Se questo è un uomo - Primo Levi

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ne posseggo la quinta edizione Einaudi del 1958.

Il romanzo autobiografico si apre con un'introduzione dello stesso Levi:

Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco,

causa la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri

da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente

le uccisioni ad arbitrio dei singoli [...]

segue poi con questa:

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

 

*

 

Rileggo la poesia di Levi mentre i pensieri si sovrappongono agli echi del presente

per poi tornare ancora indietro nel tempo, fino al monito di un altro autore, Danilo Dolci

(Sesana, Slovenia 28/6/1924 – Trappeto, PA 30/12/1997), che anni dopo scriveva:

 

 

Non sentite l'odore del fumo
Auschwitz sta figliando


Le più grandi risorse
erano la speranza e la dignità.
Chi si rassegna, muore prima.
Non so se i giovani hanno appreso.
Se ci si lascia chiudere, terrorizzare
se ci si lascia cristallizzare
si diventa una cosa
gli altri ci diventano cose.
Molti ancora non sanno:
Auschwitz è tra noi. è in noi.
Non so se i giovani sanno
in ogni parte del mondo:
non c’è rivoluzione se si trattano gli uomini come sassi,
ai giovani occorre
l’esperienza creativa di un mondo
nuovo davvero.
Ad Auschwitz ci torno volentieri.
mi dà la misura dei fatti.

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Commenti

Ci sono 50 commenti

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane

questi versi di Levi mi sono tornati in mente improvvisamente giorni fa, pensando ai migranti sbarcati a Lampedusa, al cibo fetido che gli veniva rifilato, alle schifezze che ho sentito pronunciare da gentaglia miracolata dalla politica senza arte nè parte, senza nessuno spessore umano e intellettuale. piccoli burocrati. è proprio la banalità del male a sconcertare.

Sì, Valentina, una "banalità" di ruoli ciechi, disumani, ripetitivi, senza la capacità di chiedersi un "perchè". E' un errore pensare all'olocausto come un fatto compiuto, "Auschwitz è in noi", non "ciò che è stato" (cit. P. Celan), ma ciò che siamo in grado di essere, o "non essere".

grazie.

 

Gentile signora,

capisco che questa sezione di nfa sia destinata a suscitare emozioni. Capisco anche che, nell'imminenza del 25 aprile, molti siano propensi a paragonare il tempo presente con il passato, alla ricerca di simiglianze che giustifichino appelli resistenziali.

Però c'è un limite a tutto. A Lampedusa lo Stato italiano ha dimostrato la sua cronica inefficienza, la confusione dei suoi politici, forse anche la loro meschinità: siamo d'accordo. Potrei anche avanzare il sospetto che i cosidetti migranti siano stati maltrattati per scoraggiare l'arrivo di altri.

Ma Lei sembra dimenticare che i reclusi nei Lager nazisti (e nei Gulag sovietici) erano stati condotti là con la forza, a differenza dei migranti sbarcati a Lampedusa di loro volontà, e soprattutto che la Repubblica Italiana (non il quotidiano) non ha mai inteso procedere al loro sterminio (nè alla loro "rieducazione"). Se non conserviamo la capacità di distinguere, siamo messi male.

su quello che può diventare un uomo, e su come può cambiare, suggerisco questo.

grazie del suggerimento.

andando solo apparentemente OT, avete mai letto delle tecniche di addestramento e disumanizzazione dei bambini soldato in Sudan? Strappati alle famiglie o venduti dalle stesse, per mezzo di violenze fisiche e psicologiche di una crudeltà indescrivibile,  questi bambini vengono sottoposti ad un processo veloce e cruento di “disumanizzazione”,  al fine di abbattere ogni loro connaturato moto di pietà verso il prossimo, “educandoli” ad uno spirito –  esasperatamente deviato -  di sopravvivenza che equivarrà alla loro capacità di uccidere. Prima dei combattimenti vengono generalmente drogati con cocaina, anfetamine o polvere da sparo bruciata e mischiata a riso e hashish. Anche questa sarebbe una lettura istruttiva su come e cosa possa arrivare ad essere l'uomo.

 

Per la precisione, quanto Danilo Dolci nacque Sesana era Italia.

le ho risposto sopra.

 

Per la precisione, quanto Danilo Dolci nacque Sesana era Italia.

 

Vero. Era stata occupata dall'esercito dei Savoia in seguito alla "grande guerra". Quella che ci regalò 2 milioni fra morti e feriti, vent'anni di fascismo, un'altra guerra, l'occupazione del Sud Tirolo e, fra gli altri,  del pezzo di Slovenia in cui si trova Sesana. Quest'ultima rimase sotto occupazione italiana per ben 28 anni: un fatto di cui dovremmo essere senz'alcun dubbio fieri, perbacco!

Questo rende Sesana ancor meno italiana di Tripoli (bel suol d'amore) ma, evidentemente, la vuota retorica è sempre quella degli altri.

Il padre di Dolci era siciliano, la madre era slovena.

Buonasera.

Vi propongo questa poesia di Primo Levi, poco nota. 

 

Poichè l'angoscia di ciascuno è la nostra
ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
che ti sei stretta convulsamente a tua madre
quasi volessi ripenetrare in lei
quando al meriggio il cielo si è fatto nero.

Invano, perché l'aria volta in veleno
é filtrata a cercarti per le finestre serrate
della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
lieta già del tuo canto e del tuo timido riso.

Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata
a incarcerare per sempre codeste membra gentili.

Così tu rimani fra noi, contorto calco di gesso,
agonia senza fine, terribile testimonianza
di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme.

Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura
che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
la sua cenere muta é stata dispersa dal vento,
la sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.

Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli.

Vittima sacrificata sull'altare della paura.

Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
tristi custodi segreti del tuono definitivo,
ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.

Prima di premere il dito, fermatevi e considerate

 

 

20 novembre 1978

 

Paola, GRAZIE, perfettamente in tema oltre che bellissima.

Ad Auschwitz ci torno volentieri.
mi dà la misura dei fatti.

Mi fa piacere che anche Dolci (di cui leggo per la prima volta) veda Auschwitz in termini di "fatti". Dopo tutto, la forza di Se questo e' un uomo era proprio quella di raccontare i fatti senza tanti "fronzoli". 

Quello che mi dispiace e' l'aver troppe volte sentito critiche mosse al libro di Levi perche' "privo di emozioni".

Come se i soli fatti non fossero in grado di generare emozioni. Come se anche in questo caso ci volesse qualcuno a tenerci la mano e dirci cosa pensare, e cosa provare. 

Che strana bestia, l'umanita'. 

Come se i soli fatti non fossero in grado di generare emozioni.

Sono perfettamente d'accordo con te, dovrebbero bastare i fatti, ma siamo ad essi troppo assue_fatti per provare emozioni, probabilmente la nostra incapacità emotiva deriva dall'uso passivo ad assorbimento rapido cui ci ha abituati la fruizione dei fatti per mezzo video; uno spiattellamento di immagini, dalle più crude alle fin troppo morbide, in successione talmente rapida da non riuscire a mettere in moto un distinguo nella metabolizzazione delle stesse. Non so, sto riflettendo sulle tue parole, sul fatto che sembri naturale aspettarsi una "spintarella" esterna anche per l'indignazione... solo che il termine indignazione presuppone in sè un più profondo e radicato concetto, quello di dignità, che pare sia in via di estinzione e modellamento verso il basso.

grazie davvero, Aldo.

 

Come se i soli fatti non fossero in grado di generare emozioni

Una persona a me vicina e cara oramai morta, era una sopravvissuta di Bergen Belsen. Mi diceva del pudore istintivo con cui raccontava, di rado e malvolentieri di quei giorni. Da un lato era per non abbandonarsi alla forza emotiva che avrebbe fatto troppo vividamente rivivere le sofferenze patite e dall'altro, richiamava esattamente la forza dei fatti. Che bisogno c'è, diceva, di piangere ancora? Non basta anche solo una immagine a raccontare tutto?

Non è solo la rapidità dei tempi e dei mezzi comunicativi a banalizzare i fatti. Temo sia l'ignoranza, sicuramente ignoranza storica. E' orrendo, ad esempio, leggere che qualcuno affermi "Dobbiamo capire che a quel tempo non c'era una parte giusta e una sbagliata per la quale combattere" ed è orrendo che si arrivi al punto  dei tribalismi per persecuzioni, disumanizzazione e morti miei buoni e tuoi cattivi. Sono argini che cadono, tensione che si abbassa ed indifferenza che rende ciechi di fronte a nefandezze che accadono dinanzi ai nostri occhi. La memoria e la storia non bastano, ma di certo ci aiutano a 'restare umani'.

Se questo è un uomo è stato fondamentale per me per comprendre cosa fosse davvero un lager. L'idea che mi ero fatto prima di allora era dovuta a descrizioni frammentarie e qualche film in cui si descriveva il lager come un campo di prigionia in cui un'umanità ridotta alla fame veniva continuamente vessata da SS spietate. Questa è l'interpretazione che ne da Schindler' s list, per esempio. Primo Levi va oltre questa verità parziale e ci racconta che negli internati ci sono una molteplicità di personalità in cui ogni residuo di umanità viene cancellato e ogni individuo è dominato dagli istinti più bassi, in una spietata competizione per la sopravvivenza.

Tra questi comportamenti c'è per esempio la "collaborazione". Uso con cautela questo termine perchè si rischia di essere fraintesi. Levi stesso fu frainteso spesso quando parlava di zona grigia e diceva che solo i "peggiori" sopravvissero, cioè quelli che meglio si adattarono, che seppero sfruttare le occasioni, magari a detrimento di altri. Tra questi ci sono i kapo, gli addetti alla pulitura delle camere a gas, i ladri, i tecnici etc.
Molti non sanno, per esempio, che la vita del lager era sostanzialmente gestita dagli internati stessi. Questo garantiva qualche privilegio che poteva fare la differnza tra la vita e la morte.

Non vorrei apparire riduttivo verso la memoria monumentale di Primo Levi, ma temo che il suo più che meritato successo editoriale abbia offuscato, almeno nelle coscienze diffuse, l'enorme memorialistica italiana e straniera sui campi di sterminio.

Mi piace ricordare, fra gli italiani, almeno il "Diario di Gusen" di Carpi de Resmini, o "Ricorda cosa ti ha fatto Amalek" di Alberto Nirenstein, quest'ultimo fondamentale per il ruolo dei "collaboratori".

Fra gli stranieri, un libro fondamentale è "Devo raccontare" di Masha Rolnikaite.

Mi sento di raccomandarne assolutamente la lettura.

GD

Siamo composti con brani di morti
uguali a città
rifatte da macerie di secoli.
 
Allora al comune bivacco eravamo
tutti disperati e volevamo
morire per sentirci più vivi.
 
Non questo certo era l'augurio!
La nuova parola è stata uccisa
Dal piombo sulle bocche squarciate.
 
Una mediazione invocavano morendo
tra l'avvenimento grande e la sorte di ognuno,
l'avvento attendevano dell'uomo umile.
 
Ma noi rimpiangemmo le vecchie catene
come il popolo ambiva nel deserto
l'ossequio al re per le sicure ghiande:
 
non vogliamo il rischio di essere liberi,
il peso di dover decidere da noi
e l'amore di farci poveri.
 
Da sotterra urlano i morti
e per le strade vanno
come nell'ora dell'agonia di Cristo.
 
Per le strade vagano i fratelli
senza casa, liberi
d'ogni ragione d'essere morti.
 
La notte è simile al giorno
Il bene al male s'eguaglia,
spoglio quale una pianura d'inverno.

------------------------------

Era aperta solo al tuo occhio
quella Notte oscura:
e dunque perché non li uccidesti
avanti che uccidessero?
 
I grandi deliravano
In parate e uniformi
E noi non capivamo.
 
Aquile e svàstiche
e canti di morte
salmi e canti e benedizioni
di reggimenti col teschio
sui berretti neri
sulle camice nere
sui gagliardetti neri..
 
E discorsi fin o all'urlo
accanito delle folle d'Europa,
della saggia e civilissima
e cristiana Europa.
 
Così abbiamo tutti cantato
almeno una volta
i canti della morte.
 
L'inizio è sempre uguale:
"Nostra è la Ragione"! E poi,
l'esaltazione degli eroi.
 
Poi le medaglie
e le corone e i monumenti
e i momenti del silenzio
all'Altare della Patria.
 
Dio, cosa costano gli eroi!

------------------------------
 
Torniamo ai giorni del rischio,
quando tu salutavi a sera
senza essere certo mai
di rivedere l'amico al mattino.
 
E i passi della ronda nazista
dal selciato ti facevano eco
dentro il cervello, nel nero
silenzio della notte.
 
Torniamo a sperare
come primavera torna
ogni anno a fiorire.
 
E i bimbi nascano ancora,
profezia e segno
che Dio non s'è pentito.
 
Torniamo a credere
pur se le voci dai pergami
persuadono a fatica
e altro vento spira
di più raffinata barbarie.
 
Torniamo all'amore,
pur se anche del familiare
il dubbio ti morde,
e solitudine pare invalicabile…


Certo, poeti e scrittori sanno bene come trasmettere emozioni (altri consigli sono Raul Hilberg: La distruzione degli ebrei d'Europa e i diari di Etty Hillesum e le sue Lettere).

Ma se si vuole avere pugni allo stomaco e farsi idee reali, si potrebbe ascoltare anche la "viva" voce (finchè è ancora possibile) di chi ha vissuto, di chi ci è stato, leggere dati e documenti ufficiali e dettagliati di carico e scarico della "carne da macello", o magari rimanere in piedi sull'attenti per "sola" mezz'ora sotto un nubifragio con tuoni e fulmini a fianco del forno crematorio II di Birkenau, con un buio irreale fuori... e dentro.

 

Saul Friedlander