Il romanzo autobiografico si apre con un'introduzione dello stesso Levi:
Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco,
causa la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri
da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente
le uccisioni ad arbitrio dei singoli [...]
segue poi con questa:
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
*
Rileggo la poesia di Levi mentre i pensieri si sovrappongono agli echi del presente
per poi tornare ancora indietro nel tempo, fino al monito di un altro autore, Danilo Dolci
(Sesana, Slovenia 28/6/1924 – Trappeto, PA 30/12/1997), che anni dopo scriveva:
Non sentite l'odore del fumo
Auschwitz sta figliando
Le più grandi risorse
erano la speranza e la dignità.
Chi si rassegna, muore prima.
Non so se i giovani hanno appreso.
Se ci si lascia chiudere, terrorizzare
se ci si lascia cristallizzare
si diventa una cosa
gli altri ci diventano cose.
Molti ancora non sanno:
Auschwitz è tra noi. è in noi.
Non so se i giovani sanno
in ogni parte del mondo:
non c’è rivoluzione se si trattano gli uomini come sassi,
ai giovani occorre
l’esperienza creativa di un mondo
nuovo davvero.
Ad Auschwitz ci torno volentieri.
mi dà la misura dei fatti.
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
questi versi di Levi mi sono tornati in mente improvvisamente giorni fa, pensando ai migranti sbarcati a Lampedusa, al cibo fetido che gli veniva rifilato, alle schifezze che ho sentito pronunciare da gentaglia miracolata dalla politica senza arte nè parte, senza nessuno spessore umano e intellettuale. piccoli burocrati. è proprio la banalità del male a sconcertare.
Sì, Valentina, una "banalità" di ruoli ciechi, disumani, ripetitivi, senza la capacità di chiedersi un "perchè". E' un errore pensare all'olocausto come un fatto compiuto, "Auschwitz è in noi", non "ciò che è stato" (cit. P. Celan), ma ciò che siamo in grado di essere, o "non essere".
grazie.
Gentile signora,
capisco che questa sezione di nfa sia destinata a suscitare emozioni. Capisco anche che, nell'imminenza del 25 aprile, molti siano propensi a paragonare il tempo presente con il passato, alla ricerca di simiglianze che giustifichino appelli resistenziali.
Però c'è un limite a tutto. A Lampedusa lo Stato italiano ha dimostrato la sua cronica inefficienza, la confusione dei suoi politici, forse anche la loro meschinità: siamo d'accordo. Potrei anche avanzare il sospetto che i cosidetti migranti siano stati maltrattati per scoraggiare l'arrivo di altri.
Ma Lei sembra dimenticare che i reclusi nei Lager nazisti (e nei Gulag sovietici) erano stati condotti là con la forza, a differenza dei migranti sbarcati a Lampedusa di loro volontà, e soprattutto che la Repubblica Italiana (non il quotidiano) non ha mai inteso procedere al loro sterminio (nè alla loro "rieducazione"). Se non conserviamo la capacità di distinguere, siamo messi male.