Chiariamo subito che stiamo parlando di salario orario minimo, ovvero di una legislazione che stipuli un salario minimo che dev'essere pagato da qualsiasi datore di lavoro per ogni ora lavorata. Negli Stati Uniti, il salario orario minimo esiste da molto tempo ed è fissato a livello federale: si parla appunto di Federal minimum wage. A questo si possono aggiungere ulteriori legislazioni a livello dei singoli stati, che innalzano ulteriormente il salario orario minimo. Altra cosa è invece l'idea di un reddito minimo (mensile) di cui si discute a volte a fini redistributivi. Come dice giustamente Michele, il modo migliore di effettuare redistribuzione è attraverso la negative income tax, implementata negli Stati Uniti sotto forma di Earned Income Tax Credit (EITC). Ma di questo parleremo magari in un altro post. Per adesso ci limitiamo a considerare il salario orario minimo, e in quanto segue, per semplicità, lo chiamerò salario minimo.
La serie di studi forse più famosa riguardo agli effetti di un aumento del salario minimo è quella di David Card e Alan Krueger e coautori (Card 1992a,b; Card e Krueger 1994; Katz e Krueger 1992). Essi studiano l'effetto di due aumenti successivi del salario minimo avvenuti nel 1990-1991 sull'occupazione giovanile in un'industria molto specifica, ovvero quella del fast-food. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, all'aumento del salario minimo, a detta di questi studi, è corrisposto un leggero aumento dell'occupazione in queste imprese. Gli autori giungono a questa conclusione dopo una serie di test che paragonano l'andamento dei salari e dell'occupazione in stati confinanti che hanno avuto aumenti diversi del salario minimo, a causa di differenze nella legislazione statale. Il risultato principale di questi studi, sull'assenza di effetti negativi sull'occupazione derivanti da un aumento del salario minimo, è confermato anche da uno studio che usa dati britannici, di Machin e Manning 1994.
Purtroppo questa evidenza empirica non sembra essere corroborata da studi successivi. Ad esempio, Deere, Murphy & Welch 1995 trovano che quando aumenta il salario minimo, l'occupazione dei gruppi maggiormente interessati da questo aumento diminuisce. In particolare, lavoratori che non hanno terminato le scuole superiori, donne, e neri. Questo studio ha valenza più generale di quelli di Card, Krueger e compagnia, in quanto usa dati che coprono l'intero territorio degli Stati Uniti e per un insieme generale di industrie. Un riassunto dei loro risultati può essere trovato qui: questo pezzo contiene anche serie e fondate critiche alla metodologia impiegata da Card e Krueger.
In una serie di studi pubblicati nel 2000, Burkhauser, Couch & Wittenburg portano ulteriori prove empiriche a sostegno dell'idea che un aumento del salario minimo provoca, effettivamente, una diminuzione dell'occupazione per i segmenti del mercato del lavoro direttamente interessati da tale aumento. Questi autori trovano un'elasticità dell'occupazione rispetto al salario minimo che va da -0.41 a -0.45. Deere, Murphy & Welch avevano trovato elasticità dal -0.12 a -0.56. Ovvero, un aumento del salario minimo del 10% provoca una riduzione dell'occupazione che va da uno a quasi sei punti percentuali.
In uno studio successivo (2001), gli stessi Couch e Wittenburg trovano che oltre agli effetti avversi sull'occupazione, un aumento del salario minimo provoca anche una riduzione delle ore lavorate, soprattutto - di nuovo - per uno dei gruppi maggiormente interessati da tale aumento, ovvero lavoratori giovani. L'elasticità di ore lavorate rispetto al salario minimo è, come ci si potrebbe aspettare, ancora maggiore (in valore assoluto) di quella dell'occupazione: è infatti più facile per un datore di lavoro ridurre le ore lavorate da un impiegato che si trova a dover pagare di più, piuttosto che licenziarlo.
Risultati simili vengono riportati da una serie di studi di David Neumark e coautori. In particolare, in uno studio del 2004, Neumark trova che gli effetti di un aumento del salario minimo sono concentrati intorno alla zona della distribuzione dei redditi che è direttamente interessate da tale aumento; gli effetti sono invece praticamente nulli in altre zone della distribuzione. Per i lavoratori direttamente colpiti da tale aumento, gli effetti sono simili a quelli riportati dagli studi riportati più sopra: l'elasticità di ore lavorate è intorno allo -0.3, mentre quella dell'occupazione e' tra -0.1 e -0.2.
Vale la pena infine di citare un lavoro recente di Chris Flinn (2006) che studia gli effetti dell'imposizione di un salario minimo nel contesto di un modello di "search" e "matching", ovvero di ricerca di lavoro da parte dei lavoratori e di contemporanea decisione da parte dei datori di lavoro riguardo a quanti annunci pubblicare. Il lavoro di Flinn è davvero notevole in quanto, a differenza dei lavori empirici citati qui sopra, sviluppa un modello teorico di equilibrio generale del mercato del lavoro, in cui vengono studiati gli effetti del salario minimo non solo su salari, occupazione e disoccupazione, ma anche sul benessere complessivo dei lavoratori. I parametri del modello vengono poi stimati usando dati di diversa provenienza, e vengono utilizzati per calcolare un livello "ottimo" del salario minimo.
Come spiegato altrove su questo sito, le argomentazioni che spiegano come il salario minimo possa aumentare il benessere dei lavoratori si basano su qualche inefficienza di mercato. "Attriti" vari nella ricerca di lavoro, efficiency wages, informazione asimmetrica rispetto alla qualità dei lavoratori... Un'altra argomentazione usa l'idea che il salario minimo provoca l'uscita dal mercato del lavoro di imprese non particolarmente profittevoli. Il risultato è sì un aumento dei salari, ma anche la riduzione dell'occupazione. Stime olandesi (van der Berg e Ridder 1998) trovano che il salario minimo in Olanda ha cacciato dal mercato del lavoro imprese meno profittevoli, e reso non-occupabili ampie fasce di lavoratori, provocando un forte effetto della disoccupazione strutturale.
Nel modello di Flinn, a seguito di un aumento del salario minimo la disoccupazione generalmente aumenta (ma non necessariamente), ma può aumentare anche il tasso di occupazione, perché un aumento del salario minimo può far crescere gli incentivi alla ricerca di lavoro da parte dei lavoratori. Il punto centrale di questo studio è che l'introduzione di un salario minimo può aumentare il benessere dei lavoratori se aumenta il potere negoziale dei lavoratori portandolo più vicino a quello "ottimo" in un modello di matching fra imprese e lavoratori. In genere, se il potere negoziale dei lavoratori è molto basso in partenza, è piu' probabile che un aumento del salario minimo accresca il benessere dei lavoratori.
Il lavoro di Flinn chiarisce anche che, se uno studia gli effetti del salario minimo in equilibrio parziale, senza tenere conto di come le imprese reagiscono all'imposizione del salario minimo, allora le stime possono suggerire livelli ottimi del salario minimo anche superiori a quelli attuali. Se però si considerano esplicitamente le decisioni delle imprese riguardo alla creazione di nuovi posti di lavoro, allora il salario minimo ottimo (usando dati USA) è inferiore a quello attuale, e un aumento del salario minimo induce maggiore disoccupazione, minore occupazione, e minore benessere per i lavoratori.
Riassumendo, direi che l'evidenza empirica tende a confermare l'idea che l'imposizione di un salario minimo in Italia avrebbe probabilmente effetti avversi su occupazione e ore lavorate. Soprattutto per quelle fasce di lavoratori - giovani, donne, lavoratori con bassi livelli educativi - che si vorrebbero maggiormente aiutare. Davvero non una buona idea.
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PS: raccolgo qui qualche ulteriore riferimento, che ho gia' menzionato nei commenti:
- Un lavoro di John Abowd, Francis Kramarz e David Margolis (1999), citato da David Neumark e da Greg Mankiw, confronta l'esperienza di Francia e Stati Uniti negli anni ottanta: il confronto e' interessante perche' in Francia il salario minimo reale e' aumentato nel periodo in considerazione, mentre negli Stati Uniti e' diminuito. Abowd e compagnia trovano forti effetti di disoccupazione derivanti dal salario minimo in entrambi i paesi, proprio per i lavoratori colpiti dal salario minimo. Purtroppo non ho ancora l'articolo di Abowd sotto mano, ma appena lo trovo aggiungero' i dettagli. (Qui pero' trovate il riferimento alla versione working paper, con il riassunto dei risultati empirici).
- Aggiungo invece qualche dettaglio sui risultati del lavoro di van der Berg e Ridder 2003, che usano dati longitudinali olandesi dal 1985 al 1990. Nelle loro simulazioni sull'effetto del salario minimo, trovano che un aumento del 25% del salario minimo rende il 16% dei lavoratori permanentemente disoccupati, in quanto rende quei segmenti di imprese non-profittevoli. La maggior parte degli individui colpiti sono lavoratori giovani, fra i 22 e i 30 anni. Inoltre, questo studio trova che il potere di monopsonio delle imprese e' debole, specialmente per quelle maggiormente colpite dal salario minimo.
- un recente lavoro di Neumark e Nizalova (2004), riportato qui (cercate il Discussion Paper no. 1428, sotto "Publications"), suggerisce che gli effetti avversi del salario minimo persistano anche nel lungo periodo: in altre parole, essere esposti, da giovani, ad un salario minimo relativamente alto non solo riduce ore lavorate e occupazione al momento, ma induce una riduzione dei guadagni da lavoro anche successivamente, nell'arco della propria esperienza lavorativa. L'ipotesi avanzata da Neumark e Nizalova e' che gli effetti immediati si traducono in una minore accumulazione di esperienza lavorativa e di abilita' specifiche per il mercato del lavoro.
- Altri due lavori (di Laroque e Salanie) considerano l'esperienza francese. Entrambi gli studi usano dati su donne sposate in Francia dai 25 ai 49 anni di eta', nel 1997. Il salario minimo in Francia all'epoca era di circa $5 all'ora (simile ai livelli americani). Il primo, che si puo' trovare qui, analizza un modello di contrattazione collettiva in presenza di salario minimo. Gli effetti del salario minimo sono i soliti: l'occupazione decresce mentre i salari aumentano. Ma dalle simulazioni basate sulle stime del modello, risulta che il benessere massimo dei lavoratori sarebbe raggiunto ad un livello di salario minimo molto inferiore (di circa un terzo) a quello vigente in Francia nel 97. Il secondo, pubblicato sul Journal of Applied Econometrics 2002, trova che circa il 15% della non-occupazione femminile in Francia e' spiegato dalla presenza del salario minimo. Questo lavoro e' degno di nota perche' modella esplicitamente e in modo abbastanza dettagliato tutto il sistema di tassazione del reddito da lavoro, contributi sociali, e - attenzione - reddito minimo garantito vigenti in Francia.
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Una precisazione su Card e Krueger
L'evidenza empirica addotta da CK e' davvero poco credibile. Basta rileggere con attenzione il loro lavoro sui ristoranti del New Jersey e della Pennsylvania per rendersene conto. Riassumendo brevemente:
1) L"esperienza di 400 ristoranti fast-food (sostanzialmente un case-study) non e' assolutamente generalizzabile, e difatti e' confutata da tutti gli studi che usano campioni nazionali rappresentativi.
2) Lo studio in questione, sui fast-food del New Jersey, e' fatto male perche' confronta l'occupazione prima e dopo l'aumento del salario minimo in una finestra temporale troppo ristretta: pochi mesi intorno all'aprile del 1992, data dell'entrata in vigore del nuovo livello del salario minimo. Ma l'aumento era gia' stato decretato ai primi del 1990, in modo pubblico, per cui le imprese avevano avuto tutto il tempo di reagire. Infatti, se si allarga la finestra temporale fino ad includere la data in cui il provvedimento era stato approvato, si ottiene un effetto sull'occupazione negativo.
3) E' perfettamente possibile che l'aumento del salario minimo abbia reso i ristoranti fast-food piu' competitivi rispetto ad altri ristoranti "low-cost" che operavano sotto i nuovi livelli salariali. Di nuovo, l'esperienza dei fast-food non e' generalizzabile all'intera economia.
Queste ed altre argomentazioni sono anche raccolte nel lavoro di Deere Murphy e Welch citato sopra.
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Riferimenti bibliografici (ancora incompleti)
Abowd, John M., Francis Kramarz, Thomas Lemieux, and David N. Margolis (1999), "Minimum Wages and Youth Employment in France and the United States", in Youth Unemployment and Employment in Advanced Countries, ed. David Blanchflower and Richard Freeman, 427-72. Chicago: University of Chicago Press.
Burkhauser, Richard V., Kenneth A. Couch, and David Wittenburg (2000a), "A reassessment of the new economics of the minimum wage literature using monthly data from the current population survey", Journal of Labor Economics, Vol. 18:653-80.
Burkhauser, Richard V., Kenneth A. Couch, and David Wittenburg, (2000b), "Who minimum wage increases bite: Results from the current population survey and survey of income and program participation", Southern Economic Journal, Vol. 67:16-40.
Card, David (1992a), "Using Regional Variation in Wages to Measure the Effects of the Federal Minimum Wage", Industrial and Labor Relations Review, Vol. 46 (1), pp. 22-37.
Card, David (1992b), "Do Minimum Wages Reduce Employment? A Case Study of California", Industrial and Labor Relations Review, Vol. 46 (1), pp. 38-54.
Card, David and Krueger, Alan B, (1994), "Minimum Wages and Employment: A Case Study of the Fast-Food Industry in New Jersey and Pennsylvania", American Economic Review, Vol. 84 (4), pp. 772-93.
Deere, Donald, Kevin M. Murphy, and Finis Welch (1995), "Employment and the 1990-1991 Minimum-Wage Hike", American Economic Review, Vol. 85 (2), Papers and Proceedings, 232-237.
Flinn, Christopher J. (2006), "Minimum Wage Effects on Labor Market Outcomes under Search, Matching, and Endogenous Contact Rates", Econometrica, Vol. 74 (4) , 1013–1062.
Katz, Lawrence F. and Krueger, Alan B. (1992), "The Effect of the Minimum Wage on the Fast-Food Industry", Industrial and LaborRelations Review, Vol. 46 (1), pp. 6-21.
Neumark, David, Mark Schweitzer and William Wascher (2004), "Minimum Wage Effects throughout the Wage Distribution", Journal of Human Resources, Vol. 39 (2), 425-450.
Van der Berg, G., and G. Ridder (1998): “An Empirical Equilibrium Search Model of the Labor Market,” Econometrica, Vol. 66, 1183–1221.
Non capisco come le argomentazioni portate nell'articolo ti facciano arrivare ad una conclusione così netta. Mi pare che il quadro che disegni sia più complesso. Se ho ben capito, quasi tutti gli studi empirici che citi sono su dati USA. Queste analisi porterebbero alla conclusione che il salario minimo attuale negli USA è troppo alto (con qualche se e qualche ma, vedi i lavori di Krueger e Card). La stessa conclusione si ottiene guardando al paper teorico di Flinn. Bene. A questo punto però ho un paio di domande:
1) Questo cosa c'entra con l'Italia? Qualcuno ha considerato le caratteristiche specifiche del nostro Paese? Ad esempio che il nostro mercato del lavoro è spaccato in 2, e che quindi gli effetti del salario minimo sulle "categorie deboli" potrebbero essere molto diversi? Qualcuno ha effettuato studi empirici o simulazioni basate sui nostri (bassi) livelli salariali?
2) Non mi pare che nel tuo articolo ci siano forti argomentazioni contrarie all'inserimento di un salario minimo per se. Gli elementi più forti (e cmq, mi sembra, non conclusivi) sono contro l'aumento dello stesso negli USA (e, in un caso, in UK).
Dico idiozie? ;)
Nessuna idiozia. Fammi rispondere innanzitutto fornendo qualche ulteriore risultato basato su dati europei:
- Un lavoro di John Abowd e coautori, citato da David Neumark, confronta l'esperienza di Francia e Stati Uniti negli anni ottanta: il confronto e' interessante perche' in Francia il salario minimo reale e' aumentato nel priodo in considerazione, mentre negli Stati Uniti e' diminuito. Abowd e compagnia trovano forti effetti di disoccupazione derivanti dal salario minimo in entrambi i paesi, proprio per i lavoratori colpiti dal salario minimo. Purtroppo non ho ancora l'articolo di Abowd sotto mano, ma appena lo trovo aggiungero' i dettagli.
- Aggiungo qualche dettaglio sui risultati del lavoro di van der Berg e Ridder, che usano dati longitudinali olandesi dal 1985 al 1990. Nelle loro simulazioni sull'effetto del salario minimo, trovano che un aumento del 25% del salario minimo rende il 16% dei lavoratori permanentemente disoccupati, in quanto rende quei segmenti di imprese non-profittevoli. La maggior parte degli individui colpiti sono lavoratori giovani, fra i 22 e i 30 anni. Inoltre, questo studio trova che il potere di monopsonio delle imprese e' debole, specialmente per quelle maggiormente colpite dal salario minimo.
E' vero, non ho trovato studi che usano dati italiani. E sicuramente gli effetti specifici dipenderebbero dal livello del salario minimo stesso e da altri dettagli. La mia congettura sui probabili effetti di un salario minimo in Italia si basa sull'evidenza empirica riportata qui sopra, basata sull'esperienza francese e olandese. Inoltre, i lavori di Flinn e di van der Berg e Ridder esplicitano un possibile effetto di equilibrio generale sul comportamento delle imprese, che possono ridurre le vacancies da loro annunciate o addirittura essere costrette ad uscire dal mercato. In Italia, poi, ritengo probabile che l'introduzione di un salario minimo possa indurre, al margine, la fuoriuscita di un certo numero di imprese nel sommerso. Di nuovo, l'entita' di quest'effetto dovrebbe essere quantificata usando dati italiani.