In un paese come l’Italia refrattario ai fatti, impermeabile alla crudezza dei dati, impregnato di ideologie obsolete, in bilico perenne tra Mussolini e Masaniello, con interludi andreottiani e un sostrato di consociativismo radicato nelle elites, provare a diffondere idee controcorrente o innovative è fatica improba. A leggere certi commenti ai blog (non NfA) si rimane interdetti nel verificare quanto sono radicati pregiudizi da modello superfisso innestati su slogan da comizio anni ‘50.
Per di più la cultura liberale ha il difetto di non essere particolarmente facile da snocciolare in forma di narrativa, di parabola o di catechesi in un paese dove tarallucci e vino hanno conio che non svaluta. Anche chi ha un diploma di laurea appesa in salotto, mostra una granitica idiosincrasia verso ragionamenti concreti e analisi fredda delle conseguenze, per colpa anche all’istruzione di stampo crocian-gentiliano vecchia di un secolo (anzi gia’ vecchia quando venne importata in Italia), che prevale nelle scuole di ogni ordine e grado.
Il peso della quotidianità per tanti si solleva solo sulle ali delle illusioni. La mediocrità anela ad appartenere al Bund che rassicura. Il riscatto ha una colonna sonora di salmi e un palcoscenico di festose (o religiose) kermesse. La fabbrica del consenso irradia il sol dell’avvenire o fa balenare meno tasse (e piu’ pilu?) per tutti. A chi non paga tasse sventola sotto il naso un biglietto di ingresso per la casa de “Il Grande Fratello”.
Mentre la vena individualistica tipica del liberale spinge a detestare il ruolo di missionario o di agit prop. Il proselitismo si concretizza preferendo il salotto alla piazza e la biblioteca al bar. Insomma sul terreno patrio già di per sé arido per la cultura liberale, si è fatto pochissimo per dissodare le zolle. I grandi organi di informazione che si piccano di rivolgersi alla borghesia produttiva e delle professioni, e che in teoria dovrebbero dare un minimo di spazio alla cultura liberale, affidano le prime pagine agli Ostellini di varia foggia e natura. En passant, e’ un’esperienza straordinaria leggere adesso il Pierino berluschino lamentarsi che Tremonti e’ un socialista.
Eppure, se guardo indietro al periodo in cui l’epiteto liberale era un insulto (per molti lo e’ ancora), alcuni passi in avanti sono stati fatti. Quando mi coglie lo sconforto rivado con la mente ad un episodio che mi capito’ lavorando al Centrostudi Confindustria prima di finire la tesi. Scrissi un rapporto, distillato in un breve articolo per il settimale Mondo Economico, intitolato “La Denazionalizzazione dell’Industria Elettrica”. Dovetti ricorrere al termine “denazionalizzazione” perché nella Roma del CAF il termine “privatizzazione” (eravamo nel 1990) veniva considerato una rozza provocazione di stampo thatcheriano e non si poteva pronunciarlo impunemente nelle stanze del potere o al cospetto dei mandarini.
Nonostante la prudenza lessicale il pezzo fece scalpore. Il Presidente dell’ENEL del tempo, tal Viezzoli, si infuriò. Mandò a dire al settimo piano di Viale dell’Astronomia che lui non era uno sprovveduto: intuiva chiaramente come l’articolo fosse una manovra dei dorotei per colpirlo (in vista di non so quale evento), ma che lui avrebbe mosso le sue pedine e lavato l’affronto.
Cosi’ andavano le cose in quell’Italia che rappresentava una combinazione convessa (a parametri incostanti) tra il tardo breznevismo e il Paraguay di Stroessner. Pochi anni dopo sarebbe stata spiazzata da Tangentopoli, ma soprattutto dalla crisi economica devastante che ci catapultò fuori dal sistema monetario europeo. Privatizzazione divenne un vocabolo accettato e l’ENEL andò in borsa. Fu purtroppo una stagione breve, anche se molti tra i liberali si illusero che fosse irreversibile. Invece quel processo con l’avvento del berlusconismo, erede morale e materiale del CAF e del craxismo (Tremonti, Brunetta, Sacconi, Cicchtto, Boniver, Stefania Craxi, Caldoro), si e’ arenato. Ma l’attuale crisi economica, ancora piu’ devastante di quella del 1992, scardinerà gli equilibri degli ultimi 15 anni e ci condurrà ad un punto di biforcazione epocale.
In tali circostanze il mercato delle idee diventa più liquido e si sgretolano le barriere all’entrata perché anche le menti anchilosate e le greggi prive di cani pastore di fronte al disastro sono portate a considerare tutte le alternative. Il provocatorio diventa rispettabile, l’impensabile diventa ragionevole, l’esecrabile si trasforma in programma di governo.
Non è nella nostra disponibilità decidere il momento e le circostanze in cui il punto di appoggio della leva intellettuale diventa più solido. Ma sta a noi riconoscere quando l’occasione è propizia. Attorno ai fuochi accesi tra le macerie si dovrà discutere della ricostruzione e in quel momento non deve mancare la voce. Bisognerà premurarsi che sia una voce chiara, che parli per concetti semplici senza sussiego, e che ribatta spesso sugli stessi punti. Ma il terreno va preparato hic et nunc.
L’effetto delle idee e’ impercettibile. Volerlo discernere e’ un po’ come fissarsi a guardare l’erba crescere d’inverno, per cui si sente l’impulso di abbandonare la cura del prato. Poi a maggio ci si rallegra di non aver ceduto all’impulso. In Italia in questo momento la stagione politica e quella climatica sono invertite. Bisogna concimare adesso per quando arriverà novembre e la vera Legge di Stabilità con le scelte incalzate dall’emergenza, non le tragiche baggianate tremontiane di questi giorni.
fonte
Ho l'impressione di rivedere la progressione che ha costretto il Portogallo a gettare le spugna. Fino a una settimana prima il Ministero delle Finanze insisteva che non c'era bisogno di aiuti esterni perche' il servizio del debito era sostenibile. Poi le banche dopo una serie di provvediemnti ridicoli del governo annunciarono che non avrebbero partecipato piu' alle aste e con una concentrazione di scadenze di titoli a lungo termine in poche settimane, il governo capi' che era al capolinea.
In Italia la concentrazione di rifinanziamenti non e' cosi' concentrata, ma d'altro canto le banche italiane sono gia' sotto pressione e l'ammontare del debito spaventa gli altri detentori di titoli. Bastano un paio di aste non troppo brillanti .....
Per chi volesse avere un'idea di come ci vedono da fuori questo e' un post breve e interessante
http://www.zerohedge.com/article/heres-why-italys-cds-are-biggest-risk-eurozone
Visto che anche i CDS sulla Francia stanno aumentando di volume, nei commenti al post si parla inizialmente di F-PIIGS. Poi qualcuno nota che anche il Regno Unito non se la passa bene e l'acronimo si allunga. Ancora nessuno ha sollevato dubbi sulla Cina (che tuttavia ha seri problemi fiscali a livello di governi locali) .... Pero' uno ha notato che US non sono solo le iniziali di un paese alle prese con una crisi politica sul debt ceiling, ma anche un pronome ...