Titolo: To Explain the World: the Discovery of Modern Science
Autore: Steven Weinberg
Harper Collins, 2015
Steven Weinberg è un autorevole fisico teorico, premio Nobel nel 1979 per aver scoperto come unificare due delle quattro forze fondamentali della natura, autore anche di numerosi libri divulgativi, tradotti anche in italiano. Pochi scienziati conoscono la storia della scienza, ma un priviegio della carriera accademica è anche quello di potersi costringere ad imparare qualcosa impegnandosi ad insegnarla. Questa la decisione, alcuni anni fa, di Weinberg, il cui prodotto è anche questo gran bel libro.
"To explain the world" descrive la storia della scienza da Platone a praticamente i giorni nostri. Il suo approccio si distingue dalla sterminata letteratura sull'argomento nel giudicare le scoperte degli "scienziati" antichi e meno antichi con gli occhi dello scienziato odierno. Non si tratta solo di descrivere errori dovuti alla mancanza di tecnologia e strumenti matematici, ma di evidenziare come nel passato lo studio della natura fosse stimolato da valori o obiettivi che poco c'entravano con quello moderno di "spiegare il mondo".
Weinberg ne ha per tutti. La "ricerca" dei pre-socratici, di Platone e Aristotele, e di molti che seguirono, era più poesia che scienza. Platone pensava che la ragione fosse sufficiente a comprendere la natura. Aristotele, che si potesse studiarla teleologicamente, supponendo che tutto in natura abbia uno scopo. Nessuno dei pensatori antichi si poneva il problema di quanto le teorie corrispondessero ai fatti osservati. Non è che Aristotele non fosse intelligente quanto Newton, né si trattava, spiega Weinberg, di "pigrizia intellettuale, ma di snobbismo intellettuale che li portava a non considerare degna di nota l'evidenza empirica". L'approccio, ovviamente, ha portato quasi tutti fuori strada per svariati secoli, nonostante i progressi ottenuti in matematica e astronomia. Nella prima l'evidenza empirica contava nulla, nella seconda l'osservazione dei movimenti degli astri (ossia, l'evidenza empirica) era l'unico materiale su cui riflettere. In un certo senso i successi dei matematici dell'epoca ellenistica (e degli arabi successivamente) hanno giustificato e alimentato l'approccio platonico al metodo scientifico. In quella disciplina era sufficiente la ragione.
L'osservazione degli oggetti celesti ha permesso agli astonomi antichi di produrre una spiegazione abbastanza accurata dei movimenti dei pianeti che, fino ad un secolo dopo Copernico, si pensava orbitassero (attorno alla Terra) seguendo dei cerchi perfetti. Ma questo non concordava perfettamente con i dati. Weinberg descrive in modo accurato lo sforzo di far concordare teoria e osservazioni (si pensava che i pianeti ruotassero seguendo un cerchio, l'epiciclo, il cui centro ruotava seguendo un altro cerchio più grande, il deferente), che non è esclusivo della scienza moderna. Tuttavia, osserva, "[...] un segno della distanza fra la scienza antica e medievale e quella moderna è che nessuno dopo Tolomeo sembra aver preso queste discrepanze come guida per una teoria migliore".
Un altro problema è stata la commistione fra scienza e religione, durata in fisica fino al diciottesimo secolo, e in biologia anche successivamente. Esistono ovviamente numerosi scienziati contemporanei che credono in Dio, ma l'idea di ricercare quanto uno possa capire del mondo senza supporre un intervento sovranaturale è universalmente accettato dalla comunità scientifica solo da pochi decenni.
È stato Keplero a riuscire, interpretando le osservazioni di Tycho Brahe, a capire che i pianeti seguivano orbite ellittiche. Il problema delle ellissi non era solo di essere delle figure meno perfette dei cerchi. L'aspetto cruciale è che non esite un corpo solido la cui rotazione produca un'ellisse, e questo distruggeva il modello Aristotelico dei pianeti che orbitavano attorno alla Terra seguendo le rispettive sfere cristalline, ponendo la domanda di quale fosse la causa del loro orbitare. Gli studi di Copernico e Keplero convinsero molti dell'eliocentrismo del sistema solare non perché concordasse meglio con i dati. Le versioni più sofisticate del sistema tolemaico infatti concordavano altrettanto bene. Ciò che prevaleva nelle soluzioni di Copernico e Keplero era ancora una volta il valore platonico della semplicità e coerenza matematica della loro teoria.
Per questo, la vera rivoluzione scientifica è avvenuta non con Copernico e Keplero ma con Galileo e Newton. Galileo, con l'uso del telescopio riuscì a verificare le fasi di Venere, confermando l'ipotesi eliocentrica di Copernico e in questo modo falsificare, in modo (quasi) definitivo, l'approccio tolemaico. Inoltre, nello studio del moto degli oggetti, Galileo intraprese sistematicamente la pratica di fare scienza attraverso la manipolazione sistematica dei fenomeni naturali, strumento di fondamentale importanza dello scienziato moderno (oramai in voga anche in economia, nel bene e nel male, ma di questo ne parliamo un'altra volta). Non solo osservazione, magari casuale, degli eventi naturali, ma sperimentazione eseguita allo scopo di testare teorie sulla natura. Esperimenti erano stati eseguiti sin dai tempi più antichi, ma con Galileo la pratica iniziò a tutta forza: "madre natura cominciò ad essere trattata come un avversario i cui segreti dovevano essere strappati attraverso la costruzione ingegnosa di circostanze artificiali".
Newton è l'eroe del racconto di Weinberg, per aver trovato la soluzione ad un problema fondamentale per l'umanità, studiato da millenni, combinando i vari aspetti del metodo scientifico moderno: l'intuizione di un principio generale, la sua formulazione attraverso il metodo matematico (in questo caso, attraverso l'invenzione di una nuova branca della matematica) e la verifica sperimentale delle implicazioni della teoria. Newton ha il merito di aver intuito che l'approccio giusto per studiare il movimento degli oggetti del cielo era di abbandonarne l'analisi geometrica dei loro movimenti per passare a quella della dinamica delle forze che li muovono. Riuscì così, in un colpo solo, a spiegare che il movimento dei pianeti dipendeva dalla stessa forza gravitazionale che fa cadere le mele dagli alberi, unificando lo studio degli astri con lo studio delle forze sulla terra (con implicazioni filosofiche non indifferenti). En passant, inventò l'analisi differenziale, che gli serviva a descrivere la natura dell'accelerazione gravitazionale.
Weinberg racconta brevemente la controversia Newton-Leibniz sulla priorità nella scoperta del calcolo infinitesimale. Riassumendo: secondo le ricostruzioni moderne i due scienziati scoprirono il calcolo indipendentemente, ma, se Newton lo fece una decina d'anni prima, fu Leibniz il primo a pubblicare. Oggigiorno la scoperta viene attribuita a chi pubblica per primo, perché quanto l'autore decide di comunicare i propri risultati segnala che li ritiene corretti e degni di essere usati da altri. Ma la cosa ebbe strascichi: seguì una battaglia sull'attribuzione della priorità che rende poco onore ad entrambi (lettere anonime, commissioni pilotate...). La vicenda rivela quanto importante fosse sin dagli albori della scienza moderna l'attribuzione della priorità della scoperta, la peer-review dei risultati, la citazione delle fonti.
Così come fu fin dall'inizio importante riconoscere anche remunerativamente l'operato degli scienziati. Galileo, che insegnava a Padova, si spostò all'università di Pisa dopo aver accettato un'offerta di Cosimo II dé Medici che gli prometteva pari salario, ma senza l'obbligo di insegnare, e con l'offerta di risorse per costruire un nuovo cannocchiale. Salario, carico d'insegnamento, fondi di ricerca: le leve che le università di quasi tutto il mondo usano oggigiorno per attirare i migliori studiosi. Quasi tutto il mondo: non possono farlo le università di Padova, Pisa, e credo, Pyongyang. Contratto a parte, la scelta di Galileo purtroppo ebbe conseguenze nefaste sulla possibilità di continuare efficientemente i suoi studi: Firenze risentiva dell'influenza ecclesiastica molto più di Padova, che faceva parte della repubblica Veneta.
Ma torniamo, come promesso, al metodo scientifico e ai consigli per gli studenti. Nella storia, dall'antichità ai giorni nostri, si sono succedute diverse epoche di intenso progresso scientifico, seguite da altre di relativa stagnazione. Ne parla in dettaglio anche il bel libro di Lucio Russo qui recensito qualche anno fa. Ma in ogni periodo, oserei dire, gli scienziati hanno fatto quel che hanno fatto senza badare tanto a come farlo. Weinberg sottolinea che "c'è un lavoro attivo ed interessante in filosofia della scienza, ma ha pochissimo effetto nella ricerca scientifica".
Per esempio, sottolinea che Bacone e Cartesio sono "i più sovrastimati" scienziati dell'epoca moderna. Bacone, all'opposto di Platone, ha teorizzato che si potesse fare scienza solamente a partire dall'osservazione della natura. Ma ovviamente il progresso scientifico richiede non solo osservazione, ma anche teorizzazione di principi che possano essere testati da nuove osservazioni o esperimenti. Cartesio invece, influenzato dalla certezza del ragionamento matematico, pensava che i principi scientifici potessero essere dedotti con certezza solo con il ragionamento. Pur prendendo serie cantonate in vari ambiti, ha contribuito a notevoli scoperte in geometria e ottica, e ad unificare fisica e matematica in una sintesi poi sfruttata con successo da Newton; tuttavia, i suoi scritti sul metodo scientifico non hanno avuto secondo Weinberg un'influenza positiva sulla pratica scientifica, e nemmeno sulla sua stessa ricerca.
Il progresso nella scienza è stato invece principalmente quello di "scoprire quali domande porsi", ma "nulla nella pratica della scienza moderna è ovvio a chi non l'ha mai vista fare". E ancora "Galileo non ebbe bisogno di Bacone per sapere di dover fare esperimenti, e nemmeno Boyle o Newton". Tantomeno, aggiungo io oggi, impariamo a fare scienza leggendo Popper o Lakatos, che hanno scritto cose più ragionevoli di Bacone. Brutalmente (dico io, non Weinberg): la scienza è quello che fanno gli scienziati che si ritengono tali (e che la gente paga per essere, non dimentichiamolo)
Secondo Weinberg l'attività scientifica è stimolata dal piacere che si ottiene quando il metodo che usiamo riesce a spiegare qualcosa. Non è proprio così. L'attività scientifica è stimolata dal piacere che ottengono i nostri colleghi quando riusciamo a spiegare loro qualcosa, o almeno, quando pensano che succeda. Questo, credo, sia stato vero sia ai tempi di Platone, sia nel medioevo, sia oggi, con regole più o meno codificate di peer-review. Questo porta anche la scienza e gli scienziati, qualche volta, a prendere delle tangenti che non portano da nessuna parte, magari per diversi secoli. La scienza è fatta di mode sia nel metodo che negli obiettivi, e qualche volta le mode sono produttive, qualche altra no, ma non c'è altro modo, che io conosca, per imparare a spiegare meglio il mondo che ci sta attorno.
Mi spiace che il libro sia in inglese, ma non credo che la traduzione italiana tarderà ad arrivare. Se non vi ho ancora convinto a darci un'occhiata, ve ne racconto due altri pregi. Primo, è relativamente breve, circa 260 pagine di testo. Secondo, contiene un'ulteriore centinaio di pagine di note tecniche che ho trovato interessantissime. Ci spiegano usando poche nozioni di algebra e geometria da scuola superiore come gli scienziati dell'antichità siano giunti alle loro scoperte - ad esempio, calcolare la distanza e le dimensioni del sole e della luna, la dimensione della terra, ed altre chicche davvero interessanti ed istruttive.
da come lo racconta sembra essere un libro molto interessante da leggere assolutamente.