Il testo della lettera chiedeva [la numerazione è mia]:
Sono uno dei ragazzi [...] e un lettore del suo libro sul Signore Oscuro. Pur condividendo il ragionamento di fondo sulla competizione cinese, mi sono venuti in mente alcuni elementi che hanno incrinato le mie convinzioni superliberiste.
Gliele espongo e le sarei veramente grato se potesse confutarle per me, perché adesso come adesso non trovo soluzione:
[0] La riqualificazione dei lavoratori verso la produzione di beni nuovi può avvenire grazie alla nuova domanda generata dai risparmi di spesa dovuti al minor prezzo dei beni cinesi. Questo dovrebbe mantenere i livelli occupazionali in Europa.
[1] Ora io mi chiedo: noi possiamo anche riqualificarci verso nuovi prodotti ma per quanto tempo riusciremo a farlo? Un giorno la Cina avrà colmato il gap tecnologico e potrà produrre a prezzi inferiori anche quei prodotti high tech o ad alto valore aggiunto che oggi facciamo noi. E questo perché le aziende cinesi hanno economie di scala ben piu grandi delle nostre. Quand'anche avessero gli stessi nostri salari e il nostro livello dei prezzi, le loro economie di scala li renderebbero sempre piu competitivi!
[2] Inoltre, concentrarsi solo su pochi settori (lusso, turismo) non pone un serio rischio alla nostra economia (mancata diversificazione?) Ad esempio, se l'Italia diventasse una "powerhouse" del lusso globale, vendendo solo capi di alta qualità non copiabili dai cinesi e protetti dal brand "Made in Italy", potrebbe anche accadere che tutti e 60 milioni di Italiani trovino lavoro nella produzione di questi beni. Ma cio esporrebbe l'intera economia italiana alle fluttuazioni dei capricci modaioli mondiali. E se l'Italia non piace piu? A noi cosa rimane?
[3] Ultimo punto: come si può realisticamente pensare di riqualificare un operaio manifatturiero in un produttore di satelliti? Riqualificare vuol dire ri-educare le nuove generazioni, processo che dura 40 anni! Inoltre, per mantenere il vantaggio tecnologico sulla Cina, sarebbe necessario investire in R&D molto di piu di quanto venga fatto.[4] Credo che un mix di problemi economici e incapacità dei politici porterà presto l'Italia alla disoccupazione (i salari in Italia sono troppo "sticky", col piffero che calano!).
Andiamo per ordine.
[0] Non è solo che i beni cinesi a minor costo generano risparmio di risorse che possono essere utilizzate in altre attività (che è vero). Va anche e sempre ricordato IL VINCOLO DI BILANCIO DEI "CINESI" (qui "Cina" e "cinesi" sta per qualsiasi paese che non sia l'Italia e con il quale si commerci via import/export). Ossia: se i "cinesi" (virgolettato per l'ultima volta) producono merci per valore aggiunto di 100 o ben le vendono a terzi o se le consumano. Se se le consumano, non "tolgono" il posto a nessuno. Se le vendono a terzi, questi terzi dovranno pur acquistare quelle merci con qualcosa, no? Non solo, i cinesi dovranno pur voler comprare qualcosa con ciò che guadagnano, o no? Detto altrimenti: o ci fanno credito per sempre su tutto (whow!) o per ogni 100 che ci vendono deve esserci, a lungo andare, 100 che ci comprano. Qui sento già il piccolo Voltremont (che è purtroppo penetrato, come uno stridulo baco, nella testa di 4/5 degli italiani) ribadire saputello: ma se ci triangolano comprando le loro merci in Germania o in India!? L'unica triangolata, in quel caso, sarebbe la logica: perché i tedeschi, vendendo ai cinesi, quei 100 di valore aggiunto da loro prodotto e guadagnato, dove lo spendono? Spero ci si sia capiti una volta per sempre: si chiama vincolo di bilancio ...
[1] Un mito si aggira nel dibattito sul commercio internazionale: le economie di scala legate alla dimensione del paese. Fantasie: non esiste un pelo di evidenza statistica o storica (ancor meno teorica) che tali economie di scala esistano, prima ancora di essere empiricamente rilevanti. Per svariate ragioni. (i) Le economie di scala sono a livello di impianto o di impresa. Basta guardare dove l'innovazione e la crescita della produttività sono avvenute negli ultimi decenni per capire che, anche a livello micro, le economie di scala si esauriscono presto: pensate all'industria del software, alle bio-tecnologie, alle medicine ed alle tecnologie mediche, eccetera. Domina il piccolo ed il medio, quache volta il grande: il gigantesco non c'è mai. Ora pensate ai "disastri" e vedrete accadere l'opposto. (ii) Se le economie di scala dovute alla dimensione del paese in cui l'azienda "risiede" o "ha la propria sede" fossero rilevanti, le aziende USA avrebbero massacrato quelle europee (e del resto del mondo) da un secolo a questa parte. Gli esempi sono a iosa, quindi lascio al lettore continuare con essi. (iii) Ammesso e non concesso che le economie di scala siano rilevanti nel processo di cambio tecnologico (di nuovo, l'esperienza contraddice questa ipotesi) l'unico fattore determinante sarebbe la dimensione del mercato. Se così fosse allora è MOLTO BENE, per le aziende di un paese piccolo come l'Italia, avere accesso ad un gigantesco mercato come quello cinese perché questo permette loro di avvantaggiarsi delle (supposte) economie di scala. Senza accesso al mercato cinese tali economie di scala non possono essere sfruttate e si rimane meno produttivi! (iv) Infine se il fattore che conta per le supposte economie di scala è la moneta comune o qualcosa del genere, allora vale la pena notare che lo spazio europeo oggi ha mezzo miliardo di persone. Grande abbastanza per qualsiasi, supposta, economia di scala. Anche di quelle che non si sono mai viste sino ad ora.
[2] Chi ha detto che occorre concentrarsi su questo o su quello? Queste sono le cretinate che raccontano a Confindustria, ai ministeri e, probabilmente, in giro per le università italiane. Io non faccio il programmatore centrale e non so su cosa ci si debba o non ci si debba concentrarsi. Io mi concentro su ciò che so fare bene e cerco di farlo al meglio, competendo con gli altri che fanno la stessa cosa in giro per il mondo. Mi sembra l'unico approccio possibile e razionale. Cosa dovranno produrre le imprese italiane fra 10 o 20 anni, se lo scopriranno da sole. Cosa dovranno creare gli italiani se lo scopriranno pure da soli. Il problema è creare loro le opportunità perché lo facciano, non dirgli cosa devono fare. Ragazzi miei, liberisti immaginari e dirigisti reali ...
[3] Infatti, non è questo che va fatto e nessuno auspica che si debba fare. Il processo di creazione distruttiva ha i suoi costi ed i suoi tempi (40 anni son decisamente troppi, diciamo che 10 anni bastano e avanzano per formare un lavoratore tecnologicamente avanzato). Il problema italiano non è cosa fare con i 40enni, ma cosa fare con i 30enni, i 20enni o financo i "10enni"! È a costoro che le classi dirigenti del Bel Paese non stanno offrendo alcuna prospettiva. È a costoro che scuola ed università insegnano poco o niente. È a costoro a cui viene caricato sulle spalle un fardello impositivo sempre più pesante mentre gli si stringe al collo un cappio regolativo-dirigista-sindacale che potrebbe strozzare un bue! Avete bisogno d'un cambio drastico ora per poter sperare di esser tornati in pista fra 10 anni!
[4] E rieccoci con il solito vizietto mentale del padronato medievale italiano, ossia che il problema sono i "salari troppo alti"! NO, il problema è la produttività troppo bassa! Non scherzo: da sempre uno dei problemi di fondo dell'economia italiana è stata la sua bassa produttività. Questa è il prodotto sia di una forza lavoro scarsamente qualificata (in media, ovviamente) sia di una classe imprenditoriale di bassissimo livello (fatte salve le solite eccezioni). Le due cose, ovviamente, sono figlie di un paese terzomondista, corporativo, medievale, eccetera. Non ho voglia di rifare qui la storia economica dell'ultimo secolo, ma la fantasia padronal-medievale secondo cui il problema sono i salari troppo alti tale è, una fantasia. Perché, appunto, in un'economia di mercato la risposta ai salari alti è innovare per aumentare la produttività (se si è capaci di farlo) o chiudere (cosi "imparano" i "sottoposti" troppo esigenti!) o andarsene laddove sono adeguatamente bassi (Cina, Romania, eccetera). Invece in Italia la risposta è consistita prima in corporativismo padronale e collateralismo politico, poi in svalutazioni competitive e "politiche dei redditi" ...
Anche perché basta guardare i dati per capire che i salari NON sono troppo alti: sono le imposte, le tasse ed i contributi ad esserlo! Non facciamo confusione, ragazzi: lo sviluppo italiano non verrà da una "riduzione" dei salari, magari concertata fra le "parti sociali" ed il "governo". Questo, ovviamente, proporrà Voltremont, e Marcegaglia approverà, il prossimo autunno, ma quei due fanno il lavoro per cui son pagati.
P.S. Lettere, negli ultimi tempi, ne arrivano parecchie sia a me che agli altri redattori. Mi scuso per tutti e con tutti per le mancate risposte: cercate di capire, mancano sia il tempo che le conoscenze adeguate. Poiché sui temi sollevati in questa pensavo di avere qualcosa da dire ne ho approfittato.
Grazie,
SV