Introduzione: un caso concreto
In questo post si parla della storia del car sharing in Italia. Cos’è il car sharing? In sostanza, si tratta di utilizzare il telefonino per aprire a piacimento le porte di “automobili collettive” sparse in giro per la città. Si prenota con un click (anzi, un tap del dito), in ogni istante. Finita la corsa, la fattura con i dati del pagamento (trasparente tariffazione a tempo) viene recapitata al vostro indirizzo email e la vostra carta di credito viene addebitata. Assicurazione, carburante, parcheggio: tutto incluso. Una rivoluzione.
Storicamente, l’Italia è stata assolutamente in ritardo nell’utilizzo di queste forme di mobilità alternative, con un conseguente danno per tutta la società. Come mai questo ritardo? La risposta che esce dalla lettura dei documenti programmatici delle amministrazioni pubbliche suonava così: “c’è un problema culturale in Italia nell’utilizzo di questi mezzi alternativi”, “ci vuole un forte intervento finanziario pubblico per favorire l’innovazione sociale in questo campo”. Vi prego di tenere a mente questo tipo di spiegazione. Probabilmente sentite spesso argomenti di questo tipo.
Ci sono molti modi in cui l’azione pubblica può favorire il diffondersi di utili tecnologie, soprattutto quando, muovendosi con ritardo, le tecnologie a disposizione sono ormai mature. L’Italia sceglie la via dello Stato imprenditore, nel tentativo di svegliare lo spirito animale dell’innovazione e risolvere i “problemi culturali”. Attenzione: qui per “Stato” non intendo semplicemente il governo centrale, ma intendo pure le amministrazioni locali che, nella loro autonomia, hanno grande peso nella narrazione dei fatti che vado a riportare.
Il governo centrale comincia mettendoci i soldi. Si tratta di 19 milioni di euro, in due finanziamenti successivi nel 2000 e nel 2006, che finiscono nell’Iniziativa Car Sharing (ICS) con il compito di organizzare e co-finanziare, assieme alle ulteriori risorse fiscali messe in campo dagli enti locali, lo sviluppo del car sharing nelle varie città italiane.
Le scelte dell'amministrazione locale
Già, le città. A livello locale, i comuni mettono in piedi società di pubbliche di gestione, quasi sempre sotto l’ombrello societario della locale municipalizzata del trasporto. La qualità del servizio varia ovviamente da città a città, ma non c’è dubbio che le esperienze di maggior rilievo siano quelle di Milano e di Roma.
Parliamo di Roma. Nella capitale il car sharing parte su scala minimale (10 auto) nel 2005, gestito dalla società municipalizzata dei trasporti, per poi espandersi negli anni successivi. I dati certificano il fallimento dell’iniziativa. Alla data odierna, l’ICS conta la presenza a Roma di soli 115 veicoli forniti dal car sharing comunale, e di 3300 utenti registrati, in una città di quasi 3 milioni di abitanti. Visti i numeri esigui non stupisce che molti romani non si sia nemmeno mai accorti dell’esistenza di un car sharing cittadino. Ovviamente ci sarà sempre chi dirà che passare da 0 a 3300 iscritti è un “grande successo” (in fondo è pure sempre un aumento del…+infinito%...) . Invece no, è una sconfitta, basta mettere il naso fuori dai confini nazionali per rendersene conto.
Il fallimento, sia economico, che di impatto sul trasporto cittadino, del car sharing municipale è raccontato dagli stessi bilanci e delibere della giunta capitolina. Per esempio, nella relazione di bilancio 2012 (l’ultima disponibile) di Roma Mobilità emerge che i ricavi totali del car sharing romano erano poco più di 900 mila euro, mentre i soli costi del carburante e dei canoni di noleggio dei veicoli sfioravano il milione di euro. Non ci è dato di sapere a quanto ammontano le perdite annue operative una volta che si sia tenuto conto di tutte le voci di costo (tra le quali quelle per il personale). L’anti-economicità del servizio, e il suo grado di sottosviluppo, vegono così certificati nella relazione:
“per la gestione dei servizi ‘car e bike sharing’ si conferma, in assenza di interventi di investimento e riorganizzazione operativa/commerciale degli stessi, un fatturato senza prospettive di incremento e sempre meno remunerativo dei crescenti costi sostenuti per la gestione”,
“riconosciuta e condivisa con il Socio l’impossibilità e incompatibilità economico-finanziaria e operativa della gestione delle due attività [car e bike sharing, ndr] in seno all’Agenzia […]”.
A questo punto, la narrazione continua con un passo indietro nel tempo, istruttivo vedere come l’amministrazione locale abbia reagito all’insuccesso e all’anti-economicità della propria fornitura di servizi di servizio car sharing.
A suonare il primo campanello sul fallimento pubblico, suggerendo correzioni di tiro, non è stata l’amministrazione stessa, ma l’autorità antitrust, che col parere 36 del 28 settembre 2009 ricorda al Comune capitolino come, a seguito di norme comunitarie e italiane, “il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali debba avvenire, in via ordinaria, a favore di soggetti individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica”.
Obtorto collo, l’amministrazione capitolina mette quindi in piedi, nel 2010, un bando pubblico per la gestione del servizio di car sharing. Dal bando, tuttavia, traspare la chiara intenzione dell’amministrazione di volere mantenere la gestione del servizio. L’amministrazione infatti non si limita a trattenere alcuni (doverosi) poteri di controllo sulla gestione privata, ma si riserva anche il potere di continuare a gestire autonomamente fasi cruciali della produzione del servizio, quali quelle di marketing e di relazioni dirette coi soci-utenti del car sharing. Con Deliberazione di Giunta n. 154/2010 si afferma infatti che
“Permarranno in capo alla Società Roma Servizi per la Mobilità i seguenti compiti e compensi:
– pianificazione dello sviluppo del servizio;
– programmazione e progettazione delle strutture sul territorio;
– promozione e marketing del Servizio;
– gestione ed interfaccia con i Soci del Servizio;
– percentuale dei ricavi da Servizio;”
A seguito della delibera di cui sopra, viene indetto nel 2011 un bando per l’affidamento del servizio. Il risultato non stupisce: il bando va deserto, e la municipalizzata continua così a mantenere il monopolio sul car sharing romano (La storia di questa delibera “ammazza privati” non si ferma qui, e ritornerà nelle conclusioni a questo post).
Passano altri tre anni, il servizio langue, ma nella primavera del 2014 arriva la prima svolta. Sull’onda dei successi milanesi, la nuova amministrazione capitolina decide di mantenere il monopolio pubblico sulla fornitura di car sharing “a postazione fissa”, ma liberalizza, tramite apposito bando (privo di clausole ammazza-privato), la fornitura di servizi car sharing “a flusso libero”. Il “flusso libero” si differenzia dal car sharing “a postazione fissa” in quanto permette di effettuare “viaggi di sola andata”, nel senso che il cliente può terminare il noleggio parcheggiando l’auto in un qualsiasi punto della città (nel caso di “postazione fissa”, invece, l’auto va riportata nell’apposito parcheggio riservato da cui era stata inizialmente prelevata).
In pochi mesi, fra marzo e giugno 2014, entrano nel mercato due operatori, la tedesca Car2Go, che già effettua il servizio di car sharing in varie città del mondo, e l’italiana Enjoy, già operante a Milano.
I numeri, in rapida crescita, indicano che le due società di car sharing hanno messo sulle strade una flotta di 1200 auto, decuplicando quindi, nel giro di pochi mesi, i numeri della flotta del servizio pubblico, che invece si era andata costituendo nell’arco di un decennio.
La risposta dei romani è entusiasta: le iscrizioni totali ai due servizi si aggirano sulle 70 mila unità, più di 20 volte superiori alle iscrizioni al servizio municipalizzato. La tesi del “deficit culturale” si sgretola, in favore di una molto più probabile alternativa: il car sharing in Italia non decollava perché la fornitura del servizio, gestita dalle municipalizzate, era inefficiente e arretrata.
Se guardiamo all’effetto della liberalizzazione sulle casse comunali, ecco che al danno si aggiunge la beffa. Il bando con cui si liberalizza il servizio “a flusso libero” (delibera 5 marzo 2014) indica infatti che,
“Il soggetto interessato ed autorizzato a svolgere il servizio di Car Sharing a flusso libero, dovrà corrispondere in favore di Roma Capitale un canone pari ad Euro 1.200,00 , I.V.A. inclusa, annui, per ciascun veicolo. […] il numero totale delle vetture in servizio contemporaneo, non può superare il valore 1.500 unità”
Avete letto bene. Calcolando che al momento la flotta privata è di circa 1200 auto, grazie alla liberalizzazioni arriveranno nelle casse comunali circa 1,4 milioni di euro all’anno. Tutto ciò al confronto del servizio del car sharing municipalizzato che di euro ne genera forse altrettanti, ma in forma di perdite. Tutto ciò, in una città il cui bilancio pubblico è in bancarotta. Vi ricordate poi la preoccupazione secondo cui, in assenza di un massiccio intervento di fornitura pubblica, l’offerta di auto in car sharing non sarebbe mai potuta decollare in Italia? Bene, proprio nel momento in cui liberalizza il segmento “a flusso libero” è la stessa amministrazione a dirci che quelle preoccupazioni erano baggianate: la preoccupazione diventa di colpo quella di fissare limiti massimi alla numerosità della flotta privata.
Conclusioni e una domanda al sindaco
Le nuove tecnologie dell’informazione hanno aperto grandi spazi per migliorare i sistemi di trasporto cittadino nella direzione di un abbassamento dei costi (di un innalzamento, quindi, del reddito reale) e di un miglioramento della qualità dell’ambiente urbano. Lascio al lettore interessato il compito di verificare quanto sia il risparmio economico ottenibile dall’utilizzo del car sharing in luogo del veicolo di proprietà. Ovviamente i vantaggi variano a seconda delle necessità individuali di utilizzo, ma per alcune gruppi di cittadini (possessori di seconda auto, giovani senza figli, professionisti che smettono di pagare taxi costosi) i risparmi per i cittadini possono essere significativi, pari o superiori ai famosi “80 euro in più” al mese.
Per cogliere questi vantaggi ci vogliono produttori efficienti, all’avanguardia tecnologica e “affamati” di ampliare le proprie quote di mercato. La fornitura pubblica è, da questo punto di vista, veramente mal posizionata. Il servizio di car sharing è ormai per molti versi un servizio maturo. Alla sua fornitura concorrono soggetti privati con grande esperienza gestionale che operano, con una tecnologia ben consolidata, a livello internazionale. È proprio l’esperienza di queste società private, pionieri dell’innovazione, ad aver progressivamente portato alla definizione di standard internazionali di settore. Una fornitura pubblica, in questo settore (dove i privati possono operare efficientemente, a livello cittadino, in regime non-monopolistico) è tanto sconsigliabile quanto lo è la fornitura pubblica di servizi di taglio di capelli.
Aprire i mercati, rendere possibile l’innovazione tecnologica, è un tassello fondamentale di ciò di cui l’Italia ha davvero bisogno. Si tratta, in piena regola, di attuare le famigerate “riforme strutturali” che “facciano ripartire la crescita della produttività”, e con essa dei salari e dei redditi. Sono riforme che dobbiamo fare per noi stessi, per il nostro benessere collettivo. Invece, come nel caso del car sharing, molto spesso l’amministrazione pubblica abdica al suo vero ruolo di promotore di benessere. Fornisce servizi di bassa qualità, finanziandoli sottocosto e ripianando le perdite grazie ad un’altissima imposizione fiscale. Gli spazi per una importante azione pubblica non possono risiedere nella fornitura di questo tipo di servizi (di altri, forse sì). In questi campi uno spazio c’è per il ruolo pubblico, ma ha a che fare col creare un quadro regolamentare snello e stabile, che tuteli il mercato e permetta alle società private di muoversi agevolemente ed in modo concorrenziale.
Concludo con una domanda al sindaco Marino. Visti i risultati della liberalizzazione del servizio “a flusso libero”, perché non liberalizzare anche il servizio “a postazione fissa”? I due servizi sono parzialmente diversi, e possono benissimo coesistere fra loro. Si guardi per esempio al caso della capitale americana, di quella austriaca, di quella inglese. In queste moderne capitali (Roma aspira ad essere moderna?) operano, a titolo di esempio, sia la società Car2Go (che come detto già offre il “flusso libero” anche a Roma) sia la società Zipcar. Quest’ultima, offre da quasi 15 anni servizi car sharing “a postazione fissa” in varie città del mondo.
Caro sindaco, lei crede davvero che la municipalizzata di Roma possa competere, in termini di tecnologia, efficienza ed esperienza con una società come Zipcar, pionieri del car sharing mondiale, che coi suoi servizi si è guadagnata 870.000 iscritti a livello globale? Chi può fornire il miglior servizio ai cittadini? Una società internazionale o la municipalizzata romana, che macina annualmente perdite a carico del disastrato bilancio cittadino (e a carico quindi delle addizionali Irpef)?
Caro sindaco, mi sembra che le risposte alle mie domande siano scontate, alla luce proprio dell’esperienza che la sua amministrazione ha intrapreso tramite le liberalizzazione del servizio “a flusso libero”. Ecco perché mi stupisco, e mi preoccupo, quando leggo che nella recente delibera della giunta (20 giungo 2014), l’amministrazione cittadina intende investire ulteriormente nell’ampliamento della fornitura di car sharing da parte della municipalizzata. Tutto questo in assenza di alcun bando pubblico (assenza che viene giustificata dal fatto che il precedente bando, quello ammazza-privati, era andato deserto – ben sappiamo il perché…). Ecco alcuni stralci dalla delibera,
[...] nel corso degli anni, il Servizio romano di Car Sharing “a postazione fissa”, pur contenuto nelle sue dimensioni territoriali, ha rivelato un andamento di sicuro interesse quanto al crescente numero di adesioni e di soci raggiunti e all’utilizzo effettivo del parco macchine, palesando, in tal senso, l’opportunità di una messa a regime dello stesso, mediante il suo ampliamento a tutti i Municipi cittadini e con un sostanziale incremento della flotta;
[...] pertanto, anche in ragione delle risultanze negative della precedente procedura concorsuale esperita, in ossequio ai principi di efficacia, efficienza, ed economicità, appare opportuno, per le finalità pubbliche perseguite, implementare in modo capillare il Servizio pubblico di Car Sharing a “postazione fissa” e procedere in via diretta nell’espletamento di tutte le attività necessarie per la prevista espansione territoriale del Servizio, al fine di [...] individuare un modello di gestione appetibile per un operatore economico privato.
I neretti sono miei. Caro sindaco, è assolutamente irreale pensare che la municipalizzata “Roma Servizi per la Mobilità S.r.l” possa aver in alcun modo la pretesa di insegnare a società con l’esperienza di Zipcar quale sia “un modello di gestione appetibile per un operatore economico privato” e di gestione “efficace ed efficiente” nel campo del car sharing a postazione fissa. Questo modello già c’è, e l’hanno inventato loro. Per sfruttare questi modelli, basta scrivere dei bandi che non siano volutamente “ammazza privati”. Ciò non toglie che una società come Zipcar avrebbe certamente bisogno che l’amministrazione facesse con rigore la propria parte. In primis, multando e rimuovendo prontamente qualsiasi auto parcheggiata nelle postazioni espressamente riservate al car sharing, condizione senza la quale nessun servizio “a postazione fissa” potrà mai essere efficiente. Per far esplodere l’innovazione non c’è bisogno di una società pubblica in perdita che creda di insegnare il mestiere all’oste. C’è bisogno soltanto di un’amministrazione pubblica che faccia rispettare il codice della strada. Da qui partono le riforme strutturali. E’ così che la politica, e l’amministrazione pubblica, può rivoluzionare la vita di questo Paese e delle nostre città.
Sul tema del carsharing a Roma (ma stessa situazione va profilandosi anche per il bikesharing) si è più volte pronunciata anche l'Agenzia per il controllo e la qualità dei Spl di Roma Capitale, da ultimo nella sua Relazione annuale 2013, cap. 8, par. 8.2.1. (http://www.agenzia.roma.it/home.cfm?nomepagina=relazione). A mio avviso sarebbe interessante sviluppare qualche riflessione anche sulla tematica relativa ad "Uber", paragonata ai settori taxi e NCC che sono comunque regolati e disciplinati a livello locale.