Il primo paragrafo è rappresentativo dei contenuti del libro e del suo stile, un po' incazzato ma soprattutto ironico:
La pianeggiante Comunità montana di Palagiano è unica al mondo: non ha salite, non ha discese e svetta a 39 (trentanove) metri sul mare. Con un cucuzzolo che troneggia himalaiano a quota 86. Cioè 12 metri meno del campanile di San Marco.
Chi non ha tempo per leggersi le restanti 300 pagine, può fermarsi qui, o può leggere il primo capitolo. Il resto è una variazione sul tema: una collezione impressionante di aneddoti sui costi, i privilegi e gli abusi della politica italiana.
Il libro non contiente un'analisi sistematica dei costi della politica (di tipo scientifico, intendo). Le parti più interessanti per noi economisti sono i dati che riportano il confronto dei costi del Quirinale con i costi di Buckingham Palace (costa di più il Quirinale, quasi il quadruplo, ma costava quasi lo stesso nel 1992), e le tabelle in fondo al libro, che documentano (in modo però un po' troppo approssimativo) come i costi della politica siano aumentati negli ultimi 20 anni molto più dell'inflazione.
Rizzo e Stella sono giornalisti di professione, e questo si riflette sui contenuti. Il loro intento è di documentare vari fatti già riportati sulla stampa; molti capitoli riprendono articoli pubblicati dagli stessi autori sul Corriere. Il valore aggiunto del libro è che i fatti sono riportati tutti assieme, in maniera ordinata e sistematica (si parte dalla descrizione dei costi del Quirinale, per passare al Parlamento, alle Regioni, Provincie, Comuni, etc...), e senza risparmiare nessuno: né la Sicilia né la Val d'Aosta, né Forza Italia né Di Pietro, né il Quirinale né i consigli di circoscrizione.
La quantità di aneddoti riportati è notevole, e ci sarebbe da ridere se gli italiani non pagassero questi privilegi ed abusi di potere con il loro sudore. Per esempio il libro racconta del parlamentare eletto con ripescaggio a fine legislatura che recepisce il vitalizio da migliaia di euro al mese senza mai aver passato un giorno in parlamento (pag 109); racconta del consigliere comunale di Napoli nominato da Berlusconi all'authority per la privacy condannato tempo addietro per avere violato la privacy dei colleghi assessori (si era procurato i tabulati delle telefonate fatte con i cellulari in dotazione - pag. 170); della consulenza ordinata dalla provincia di Massa Carrara alla maga Mirka causa "sfiga cosmica cagionata ... da Iosif Stalin, Pol Pot" (pag. 174); della commissione anti-sprechi istituita nella regione Veneto che ha speso 340 mila euro per produrre in 36 mesi la miseria di tre documenti (pag. 205); della presidenza di Autovie Venete, la concessionaria dell'autostrada Venezia-Trieste, affidata al condannato per mazzette pagate dalla DC alla stessa società (pag. 209); dei condoni edilizi concessi sin dal 1980 dal comune di Cirò senza che venissero pagate le multe previste dalla legge (pag. 234); e così via.
Se un piccolo difetto esiste nel libro, consiste secondo me nella scarsa documentazione dei fatti: un analogo saggio pubblicato da un editore americano avrebbe speso circa un terzo delle pagine del volume per includervi note con le citazioni dettagliate di articoli di giornale e fonti ufficiali dove i fatti possono essere verificati. Ma per il lettore medio non credo questo sia un grosso problema.
Si tratta di un esercizio demagogico e populista? Gli autori se lo chiedono almeno due volte, sorvolando sulla risposta, e sottintendendo che, anche se lo fosse, certi eccessi vanno riportati e devono essere conosciuti dalla maggioranza dei cittadini/elettori.
Sono pienamente d'accordo sull'utilità di fornire le informazioni riportate sul libro, ma vorrei soffermarmi sull'accusa di demagogia riflettendo su uno dei punti più dibattuti del libro, il compenso dato ai parlamentari, valutato (aggiungendo al compenso base le varie indennità) in circa 12 mila euro mensili netti. La cifra può sembrare una mostruosità se confrontata con lo stipendio di lavoratore medio italiano, ma fa certamente sollevare qualche punto di domanda sulla convenienza ad entrare in politica per un bravo imprenditore o professionista, in Italia, e soprattutto all'estero (dove molti imprenditori e professionisti bravi oggi stanno). Se lo stipendio di un parlamentare non è in grado di attirare queste figure professionali, chi resta a fare politica?
L'altro aspetto meritevole di considerazione è la descrizione della quantità di benefici e prebende in dotazione ai parlamentari (in aggiunta al compenso monetario di cui sopra): il treno gratis, il caffè a poche lire, l'indennità per il parrucchiere, etc... Anche qui mi chiedo, se il parlamentare negozia che parte dello stipendio debba essere corrisposto tramite biglietti del treno piuttosto che in biglietti da 20 euro, dov'è lo scandalo? Il gelato alla mensa della NY Fed io lo pago 75c. (56 eurocent), mentre fuori costa almeno il triplo, credo di poterlo scrivere senza sollevare turbative finanziarie. Perché un parlamentare non può avere un beneficio simile?
Io credo che il problema stia nella quantità e nell'estensione di questi privilegi: i pasti, il caffè, il parrucchiere, l'auto blu, la pensione con 5 anni di contribuzione, etc... e la crescita esponenziale dei loro costi negli ultimi anni. Non tanto perché non sia lecito compensare il parlamentare/lavoratore in forme alternative alla cartamoneta, ma perché queste forme alternative rendono difficile al pubblico la valutazione dei costi del parlamento. Così come sono difficilmente quantificabili i costi del "potere" della "politica" di assegnare amici, parenti e conoscenti alle innumerevoli cariche pubbliche (authorities, società concessionarie, etc..), ed i costi della proliferazione delle stesse.
Aneddoti sugli abusi di potere della politica se ne possono trovare, credo, in tutti i paesi del mondo. Il valore del libro mi pare sia quello di documentare l'estensione abnorme che tali abusi hanno assunto in Italia. Questo secondo me andava chiarito dagli autori e li avrebbe protetti ulteriormente dalla possibile accusa di "fare demagogia" che alcuni politici hanno sollevato. A qualche mese dalla pubblicazione, mi sembra che il libro abbia avuto il pregio di dare uno scossone all'opinione pubblica che, mi pare, si stia stancando di stare solo a guardare, ed in questo noi non possiamo che fornire il nostro pieno supporto.
Be',
questo fatalismo mi pare una forma di determinismo storico da far
invidia a un marxista ortodosso :-) E' chiaro che quel che accade
sulla scena della storia ha sempre delle ragioni dietro, ma questo non
implica che si debbano per forza dare giudizi positivi sugli attori, o
sulle premesse. Semmai, (seguendo Santayana
) a me sembra che la lezione da trarne sia che un paese che dipende in
misura crescente dalla forza militare prima o poi deve accettare seri
compromessi con le liberta' repubblicane (un altro caso esemplare e'
quello del Bonapartismo).