Le contraddizioni del decreto lavoro

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Ieri il governo ha approvato il "decreto lavoro 2013". Un breve commento per sottolinearne alcuni aspetti contraddittori.

I dettagli del provvedimento sono qui, qui e qui.

Contraddizione 1. La principale misura consiste nella riduzione del costo del lavoro di 1/3 per 18 mesi per i neoassunti (neoassunti speciali, vedi sotto). Se il governo crede che questo possa bastare a creare un posto di lavoro, allora crede che il costo del lavoro sia l'ostacolo che impedisce all'occupazione di aumentare. Perche' allora non fare una delle seguenti cose, o una combinazione delle due? Primo, ridurre la pressione fiscale sul lavoro. 1/3 del costo del lavoro per un anno e mezzo equivale (facendo i conti facili con zero inflazione e zero tasso di interesse) al 5% del costo del lavoro per un rapporto di lavoro con durata attesa di 10 anni. Se la misura varata crea occupazione, il taglio si autofinanzia per neoassunti e finanzia parte del taglio per i gia' occupati (un nuovo occupato finanziera' il taglio di 2 gia' occupati coi 2/3 di cuneo fiscale che restano dopo lo sgravio, assumendo che i nuovi posti di lavoro siano distribuiti, rispetto al salario, come quelli esistenti). Se e' politicamente impossibile ridurre la spesa per reperire le risorse residue necessarie c'e' un secondo (equivalente) modo: permettere che un neoassunto accetti un salario lordo del 5% inferiore. Dovrebbe essere meglio che essere disoccupato. Se il governo non fa queste cose rivela di non credere che funzionino.

Contraddizione 2. Il target sono i lavoratori meno qualificati: un requisito e' essere un giovane con titolo di studio inferiore al diploma di scuola superiore (la terza media, cioe'). Si parla di spendere circa 800 milioni di euro per 100mila nuove assunzioni a tempo indeterminato, circa 8mila euro a posto di lavoro. I numeri del governo implicano quindi riduzione media di 450 euro al mese ovvero target si un salario medio lordo mensile di 1350 euro. Parecchio basso, trattandosi di salario lordo per lavori a tempo indeterminato. A me non pare una buona idea distorcere i salari relativi per incentivare la creazione di posti di lavoro a cosi' basso valore aggiunto, disincentivando quindi la creazione di quelli di maggiore qualita'. Quelli che il governo vuole creare non saranno (se mai si materializzeranno, dato quello che sappiamo su sussidi di questo tipo) posti di lavoro "buoni", il che contraddice lo slogan del governo secondo il quale il provvedimento creera' posti di lavoro di qualita'. Non sarebbe meglio affrontare il problema dei disoccupati con bassissimo capitale umano nel mezzo di una recessione mediante forme attive (formazione) e passive (trasferimenti) di welfare?

Contraddizione 3.  Il decreto prevede vantaggi per chi assume lavoratori in cassa integrazione (CIG). La logica della CIG e' tenere legato il lavoratore all'impresa durante i momenti di crisi. Il governo crede all'utilita' della CIG o no? Se no, dovrebbe sostituire questo istituto (come da tempo su questo blog suggeriamo) con un'assicurazione pubblica universale contro la disoccupazione stile Danimarca, rafforzando l'ASPI. Se si, perche' prevedere questi vantaggi nel decreto lavoro?

Contraddizione 4.  Il decreto riduce la lunghezza della "pause" obbligatorie tra un contratto temporaneo e un altro introdotte dalla riforma Fornero: da 60-90 giorni a 10-20. Non ho mai capito il motivo per cui queste pause siano state introdotte, visto che peggiorano (e di parecchio, lo vedo per esperienza diretta di parenti e conoscenti) la situazione dei lavoratori precari. Se il governo crede che queste pause siano dannose (come il mettervi mano suggerisce) allora deve eliminarle del tutto. Se non lo fa allora vuol dire che le ritiene utili. Che senso ha ridurle a 10-20 giorni? Perche' non 7 o 28? Perche' non aumentarle a 109?

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Commenti

Ci sono 41 commenti

per la contribuzione - a quanto pare - sono alternativi, non cumulativi: cfr. il post di Seminerio su Phastidio. Resta fermo che si tratta di un intervento distorsivo, meglio sarebbe stato ridurre direttamente l'imposizione sui redditi di tali soggetti.

Visto, grazie. I giornali hanno fatto pessima informazione su questo punto, meno male Mario ha rimediato :-)

Questo limita l'applicabilita' della contraddizione 2 ma non intacca le altre.

A me piace l'Art.2 del decreto, quello che deroga a tutto e tutti, purchè collegato all'iniziativa "Expo 2015", tanto che si prevede anche la possibilità di avere co.co.pro. in deroga purchè sul contratto sia scritto "Expo 2015", ovviamente la norma si applica su tutto il territorio nazionale, scrivi "Expo 2015" et voilà, il gioco è fatto.

Ed in questo non c'è nessuna contraddizione con la tradizione politica italiana, per aggirare le norme astruse che mettono si cerca un'occasione speciale (la prossima sarà la sagra della mortadella) e così crei la deroga speciale alla legge speciale con tutti i suoi bei rimandi, etc., etc.


Niente di nuovo sotto il sole, la solita via italiana: tanta confusione e "ammischiamento" di carte, un pò di superfisso (come fa notare l'ottimo marcospx), un pò di deroghe, e in testa l'idea è che ci sono troppi camerieri a nero (vero).

... non ho capito questa parte:

 

Se la misura varata crea occupazione, il taglio si autofinanzia per neoassunti e finanzia parte del taglio per i gia' occupati (un nuovo occupato finanziera' il taglio di 2 gia' occupati coi 2/3 di cuneo fiscale che restano dopo lo sgravio, assumendo che i nuovi posti di lavoro siano distribuiti, rispetto al salario, come quelli esistenti)

 

Come fa un taglio a finanziare qualcosa?

Mi prenda per un Suo studente che Le chiede un chiarimento :)

Se ogni lavoro che doveva pagare 100 ora paga 66.6, ogni lavoro che viene creato a causa di questa misura genera un'entrata di 66.6 per lo stato. Quindi i  33.3 persi ne hano generato altri 33.3.

Come ha gia' spiegato Andrea, pensa a un disoccupato. Questa persona oggi non produce e non riceve reddito tassabile. Se lo facesse, allora il governo (via imposte di tipo "payroll taxes", a carico del datore di lavoro e del lavoratore) incasserebbe, diciamo, 90 (ignoriamo per semplicita'  le alre imposte e tasse). Se ora il governo, riducendo queste imposte a 60 (di un un terzo, cioe') induce qualcuno ad assumere il disoccupato, allora il saldo netto dell'operazione per il governo e' 60 (quello che incassa dopo il taglio) meno zero (quello che avrebbe incassato senza il taglio), cioe' 60. Non solo il taglio si e' autofinanziato, ma questi 60 possono essere usati per ulteriori tagli a chi gia' lavora.

La domanda e': se il governo italiano crede che funzioni cosi' perche' non fa riduzioni di imposte di questo tipo a manetta invece che solo per i giovani con bassa istruzione? Come fa a sapere che funziona per loro e non per altri? Mi piacerebbe vedere una sperimentazione controllata seria per rispondere a domande di questo tipo, solo che si preferisce procedere sempre in questo modo alternativo, quello che in gergo tecnico si chiama "alla cazzo di cane".

Ho sentito questo studio citato su La7. Bruno Anastasia sara' magari un bravissimo ricercatore ma a me questa sembra pessima ricerca. Ci dovrebbe essere un disclaimer grande come una casa sul potenziale effetto di misure del genere di anticipare decisioni gia' prese, ma non ho trovato nulla a proposito. Sono troppo cattivo?

L'analisi di Anastasia non mi sembra fatta male, e' certamente il meglio che si puo' fare per analizzare politiche di quel tipo. Di fatto fa un diff-in-diff usando uomini 30+ come controfattuale per le donne 30+. Se uno crede alle assunzioni sottostanti (trend parallelo, che sembra essere il caso, e trattamento "as good as randomly assigned") allora si puo' calcolare che l'effetto per le donne 30+ e' di circa +207 stabilizzazioni (vedi figura sotto, ricostruita dalla tabella pubblicata) Piu' di questo, difficile dire senza fare assunzioni eroiche.

anastasia

 Prendiamo per un attimo per buona la stima finale di Anastasia, per cui le imprese sono disposte, al margine, a stabilizzare lavoratori precari per 30mila euro. Questo corrisponde a circa due anni di lavoro per lavori "precari". Se un rapporto di lavoro dura mediamente 10 anni (non ne ho idea, vado un po' a caso qui)  stiamo parlando del 20% della retribuzione. Se dura 20 del 10%. Mi sembra una stima plausibile del costo atteso del licenziamento e quindi del "premio per la stabilizzazione". Per altro verso questo conferma che uno dei problemi, al margine, e' l'eccessiva tassazione del lavoro. 

Il sussidio è pari (al massimo) a 650 euro per diciotto mesi, cioè 11700 euro. Quindi i beneficiari del sussidio dovrebbero essere 800 milioni / 11700 = 68.000 circa, a meno che i neo assunti non siano pagati in media molto meno di 23400 euro annui ( compresi imposte e contributi al lordo dei sussidi)

Il conto e' corretto, ma se lo fai considerando il sussidio massimo di 650 euro, allora 68mila e' il numero minimo di beneficiari.

 

Allora, perché mai lo Stato ha passato gli ultimi 60 anni ad imporre sempre maggiori ostacoli al libero svolgimento delle attività lavorative?

 

Ok, una cosa potrebbe essere quanto scrivibile in una Costituzione ma ritengo che il vero argine ad abusi legislativi contro il lavoro dovrebbe essere il popolo stesso, se avesse la capacità di comprendere come si realizza il suo principale interesse (nel caso: lavorare liberamente).

Il popolo purtroppo non chiede libertà ma esige sicurezza, protezione e protezionismo, a perpetuazione di un sistema fascio-corporativo-sindacale ...  non chiede libertà (con i rischi ad essa connessi) ma preferisce una gabbia protettiva, malgrado il suo costo.

Tra liberalismo e protezionismo in Italia (e non solo) ha vinto nettamente il secondo.

Lo Stato quindi fornisce un servizio ben condizionato dalla domanda (di protezione) e naturalmente ci mette molto del suo per continuare a far credere che la protezione dello Stato sia indispensabile. Lo fa perché il rapporto protettore-protetto di solito è a sua volta un rapporto di mercato e non è gratuito.  E quindi la politica in cambio di protezione ci guadagna, esigendo il suo prezzo (imposte e contributi oltre la normale soglia di accettabilità).

Per chiudere in modo scherzoso, dichiaro un certo vuoto di memoria e chiedo il vostro aiuto .... Quando uno per proteggere si fa pagare attingendo una quota dei guadagni del protetetto, ... come si chiama? Ma ... Magn ... accidenti ce l'ho sulla punta della lingua!

 

Il popolo purtroppo non chiede libertà ma esige sicurezza, protezione e protezionismo, a perpetuazione di un sistema fascio-corporativo-sindacale ...  non chiede libertà (con i rischi ad essa connessi) ma preferisce una gabbia protettiva, malgrado il suo costo.

 

Io non ne sono sicuro.

Sono invece sicuro che:

- "il popolo" è composto da individui;

- i partiti, i sindacati, le gerarchie ministeriali, quelle delle amministrazioni locali sono dei gruppi organizzati, ed in quanto tali molto più forti dei singoli individui.

In condizioni di democrazia, gl individui hanno qualche possibilità di manifestare la "vox populi".

In condizioni di "partitocrazia" (ovvero in cui l'eletto dipende dal partito, il quale a sua volta esiste grazie a finanziamenti e collegamenti ad altre organizzazioni), direi proprio di no.

Poiché in Italia siamo nel secondo caso, come fai a dire di conoscere la "vox populi"?

Sappiamo a d esempio, tramite i referendum, che "il popolo" è a favore di legge elettorale uninominale, ed è contro il finanziamento pubblico dei pariti.

Poiché invece abbiamo una legge elettorale a liste chiuse ed il finanziamento pubblico, se non ci fossero stati i referendum (il cui risultato non è stato esaudito) tu ne concluderesti che è "il popolo" che li vuole?

Non dico di conoscere la vox populi ma la interpreto sulla base del risultato.  Tutti i grandi partiti offrono una qualche forma di protezione economica al blocco sociale di riferimento  e caso mai si litiga sul prezzo, visto che ora palesemente è diventato troppo alto.

PS: mi pare che gli spammer abbiano bucato il forum ;-)

 

se mai si materializzeranno, dato quello che sappiamo su sussidi di questo tipo

 

QED