, ma una musica a noi contemporanea e piena di ritmo...per descrivere però una successione di omicidi di personalità eccellenti. Lo stesso spiazzamento è riservato nel proseguo della regia: Andreotti è inquadrato da punti di vista inusuali, alle volte addirittura incomprensibili, come i primi piani sul viso fino a concentrare l'attenzione sulla pelle, sul naso o sulle orecchie con un'ossessione per dettagli somatici che non trova ragione, almeno apparentemente. Altro fatto curioso, A. è ritratto spessissimo in penombra, a casa o in chiesa, curvo su stesso fisicamente o nei suoi pensieri, e sembra davvero che il regista, benchè si sforzi di riprendere il protagonista da punti di ripresa diversi, voglia in fondo rinunciare ad un giudizio definitivo su Andreotti stesso, perchè oscuro, sfuggente e non classificabile. A dire il vero, c'è un punto in cui A. effettivamente sembra “confessare” la tesi che alcuni associano al modo di governo tipico di quegli anni, ma in realtà vi è anche una scena di confronto fra l'allora direttore di Repubblica Eugenio Scalfari e A. che sembra voler limitare il valore di spiegazioni troppo facili. La regia è dunque molto elaborata, interessata a dettagli privi di un valore descrittivo immediato e interessata a riprendere aspetti personali del protagonista. E qui siamo all'altro punto orginale della pellicola, ovvero l'attenzione che è riservata all'apparenza fisica di A.

Andreotti è sempre ritratto in una postura rigida, in un abbigliamento molto formale, anche a casa sua. Egli è inoltre assai controllato nell'espressione dei suoi giudizi, sentimenti e pensieri. Si direbbe quasi che la sua auto-imposta fisicità glaciale e anaffettiva, e anche la sua postura ingenerosa, altro non siano che l'equivalente motorio dell'estraneità “morale” con la quale egli guarda alle vicende politiche, a volte gravissime, che gli si svolgono intorno; A. sembra davvero impossibilitato a lasciarsi andare non solo fisicamente, ma anche nell'ammettere quello che gli altri pensano della sua azione di governo e questo suo controllo si esprime in mille dettagli: nella sua camminata tipica (si allontana da coloro con cui parla camminando all'indietro, quasi avesse paura di volgere loro le spalle); negli abbracci che riceve e non ricambia, rimanendo rigido; nel rapporto con la moglie e così via. Gli unici segni di interazione non mediata con gli altri sono nella rapidità dei suoi sguardi e nelle battute fulminanti con le quali folgora in pochissime parole giudizi che gli altri elaborano in maniera più prolissa. La stessa attenzione per la fisicità dei personaggi è poi riservata anche alla corrente andreottiana, descritta con un cammeo efficacissimo all'inizio del film.

Insomma, a mio giudizio un film non banale e non militante, benchè questa accusa sia stata mossa al regista in più occasioni; di certo comunque un film che si può fare vedere agli adolescenti italiani di oggi senza temere di offrire loro una storia noiosa o priva di mordente, un aspetto non scontato quando si considerino film di argomento analogo. Il tutto ovviamente, senza dover necessariamente sottoscrivere l'identità completa fra l'Andreotti raccontato nel film e quello vero.

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Commenti

Ci sono 18 commenti

Per una strana coincidenza ho visto proprio la scorsa settimana il film (erano settimane che l'avevo lì da vedere). Confermo l'ottimo livello della pellicola anche dal punto di vista estetico, le scelte originali di luci, musiche, inquadrature, perfino delle scritte in sovraimpressione, che appaiono o scompaiono dietro elementi della scena stessa, che sono parte del racconto. Non sono del tutto d'accordo con la possibilità di usarlo come film-racconto a qualcuno che ne sa poco di quelle vicende.... ho visto che già mia moglie, (che legge molto ma non ha letto come me mezza produzione di Travaglio & c. sui temi del film e non conosce a memoria tutte le vicende della storia recente italiana) ogni tanto aveva bisogno di spiegazioni sul perchè di una certa scena o su chi erano certi personaggi o su quando sono avvenute certe cose e quale fosse il contesto.... è un bel film, anche da far vedere ad un ragazzino interessato, ma meglio se con un aiutino a fianco che gli spieghi chi era Sindona, Calvi, chi è quel signore che si spara in bocca... chi è quello che ammazzano nella A112 e cosa facesse Sbardella o Lima per Andreotti, chi era Piersanti Mattarella etc...

Sl fatto che poi sia tremendamente attuale vederlo mentre Napolitano (quello che da ministro dell'interno disse che non era venuto per "aprire gli armadi") dice che "non esiste un doppio stato" sono più che convinto. Se c'è un film che bisogna vedere adesso è proprio questo.... poi ognuno potrà giudicare sulle dichiarazioni del nostro Capo dello Stato e sulla loro "normalità".

Qualcuno mi conferma sull'origine di tutte le informazioni utilizzate nel film? In altre parole, sono abbastanza sicuro che tutte le parti riferibili a vicende "giudiziarie" siano prese dai verbali dei vari processi e dalle dichiarazioni dei pentiti, ma non so da dove sono state prese le parti personali (lui che dà i soldi ai poveracci alla domenica, quello che di lui dice la moglie e soprattutto che la moglie dice a lui, etc...): sono "invenzioni" verosimili della sceneggiatura o sono anch'esse prese da fonti vere? 

Grazie! 

 

Concordo. Io l'ho fatta la prova e l'ho mostrato a mio figlio, 15 anni. E' vero vive fuori ma in realta' conosce abbastanza dell'Italia. Beh, avrei dovuto fermare il film ogni 30 secondi per spiegargli. E' pieno di riferimenti e citazioni per lui oscure. Detto questo, il film ha successo nel rappresentare l'immagine della corruzione mentale ed etica di quel giro di persone, in questo e' molto efficace, anche per un ragazzo come lui.

La bibliografia cui si è ispirato il regista è chiaramente indicato nel sito del film.

Purtroppo questo è oggi il cinema italiano, che con l'arte non ha nulla a che fare. Arte è una parola grossa: ma la fanno loro.

Guardavo l’altra settimana la filmografia di François Truffaut: Finalmente domenica, La signora della porta accanto, L’ultimo metrò, L’amore fugge, La camera verde, L’uomo che amava le donne, Gli anni in tasca, Adele H., una storia d’amore, Effetto notte, Mica scema la ragazza!, Le due inglesi, Non drammatizziamo… è solo questione di corna, La mia droga si chiama Julie, Il ragazzo selvaggio, Baci rubati, La sposa in nero, Fahrenheit 451, La calda amante, Jules e Jim, Tirate sul pianista, I quattrocento colpi. E’ tutta roba che sta in piedi sa sola, che non ha bisogno di fare l’occhiolino, nemmeno da lontano, a sentimenti di solidarietà politica o generazionale o altro ancora.
Fatta pur la tara a queste opere di ciò che è massicciamente e magari deliziosamente franco-francese, ci restano pur sempre una miriade di personaggi vivi, bambini, uomini o donne, che ci parlano ancor oggi con la loro freschezza e umanità, al di là del tempo e della geografia.
Il cinema italiano oggi è popolato di macchiette, e quando queste son disegnate con cura, lo si scambia per grande cinema. Ma è tutta roba morta e stramorta.

Quel che resta del cinema d’autore, o che pretende d’essere tale, qui in Italia si è ridotto ad una grande recita di famiglia, fatta di produttori, uomini politici perbene, rhttp://www.alanbauer.com/images/Patterns%20in%20Nature/Spider%20web%20with%20dew.jpgegisti, attori, film, claques, dibattiti e festival; fatta di tematiche stantie su un Italia piccola nel tempo e nello spazio, che ci si ostina a rievocare perché in realtà la si vuole perpetuare, perché in realtà di essa si è stati figli privilegiati, una sorta di prima repubblica, indicata al pubblico disprezzo quand’era viva e vegeta, ma che ora che sta per andarsene comincia a piacere da morire. Tematiche come il fascismo, ossia l’antifascismo, gli anni di piombo, la camorra e la mafia - pardon, le mafie - e il Duce e Moro e Andreotti, in una parola quel bolo ruminato invano da decenni e mai veramente digerito, che è precipuamente cosa loro. Ma se non riescono a districarsi dalla tela di ragno dei loro fantasmi, perché vanno poi a rompere l’anima a tutta quella gente sana che di tutta questa sbobba non ne può più, e che dovrebbe pure scappellarsi di fronte a operette di esasperante provincialismo, senza nerbo e senza poesia, senza una scintilla di vita, alle quali uno stanco establishment non manca provvidenzialmente di apporre il suo imprimatur e di promuovere: la versione intello dell’esotica e rassicurante cartapesta, a volte grossolana, a volte finissima, che ci richiedono dall’estero, come un prodotto di nicchia, un gingillo pittoresco, non serio, e che noi soddisfiamo, con l’istinto ruffiano degli schiavi del terzo mondo.

Mah, Sorrentino non mi sembra così ossessionato dal cinema d'autore, ed "Il divo" somiglia più ad un film di Albertone che ad uno di Bellocchio: nessuna tesi precostituita, solo un' affresco del personaggio e dei comprimari.

E poi è il primo film di argomento politico di Sorrentino, guardati "L' amico di famiglia" e soprattutto "Le conseguenze dell'amore".

 

Oh Zamax, Zamax,

perchè sei tu Zamax?

Il cinema italiano oggi è popolato di macchiette, e quando queste son disegnate con cura, lo si scambia per grande cinema. Ma è tutta roba morta e stramorta.

Il cinema italiano è morto? Eh vabbe...pure Dio è morto, e anche Marx...e anche io, a pensarci, non sto così bene.

Ma se non riescono a districarsi dalla tela di ragno dei loro fantasmi, perché vanno poi a rompere l’anima a tutta quella gente sana che di tutta questa sbobba non ne può più, e che dovrebbe pure scappellarsi di fronte a operette di esasperante provincialismo, senza nerbo e senza poesia, senza una scintilla di vita, alle quali uno stanco establishment non manca provvidenzialmente di apporre il suo imprimatur e di promuovere: la versione intello dell’esotica e rassicurante cartapesta, a volte grossolana, a volte finissima, che ci richiedono dall’estero, come un prodotto di nicchia, un gingillo pittoresco, non serio, e che noi soddisfiamo, con l’istinto ruffiano degli schiavi del terzo mondo.

Su Wikipedia leggo queste cose, i giudizi dei critici che, magari sono però, tutti in combutta con quel mondo che tu fustighi:

 

Una delle prime recensioni, quella di Peter Brunette per The Hollywood Reporter, elogia il film, sottolineandone la capacità di intrattenimento, l'ottima recitazione e la qualità della colonna sonora, e rammaricandosi del fatto che probabilmente non avrà molto successo al di fuori dell'Italia.

Stessi elementi emergono dalla recensione di Jay Weissberg di Variety, che definisce il film addirittura un capolavoro che «diventerà una pietra di paragone per gli anni a venire».

Anche in Germania il film è stato recepito positivamente. Particolare risalto è stato dato alla sua originalità formale, alla quale è stato attribuito il fatto che un film, "del quale nessuno al di fuori dell'Italia puó capire le allusioni, gli intrecci o anche affermazioni", abbia riscosso tanto successo a Cannes e venga lanciato nelle sale tedesche.

Simile il giudizio del New York Times, che - dopo aver constatato che "buona parte dei personaggi reali è sconosciuta al di fuori dell'Italia" - esprime ammirazione per un film "sensazionale" che confronta lo spettatore con un "tour de force di immagini indelebilmente abbaglianti" richiamanti l'immaginario felliniano.

 

In un empito di lirismo scrivi, dei tuoi film francesi, che immagino guardi, su un divano damascato, a lume di candela con proiettori vecchio stile, col fascio di luce alle spalle e su tutto, l'affascinante rumore dello scorrere della pellicola in celluloide:

E’ tutta roba che sta in piedi sa sola, che non ha bisogno di fare l’occhiolino, nemmeno da lontano, a sentimenti di solidarietà politica o generazionale o altro ancora.
Fatta pur la tara a queste opere di ciò che è massicciamente e magari deliziosamente franco-francese, ci restano pur sempre una miriade di personaggi vivi, bambini, uomini o donne, che ci parlano ancor oggi con la loro freschezza e umanità, al di là del tempo e della geografia.

Epperò, leggo che:

Il film è stato presentato a Cannes il 23 maggio2008, ricevendo quasi dieci minuti di applausi[2] e il premio della giuria.

Ma Cannes, è in Francia?

Comunque hai ragione. In Italia la politicizzazione è debordante, furente e accecante. Basta vedere il tuo commento al film: una valutazione politica del perchè una parte politica aspiri a coltivare una memoria di parte...eh si, che di cose puramente estetiche potevi dirne. Qui nessuno sosteneva che Andreotti fosse quello che una certa parte politica crede, l'ho detto chiaramente alla fine della recensione. Insomma, Zamax, anche tu sembri non poter fare a meno dello schematismo politico che tanto ti disturba. Ironico no?

 

Zamax: mai sentito parlare degli esperimenti che resero noto Ivan Pavlov?

Non so perché, mai i tuoi commenti e le tue apparizioni su questo sito me li ricordano ...

Zamax, io non sono un cinefilo. In particolare, le pellicole "politiche" proprio non rientrano tra le mie preferenze. Anzi, ti dirò che hai pure ragione sul fatto ch'esse siano osannate se e solo se "stanno dalla parte giusta", in un'orgia di conformismo maledettamente sciocco, ignorante, deprimente ed irritante. Aggiungo che - ahimé - anche in quest'agorà virtuale, capita un po' più spesso che le deludenti prestazioni del governo in carica diano fiato alle trombe di chi dimentica i disastri recenti, arrivando talvolta - incredibile dictu - a rimpiangere il peggio, non vedendo all'orizzonte l'agognata sagoma del "cavaliere bianco".

Però ...... non ti fai mai una vacanza dal servizio permanente effettivo?

Piccolo off topic: ho approfittato della solitudine per guardarmi le conseguenze dell'amore, sempre di Sorrentino e con Toni Servillo protagonista. Bellissimo. Conferma - tra l'altro - la totale estraneità del regista allo stile e ai gusti dei suoi colleghi italiani; parla di mafia, ma come nel caso del Divo, il film sta in piedi da solo, non è militante e non vuole inculcare in alcun modo nello spettatore tesi "dottrinarie" preconfezionate da intellettuale radical-cretino. Sorrentino dimostra di saper fare molto bene il suo mestiere. La colonna sonora - imho - è da urlo (c'è anche un pezzo dei Boards of Canada). Consigliato, anche più del Divo.

Concordo in pieno. Anche quello è un film molto particolare lontanissimo dagli schemi del cinema d'impegno contro la mafia.

Di Sorrentino ti consiglio anche "L'amico di famiglia".

 

Tra i vari pregi e difetti del vivere a finis terrae mi fu accordato anche quello di veder tutto dopo il fatto.

A DIFF (http://www.ukzn.ac.za/cca/Durban_International_Film_Festival.htm) tra le centinaia di offerte. andai a vedere il film del sig. Sorrentino.

A parte che sono rimasto solo alla fine (il tutto e' perfettamente incompresibile a chi non abbia vissuto in Italia per decenni seguendo vicende di quasi nessun interesse al mondo intero -- se volete fare un test, e' visibile, anche su Youtube un interessante documentario in cui viene chiesto a studenti di scienze politiche chi fosse Berlinguer. La risposta dominante e' "un generale della prima Guerra mondiale, forse opposto a Lussu.") trovail film bizzarro. Andreotti ha fatto (bene o male a seconda dei punti di vista) gli interessi del Vaticano in Italia per 60 anni. Il suo percorso e' ridotto ad una scemenza in cui sembra che sia interessante se abbia o meno baciato il tale o il tal altro "uomo d'onore."

Il tutto e' girato come in Mtv, che forse e' l'idea per rendere attuale le vicende di cronaca nera di 20 anni fa.

Mi posi una sola domanda: sia o non sia che il film e' militante, ma come mai le sentenze contano solo quando confermano i giudizi e i pregiudizi che vengono dati fuori dal confronro giudiziario?