Gli Imperi del Mare

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Una lapide sul castello di Porto Recanati - dove vivo - ricorda il capitano Paolo Gigli che guidò alla battaglia di Lepanto centonove recanatesi, di cui "non men che sei ritornarono".

In uno scambio di battute, qualche settimana fa, si parlava con Alberto Lusiani della battaglia di Lepanto, combattuta nel 1571 tra le flotte cristiana e musulmana. È stata l'occasione per andarsi a leggere e rileggere due libri sull'argomento.

Si tratta di "Imperi del mare" di Roger Crowley e "La Croce e la Mezzaluna" di Arrigo Petacco. Di taglio più giornalistico il secondo e un po' più storiografico il primo, ma entrambi di lettura assai piacevole e non troppo difficile. I fatti sono affascinanti e terribili, dato che si racconta di massacri, guerre, razzie e violenze per noi oggi inimmaginabili.

Il Mediterraneo, a partire dalla seconda metà del '500 fu il teatro di una costante pressione da parte delle flotte ottomane contro le coste e le isole cristiane. In particolare, ad essere minacciate erano le isole greche (allora per la maggior parte in mano veneziana) e le coste dell'Italia meridionale e della Spagna. I turchi, oltre che da voglia di conquista, miravano anche e soprattutto a rifornirsi di schiavi che, smerciati nei grandi mercati di Algeri, Tunisi e Istanbul erano indispensabili per consentire il commercio marittimo, dato che rappresentavano il carburante umano senza il quale le galee non erano in grado di viaggiare.

Tutti i paesi costieri del sud Italia hanno le loro storie e tradizioni di saccheggi e massacri perpetrati dai pirati saraceni e tutta la costa del Mezzogiorno è puntellata dalle torri di avvistamento che furono edificate proprio per avvertire in tempo l'avvicinarsi delle navi pirata, spesso comandate da rinnegati cristiani, magari nati in Calabria, Sicilia o Serbia. Dopo la conquista di Rodi nel 1522 e la cacciata dei suoi Cavalieri che andarono a ricostruire il loro dominio a Malta, fu una continua escalation che culminò nell'assedio di Malta del 1565 e, soprattutto, nella conquista di Cipro, strappata ai veneziani dopo un epico assedio della città di Famagosta durato un anno, con 80.000 morti tra i turchi e il terribile supplizio del comandante veneziano, Marcantonio Bragadin, torturato, scuoiato vivo ed impagliato dopo essersi arreso. A Venezia, mi dice Michele, si commenta ancora "Non scordarti di Marcantonio Bragadin!"

Le vicende di Cipro accelerarono l'alleanza cristiana: vincendo reciproci sospetti e rivalità l'impero spagnolo e Venezia aderirono alla Lega Santa promossa da Pio V, papa inquisitore e nemico delle eresie. A temere per la propria stessa sopravvivenza era Venezia, che dopo aver cercato una decennale politica di convivenza con l'impero turco, fatta di corruzione dei gran visir, doppio gioco, neutralità ostentata durante l'assedio di Malta, si ritrovava ora col rischio concreto di vedere i mori in laguna. Fu quindi in una atmosfera di fine imminente e di ultima spiaggia che fu costituita la flotta della Lega Santa, che sempre tra sospetti e timori reciproci, riuscì tuttavia a sconfiggere il turco a Lepanto.

La battaglia di Lepanto è, a suo modo, una battaglia "italiana" (termine controverso e un po' poco preciso data l'epoca storica; a breve discutiamo più a fondo la composizione delle truppe). Non nel senso politico, ovviamente, ma nel senso nazionale del termine. Sebbene la flotta fosse comandata da Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V e quindi fratellastro di Filippo II di Spagna, erano italiani i principali comandanti, dal veneziano Sebastiano Venier, al genovese Gianandrea Doria, al romano Marcantonio Colonna ed erano italiani la maggior parte delle navi e degli equipaggi, dato che la componente spagnola della flotta era in realtà composta soprattutto da galee napoletane o siciliane e solo pochi furono i vascelli esclusivamente spagnoli (qui l'ordine di battaglia).

Naturalmente Venezia, che aveva maggior interesse a fermare i turchi oltre che maggiori risorse e competenze, fornì la maggior parte delle navi, mentre le spese furono sopportate al 50% dalla Spagna, da Venezia per un terzo, dal Papa per un sesto ed il resto dagli altri "soci" di minoranza, vale dire il ducato di Savoia, Genova, i Cavalieri di Malta ed il Granducato di Toscana e naturalmente in egual misura fu ripartito poi il bottino.

Va poi ricordato, che in una battaglia navale dell'epoca, la nave col suo equipaggio rappresentava solo una parte del potenziale militare, dato che altrettanto importanti erano i fanti e gli archibugieri imbarcati che conducevano gli arrembaggi.

I veneziani erano a corto di fanti e dovettero far ricorso a 1.200 calabresi per rafforzare le proprie fila, oltre che contare sui propri rematori che per la maggior parte non erano schiavi e quindi idonei al combattimento, mentre il resto della fanteria imbarcata era composta, oltre che da tremila mercenari tedeschi, da circa novemila italiani e da altrettanti spagnoli.

In realtà molti "spagnoli" provenivano dai possedimenti italiani dell'Impero di Filippo II, tanto che a difendere la "Real", nave ammiraglia di Giovanni d'Austria, dall'abbordaggio della "Sultana", nave ammiraglia turca, furono i soldati e gli archibugieri del "tercio" di Sardegna.

Entrambi i libri consigliati raccontano la battaglia e i numerosi episodi di valore, di odio e di violenza che accaddero: dalla rivolta degli schiavi cristiani su alcune galee turche, ai quali pure era stata promessa la libertà in caso di vittoria, agli schiavi turchi sulle galee cristiane ai quali erano stati invece raddoppiati i ceppi affinché fosse chiaro che sarebbero andati a fondo con la nave in caso di sconfitta (Michele da buon economista si chiede quale dei due sistemi fosse incentive compatible), al settantacinquenne ammiraglio Venier che lanciava dardi con la sua balestra, alla galea dell'Ordine di Malta nella quale solo il comandante fu ritrovato in vita, alla testa dell'ammiraglio turco Alì Pascià issata sull'albero maestro della Real dopo la vittoria e così via.

Si trattò di una anticipazione dei massacri che le guerre future avrebbero portato: in sole quattro ore morirono più di quarantamila uomini e più di cento navi vennero distrutte. Si trattò anche di una guerra ideologica, dove l'ideologia era la religione delle rispettive flotte, con le navi cristiane che innalzavano la croce su ogni pennone mentre le navi turche erano guidate dalla bandiera verde dell'Islam issata sulla Sultana, sulla quale era stato ricamato innumerevoli volte il nome di Allah. Come disse Miguel de Cervantes, che combattè a Lepanto, venendo ferito ad una mano,

"fu la giornata più avventurosa che abbiano avuto le armi cristiane".

Dopo Lepanto la spinta turca perse vigore, senza ovviamente che la minaccia scomparisse, e ancora sino al '700 le coste meridionali d'Italia furono esposte al pericolo dei pirati saraceni, ma se il Mediterraneo non divenne un lago turco è stato "merito" di Lepanto. Ancora una volta riporto le parole di Cervantes, attraverso Don Chisciotte:

In quel giorno che riuscì per la Cristianità sì felice, essendosi disingannato il mondo dell'errore in cui stava che i turchi fossero invincibile in mare.

I libri consigliati sono una buona occasione per riscoprire un periodo storico oggi poco conosciuto. Ma forse è meglio così: considerando che si trattò effettivamente di scontro tra Islam e Cristianesimo, alla Lega (non santa, ma Nord) potrebbe venir voglia di farci un film, dopo quello su Alberto da Giussano e Barbarossa.

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Commenti

Ci sono 92 commenti

La battaglia di Lepanto è, a suo modo, una battaglia "italiana"

Dal profondo della mia ignoranza riporto qualcosa che ho appreso in un altro forum e che riporto qua scusandomi per non citare fonti. Magari chi sa' confermi.

E' vero che la maggior parte delle navi erano veneziane, e che Lepanto e' stata vinta probabilmente grazie all'introduzione delle galeazze (una innovazione tecnologica che i turchi non avevano), ma viene trascurata la composizione dell'equipaggio.

I veneziani mantenevano praticamente tutte le navi da guerra lungo la costa istriana e dalmata nei vari porti, e il loro equipaggio non era tanto composto da vicentini e veronesi, ma da schiavoni.

Insomma, la maggior parte dei protagonisti della maggior (e tecnologicamente piu' avanzata) flotta venivano dall'altra parte dell'Adriatico, percio' non so se si puo' parlare di battaglia "italiana".

Se poi questi marinai parlassero dalmata o slavo a casa loro, non lo so, ma considerare la marina veneziana come "italiana" non mi pare corretto perche' credo fosse una forza multinazionale con dentro anche tante realta' provenienti dal mondo greco.

C'è da dire però che la slavizzazione dell'istria e della dalmazia è avvenuta a partire dal 1600 per acutizzarsi durante l'impero austro-ungarico. Infatti fin al XVI secolo gli slavi in dalmazia e istria non erano esigua minoranza e tali terre erano parte della VSR già prima del mille, altro che Padova, Treviso o Verona, la marina della VSR è da considerearsi mononazionale ossia Veneta e non italiana.

Se fai un giro (ma l'hai sicuramente fatto) in Istria e dalmazia vedi tutti questi paesi, ex colonie venete, che sembrano una copia fedele (in piccolo) di venezia, la cucina è veneta, perfino la parlata è veneta.

Non c'è alcun dubbio, a parte rari casi isolati, che gli abitanti di quelle città si sentissero cittadini della Serenissima, sicuramente molto di più dei padovani, quindi, al di là di ogni successiva conquista, gli abitanti di quelle città di mare si sentivano italiani, d'altronde l'Istria è stata italiana fino al 1945.

Vari studiosi di storia delle battaglie navali hanno messo in dubbio la reale efficacia delle galeazze, autentiche corazzate dell'epoca, vista la poca manovrabilità, tanto che la prima carica delle galeazze sfondò senza problemi la linea turca, senza riuscire a fermarsi, infatti le galeazze rientrarono in battaglia solo dopo, peraltro completando un accerchiamento "involontario" insieme alla riserva di trenta galee genovesi, vero ago della battaglia.

Le navi turche erano molto più maneggevoli delle galee, e solo la protervia di credersi invincibili portò i turchi a sfidarsi nel golfo di Lepanto, in cui avevano poco spazio di manovra, ciò nonostante riuscirono a incunearsi fra l'ala e il centro, la tattica turca prevedeva l'accerchiamento e poi la distruzione del nemico, solo l'intervento provvidenziale della riserva genovese (che da bravi genovesi si volevano risparmiare..) spezzò l'accerchiamento, con il paradosso che l'accerchiante finì accerchiato dal rientro delle galeazze. A quel punto la battaglia divenne una battaglia "terrestre" con i vari abbordaggi, e, sembra, determinante fu proprio l'italiano (lingua): in quel caos incredibile i rematori delle navi turche liberati in cambio della promessa della libertà, sentirono parlare la propria lingua e si ribellarono ai turchi. Inoltre i comandanti delle varie navi poterono comunicare fra loro in una lingua comune, cosa che non sarebbe successa se invece ci fosse stata un'accozzaglia di lingue (o dialetti incomprensibili, ma sembra che i bergamaschi non fossero presenti..).

Concordo che Lepanto fu una battaglia italiana, qualsiasi cosa questo voglia dire, ma dico anche che i protagonisti non si sentivano assolutamente tali, ma genovesi, veneziani, papalini, etc.

 

I veneziani mantenevano praticamente tutte le navi da guerra lungo la costa istriana e dalmata nei vari porti, e il loro equipaggio non era tanto composto da vicentini e veronesi, ma da schiavoni. Insomma, la maggior parte dei protagonisti della maggior (e tecnologicamente piu' avanzata) flotta venivano dall'altra parte dell'Adriatico, percio' non so se si puo' parlare di battaglia "italiana".

 

Innanzi tutto va ricordato che le due sponde dell'Adriatico sono state in osmosi per tutto il medio evo e l'età moderna, dato che, per esempio, è in Italia (Abruzzo, Calabria, Puglia e Sicilia) che trovarono rifugio a fine '400 migliaia di albanesi in fuga dagli ottomani, fondando città dove ancora oggi  è viva la loro tradizione

Così come va ricordato il popolamento operato sulle coste adriatiche delle Marche dopo la peste nera del '300, facendo immigrare genti croate e montenegrine.

Le epidemie e le guerre sono poi anche la causa della "slavizzazione" dell'Istria, dato che la popolazione della penisola era stata decimata dalla peste, la malaria e le ripetute guerre. Come si può leggere da wikipedia:

 

Già nelle Commissioni ducali del 1375, qualche anno dopo la Peste nera, sì legge: "L'Istria tutta può dirsi deserta". Due secoli dopo, si ebbe l'ultima grande epidemia (1629 al 1631): si scrisse che Pola era diventata il "cadavere di una città".

Il crollo demografico fu causato anche dalle lunghe e numerose guerre che la Repubblica di Venezia condusse ...... Le uccisioni di uomini erano accompagnate dalle devastazioni dei campi e dal saccheggiamento di animali.

Le incursioni turche, la guerra fra Venezia e Austria durata dal 1508 al 1523, poi quella uscocca (1615-1618), comportarono all'Istria nuove sciagure. Tutta l'Istria fu praticamente distrutta.

Nel 1649 Venezia effettuò un censimento dal quale emerse che l'Istria aveva 51.692 abitanti, di cui 49.332 erano Veneziani, mentre la Contea di Pisino ne aveva soltanto 2.360.

In questi territori praticamente deserti, sia la Serenissima che la Contea di Pisino cercavano di attrarre nuovi abitanti.

Lo stato veneziano diresse l'immigrazione e la colonizzazione a partire dal 1500. Si tentò di ripopolare l'Istria con Italiani, Greci, Morlacchi, Albanesi, Montenegrini, Sloveni e Croati. Ci furono 102 momenti di colonizzazione registrati dal XV al XVII secolo.

Nella la zona del Polese i colonizzatori provenivano dai dintorni di Padova, Treviso, la Furlania (Friuli) e la Carnia. La colonizzazione più ingente, però, era quella delle popolazioni che, fuggendo dai Turchi, cercavano riparo nel territorio veneziano in Dalmazia e da lì partivano alla volta dell'Istria. I nuovi abitanti erano i Montenegrini, gli Albanesi e i Romeni.

Nella Contea di Pisino re Ferdinando I nel 1532 ordinò ad delegati speciali di popolare le zone devastate con fuggiaschi Bosniaci e Uscocchi.

 

Insomma, l'elemento slavo in Istria inizia ad essere preponderante a partire dal '600, ma tutta la costa e le isole dalmate rimasero prevalentemente veneto-italiane sino all'impero asburgico. Se ti capita di fare un viaggio a Dubrovnik (a.k.a. Ragusa), fai una visita al museo navale della città. Vi sono conservati numerosissimi documenti e materiali a partire dall'alto medio evo, sino alla prima guerra mondiale: è interessante e sorprendente notare come siano tutti in italiano, dai registri di carico delle navi, ai libri matricola dell'equipaggio, mentre inziano ad essere scritti in croato solo a partire dalla metà dell'800.

 

credo fosse una forza multinazionale con dentro anche tante realta' provenienti dal mondo greco.

 

In parte hai ragione e del resto se dai un'occhiata al link con l'ordine di battaglia a Lepanto, poi trovare conferma che circa 20 galere provenivano da Candia, ossia Creta, che era all'epoca un dominio veneziano. L'atteggiamento di Venezia con le sue colonie, in caso di guerra, era molto simile a quello della Gran Bretagna con il Commonwealth

Se invece vuoi un'idea di come venissero armate le galee, ti invito a leggere questo documento, che sebbene si riferisca ad avvenimenti di un secolo posteriori rispetto a Lepanto, è comunque una buona fonte di informazioni.

 

 

un articolo interessante che ho letto un mesetto fa e di cui purtroppo non mi ricordo il titolo, paragonava, non so se a torto o a ragione, la natura cosmopolita e aperta alla mobilità sociale dell'impero ottomano al provincialismo e alla chiusura sociale degli stati europei. Insomma, stranieri potevano far carriera nell'impero ottomano mentre non potevano farla negli stati europei. E a sostegno di quest'ipotesi, tra l'altro, mostrava come tra gli ammiragli in battaglia a Lepanto tra i turchi ci fossero stranieri.

Ho dato un'occhiata alla pagina di Wikipedia linkata e effettivamente almeno uno degli ammiragli, Uluch Bey, era straniero, infatti era italiano, calabrese.

 

Da questo punto di vista meglio rileggersi le "lettere persiane" di Montesquieu

qui in inglese: http://rbsche.people.wm.edu/teaching/plp/

qui in francese:  http://www.bacdefrancais.net/lettrepersane.php

di lepanto parla diffusamente hanson qui. La sua tesi generale sulla guerra e le battaglie degli occidentali (greci in primis) rispetto alle altre culture é contestata da lynn qui.

Secondo me è sbagliato cominiare dal '500. Per secoli i Turchi erano stati tenuti a bada dall'impero bizantino e solo dopo la caduta di Costantinopoli (1453) essi poterono espandersi nel mediterraneo. A sua volta l'impero bizantino non si riprese mai dal sacco di Costantinopoli (1204) operato dai crociati sotto il comando del Doge Enrico Dandolo.

In sostanza i veneziani combinano un guaio e poi tocca ai Napoletani ed ai Siciliani togliergli le castagne dal fuoco.

:-D

per quanto conti.. si parla ancora levantino (levant) a Istanbul (e a Gerusalemme.) E' facile da usare e capire se si parla veneziano anche male. 

Insomma, mi pare di capire che scopo di alcuni articoli recenti è confermare storicamente che le radici linguistiche della Serenissima fossero italiane o che, generalizzando, la lingua unisse lo Stivale da almeno qualche secolo prima dell'Unità storica.

Non so se ci siano seconde finalità dietro questi articoli, che vanno oltre la nota storica, ma se fosse così, questo genere serve a rincuorare chi teme spinte separatiste o a convincere i separatisti che non hanno motivazioni culturali e storiche per richiederla?

Sinceramente, non capisco quest'ansia separatista (o anti-separatista).

Per dirne una, i linguaggi induoeuropei coprono e coprivano una bella fetta di Europa gia' all'epoca, e avevano (e hanno) abbastanza in comune.

Per dirne un'altra, le lingue neolatine erano gia' in divenire, e continuavano (come sempre) gli scambi linguistici. Figurarsi poi per regioni contigue e storicamente comunicanti - non e' che la Serenissima chiudesse le frontiere col Papato o con l'Impero Romano d'Oriente ogni due giorni, e anche fosse stato non poteva certo impedire uno scambio di persone e di idee.

Servono per forza dei secondi fini, nel dire che si usavano parole che capivano tutti perche' avevano lingue simili?

 

 

Le teorie della cospirazione sono un vizio storico della cultura "italiana". Sono un brutto vizio: com'è che infettano anche chi non si sente poi così "italiano"?

Qui ad nFA pratichiamo il gioco della libertà in tutte le sue dimensioni e non ci dedichiamo a cospirazioni.

I collaboratori scrivono sulle cose che a loro interessano e, purché le cose che scrivono siano coerenti e documentate, le pubblichiamo.

Si dà il caso che a Palma piaccia il cinema e che Alberto da Giussano sia una stupida invenzione nazionalista - di quelli che volevano fare l'Unità d'Italia, tra l'altro, non di quelli che non la volevano. Non è colpa di Palma se Bossi ed i leghisti sono così tragicamente ignoranti da scegliersi un simbolo risorgimentale inventato di sana pianta dal loro "nemico"! Io me la prenderei con Bossi che racconta bugie, non con Palma che le svela.

Sabino conduce una tutta sua personale battaglia, con risultati alquanto alterni a mio avviso, sull'italiano e l'italianità. A me sembra che più Sabino ne parla più emerga il cumulo di miti liceali e mezzi-fatti storici su cui tale ideologia si fonda. Ma questo è il mio punto di vista: se Sabino ha voglia di continuare è perfettamente libero di farlo: finché non dirà castronate documentabili come tali, i suoi scritti saranno benvenuti.

Chi non è d'accordo con quanto essi, o altri, scrivono, basta che scriva cose documentabili che provino l'opposto. Perdere tempo teorizzando cospirazioni redazionali mi sembra, appunto, una perdita di tempo. Non siamo il Corriere della Sera, o la RAI TV! Siamo un club di intellettuali molto anarcoidi che, come dice il mio amico Drew, have little or no tolerance for fools, and their foolishnesses.

P.S. Fa sorridere che a scrivere questo commento sia io: nonostante che il separatismo (veneto in questo caso) sia uno degli ultimi elementi nella mia "wish list dei miracoli", ho sia molta comprensione per i motivi storici e culturali di chi lo invoca che una, credo fondata, convinzione che la cosa chiamata "Italia" sia una fantasia proto-fascista, e poi fascista, che ha fatto più male che bene al complesso dei suoi abitanti ... Il problema è che i fatti rimangono tali, indipendentemente dalle mie opinioni sull' "Italia".

 

 

non vogli appesantire il Nfa blog con cose serie.

Ma per chiunque abbia passione per il complotto pro o anti separatista.

 

1. vi sono argomenti seri o per o contro il diritto di secessione.

La prova della cartina di tornasole e' ovviamente India vs. Pakistan vs Bangla desh. al lettore di giudicare se stanno bene o meglio uniti o divisi

 

2. per chi abbia sta gran passione per le lingue: son sciocchezze. Non vi e' nessuna nozione di lingua che si possa usare, id est non si sa se il braziliano carioca sia un "dialetto" del portoghese o meno, come non si sa se portoghese di ponta  Malongane sia "come" il portoghese di Oporto.

3. per chi abbia passione innata per unificare l'Italia o la padania su basi "linguistiche" riporto recenti  dati  (qui il messaggio e' scocciante e serio ---l'opposto dei miti dei liceali.)

Si consideri il sistema parametrale di SVO (soggetto-verbo-oggetto)

 

si scopre che due varianti di italiano (fiorentino e trentino) hanno i medesimi parametri di isiZULU. In Italiano il S se lessicalizzato non ritiene fenomeni di cliticita' (non cosi' in Trentino, mi dicono qui gli esperti) 

 

Per la cronaca NP = noun phrase (frase nominale) il S e' un soggetto che si puo' (non si DEVE) lessicalizzare (esprimere in parole "parlate"). Per dar un esempio la frase "Io dovrei far filosofia e non scrive su Nfa" e' corretta (grammaticalmente accettabile) in Italiano, ed e' ugualmente accettabile la frase "Dovrei far filosofia...", in Francese per dare un caso semplice NON e' permesso tralasciare l'espressione del S(oggetto). L'italiano e' famoso per essere una delle lingue dove si puo' tralasciare il soggetto e in una miriade di casi e' obbligatorio far cosi'. Per chi tra voi sa l'inglese, in inglese e' vietato dire "is late". Si deve dire "it is late". In Italiano e' impossibile dire "****esso*** e' tardi". 

Le "stellette" sono il segno (in linguistica di espressioni INacettabili.) Ora cosi' appare, l'Italiano in due "versioni" (i "dialetti" non esistono) ha le stesse regole di isiZulu (una delle lingue 'nguni che provengono da gruppi congolesi, e che sono adesso le basi di pondo, x'hosa, isiZulu e altre.)

Di nuovo su una nota "tecnica": i clitici sono le particelle che la morfologia assegna alla fine di un vocabolo (come in "Gliela diedi, la sberla, a quel demente di XXX" i due pronomi si son "fusi", diedi LA [sberla] a lui [=gli= a quel demente di]

per chi di voi parla Trentinom, mi dicono qui (gli esperti, io non lo parlo, che "ti te parli" e' grammaticale in trentino, notasi che non lo e' in Italiano ("tu ti parli" in Italiano ha la semantica di 

"tu parli -a-te-stesso")

 

 

Volete unificare Zululand con il Trentino?

 

 

 

cito, con permesso da dr. pr. J. Zeller

 

 

I hope I'm not boring everyone to death with this, but here is some stuff on the Italian dialects and Zulu:

 

In Trentino and Fioretino, SVO word order with a lexical subject (a full pronoun or NP) requires a clitic (in bold):

 

Ti te parli (T); Te tu parli (F) 'you speak'

La Maria la parla (T, F) 'Mary speaks'

Mario e parla (F); El Mario el parla (T) 'Mario speaks'

 

Brandi & Cordin (1989), from whom I got the data, don't give the full paradigm, but from what they write, it seems that with a plural subject, you'd get something like

 

Delle ragazze le parlano (F) 'Some girls are speaking'

 

So some people suggest that the clitic is a subject agreement marker, so we have rich agreement with preverbal subjects. However, if you have VS word order in these dialects, the clitic either cannot occur (T) or is replaced by a default non-agreeing clitic gli - so no rich agreement:

 

Gli `e venuto delle ragazze (F) '(it) is come some girls'

E' vegnu qualche putela (T)

(notice also the default form of the auxiliary: Sg. e, not Pl. sono)

 

In subject questions, you also get this invariant form, and this is when people call it the "anti-agreement effect":

 

Quante ragazze gli e venuto con te? (F) 'How many girls (it) has come with you?

Quante putele e vegnu con ti? (T)

 

Now compare this to Zulu:

 

SV word order: noun class agreement

Umfana u-ya-sebenza; abafana ba-ya-sebenza; indoda i-ya-sebenza ...'the boy, the boys, the man is/are working'.

 

But: VS word order: no agreement:

Ku-sebenza umfana; ku-sebenza abafana; ku-sebenza indoda

 

...with VS word order, you only get the invariant expletive clitic ku-.

 

As in Italian, the V-S order is used to put focus on the subject, so this looks very similar to T and F. What about subject extraction in Zulu? You can't test what happens with wh-extracted subjects, because Zulu doesn't have wh-movement. But you get normal agreement in subject relative clauses (with extracted relative operators), which suggests that Zulu is different in this respect.

 

I stop here. Sorry for the long email.

 

Jochen

 

articolo tecnico per chi ne abbia interesse

 

Brandi, Luciana & Patrizia Cordin (1989). Two Italian dialects and the null subject parameter. In: Oswaldo Jaeggli & Kenneth Safir (eds), The Null Subject Parameter. Dordrecht: Kluwer, 111-142.

 

Non sto complottando per annettere kwaZulu in Padania, ma i dati sono cocciuti.....


 

 

 

 

per chi abbia dubbi ponta Malongane esiste ed e' fatta cosi'

 

 

 

Sabino, itero, e non polemizzo. La nozione di "lingua" che viene usata in questo tipo di discussione e' semplicemente un "non senso." Esattamente per le ragioni che tu indichi. Se Alsace fosse tedesca --adesso-- e lo fu "un po' si ed un po no'" (dipese dalle fortune del generale di passaggio), l'alsaziano sarebbe un dialetto del tedesco, invece e' un dialetto del francese.

Idem per Bretagne, alcuni --mi dicono-- hanno la stessa opinione del catalano a Alghero e del Corso (Pasquale Paoli e' un "patriota" francese o italiano?)

 

forse e' meglio "parlar di politica"......

 

Adriano sono d'accordo con te e del resto in un'altra occasione avevo scritto:

 

Se si vogliono cercare ragioni per giustificare una voglia secessionista lo si faccia pure, ma pretendere di usare tra queste la questione linguistica - e la voglia di rivincita a seguito della presunta oppressione "italiana" - ha la stessa dignità storica della discendenza ariana del popolo tedesco

 

 

 

Sabino, davvero non per polemizzare, ma non puoi avere "ea musa e i sesanta franchi" (in italiano si traduce con "moglie ubriaca e botte piena" ...).

Come fai ad essere d'accordo con uno che dice

 

Se Alsace fosse tedesca --adesso-- e lo fu "un po' si ed un po'" dipende dalle fortune del generale di passaggio, l'alsaziano sarebbe un dialetto del tedesco, invece è un dialetto del francese.

 

mentre tu sostieni l'opposto nel tuo commento precedente (del 15 Ottobre 2009, 20:14 [Nota per il Webmaster: i links "catena" sembrano non funzionare in Biblioteka], fra gli altri posti)?

La questione è da un lato un po' noiosa ma, dall'altro, anche di attualità e mi dispiace non trovare il tempo per cercare di chiarirne i termini. Ma, davvero, quando uno legge cose come questa

 

[...] quanto per affermare una realtà oggettiva,ossia che a combatterla furono per la maggior parte italiani, come tale sentiti anche  dai contemporanei. A riprova del fatto che esistesse una identificazione unitaria degli italiani (al di là delle barriere politiche tra loro) [...]

 

non vedo cos'altro commentare se non che hai proprio deciso di difendere un mito liceale (la sempiterna esistenza dell'ideale "Italia", del "sentimento nazionale", dell'identità condivisa dall'Alpe a Lampedusa, e tutto il resto nei secoli dei secoli precedenti a Napoleone ...). Continuerò a capire male, ma QUESTA sembra essere la tua teoria, o no? Allora devo chiederti:

- QUANDO emerse tale comun sentire, tale sentimento nazionale, tale condivisa identità? Nel 1000? Nel 1200? Nel 1500? In seguito a cosa? CHE COSA, chi, quale sequenza di eventi unificano il "popolo italiano" ad un certo punto nel tempo compreso fra (tanto per usare due che arrivarono dallo stesso lato delle Alpi) Carlo Magno e Napoleone? A meno che, ovviamente, la teoria non consista nell'affermare che la "Italia" di Garibaldi, Pascoli e Mussolini altro non era che la "Italia" dell'impero romano. L'ultimo dei tre, molto certamente, ha provato a sostenerlo e gli altri non ci sono andati molto lontano. Lo pensi anche tu? E, ripeto, se non lo pensi QUANDO avviene la discontinuità e COSA la determina?

Subito dico di non far lo storico di professione e di avere, al massimo, delle intuizioni vaghe e dei sospetti piu' dettati da esperienze che da teorie dello "sviluppo storico" (che credo non esista, ma sia una scemenza inventata per sostituire i piani provvidenziali di dio nelle menti semi-laiche, la storia dicevano i miei professori e' una sequenza di questo e quello, non la marcia di... progrsso, illuminazioni, etc.)

Ma al punto. Sabino Patruno da degli elementi interessanti (a me ignoti; sapevo nulla delle lingue in cui fu scritto il catechismo dei cristiani.)

Posso solo contribuire un'impressione. Sono forse dei fenomeni veri che hanno effetti consistenti su fette minoritarie (che quasi coincidono con chi sa leggere e scrivere.)

La mia, tutto meno che dadaista, proposta di datare alle settimane tra il golpe del luglio 1943 e il 9 settembre dello stesso anno il parto di "italia" andava in direzione di provar a veder quando grandi numeri di italiani si riconobbero come tali. Petrarca appunto studiava a Montpellier, Labriola no.

Mi pare che le prove portate da Sabino siano interessanti a notare come tali sentimenti provenissero sempre/spesso dall'alto.

Concordo con Palma che se un inizio di patria ci dev'essere questa inizia con la seconda guerra mondiale. Direi anche e soprattutto con la televisione, sempre che interessino come si esprimevano e sentivano i popoli, oltre che poeti, preti e particolari vari.

Aggiungo delle note, da non storico (e chiara origine popolare):

a) arrivarono proprio dal sud le azioni maggiormente anti-italiane al nuovo regno savoiardo: vorrà pur dir qualcosa, se c'erano decine di migliaia di cittadini che erano disposti a fare la fine documentata, ad esempio, in questo riassunto

b) si potrà obiettare che lottavano per fame, essenzialmente. Ok, ma allora non capisco perchè per gli stessi motivi (fame) proprio nelle zone ora più irrequiete, la gente, dopo pochi decenni di esperimento unitario era costretta più che a combattere ad emigrare in mezzo mondo (sud america in primis)

c) le regioni di prima emigrazione Veneta (Brasile, Rio Grande Do Sul) sono ora studiare come isole linguistiche, in cui permane la parlata Veneta di fine '800, con tratti ormai persi nell'areale di origine. Si nota come tale lingua venga chiamata talian dai brasiliani discendenti.

d) esperienze personali: non so per i vostri, ma i miei nonni hanno imparato l'italiano a scuola, mentre a casa ed ovunque si parlava solo ed esclusivamente dialetto.
Ho notato tale caratteristica anche negli immigrati di seconda generazione ad esempio negli USA. Per loro l'italiano è (era) il dialetto parlato dai genitori (Ischitano o siciliano, nella mia esperienza sulla West Coast) e si rammaricano di non capire ne tantomeno parlare l'italiano di Dante. L'italia in generale, si identifica ai confini della loro città/isola/regione di provenienza. Quando si trovano a parlare delle comuni origini con altri discendenti di altre regioni, si riferiscono all'italiano come "that stuff you learn in school".

 

 

Ma per cosa si mori' a Caporetto se non per la patria, per lo meno per la nazione italiana?

a Cporetto si mori' a causa di generali imbecilli piemontesi. Solo la disorganizzazione delle truppe impedi' che essi venissero massacrai in ammutinamenti.

La travolgente imbecillita' di tal P. Badoglio, per non parlar del suo collega duca d'Aosta di certo aiuta molto a spiegare come e perche' tanti furono fucilati nella cosidetta "disfatta".

 

Trucchetto da retore di bassa lega. Il per cosa della domanda non era da intendersi come "a causa di chi o di che", ma "a quale fine, per quale ideale"?

Riformulo e attendo risposta: "per quali ideali (se non la patria) si combatte', si mori' e si vinse sul Piave?"

Da Lepanto a Caporetto ce ne corre.. (a proposito di discussioni "laterali")

in ogni caso, va detto che se il Regio Esercito riuscì a sopravvivere (a malapena) a due anni di offensive sanguinosissime e al disastro di Caporetto, una qualche coesione doveva esserci; ovviamente rinforzata dal terrore disciplinare (le statistiche sulle fucilazioni non includono ovviamente le esecuzioni sommarie in zona di operazioni, ampiamente citate nella memorialistica).

La struttura del R.E., basata su ufficiali di complemento impreparati quanto patriottici, complessivamente tenne. E nel caos della ritirata, i reparti della II Armata si sbandarono ma chi sfuggi alla cattura venne reinquadrato con facilità.

Insomma, caro palma, si combatteva "per l'Italia" anche se il concetto era noto ai quadri e probabilmente alquanto remoto per la massa dei fanti-contadini.

PS Il Duca d'Aosta (la famiglia deve starti poco simpatica, anche a giudicare da altri post..) comandava la III Armata più a sud (diciamo sul Carso) e non fu coinvolto per nulla nello sfondamento. L'armata in questione riuscì anzi a ritirarsi indenne (anche per carenze dell'avversario, non tutti i genii erano italiani nella I G.M)  altrimenti avremmo perso la guerra di colpo.

 

Un post cominciato con una discussione (bella, molto bella, mi è molto piaciuta anche una risposta di Sabino Patruno a Michele) finisce per diventare l'ennesima espressione di una "rivisitazione storica".

Essendo, ahimè, abituato a ragionare per punti di discussione, espongo anche qui dei punti che mi piacerebbe rimanessero fermi.

1. L'Italia è una espressione geografica in vigore dai tempi di Roma, nella penisola italica erano presenti varie popolazioni, unificate da Roma che da allora usarono il latino come lingua. Peraltro alcune tipicità fonetiche (ad esempio la "c" aspirata fiorentina) erano già presenti in epoca romana. Mi sembra Catullo già ne parli (odiavo il latino, potrei sbagliarmi, Palma ne sai qualcosa?)

2. L'italiano è una lingua "volgare", ovvero nasce dalla parlata popolare, che, a questo punto, non doveva essere dissimile nella penisola, il primo documento in "volgare" è una testimonianza di un contadino del Basso Medioevo (Sao ka kelle terre, per kelli fini, terra sancta beneditti est).

3. Saltando a piè pari al 1800 abbiamo il "fenomeno risorgimentale", ovvero la voglia d'unità d'Italia di una borghesia che sentiva stretta la maglia di tanti staterelli, gabelle, leggi et similari che impedivano (secondo loro) uno sviluppo, oltre al desiderio di "potenza" tipico del secolo della borghesia (Hobsbawn). Al "sentimento risorgimentale" non partecipò in alcun modo il popolino, fra i morti sulle barricate nelle 5 giornate di Milano si contò un solo operaio (Hobsbawn Il secolo della Borghesia-Le rivoluzioni borghesi - Ed. Laterza). I Savoia ed  i piemontesi non fecero altro che "accodarsi", di fatto il Piemonte perse tutte le tre guerre d'indipendenza, non essendo in grado di conquistare un piffero, e solo circostanze fortuite portarono all'ampliamento del Regno di Sardegna in Regno d'Italia, non certo un "disegno strategico" o necessità finanziarie.

4. L'iconografia risorgimentale fu creata successivamente più per dare un senso alle circostanze che per mentire o seppellire, l'Italia (espressione geografica) da un punto di vista economico era uno zero assoluto nel panorama europeo, la "conquista piemontese" acuì i problemi economici del Regno di Sardegna, non li rese certo più lievi.

5. Ognuno si senta come vuole, la geografia, non Vittorio Emanuele II o il destino cinico e baro, lo ha reso "italiano".

6. Interessante la disgressione su Badoglio, da qualche parte ho ancora uno "Storia Illustrata" con un processo (storico, non reale) a Badoglio, sicuramente colpevole di impreparazione a Caporetto, ma non più del resto dello Stato Maggiore Italiano, che era una autentica manica di incompetenti, fermi alle tattiche militari della Guerra Civile. Quella americana. Fino a quel momento solo la (pessima) tattica austriaca aveva evitato guai come Caporetto, furono i tedeschi a cambiare tattica, ovvero a portare lo sfondamento in un punto preciso del fronte, quello in cui le linee di rifornimento del nemico erano le più lunghe. La leva militare italiana era composta dai nati fra il 1896 e il 1898, non fu "spazzata via" una generazione intera. La base del fascismo fu il corpo degli Arditi, il corpo militare con la più alta percentuale di caduti delle 1a guerra mondiale (il 63%, a memoria), nulla da stupirsi se dopo la guerra erano tutti svalvolati e disadattati.

2. L'italiano è una lingua "volgare", ovvero nasce dalla parlata popolare, che, a questo punto, non doveva essere dissimile nella penisola, il primo documento in "volgare" è una testimonianza di un contadino del Basso Medioevo (Sao ka kelle terre, per kelli fini, terra sancta beneditti est).

Marco, quello che tu citi e' una frase dei placiti cassinesi del 960-963 d.C.:

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.

in cui dei chierici testimoniano di fronte al giudice che certe terre sarebbero appartenute a monasteri dei dintorni e poi illecitamente occupate da contadini del signorotto locale. Sono documenti registrati nel monastero di Cassino, e riportano una testimonianza in italiano per quanto tutti i presenti e gli interessati (i testimoni, che eran chierici o notai, il giudice e il signorotto) avrebbero potuto scrivere tutto in latino, che pure e' presente negli atti: per questo vengono considerati importanti come espressione di volgare italico.

In realta' la prima testimonianza di volgare italico e' il cosiddetto indovinello veronese, datato all'inizio del IX secolo, circa 150 anni prima dei placiti:

 

Se pareba boves, alba pratàlia aràba, et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba

indovinello che pero' da alcuni e' ancora considerato latino volgare piu' che italiano volgare. Per quello c'e' l'iscrizione della catacomba di Commodilla a Roma, piu' o meno dello stesso periodo:

Non dicere ille secrita a bboce

Teniamo presente che la variazione della pronuncia, oltre che ad abitudini molto piu' antiche mantenute anche con il latino, era dovuta anche alle influenze esterne: ad esempio sopra il Po e' molto diffusa la caduta delle vocali finali, che sotto il Po e' molto meno diffusa. Restano comunque lingue "interoperabili": le differenze si possono codificare, ed e' possibile capirsi senza troppo penare.

L'albo di Storia Illustrata lo ricordo anche io - per quanto non ricordi il contenuto -, ma adesso per me e' irraggiungibile: quando posso lo cerchero'.


 

 

Il sottosegretario Bertolaso risponde ad un'interrogazione: manca copertura finanziaria (33 milioni) per la tromba d'aria che ha distrutto un intero paese in provincia di Treviso.

Qualcuno potrebbe spiegare la differenza di trattamento (evidente) tra territori?

Aggiungerei un'altra domanda: quanto tempo ci metteranno in Veneto ad accorgersi che la Lega non è in grado di curare gli interessi del nord ? Dico "in Veneto" perchè li faccio più svegli e sensibili sull'argomento rispetto agli altri "padani".