Ho voluto rileggermelo subito perché mi sono accorto che era composto da due livelli, e volevo riassaporarmi il secondo. Il primo strato racchiude la trama piuttosto lineare e a volte anche divertente, il viaggio attorno al globo alla ricerca di una soluzione per un triviale fastidio fisico. Il secondo strato, intanto che il racconto si inoltra in luoghi remoti ed esotici, accompagna dentro un viaggio spirituale, non particolarmente impegnato e filosofico, ma accattivante perché personale e anche emozionante. Risolvere l'origine del fastidio fisico si intreccia con il bisogno di una serenità emotiva, e la soluzione, per quanto apparentemente banale, funge da inaspettato equilibrio spazio-temporale per il protagonista: la tecnologia ideale per muoversi senza dolori, facendosi trasportare, rassegnati, da un'età all'altra.
Chi è abbonato a Wired Italia avrà già letto in anticipo (nei numeri di aprile e maggio 2009) il contenuto di un capitolo che indagava sul legame tra tecnologia e spiritualità. La narrazione difatti si basa sull'esperienza in prima persona con diversi sciamani (in Argentina, Denver, Los Angeles, Vicenza, Liguria fino a finire in India), e il loro rapporto con la tecnologia moderna utilizzata per aprire un varco verso il metafisico. L'autore fa da cavia, cercando semplicemente una cura per il proprio mal di schiena, ma con uno stile giornalistico e humour anglosassone lascia al lettore decidere chi sono i ciarlatani e chi no. Sotto questo aspetto il libro è piuttosto coinvolgente perlomeno per chi è incuriosito dall'India perché il racconto verso la fine si immerge nell'induismo e nello yoga ashtanga.
Finito di leggerlo una prima volta, mi è capitato di rivedere questo vecchio episodio di Spazio 1999 (Il pianeta incantato). C'erano una serie di paralleli con il libro, riguardo la convergenza tra tecnologia e spiritualità che mi hanno spinto a rileggermelo.
Per chi non avesse capito niente dalla mia recensione, qui c'è l'intro, la bio, un capitolo, e altro. E questa e questa sono delle recensioni forse più descrittive.
Non sono mai stato incline alle speculazioni spirituali, soprattutto nei riguardi di quelle che si fanno attorno alla tecnologia. Un vecchio motto in voga tra gli informatici di diversi anni fa diceva pressapoco "chiunque, salvo gli addetti, usi un programma [per computer] ben fatto lo crede magia".
Nell'intervista in wired, la frase che ho trovato più significativa è: "Il convincimento spirituale che Dio è un Algoritmo e che bisogna solo entrare in sintonia con questo algoritmo."
Insomma siamo umani e la razionalità spesso è sopraffatta dall'emisfero della emotività. Eh, si, è inevitabile, il titolo attrae per il suo accostamento intrigante che non può non calamitare l'attenzione in chi lo vede.
Io però non ho capito se l'autore ci crede o no, insomma, si è tecnosciamanizzato? :)
Dopo aver visto questa intervista su RaiNews24 non l'ho capito neanch'io se ho perso il fratello famoso al tecnosciamanesimo :-)