Lo chiamavamo "il boss". Non perché avesse toni o atteggiamenti mafiosi, tutt'altro, ma perché i suoi (e i nostri) comportamenti non davano adito a dubbi su chi stesse sopra e chi sotto nella gerarchia. Monti era il boss. Ci riceveva nel suo ufficio, sedendo al tavolo lungo pieno di carte, non alla scrivania, sotto la sua foto con Jim Tobin a Yale. Ci trattava con gentilezza ed educazione estrema, molto formale - il giorno dopo la laurea il "buongiorno Bisin" è immediatamente diventato e rimasto "buongiorno dottor Bisin". Ma naturalmente pretendeva lo stesso per sé. Giacca e cravatta erano un must (perfino Danilo metteva la cravatta; sospetto questa sia la principale ragione per cui il nostro Sandro Brusco chiese a un altro professore di essere relatore di tesi). Un giorno che dopo averci parlato me la sono tolta e l'ho incontrato in corridoio, mi disse "ma lei Bisin un minuto fa non aveva una cravatta?" - e non scherzava affatto, era davvero un po' disturbato. Ci si rivolgeva a lui come "professore" se a parole, e come "chiarissimo professore" se per iscritto. E non solo noi studenti. Non ho mai sentito nessuno dargli del tu. O meglio, una volta, mentre ero nel suo ufficio fui interrotto da un economista che io allora conoscevo solo di nome, celeberrimo in Italia, che entrò e lo chiamo' "Marione". Quando uscì, Monti, disse tra sé e sé: "che mi chiami Marione proprio non lo sopporto." Mi sentii allora importante, parte di un segreto del boss (e quindi non rivelo chi fosse l'economista). Ascoltava il nostro spiel sui progressi nella tesi - preparato attentamente davanti allo specchio perché fosse preciso, conciso, chiaro - ogni due tre settimane, con estrema attenzione senza mai dire una parola (almeno nel mio caso).
La sua forza di attrazione per noi giovinetti con vaghi sogni accademici derivava dal fatto che poteva influenzare la scelta di parecchie borse di studio per studiare negli Stati Uniti e aveva una ottima reputazione presso i dipartimenti USA che gli permetteva di piazzare studenti. Dopo tutto aveva "prodotto" Guido Tabellini, Alberto Alesina, Vittorio Grilli... Il mio anno mandò qui in Amerika, oltre a me, Roberto Perotti, Luigi Zingales, Antonio Merlo, Francesca Cornelli, Laura Bottazzi, Danilo Guaitoli, Pino Lopomo, e sicuramente altri ancora. A tutti questi (credo) trovò borsa di studio e aiutò per l'ammissione. A tutti noi ha soprattutto dato modo di avere contatti con Guido, Alberto, Vittorio, e altri che erano già stati via o che erano ancora via ma che tornavano di tanto in tanto, che ci hanno aiutato molto - con informazioni e suggerimenti. Insomma, ha creato un'atmosfera in cui l'andare all'estero a studiare era una possibilità. Di questa atmosfera hanno usufruito moltissimo anche quelli che non erano sponsorizzati da lui, in Bocconi e fuori.
Insomma, tutto sommato gli dobbiamo per l'aiuto - non ci ha mai chiesto nulla - anche se alcuni di noi hanno lavorato in Bocconi prima di partire, per puro spirito di sacrificio. Non è stato facile interagire con lui - e non è un caso che la maggior parte di noi non ha mantenuto rapporti. Però mi ha chiamato quando alcuni anni fa la Bocconi mi ha fatto un'offerta - una telefonata difficile, incrostata di imbarazzo - non mi ha fatto piacere sentirmi ancora piccolo piccolo al confronto col boss.... - ma è iniziata con "buongiorno professor Bisin".
Semmai diventasse ... e riuscisse ... si, insomma ...., uno come lui quanto può concedere a questo parlamento a questa politica? Fino dove potrebbe spingersi al compromesso con quei veicoli vocianti che stanno colà?
Non è Springsteen, giusto?