Per chi non lo ricordasse, Yegor Gaidar è stato, nel periodo 1991-1994,
Primo Ministro, Ministro dell’economia e vice Primo Ministro della Russia. Più
tardi è stato eletto alla Duma. Da alcuni anni ha abbandonato la vita pubblica,
anche se nel novembre scorso è stato ancora protagonista delle cronache per il suo
misterioso avvelenamento avvenuto in Irlanda, poco dopo
quello di Litvinenko. Ha appena completato un libro, The Collapse of an Empire: Lessons from Modern Russia, che verrà
pubblicato da Brookings Institution Press
il prossimo 30 luglio. Ne trovate una breve sintesi (in inglese) qui. Quello che segue è il riassunto della sintesi.
Pane e petrolio: queste sono le due parole chiave per capire il crollo
dell’impero sovietico secondo Gaidar. Pane in realtà deve essere inteso in
senso lato, come beni agricoli, granaglie in primo luogo. L’agricoltura
sovietica è stata sempre in crisi, almeno da quando Stalin decise, negli anni
’30, di espropriare la terra ai contadini, per passare alla collettivizzazione
dei lavori agricoli. Se prima della Prima Guerra Mondiale la Russia era il
primo esportatore di granaglie al mondo, negli anni ’60 era diventato il più
grande importatore, più di Giappone e Cina messi assieme. E come venivano pagate le
importazioni di beni agricoli? Non certo con beni industriali, la cui qualità
era così scadente che nessun Paese (esclusi quelli del blocco comunista che non
avevano molta scelta) era disposto ad accettarli come contropartita. L’unico
bene che l’Unione Sovietica poteva offrire per pagare le sue importazioni era
il petrolio.
Per tamponare una crisi dell’agricoltura sempre più grave, già
negli anni ’70 i pozzi petroliferi sovietici venivano sfruttati in modo
eccessivo, causandone un rapido deterioramento. Ma Breznev non aveva scelta se
non voleva affamare la popolazione sovietica (e quella del blocco comunista).
Poi, all’inizio degli anni ’70, il colpo di fortuna: la crisi petrolifera fece
schizzare alle stelle il prezzo del petrolio e questa fu una boccata d’ossigeno
per l’economia sovietica. Ma questo colpo di fortuna fu completamente sprecato
dalla dirigenza sovietica. Così come le enormi riserve di oro e argento dalle
colonie avevano anestetizzato l’economia dell’impero spagnolo tra la fine del
1500 e l’inizio del 1600, l’alto prezzo del petrolio rinviò ogni piano di
ammodernamento dell’industria sovietica. L’unica strategia del Politburo fu
quella di ordinare al KGB di alimentare il terrorismo nei Paesi arabi per tenere alto il
prezzo del petrolio. Poi ci fu l’invasione dell’Afghanistan e l’inizio della
fine. L’Arabia Saudita capì che essa era il primo passo verso un tentativo di controllo sovietico dei
campi petroliferi del Medio Oriente e decise di chiedere la protezione degli
Stati Uniti. E per averla fece un gesto di buona volontà: il 13 settembre
1985 lo sceicco Yamani, il ministro del petrolio, annunciò che la produzione di greggio saudita sarebbe drasticamente aumentata, facendo così scendere il suo
prezzo. A quel punto l’agonia dell'Unione Sovietica era iniziata e l’unica incertezza era
la data della sua dissoluzione.
Con un basso prezzo del petrolio, i leader
sovietici avevano tre opzioni.
Potevano rinunciare al blocco orientale, riducendo i sussidi versati alle
nazioni satelliti e, anzi, vendendo loro il petrolio sovietico ad un prezzo di
mercato. Questa soluzione, però, era ideologicamente costosa, perchè
significava negare i risultati della Seconda Guerra Mondiale. Nessun membro del
Politburo ebbe il coraggio di suggerirla, poiché sapeva che avrebbe rischiato
di perdere il suo posto al top della nomenklatura.
Oppure potevano ridurre le importazioni agricole, razionando il cibo. Ma i
dirigenti sovietici sapevano che ciò avrebbe comportato una dura rivolta
popolare, dalle conseguenze incalcolabili.
Infine, potevano ridurre le spese per l’apparato militare. Ma l’economia di
intere regioni dipendeva dalla produzione militare. Non era escluso che la
leadership di tali regioni avrebbe guidato la rivolta contro i dirigenti
centrali, se tale decisione fosse stata presa.
Il Politburo scelse di non scegliere e aspettare. Per pagare le
importazioni agricole, nel 1989 il governo sovietico chiese un prestito di 100
miliardi di dollari ai governi occidentali (nessuna banca avrebbe mai concesso
prestiti all’Unione Sovietica). Ma la richiesta di un prestito così ingente
significava di fatto la fine del potere sovietico sul blocco orientale. I
leader polacchi capirono per primi che l’Unione Sovietica non avrebbe mai
mandato i carri armati per reprimere le manifestazioni di piazza organizzate da
Solidarnosc. Al vertice di Malta del 1989 Gorbaciov lo garantì esplicitamente
all’allora Presidente Bush Sr. Sei settimane dopo, non c’era più alcun regime
comunista nell’ormai ex blocco sovietico. Ma ormai anche la crisi interna era
matura. Quando ci furono le prime rivolte nei paesi baltici, i governi
occidentali dissero a Gorbaciov che poteva fare quello che voleva, dato che era
una questione interna dell’Unione Sovietica. Naturalmente, se avesse usato la
forza, poteva però scordarsi il prestito. A questo punto Gorbaciov si trovava
di fronte ad un dilemma insolubile. Uno stato che non ha risorse economiche e
non può difendere le frontiere è già morto, dice Gaidar. La fine avvenne, come sappiamo,
nell’agosto 1991 con il fallito colpo di stato.
Quali sono le lezioni che Gaidar trae da queste vicende? In primo luogo, ci
ricorda che l’economia sovietica dipende ancora dal petrolio e dal gas (avrete
letto in questi giorni che Putin vuole annettersi anche una parte del Polo Nord
con ricche riserve di petrolio e gas)e
che quindi ha sempre fragili fondamenta. In secondo luogo, che i regimi
autoritari sono fragili nei momenti di crisi. Nei momenti di stabilità solo una
minoranza sente come intollerabile la mancanza di libere elezioni. Nei momenti
di crisi, la tolleranza dei cittadini verso gli autocrati svanisce rapidamente
e il contratto sociale entra in crisi. Gaidar conclude affermando che una vera
democrazia non è un dogma imposto dai Paesi Occidentali, ma una precondizione
peruno stabile sviluppo della Russia.
Le sue tesi spiegano in modo evidente perchè
in molti abbiano visto la mano dell’attuale governo russo dietro il suo avvelenamento (anche se non c'è nessuna prova in tal senso). Ma il punto più importante, a mio avviso, è se la
Cina sia una disconferma del paradigma di Gaidar o se, invece, nel lungo periodo il
Partito Comunista diventerà un ostacolo allo sviluppo economico cinese. Come diceva Battisti (Lucio), lo scopriremo solo vivendo.
Molto più plausibile delle teorie che vedono il riarmo di Regan come causa del crollo.
Io direi coerente con l'idea che la corsa al riarmo di Reagan sia stata la classica paglia che ruppe la schiena dell'asino, no? Alla fin fine, qualcosa deve pur aver reso il regime incapace di trovare le risorse necessarie per sfamare il popolo. Che siano state solo le spese militari, lo dubito anche io. Che abbiano senz'altro accelerato il processo mi sembra difficile dubitarlo. Fausto, che dice la nostra fonte a questo proposito?