Il CNEL, uno spreco di rilevanza costituzionale

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Quindici milioni di euro all'anno. È il costo al contribuente dell'ente inutile per antonomasia. Quale migliore occasione per chiuderlo del cinquantenario della sua istituzione?

What?

O meglio, cosa? Credo che questa sarebbe la risposta d'acchito di buona

parte della popolazione italiana, se gli fosse chiesto cosa sia il

CNEL . Si tratta del Consiglio

Nazionale per l'Economia e il Lavoro. Chiunque abbia seguito un corso

di diritto pubblico e/o diritto costituzionale all'Università, avrà distratti ricordi dei compiti che la Costituzione gli affida, ma credo non sia male se ci rinfreschiamo tutti la memoria. L'articolo 99 recita:

 

Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è composto,

nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie

produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e

qualitativa.

È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie

e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge.

Ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione

della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti

stabiliti dalla legge.

 

Inizio

il predicozzo cimentandomi in un'attività, l'interpretazione della

Costituzione, in cui ho probabilmente uno svantaggio non solo

comparato, ma anche assoluto. Ma tant'è...

Il primo comma parla della composizione: esperti e rappresentanti delle

categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza

numerica e qualitativa. Esperti di che? Di economia e lavoro, si

suppone. Fin qui, niente di particolarmente strano. In molti Paesi i

politici si avvalgono della consulenza di comitati di esperti di

economia. La parte che, al contrario, è estranea alla maggior parte

degli ordinamenti (o, almeno, a quelli che piacciono a me), è

l'inclusione nell'organismo di rappresentanti delle categorie

produttive. Tale inclusione cambia totalmente il prior

circa le funzioni di un organismo che, a giudicare dal nome, avrebbe

potuto semplicemente essere un organo tecnico di consulenza. Semmai, il

CNEL appare come la riproposizione del Consiglio Nazionale delle

Corporazioni, voluto da Mussolini nel 1926.

Il

corporativismo, maledizione storica del paese, fa capolino nella

Costituzione Repubblicana. Il dettato costituzionale sancisce la

necessità di un foro in cui interessi particolari vengano

rappresentati e promossi. Nonostante abbia ricevuto un'enfasi

particolare durante il Ventennio, il corporativismo non è esclusivo di alcuna fazione politica ed ebbe già un ruolo

rilevante nell'organizzazione della vita politica ed economica di molte città italiane dal dodicesimo secolo in poi. E, mi dicono, rappresentanze di imprenditori (collegia) erano attive già in epoca romana. In una società corporativa, le attività di rent-seeking, tra cui la richiesta allo Stato di trasferimenti pecuniari

e di ostacoli alla concorrenza, sono istituzionalizzate e quindi fortemente agevolate. Per le organizzazioni imprenditoriali,

tali ostacoli consistono di barriere all'entrata di nuovi operatori,

sia nazionali che stranieri. I sindacati, invece, sono soliti invocare legislazione

a protezione dei loro associati (quelli che un posto ce l'hanno), a discapito di coloro (tra cui i giovani) che un lavoro non ce l'hanno.

Così

come appare essere stato il caso per il Consiglio Nazionale delle

Corporazioni, il CNEL è stato un fallimento totale. In gergo metereologico, non è pervenuto. Alla luce di

quanto si è appena accennato, è probabilmente un bene. Non vi

sono dubbi circa la natura corporativa della società italiana (vi dice

nulla la parola concertazione?), ma un CNEL di successo avrebbe potuto

peggiorare la situazione ulteriormente. Pertanto, una prima conclusione è che il danno arrecato dallo stesso

CNEL al Paese è essenzialmente non distorsivo. Non mi pare una buona

ragione per tenerlo in piedi....

L'attuale Presidente del CNEL è il 73enne Antonio Marzano, già ministro delle attività produttive dal 2001 al 2005. Marzano vanta una lunga carriera accademica, essendo stato Professore Ordinario di Politica Economica e Finanziaria prima all'Università Abruzzese e poi alla Sapienza. Non ho ragione alcuna di dubitare delle conoscenze tecniche di Marzano, anche alla luce della copiosa messe di pubblicazioni (ben 150, secondo cnel.it, ma solo 10 secondo EconLit) di cui figura come autore. Secondo il sito del CNEL, il Professor Marzano si è anche distinto per una lunga serie di onorificenze.

Oltre ad essere Grande Ufficiale della Repubblica Italiana e Cavaliere

di Gran Croce dell'Amicizia del Belize, ha ricevuto la Gran Croce

dell'Ordine Equestre della Repubblica di San Marino, il Premio “Dirigibile d’oro 2003” per

il suo impegno a sostegno delle attività di ricerca e produzione nei settori

ad alta tecnologia, e il “XXXV Premio Scanno” per la sezione

Economia (conferito, tra gli altri, anche a PaulSamuelson - mi chiedo se Samuelson ne sia al corrente...).

Secondo le norme attuative del dettato costituzionale, il CNEL è composto da 121 consiglieri (erano 88 nella prima consiliatura

1958-1961). Dodici dovrebbero essere esperti, "scelti fra qualificati

esponenti della cultura economica, sociale e giuridica di cui otto

nominati dal Presidente della Repubblica e quattro, nominati dal

Presidente della Repubblica, su proposta dal Presidente del Consiglio

dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri". La

lista corrente si può

trovare qui.

Tra gli esperti nominati dal Presidente della Repubblica (Ciampi,

presumo), si notano: Paolo Bagnoli, ordinario di Storia delle Dottrine

Politiche a Siena e studioso del pensiero politico italiano dei primi

decenni del novecento; Enrico Bollero, primario di anatomia patologica presso l'ospedale di Verbania; Maria Teresa Fagà, sindacalista della CISL e già Ordinaria di Italiano e Storia presso l'Istituto Tecnico Grimaldi di Catanzaro; Carlo Pinzani,

funzionario del Senato con interessi per la ricerca storiografica.

Evidentemente questi signori devono avere conoscenze, non desumibili

dai loro curricula, che li rendono esperti di questioni economiche. O,

alternativamente, visto che la Costituzione non dice di cosa gli

esperti debbano intendersi, il Presidente della Repubblica potrebbe

aver propeso

per un'interpretazione alternativa, secondo cui è sufficiente nominare

qualcuno che sia esperto di qualcosa. Di cosa, non è importante. Ecco qundi

che, visto che almeno in un campo - la storia del Toro - vanto una

notevole erudizione, ho in mente di candidarmi alla presidenza

dell'Ente Nazionale Risi. (Chi ignori l'esistenza di questa autentica

perla, può erudirsiqui .)

Sempre secondo le norme attuative della Costituzione, il Consiglio si compone di "Novantanove rappresentanti delle categorie produttive, dei quali quarantaquattro in rappresentanza del lavoro dipendente, diciotto in rappresentanza del lavoro autonomo,

trentasette

in rappresentanza delle imprese e dieci in rappresentanza delle

associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del

volontariato", tutti "nominati con Decreto del Presidente della

Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri,

previa deliberazione del Consiglio dei Ministri". In pratica, i

consiglieri si dividono tra: (i) rappresentanti dei lavoratori autonomi

(Confartigianato, Coldiretti, Legacoop, Confcooperative,...), (ii) rappresentanti dei lavoratori dipendenti (leggi sindacalisti), (iii) rappresentanti delle imprese (Confcommercio, Confesercenti, Confindustria,...), (iv) rappresentanti dell'associazionismo sociale e del volontariato (ARCI, ACLI, Compagnia delle Opere,...).

Insomma, una marea di soggetti, sicuramente di grandi

capacità, le cui retribuzioni dovrebbero essere informazione pubblica

e facilmente reperibile. Nonostante i notevoli sforzi profusi, non

sono riuscito a trovarle. Il sito del CNEL riporta il testo integrale

della Legge 30 Dicembre 1986, numero 936, il cui articolo 9, intitolato

"Indennità, diaria di presenza e rimborso delle spese dei membri del CNEL," recita:

 

Il regolamento di cui all'articolo 20 disciplina le indennità, le diarie di presenza

e il rimborso delle spese spettanti al presidente, ai vice presidenti e ai consiglieri.

 

Lo stesso sito pubblica il testo di quello che credo sia il regolamento di cui sopra. Si intitola "Regolamento concernente le indennità spettanti al Presidente, al Vice-Presidente, ed ai Consiglieri." All'articolo 1, comma 2, sancisce che

 

La misura dell'indennità prevista dall'art.9 della legge 30 dicembre 1986,

n.936, è determinata annualmente con deliberazione del Consiglio, in sede di approvazione

del bilancio di previsione, su proposta dell'Ufficio di Presidenza, previo parere

del Collegio dei Revisori, in misura non superiore al tasso programmato di inflazione

e tenendo conto dei sistemi di adeguamento delle indennità previste per i componenti

di altri organismi similari.

 

Ergo:

non ci è dato sapere. La cosa fa persino sorridere... si noti come il testo sancisca che "La misura dell'indennità... è determinata

annualmente... in misura non superiore al tasso programmato di

inflazione...". È proprio vero, gli scribacchini ministeriali non

conoscono più il giuridichese.


Veniamo

ora ad una breve disamina dell'attività del CNEL. A giudicare dalla

mole di documenti disponibili in rete, i consiglieri lavorano senza

sosta. Le opinioni e i pareri del CNEL sono organizzati per materia:

politiche economiche, del lavoro, sociali, regionali/locali e

europee/internazionali. La sezione dedicata alle politiche economiche

si divide a sua volta in sub-aree tra le quali congiuntura economica e

finanza pubblica. Tra i documenti dedicati alla congiuntura, i più

voluminosi sono rapporti sul quadro macroeconomico e le previsioni a

breve e medio termine per l'economia italiana. Vi si trovano quelli del

2003, 2004 e 2007, peraltro curati dai centri di ricerca Prometeia, Cer, e REF. Dei rapporti degli altri anni, non v'è traccia. In materia di finanza pubblica, gli ultimi quindici

documenti, pubblicati dal maggio 2002 ad oggi, sono indicati come

"Osservazioni e Proposte". Vale a dire che, in circa sei anni, i nostri

consiglieri hanno osservato e proposto ben quindici volte su questioni

inerenti alla finanza pubblica. A titolo di esempio, l'ultima

osservazione (e proposta) ha come argomento il DPEF

2008 varato dal governo Prodi. Si tratta di nove paginette di una

pochezza disarmante. Contiene osservazioni mirabolanti del tipo

 

Da

un lato va confermata l'esigenza di proseguire l'opera di risanamento

del bilancio e di riduzione del debito (e non solo del rapporto tra

debito e PIL). Dall'altro proprio le più recenti elaborazioni del

Dipartimento delle Politiche Fiscali evidenziano come, in relazione

all'elevato livello di evasione, l'effettiva pressione fiscale media, a

carico dei cittadini che compiono il loro dovere, sia superiore al 50%

 

e affermazioni profonde come

 

Il

CNEL ha sottolineato come i ritardi sin qui accumulati abbiano

comportato l'accentuarsi di squilibri gravi tra i vari territori del

Paese (con un aggravamento della divaricazione tra il Centro-Nord e il

Mezzogiorno) anche in materie (a partire da sanità e istruzione) nelle quali, a norma di Costituzione, lo Stato deve garantire pari diritti a tutti i cittadini.

 

Presso il CNEL sono anche insediati altri organismi di importanza cruciale per l'economia nazionale. Fra questi, l'Osservatorio Nazionale del Mercato dei Prodotti e dei Servizi Forestali, cui è assegnato il compito di individuare e promuovere azioni per lo sviluppo del mercato

dei prodotti e dei servizi forestali, ivi compresa la salvaguardia

degli aspetti di conservazione del patrimonio forestale e della

biodiversità. Al mero fine di suscitare ilarità, si noti al margine che tra i consiglieri CNEL assegnati a tale osservatorio v'è anche il signor Luigi Giannini, un esperto in diritto internazionale marittimo che, a giudicare dai suoi cenni biografici, ha dedicato la sua vita pubblica ai problemi della pesca.

Vista

la mole immane di lavoro, e la necessità di ottenere

professionalità sempre più specializzate, il CNEL pare affidarsi con

una

certa frequenza anche a collaboratori esterni. Si è già fatto cenno

delle collaborazioni con istituti privati di ricerca. Dal sito si

evince che,

nell'anno corrente, il CNEL ha commissionato consulenze per un

ammontare di 150mila Euro. Di questa somma, un quinto andrà a Nomisma,

cioè agli amichetti dell'ex Presidente del Consiglio. Quasi un

terzo, su proposta del Presidente Marzano, è stata destinata al

Professor Beniamino Quintieri, Ordinario di Economia Politica a Tor

Vergata, per un incarico di consulenza in materia di economia

internazionale. Secondo EconLit, il Professor Quintieri, già presidente dell'Istituto per il Commercio Estero, risulta autore di ben

tre articoli scientifici in materia, pubblicati sulle riviste Labour

(di cui era editor) e Bancaria. Sono portato a credere che in primo

luogo Marzano si sia rivolto al vasto numero di economisti italiani di

fama internazionale che sono esperti in materia e che, constatati i

loro dinieghi, si sia poi rivolto al collega Quintieri. Ci sono ipotesi alternative?


Non posso escludere che, ben nascoste sul sito, o

addirittura su altri media, si possano annidare informazioni che

dimostrino come il lavoro degli instancabili consiglieri del CNEL sia

di spessore ben diverso da quello che emerge dalle fonti da me

consultate. Io, nonostante i ripetuti sforzi, queste informazioni non

le ho trovate. La mia personale sentenza,

per il valore che ha, è ineluttabile. Il

CNEL è il baraccone clientelare per antonomasia. Nient'altro che comode

sedie, presumibilmente ben pagate, su cui far accomodare ben 122

persone, più personale amministrativo vario, ovviamente. SI DEVE

CHIUDERE. E SUBITO. Vista la rilevanza costituzionale, per farlo sarà necessaria

una legge costituzionale. In attesa di questa, si potrebbe modificare

rapidamente la legge attuativa, diminuendo il numero di consiglieri, chesso', a tre, e il personale ausiliario a zero. Dubito fortemente che succederà.

 

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Commenti

Ci sono 57 commenti

Se ti nominano in qualità di esperto della storia del Toro grido allo scandalo se non nominano anche me.

 

15 milioni di euro l'anno rappresentano: per il cittadino medio 0,26 euro di risparmio, per i 121 consiglieri 124,000 euro di riduzione del reddito. Facile capire perche' il CNEL non sara' abolito.

[Aggiunto 6:01 GMT 2008/05/18]: Naturalmente spero che sara' abolito,  scusate se sono sembrato troppo pessimista nel commento precedente].

 

 

Probabilmente l'Ente nazionale risi, alla cui presidenza ti candidi in quanto esperto di storia del Toro, non è l'esempio più calzante, dal momento che mi risulta essere finanziato dai risicoltori con un contributo di € 0,30 per quintale di risone venduto e, se così non fosse, attendo eventuali smentite. (fonte:http://risozaccaria.com/2007/10/lunga-vita-allente-nazionale-risi.html).

Il problema, comunque, rimane il numero incredibile di realtà con utilità puramente virtuale ma dotati di cospicue borse doverosamente riempite dai cittadini-sudditi: alle sofferte e meritorie soppressioni, ad esempio, del Pio istituto elemosiniere, dell'Istituto di beneficenza Vittorio Emanuele III o dell'Opera nazionale per i figli degli aviatori non ha fatto seguito un'azione, reale e concreta, tesa alla finale eliminazione di questa vergogna nazionale (una delle tante, in realtà ...).

Non mi ero posto il problema del CNEL ma, non dubitando affatto della tua documentata esposizione, sono del parere che, rientrando di diritto nella categoria degli enti inutili (al paese, ma utilissimi alla famigerata casta), seguirà lo stesso percorso, che so, dell'Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente o del Fondo bombole di metano: non ce lo toglieremo dagli zebedei .........

 

Qual'è la "storia" dell'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente?

Ho visto il sito e mi sembra interessante...

 

Se la  "cultura" prodotta dal soggetto in questione puo' essere sempre incorporata in un bene privato che viene messo in vendita, allora non c'e' argomento che tenga. Se nessuno se lo compra, niente vale. D'altro canto, pensa a UPenn. Non conosco gli interessi culturali di Gianluca, supponiamo che lui e i suoi colleghi faculty  non abbiano nessun interesse a studiare antropologia, e non si comprerebbero un articolo manco se gli tolgono l'abbonamento a Econometrica a vita. Eppure forse tutti beneficiano dal fatto di avere un prestigioso dipartimento di antropologia nella stessa universita' dove insegnano, per reputation magari. E forse, nessuno da solo sarebbe in grado di finanziare il dipartimento nella sua interezza. In fine, se mi dici che questo tipo di argomento si presta a semplici strumentalizzazioni da parte di gruppi di interesse (il famoso cinema italiano sussidiato..) perche' questi benefici sono difficilmente misurabili, hai perfettamente ragione.

 

 

Eppure forse tutti beneficiano dal fatto di avere un prestigioso

dipartimento di antropologia nella stessa università dove insegnano,

per reputation magari. E forse, nessuno da solo sarebbe in grado di

finanziare il dipartimento nella sua interezza. Ecc ...

 


Se capisco bene, ho guardato un momento il tuo (ex? :-))blog, ti occupi di teoria economica professionalmente. Dico bene? Se mi sbaglio correggimi, che allora metto la definizione di esternalità per filo e per segno e tutti i dettagli. Per il momento assumo che uno che ha un blog intitolato "Micro is trendy" sappia cosa sono le esternalità economiche.

In questo secondo caso, son certo tu ti sia rapidamente reso conto che quella che hai descritto NON è un'esternalità. Anzi, è uno degli esempi che più tipicamente si usano in classe per far capire agli studenti di PhD che non tutti gli effetti che "spill over" da un agente all'altro sono esternalità e che moltissimi di essi sono facilmente internalizzati ... Chiunque frequenti il mercato del lavoro accademico americano sa benissimo (o "malissimo" :-)) cosa io intenda, ma nel caso la cosa apparisse oscura riporteremo i fatti per filo e per segno.

Se rifletti un attimo sul fatto che UPenn compete sul mercato (anzi, sui mercati, per studenti di PhD, professori di varie discipline, fondi pubblici e privati di ricerca, donazioni di privati, eccetera) ti rendi poi conto che O lo spill-over del dipartimento di antropologia della medesima è in qualche maniera internalizzato da UPenn O la cosa non è un equilibrio. Sempre assumendo che gli agenti coinvolti non siano dei cretinotti, ovviamente. Dall'ipotesi "cretinismo diffuso" segue un po' ciò che meglio ci aggrada, ma in quel caso la discussione e la ricerca sono una perdita di tempo.

P.S. Non vi è nessuna necessità che un singolo debba poter finanziare un intero dipartimento (o quello che vuoi tu) con la sua sola domanda per il servizio/bene del medesimo, come sembri implicitamente assumere con la frase

 

E forse, nessuno da solo sarebbe in grado di finanziare il dipartimento nella sua interezza.

 

Cambridge UP vende libri che io e milioni di altri compriamo, nessuno di noi finanzia CUP nella sua interezza. Idem per il Cinema Ideal nella Plaza de Benavente, dove vado a vedermi i films stranieri, o per il tablao di flamenco dove intendo andare questo fine settimana ... eccetera.

P.P.S. Questo lo metto solo per evitare che, prendendo l'esempio troppo letteralmente, i lettori decidano che GLC vive a Philly: A meno che non abbia cambiato posto di lavoro senza dircelo, GLC è ad NYU. Ma ovviamente fa niente. Possiamo continuare con l'esempio del dip di antropologia a UPenn.

 

 

Avevo in mente quelle che la bibbia (Mas Colell, p.388) chiama non-depletable externalities, che succedono quando il prestigio apportato dal dipartimento di antropologia beneficia interamente sia il prof. X che quello Y che quello Z di UPenn . In un senso, l'esperienza dell'esternalità non è escludibile. Ovviamente se il prof X. potesse da solo comprarsi il dipartimento il problema non si porrebbe (da qui il commento sul finanziare interamente..). Se questo non è il caso, allora XYZ sperano di fare free-riding. 

Cosa intendi esattamente con Penn che internalizza questo effetto? Per essere restare nell'analogia, la soluzione di "mercato" dovrebbe essere che Penn dice al capo del dip. di antropologia: guaglio', se vuoi il dipartimento vai dai tuoi colleghi e chiedi a ciascuno quanto è disposto a pagare per averti, fatti dare i soldi e lavora. Dalla definizione sopra, siccome tutti farebbero free-riding, il dipartimento non si farebbe. La soluzione di "stato" sarebbe che Penn tassa gli altri dipartimenti (meno fondi?) e usa i soldi per finanziare il dipartimento. Questa è una vera "soluzione" solo se Penn sa quanto deve tassare ciascun prof. , cosa che non è affatto ovvia, e se Penn effettivamente agisce nell'interesse dei suoi profs. , cosa che nel caso dello stato è ancora meno ovvia. Da qui il commento sul glorioso cinema italiano. Se ci sono altri modi per internalizzare questo tipo di esternalità mi sfuggono al momento. 

P.S. Chiedo perdono a Gianluca, ho scritto senza pensare.  

 

 

(Mas Colell, p.388) chiama non-depletable externalities

 

Ho la prima edizione, quella del 1995 (nel caso qualche altro lettore avesse la mia età) e la cosa si trova a pagina 351. La definizione che, correttamente, danno è la seguente:

 

nondepletable (or public or nonrivalrous). [...] the externality possesses the characteristics of a public good (or bad). [...] most externalities that are regarded as serious social problems (e.g. water pollution, acid rain, congestion) take the form of nondepletable multilateral externalities.

 

Assumo tutti sappiano cos'è un "bene pubblico" secondo gli economisti (l'aria pulita lo è, il trasporto aereo pubblico non lo è). È cosa ben acquisita in teoria economica che le esternalità non risolvibili via contrattazione privata e/o meccanismi di prezzo/mercato sono tutte e solo quelle che si associano alla creazione di un bene (male) pubblico, dove l'aggettivo "pubblico" va inteso in senso stretto, ossia di un bene "non excludable" e "non rivalrous". Tu dici che tale caso si configura per il dipartimento di antropologia a UPenn perché

 

succedono quando il prestigio apportato dal dipartimento di antropologia beneficia interamente sia il prof. X che quello Y che quello Z di UPenn . In un senso, l'esperienza dell'esternalità non è escludibile.

 

Non si capisce, nel tuo esempio, se i professori XYZ sono nel dipartimento di antropologia o in un altro, ma non fa differenza. Il ragionamento è erroneo in entrambi i casi. Non c'è nessun bene pubblico in questa circostanza, ma solo beni assolutamente privati, escludibili e rivali. Per la semplice ragione che esiste un'università (dipartimento, college, division, quel che sia) che agisce da "residual claimant" dei benefici e che utilizza i contratti proprio per internalizzare questi effetti. Ovviamente dall'altro lato ci sono gli accademici, gli studenti, gli enti di ricerca, i donatori, eccetera, nei contratti con i quali UPenn internalizza l'effetto "prestigio" che assumere un buon antropologo può o non può creare. Insomma, stai descrivendo quello che, due righe più sopra nella stessa pagina, Andreu&Co chiamano depletable (or private or rivalrous) ... per i quali le market solutions are likely to work well!

A UPenn non si lavora per grazia ricevuta, o per caso, o semplicemente perché si è vivi - mentre l'aria si respira puramente perché si è vivi; la congestione si sopporta per il puro fatto di essere cittadini di uno stato (nota che qui c'è partial depletability, riflessa nei prezzi delle case e dei terreni); l'acqua che si beve non si controlla da dove viene quindi in un certo senso "tutti bevono la stessa acqua" (di nuovo, anche qui "dipende": ragione per cui le acque che si sa da dove vengono si commerciano, come le minerali), eccetera.

Contrariamente a questi casi di veri beni pubblici, non tutti lavorano nello stesso posto o ricevono offerte di lavoro dagli stessi posti. Questo, banalissimo, fatto implica la "depletability" della potenziale esternalità da prestigio: un posto di lavoro a UPenn o ce l'ho io o ce l'hai tu, QUEL posto è più "rivale" (rivalrous) ed indivisibile di una tazza di caffé! Quindi non vi è nessun bene pubblico, solo beni privati e perfettamente contrattabili.

Vediamo i dettagli di come questo funziona (queste sono cose piuttosto note: le spiego in classe agli studenti del primo anno e le spiegarono a me tanti anni fa).

Il prestigio di un dipartimento si riflette su quello dell'università, permettendo alla medesima di assumere gente migliore a minori costi (ceteris paribus) rispetto a simili istituzioni con dipartimenti di minor valore. Questo vale sia per assunzioni interne al dipartimento (se vieni da noi potrai lavorare fianco a fianco di XYZ che sono dei geni, mentre se vai da loro lavori con KWP che sono mediocri) che per assunzioni esterne (abbiamo un famoso dipartimento di matematica, fisica, psicologia, e questo rende l'università più prestigiosa, eccetera). Infatti, il prestigio di un'università è la composizione o somma dei prestigi dei vari dipartimenti e delle varie scuole. Dipartimenti che siano di scarso prestigio rispetto a quello medio (o anche solo desiderato) dell'università di appartenenza vengono normalmente messi sotto tutela, o fatti sparire tagliando i fondi. Viceversa per quelli di altissimo prestigio, che ricevono abbondanti fondi e privilegi sia esterni che interni. L'internalizzazione, nella misura dell'umanamente possibile, mi sembra completa. La concorrenza feroce che ci facciamo nell'assumere le persone si basa tutta sull'internalizzazione di tale "esternalità".

Questo fenomeno è ben noto, financo esagerato. Tralascio di raccontare i dettagli delle mie esperienze personali (altrimenti Alberto mi bacchetta le dita), ma quando (in almeno tre occasioni durante la mia carriera) ho abbandonato un'università più prestigiosa per una che lo era meno, ti posso garantire che l'internalizzazione c'è stata, eccome (e non di solo $$$ vive l'uomo, ma anche di altre cose ...). Non so se hai mai sperimentato il job market accademico, ma se lo dovessi fare credo capirai meglio il punto.

Inoltre, la "soluzione di mercato" che descrivi (guagliò eccetera) NON è la soluzione di mercato per niente. Per capire quale sia la soluzione di mercato, occorre chiedersi chi ci guadagna ad avere un dipartimento di antropologia buono a UPenn piuttosto che a UCLA. Ci guadagnano: (1) Gli studenti grad/undergrad di UPenn, o ben perché possono mostrare d'aver studiato con un grande antropologo, o perché vogliono imparare l'antro, o perché possono dire di essere andati a scuola con gente intelligente che veniva ammessa a corsi di grandi antropologi, eccetera. Questi, direttamente o indirettamente, pagano a UPenn delle salate tuitions proprio per questo. (2) I donors privati di UPenn, in quanto costoro (a parità di deduzione fiscale) preferiscono donare soldi a gente "brava" che a gente "meno brava": questa è la ragione per cui vogliono tutti la Jolie e Bono come fund raiser per i bambini con AIDS. Anche i donors pagano, donando, e ricevono compensazione perché il loro nome è su una placca accanto a quello di Ben Franklin. (3) Gli altri dipartimenti di UPenn, per le sinergie (o esternalità dissipabili) viste sopra. Queste vengono ripagate o producono benefici nei modi detti. (4) Il BofT di UPenn, il suo Presidente, i suoi Deans perché possono mostrare sul mercato degli amministratori di grandi istituzioni non for profit quanto fichi sono, che bravi sono e farsi aumentare gli stipendi concorrendo per altri lavori ancora più prestigiosi. (5) Il grande antropologo in questione, perché lavora con gente che gli dà prestigio (la sua visibilità cresce, vende più libri, si fa pagare di più per public appearances, etcetera) e fra qualche anno, se vuole cash-in in $$ si cerca un'offerta da un posto che voglia assumere gente famosa, il qual posto gli fara' un'offerta con un salario ben maggiore di quello, gia' alto, che aveva strappato a UPenn.

Basta un po' di sforzo teorico per capire che l'argomento qui svolto nel caso specifico vale in generale e, avendoci riflettuto alquanto, credo valga per praticamente quasi tutti i prodotti "culturali", fatte salve pochissime e notorie eccezioni relative all'istruzione ed alla ricerca di base, in cui l'appropriabilità è tecnicamente molto limitata. Ma anche in quei casi non serve il CNEL, bastano i premi per la ricerca. Se questi premi di ricerca debbano essere pubblici o privati si puo' discutere, mi sembra ovvio che in certi casi debbano essere finanziati pubblicamente. Ma, ripeto, da qui al CNEL ci passa un oceano.

 

 

Concordo sul fatto che il CNEL sia un ente inutile come altre centinaia in Italia, tuttavia il fatto che rappresentanti delle categorie produttive si siedano ad un tavolo con esperti di economia come voialtri non è affatto uno scandalo ma una pratica diffussissima in Paesi molto più evoluti della vostra Amerika, tra cui Germania, Danimarca, Svezia etc.

 

Mi sembra che la critica fosse piu' particolareggiata. In breve:

- e' in realta' l'espressione di un corporativismo endemico della societa' italiana, che blocca la liberalizzazione del mercato

- non si riesce a capire quanto vengano pagati questi esperti

- non si sa in base a cosa vengano scelti questi esperti

- questi esperti sono troppi e non producono materiale utile

Quindi non si critica che i rappresentanti delle categorie produttive si incontrino, ma che le modalita' scelte in Italia siano solo uno spreco di denaro pubblico. La citazione:

"l primo comma parla della composizione: esperti e rappresentanti delle

categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza

numerica e qualitativa. Esperti di che? Di economia e lavoro, si

suppone. Fin qui, niente di particolarmente strano. In molti Paesi i

politici si avvalgono della consulenza di comitati di esperti di

economia."

indica che, appunto, si riconosce l'utilita' dei consigli di esperti, anche all'estero.


 

 

 

Sull'affermazione che Germania, Danimarca, e Svezia sarebbero piu' evoluti (termine abbastanza generico da fare incazzare praticamente tutti) degli US, sorvolo e consiglio a tutti di sorvolare. Non e' questa la sede.

Condivido pienamente gli interventi di lugg e marcello. 1) la critica, come dice lugg, era molto piu' articolata, e lugg stesso ne ha fatto una sintesi mirabile. 2) mi sono scagliato contro il corporativismo, come asserisce marcello.

Marcello ha pienamente ragione quando indica che anche negli Stati Uniti le "parti sociali" hanno i loro modi di incassare sussidi e rendite di ogni tipo - il meccanismo delle lobby, appunto. L'importante, a parer mio, e' che tutti si rendano conto di quanto queste pratiche, che gli economisti chiamano rent-seeking, siano perniciose per la societa' (i.e. contribuenti e consumatori). Richard Posner e' stato l'economista che piu' di altri ha enfatizzato il problema.

Per avere un'idea recente dell'efficacia di tali pratiche, si considerino le difficolta' che il DOT (Department of Transportation) sta incontrando nel tentativo di allocare gli slots nei principali aeroporti via asta pubblica.

Il Senatore Charles Schumer of New York, che e' notoriamente a disposizione delle (comprato dalle)  compagnie aeree, ha avuto il coraggio di dire che

 

 

 

Auctions have never been tried and were hatched by a handful of ivory

tower types in the administration... It shows that this

administration puts ideology above the safety and economic well-being

of the American flier.

 

 

Cioe': Le aste non sono mai state provate prima  (falso - sono state provate a Chicago O'Hare) e sono l'idea di pochi professorini che lavorano per il governo... dimostra come questo governo abbia a cuore l'ideologia piu' del benessere del viaggiatore. E' ovvio che e' vietando le aste che si pregiudica il benessere del consumatore, facendogli pagare prezzi piu' alti.

 

 

 

 

 

Quello che mi preme e' che la costituzione non istituzionalizzi il rent-seeking, predisponendo un foro (come avrebbe potuto essere il CNEL) dove le cosiddette parti sociali si incontrano per spartirsi le spoglie. Spero che sia chiaro che il rent-seeking porta ad una drammatica riduzione di quanto vi sia da spartirsi.

 

 

 

 

 

Quell'abominio chiamato concertazione non e' altro che un tentativo ulteriore per predisporre una sede istituzionale dove condurre il rent-seeking.