Il titolo è emblematico
Aumentare i salari minimi non provoca disoccupazione. Evidenze empiriche dagli Stati Uniti
e le conclusioni pure:
La teoria neoclassica dell'occupazione riceve una parziale smentita dai dati illustrati in questo articolo. In particolare viene smentito uno dei comuni corollari che l'accompagnano, ovvero che i salari minimi costituiscono un impedimento al riequilibrio del mercato del lavoro, con particolare riferimento a una fase di crisi economica.
I dati al contrario mostrano una correlazione positiva tra aumento del salario minimo nominale o reale e l'aumento dell'occupazione proprio negli stati a maggiore tasso di disoccupazione. Dato notevole è che nei casi di aumento del salario minimo oltre il livello di inflazione, uno stato con una elevata disoccupazione ha il 77% di possibilità di accrescere l'occupazione più della media nazionale.
In mezzo si presenta l'evidenza che alcuni stati hanno aumentato il salario minimo e registrato una crescita nell'occupazione superiore rispetto alla media nazionale. L'analisi proposta è talmente grossolana che non meriterebbe commenti.Tuttavia il fatto che abbia l'aspetto di un lavoro scientifico e che abbia ricevuto una certa visibilità sul web la rende paraticolarmente indicata per strumentalizzazioni perniciose.
Senza scomodare Economisti veri e teorie economiche complesse (sappiamo che il mercato del lavoro non funziona come quello del pesce,ma questi hanno mai sentito parlare di search theory?) mi limito al rilievo che potrebbe fare un lettore mediamente alfabetizzato e intellettualmente normodotato:
Correlazione non significa necessariamente nesso causa effetto: se due variabili vanno nella stessa direzione su che base posso dire che una influenza (o non influenza) l'altra? Se fisso artificialmente il salario ad un livello più alto di quello che si determinerebbe in assenza del vincolo, c'è una logica nell'argomentare che questo abbia effetti negativi sull'occupazione: quale sarebbe l'argomento per sostenere il contrario? Conteranno qualcosa le altre variabili? I lavoratori con skills elevate si fanno concorrenza sul salario? L'analisi non andrebbe quanto meno ristretta ai lavori meno qualificati dove la componente salario pesa di più? Questo per tacere di altri aspetti minori (ha senso confrontare lo stato di New York con l'Alasca? E se il salario minimo di partenza e il livello successivo all'aumento fossero ancora inferiori rispetto a quello "di mercato"?)
Una rassegna molto più robusta e dettagliata sul tema era stata fatta qualche anno fa Giorgio Topa su questo sito. La trovate qui.
Neanche a dirlo, le conclusioni sono piusttosto differenti:
Riassumendo, direi che l'evidenza empirica tende a confermare l'idea che l'imposizione di un salario minimo in Italia avrebbe probabilmente effetti avversi su occupazione e ore lavorate. Soprattutto per quelle fasce di lavoratori - giovani, donne, lavoratori con bassi livelli educativi - che si vorrebbero maggiormente aiutare. Davvero non una buona idea.
Chiunque intenda paragonare o semplicemente confrontare il mercato del lavoro USA e quello italiano commette una enorme forzatura, per il semplice motivo che non si possono prendere ad esempio gli effetti di provvedimenti salariali in un mercato dove esiste il massimo della mobilità, cercando di introdurli in un mercato dove esiste il massimo dell'immobilità. E' pur vero che negli Stati Uniti, la prima economia del pianeta, i livelli salariali sono elevatissimi senza che ciò infici la produzione, ma è lo stesso vero che i vincoli contrattuali americani sono molto minori dei nostri e che tutta l'economia è strutturata per un mercato del lavoro mobile.
Ho sempre pensato che il capitalismo sia un male necessario i cui effetti negativi debbano esseremitigasti dall'intervento normativo dello Stato. Questa mia convinzione fa di me un keinesiano irriducibile.
Sara' perche' non sono un economista ma non capisco il nesso tra intervento normativo dello Stato e Keynes.