Dico subito che il libro si inserisce nel filone del romanzo storico, senza essere il classico polpettone, ma anzi è un libro molto ben documentato e con una ricca bibliografia, non fa quindi forzature storiche e voli pindarici, e anche quando racconta “leggende metropolitane” sono ben evidenziate come tali nel contesto, come ad esempio la storia della fontana della palla in Latina, se andate sul posto ve la sentirete raccontare tale e quale.
Non intendo fare il riassunto del libro, compratevelo (Pennacchi non mi dà niente, è una marchetta a gratis, nemmeno napoletanamente “caffè pagato”), ma intendo evidenziare alcuni punti del libro, quelli più interessanti dal punto di vista di una discussione.
Il primo punto è quella molla che spinge tanti a emigrare, siano neri, gialli o bianchi, le parole usate da Pennacchi mi sembrano decisamente meglio delle mie, gli lascio (volentieri) la parola:
Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perchè se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Lì eravamo sempre stati e lì stavano tutti i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini. Ogni pianta. Ogni canale. Chi ce lo faceva fare a venire fino a qua? Pag.1
Altro spunto interessante è che nel 1932 i Veneti, i Ferraresi (che son quasi veneti) e i Friulani si puzzassero letteralmente di fame e vivessero (male) di agricoltura: son passati 80 anni e trainano il resto d'Italia. Nota mia: questo articolo ho cominciato a scriverlo quasi due mesi fa, prima delle polemiche su nFA Nord-Sud, se pensate che questo punto serva solo a rinfocolare stupide polemiche toglietelo. [Well, è rimasto ... NdR]
Il secondo punto è che, come ben chiaro nel libro, il fascismo (la politica) decise di fare alcune cose (come ad esempio le bonifiche), ma furono poi uomini e organizzazioni dello Stato a realizzarle, che magari non erano nemmeno fascisti, ma forse, semplicemente, onesti e capaci. Bellissima la descrizione della nascita di Littoria (Latina). Anche qui Pennacchi è molto meglio di Marco Esposito [Pagg 163-167]:
Per bonificare Piscinara il Consorzio [privato, NdME] si era dato sette anni di tempo, fino al 1936, poi arriva la Opera Nazionale Combattenti [l'Ente fascista della bonifica, NdME], che era peggio di Eddy Merckx e nel 1935 tutte le Paludi Pontine erano non solo prosciugate, ma piene di case, borghi e città.
[...] Cencelli (responsabile ONC) però s'era pure pensato “Ma questa è un'Olanda sterminata, come farà questa gente che ci stiamo portando? Non gli servirà anche un'anagrafe o un cimitero?”...tra il febbraio e il marzo del '32 gli era venuto in mente “sai che c'è? Mò faccio una città”.
Quando il 5 Aprile del 32 [due mesi dopo, NdME] il Duce e Rosoni vennero in palude per un giro d'ispezione ... gli fece vedere di qui e di là, puntando il dito in ogni direzione “Qui faccio la chiesa, là il comune, là il cimitero..
“Ma Cencelli sei impazzito?” si incazzò il Duce “Questa è una città, ch'at vègna un càncher”. Bisogna infatti sapere che il Duce all'inizio era contrario alle città. Non le poteva vedere.
Molto bella e divertente la ricostruzione romanzata dei dialoghi, sta di fatto che Mussolini acconsente a un “comune rurale”, ma il Cencelli era, come dice Pennacchi “un carro armato con l'elmetto in testa”. Cencelli però si rende conto che il disegno della città era stato fatto dai suoi tecnici, che erano tecnici agrari:
“Ma che vuoi che capiscano questi ? Questi capiscono di canali e paludi, ma a me per una città ci vuole almeno la supervisione artistica di un architetto”. Così ne ha fatto arrivare uno da Roma - Oriolo Frezzotti - e gli ha detto “In quarantott'ore voglio un progetto nuovo e completo, se no non ti pago”. Era il 6 o 7 aprile quando ha chiamato l'architetto, e il 30 Giugno c'erano già tutti i campi picchettati, le imprese sul terreno e la buca scavata della torre comunale.
Nel frattempo il Cencelli convoca i giornali e spedisce gli inviti per la posa della prima pietra, i giornali titolano “Nasce Littoria, la nuova città”, il Duce s'incazza come una iena e vorrebbe strozzare il Cencelli, Rosoni lo calma, sta di fatto che il Duce non va alla posa della prima pietra e manda un biglietto autografo ai giornali:
“Tutta quella rettorica a proposito di Littoria, semplice comune e niente affatto città, Est in contrasto assoluto colla politica urbanistica del Regime Stop Anche la cerimonia della posa della prima pietra Est un reliquato di altri tempi Stop Non tornare più sull'argomento – Mussolini.
[...]
La notizia era ormai arrivata alla stampa estera, che aveva cominciato a scrivere sui giornali di tutto il mondo “Questi fanno le città”. E tutti ammirati. A bocca aperta. E cominciarono a voler venire a vedere di persona - sul posto - dall'America, alla Russia, dalla Thailandia all'Ungheria. A vedere come si faceva.
Il Duce cambia idea e se ne arroga il merito.
E il 18 Dicembre 1932, neanche sei mesi dalla posa della prima pietra a cui non era voluto nemmeno venire, venne proprio lui a inaugurare Littoria in pompa magna. E dopo non ha smesso più di fondare città a iosa.
Potrei fare della facile ironia sui politici di oggi e gli “uomini del fare” (affari), ma secondo me di gente come il Cencelli non c'è più nemmeno la traccia genetica in Italia. Pennacchi:
L'Opera invece gli dava le mazzate in fronte alla ditte. Stavano sempre lì a fargli i peli e non si contano i lavori che Cencelli gli ha contestato senza più pagare:” Fammi causa. Anzi ti faccio io causa a te” e li obbligava a rifare due volte i lavori. Li ha mandati per stracci. Certe ditte le ha fatte proprio fallire. “Se nun si bbono a lavorà - era reatino - meglio che mori”. Pag.233.
Il terzo punto, quello fondamentale è l'integrazione di un gruppo di uomini e donne con usi e costumi diversi da quelli del luogo di destinazione, un tema non facile nell'Italia di oggi. Mi sembra doveroso riportare le parole di Pennacchi:
Fu un esodo. Trentamila persone nello spazio di tre anni – diecimila all'anno - venimmo portati quaggiù dal Nord. Dal Veneto, dal Friuli, dal Ferrarese. Portati alla ventura in mezzo a gente straniera che parlava un'altra lingua [Grassetto nostro]. Ci chiamavano “polentoni” o peggio ancora “cispadani”. Ci guardavano storto. E pregavano Dio che ci facesse fuori la malaria. Pag. 137
Due altri spunti niente male sono sui “verdi” e su certe “idee economiche”. Dei verdi Pennacchi dice :
“altrochè l'ecocidio di cui parlano alcuni, per i quali la palude sarebbe stata un ecosistema che avremmo dovuto ad ogni costo proteggere. E sì, no? Mò proteggevamo la zanzara e la malaria? Pag.209
Delle idee economiche:
Veda un po' se è vero o no che la quota 90 ha ammazzato i contadini italiani. Pag. 125
Ma il libro è una continua miniera di spunti interessanti, dai filò dei contadini veneti, ai sistemi di agricoltura “tradizionale” (qualcuno sa dire perchè era una buona pratica bruciare le stoppie, pratica oggi vietatissima?), c'è il perchè (logico, assolutamente logico) le terre siano state date a contadini venuti da fuori, e non ai sezzesi che l'abitavano da tempo, c'è l'anticlericalismo veneto sintetizzato dalle parole d'ordine Monti e Tognetti , c'è la storia del fascistissimo ebreo Barany, a cui fu dedicato il distretto militare di Littoria, e tale rimase anche dopo le vergognose leggi sulla razza, ma ci sono soprattutto i tanti dialoghi, anche in veneto, a rendere viva una storia.
Buona lettura a tutti, e se qualcuno conosce Pennacchi gli dica di pagare almeno un caffè a Marco Esposito. Un consiglio ulteriore è quello di andare a fare un giro a Sabaudia o Latina (Sabaudia tra l'altro è una località turistica) per vedere come anche in Italia si siano potute fare delle cose senza distruggere l'ambiente, mentre il resto dell'agro pontino è inguardabile, essendo diventato un guazzabuglio di case e villette stilisticamente improbabili e inguardabili. Italia, appunto.