Ante scriptum: non è necessario, ma la per la lettura del post consiglio questo ascolto musicale.
La prima guerra mondiale è passata di moda. Pochi, oggi, hanno idea di cosa abbia significato quella 'inutile strage', quali terribili prove abbiano dovuto sopportare i combattenti, le sofferenze che hanno patito nel fango delle trincee o tra i ghiacci dei monti.
Le memorie familiari svaniscono, la toponomastica delle nostre città richiama luoghi come Podgora, Sabotino, Bainsizza, San Gabriele, Isonzo, che in pochi sanno associare a battaglie nelle quali in una decina di giorni morivano decine di migliaia di uomini. Tra le nevi del Trentino e dell’Alto Adige, dove a più di duemila metri di quota Alpini e Alpenejager si ammazzavano a vicenda, oggi sciano ignari i loro discendenti. Schiacciata, anche mediaticamente, dagli eventi della seconda guerra mondiale, la Grande Guerra si perde nel ricordo.
Eppure, molto del nostro attuale carattere nazionale è nato lì, tra i bersaglieri mandati al massacro contro le mitragliatrici austriache, tra i soldati in rotta dopo Caporetto e infine vittoriosi sulla linea del Piave.
La storiografia e la memorialistica italiana sulla Grande Guerra è spesso oscillante tra l’insulsa retorica nazionalistica e la critica feroce alla ottusità dei generali - Cadorna tra tutti - e ai politici che trascinarono in guerra il paese, contro la volontà della maggior parte della sua popolazione. Questo libro, scritto da un inglese e quindi con maggior distacco dalle polemiche o glorificazioni italiane, descrive gli eventi, alternando pagine di storia prettamente militare, ad altre che invece gettano lo sguardo agli uomini che in quella guerra vissero e morirono e, più in generale, alla società italiana del tempo.
Con uno stile che deve molto a Martin Gilbert, autore de "La grande storia della prima guerra mondiale", Thompson dà la voce ai diari ed alle lettere dal fronte dei soldati, alle loro poesie, alle canzoni scritte in trincea, alle interviste dei reduci. Molto bello, in particolare il capitolo dedicato ad Ungaretti ed alle poesie ispirate ai suoi combattimenti sul Carso, così diverse dalle pagine gonfie di retorica di D’annunzio, il 'poeta-soldato' per eccellenza, che tuttavia, contrariamente ad altri vuoti parolai, quanto meno rischiava in proprio.
Insomma non tanto la narrazione di una guerra, ma, in senso più ampio, di come quella guerra cambiò e forgiò una nazione, gettando le basi, per esempio, del suo sviluppo industriale, avvicinando per la prima volta le masse contadine alla tecnologia ed alla produzione di massa, sia pure a fini bellici.
Una nazione, tra l’altro, andata molto vicino al tracollo dopo la sconfitta di Caporetto e tenuta tuttavia insieme, non solo dalle esecuzioni sommarie dei disertori, ma anche, forse, dalla sua democrazia parlamentare.
Il Parlamento e il governo civile, infatti, nonostante la loro debolezza nei confronti della casta militare, furono tuttavia capaci di impostare su basi diverse la condotta della guerra e la gestione del 'fronte interno', facendo resistere il paese un secondo di più degli austro-ungheresi, sino alla vittoria finale, con ciò riuscendo in quello che non riuscì invece al fascismo venticinque anni dopo, ossia reagire alla sconfitta.
Come detto, però, gli aspetti politici e militari di quegli eventi sono oramai lontani, ma ciò che deve essere ricordato, con assoluto rispetto, sono le fatiche e le sofferenze che i soldati di tutti gli schieramenti dovettero affrontare, vivendo in una condizione che Ungaretti ha perfettamente descritto:
Si sta, come d’autunno
sugli alberi le foglie
molto interessante, penso proprio che valga la pena leggerlo per approfondire il periodo che purtroppo ha fatto da incubatrice a quella tragedia immane che è il fascismo.
Come dire dalla padella alla brace...