Chiarimento preliminare. Vorrei evitare d'essere preso per un aderente in ritardo al confuso ed incoerente appello di economisti "marxisto-sraffian-keynesiani" - ossia, "seguaci del barone-guru Luigi Pasinetti" - che gira da tempo per l'Italia. Gli allegri signori che hanno steso e firmato il suddetto appello sostengono, ad essere cortesi, che il debito va lasciato lì dove si trova non perchè s'hanno da ridurre le tasse ma perchè, al contrario, tutto quanto si possa ricavare dalla tassazione va assolutamente ed immediatamente speso, pena la caduta della famosa domanda effettiva. Se, scialando spesa pubblica a destra ed a manca, s'arriva a spender più di quanto VV tassi (per incredibile che possa sembrare, con certa gente è possibile pure questo) non preoccupiamoci. Per i pubblici intellettuali (nel senso di pubblicamente stipendiati a base di tasse pagate dai lavoratori del privato) che hanno firmato il suddetto appello, un bel deficit di bilancio non è mai stato né mai sarà una cosa grave. Come credo risulterà chiaro da quanto segue, nulla mi risulta più alieno della finta analisi economica che costoro predicano. Il fatto che, su uno specificissimo punto di politica economica, si possa arrivare alle medesime, anche se contingenti, conclusioni è dovuto a pura casualità.
L'argomento che vorrei svolgere consiste di tre parti. La prima si riferisce alla politica economica più immediata e spiega perchè non è una buona idea (per il cittadino italiano medio) che si cerchi di ridurre lo stock del debito pubblico esistente oggi in Italia. La seconda pate e' leggermente più generale: sostengo che la religione di Maastricht secondo cui qualsiasi rapporto debito/PIL superiore al 60% è un "male" mi risulta infondata e che, più in generale, non è possibile stabilire a-priori (ossia astraendo da situazioni concrete) quale debba essere il rapporto debito/PIL ideale. Nella terza parte, ancor più generale, indico quali siano i criteri da adottarsi per decidere, in ogni data situazione concreta, se vale la pena aumentare, ridurre o lasciare inalterato lo stock di debito pubblico.
Parte 1. L'analogia più semplice mi sembra quella del "buon" padre (madre) di famiglia. Quando conviene indebitarsi per investire o consumare? Conviene indebitarsi per investire o consumare quando il rendimento atteso dell'investimento (o del consumo, dove il rendimento del secondo va misurato in termini di utilità da esso prodotta) è superiore (o uguale, per i pignoli) al costo atteso del servizio del debito - dove per "servizio del debito" intendo i pagamenti di interessi e capitale richiesti sino alla scadenza del contratto di prestito. Si tende in genere ad aggiungere una seconda condizione alla precedente: che il debito così generato sia "sostenibile" - ossia che la famiglia in questione sia in grado, nel futuro, di "servirlo" in modo consistente con gli altri flussi di reddito e spesa programmati o attesi. Ma questa seconda condizione è, in realtà, una condizione imposta dal mercato, ossia dai creditori: i creditori si rifiuteranno di concedere prestiti qualora ritengano che il nuovo debito non sia compatibile con il vincolo di bilancio della famiglia, ossia non sia servibile. Quando tale evento si verifica, ossia quando il mercato ritiene che il debitore non sia in grado di servire il debito che richiede, si alzeranno i tassi d'interesse praticati allo stesso in misura proporzionale al rischio di non pagamento che si viene così a creare. Tecnicamente noi parliamo di "no Ponzi games" (NPG): il mercato si rifiuterà (e tale rifiuto si tradurrà in variazioni dei prezzi, ossia dei tassi d'interesse praticati) di concedere prestiti ad una famiglia che usi nuovo debito per servire il precedente e che non sia in grado, nell'orizzonte di tempo considerato, di servire il proprio stock di debito attraverso il reddito da essa generato. Quindi la prima condizione è l'unica che un buon padre di famiglia, e quindi un "buon governo" nel senso Einaudiano del termine, dovrebbe seguire nella gestione dello stock ESISTENTE di debito pubblico.
Nota tecnica: molte persone fanno confusione su questo punto - è stato fatto persino su nFA! - menzionando anche la cosidetta "condizione di trasversalità" (TC), la quale c'entra come i cavoli a merenda. La TC è una condizione (sufficiente di solito come provato da Mangasarian (1966), sotto certe ipotesi necessaria) per l'ottimalità di piani intertemporali di consumo-risparmio. Essa è banale con orizzonte finito e meno banale con orizzonte infinito, ma la TC impone che "al limite dell'orizzonte temporale" il soggetto massimizzante non detenga troppo capitale, non troppo debito! Insomma, la TC è esattamente l'opposto di quanto molti tendono a farle dire: qualsiasi consumatore razionale sarebbe felicissimo d'avere una quantità crescente con il tempo (e tendente all'infinito) di debito perchè così facendo potrebbe consumare a piacimento. Ciò che un consumatore razionale vuole evitare, invece, è di avere troppi risparmi inutilizzati nel punto limite del suo orizzonte temporale. E' dunque la condizione NPG che impedisce di accumulare troppo debito e, ripeto, la NPG la impone il mercato attraverso i prezzi (o, al più negando il debito tout court) non serve se la imponga il consumatore da solo. A meno che non sia masochista.
Chiarito questo punto, veniamo al presente. Lo stato italiano paga un premio al rischio sul proprio debito pubblico rispetto ad altri paesi, come per esempio la Germania o la Spagna, che hanno rapporti debito/PIL minori? L'evidenza dice persistentemente di no, come abbiamo chiarito, nel dibattito che trovate qui, Enzo Michelangeli ed il sottoscritto. Proprio non paghiamo nessun premio al rischio, quindi ridurre il rapporto debito/PIL dal 107% odierno al, per esempio, 37% della Spagna non ci farebbe risparmiare nulla da questo lato. Diranno alcuni: ma in questa maniera risparmiamo gli interessi! Sbagliato, perchè per risparmiare gli interessi occorre ripagare il capitale ed il valore del medesimo è esattamente uguale al valore presente atteso (scontato al tasso d'interesse di mercato) dei pagamenti d'interesse che così si risparmierebbero. Se pagando un po' di debito calano gli interessi perchè si riduce il premio al rischio potrebbe essere conveniente, ma nella situazione concreta questo caso non si dà. Le due quantità sono identiche proprio in forza del fatto che non stiamo pagando un premio al rischio! La riduzione del debito, dunque, non genera alcun vantaggio monetario e la prossima volta che qualcuno se ne esce a cena con la storia degli interessi che sono uguali a quello che il paese spende in educazione spiegategli/le che non ha capito nulla. Anche questo punto, alquanto banale invero, è stato chiarito nella discussione fra Enzo ed il sottoscritto indicata poc'anzi.
Aggiungerei un ulteriore fattore: per pagare 4 Euro di interessi occorre tassare il reddito o il consumo degli italiani per 4 Euro, mentre per pagare il capitale che genera quegli interessi occorre tassare il reddito degli italiani per 100 Euro. Nella misura in cui le tasse sono distorcenti, esse lo sono proporzionalmente di più all'aumentare del livello di tassazione per unità di tempo. Insomma, tassare 100 di un solo colpo fa un danno maggiore che non tassare 4 per 25 anni di seguito. Detto altrimenti: la funzione di perdita associata alla tassazione non è solo crescente, è anche convessa: quindi meglio pagare per sempre interessi con le tasse che non tassare per pagare immediatamente il capitale. Gli inglesi dei bei tempi andati, che gonzi non erano, questo fatto l'avevano capito molto bene: per questo amavano emettere "console debt" o "consols", che pagano interessi ma non si redimono mai.
Rimane quindi un'ultima possibilità, la seguente: gli italiani che pagano le tasse sono dei gonzi. Mi spiego. Questa ipotesi dice che, con i soldi che gli italiani ora tengono in tasca propria ed investono/consumano e che si vorrebbe prelevare per pagare il debito in essere, con questi soldi dicevo gli italiani ci guadagnano meno del 4% circa che il debito pubblico paga come tasso d'interesse. Detto altrimenti: il rendimento atteso degli investimenti/consumi degli italiani è inferiore al costo del debito pubblico. Se questo è il caso allora, effettivamente, un governo benevolente vorrebbe "prendere a prestito" (via tassazione) quei soldi per "investirli" ripagando il debito pubblico. Attendo evidenza empirica che renda credibile tale ipotesi. Sono anche disposto a scommettere cifre con vari zeri che tale evidenza empirica non esista e non sia producibile. Nel frattempo continuo a ritenere un'inutile follia voler ripagare il debito in essere. Questo NON vuol dire farne di addizionale, che è tutto un altro discorso (vedi sotto, Parte 3). Sto solo sostenendo che l'ossessione TPS-Prodi-VV (alimentata dai confusi signori che governano da Bruxelles, Almunia poverino in testa) di ridurre il debito, ridurre il debito, ridurre il debito ... costituisce un'ossessione perniciosa per gli italiani. Tralascio l'ovvio aspetto polemico, ossia il fatto che l'enorme aumento di carico fiscale (40 miliardi secondo l'ottimo editoriale di Francesco) generato dalla Banda Bassotti appostata a via XX Settembre non è servito per ridurre il debito ma solo per regalare soldi alle lobbies che sostengono i partiti per cui i finti economisti dell'appello menzionato all'inizio votano e lavorano. Tout se tient.
Parte 2. Qui andiamo leggermente in un terreno tecnico, quindi provo a formulare la mia tesi in modo attento.
'<h' . (('5') + 1) . '>'Sostengo che, se al tempo t esiste uno stock di debito X(t), a meno di circostanze particolari (vedi sotto) la politica fiscale ottima per il cittadino medio sia quella che lascia quel debito intatto, ossia tale che il processo stocastico del debito (condizionale su X(t) e l'informazione disponibile a t) è un cammino aleatorio. '</h' . (('5') + 1) . '>'
Per i pignoli, il camino aleatorio fa E[X(t+1)|I(t)] = X(t), dove E[.|I(t)] è l'operatore valore atteso condizionato dall'informazione I disponibile a t. La ragione è quella esposta nella Parte 1, solo formulata in modo leggermente più generale.
Il debito pre-esistente è, appunto, pre-esistente. In principio esso non influenza la politica fiscale e di spesa corrente né da un lato né dall'altro, a meno che non ci si trovi in uno di quei complicati mondi studiati (fra gli altri) da Lucas&Stokey, Persson&Svensson, eccetera, in cui il super-benevolente governo gioca dei giochi veramente complicati sia con i suoi concittadini che con se stesso per forzarsi a fare le cose ottime. Ma anche in questi mondi - al lato pratico, a mio avviso, del tutto irrilevanti: quasi tutta la letteratura su politiche fiscali ottime post-1980 mi sembra una gigantesca perdita di tempo, ma lasciamo stare altrimenti non finisco mai il post - il problema non si pone: poichè l'onniscente governo ha disposto la struttura a termine e la composizione del debito in maniera tale che solo la variazione ottima (ex ante) del medesimo risulta conveniente, non vi è nulla da temere, e nemmeno da scegliere e discutere. Tirem innanz ... Poichè il debito pre-esistente è quello che è, l'unica ragione per tassare il settore privato al fine di ridurlo dev'essere una di convenienza futura per i cittadini stessi. Ossia, i cittadini del paese in questione devono essere in una situazione tale per cui tassarsi oggi per pagare il debito li porta a condizioni economiche che sono migliori domani. Non solo sono migliori (questo sembra facile: non hanno più alcun debito da servire) ma sono tanto migliori da compensare per lo sforzo fatto per pagarlo il giorno precedente e la disutilità che ad esso consegue.
Invito il lettore a soffermarsi per due attimi sull'affermazione precedente, la quale sembra (e forse è) alquanto banale ma contiene il principio base della gestione ottima del debito pubblico (e privato!) in essere. Questa considerazione implica che conviene tassarsi oggi per pagare il debito se e solo se si verifica almeno una delle seguenti situazioni:
(a) il rendimento atteso degli investimenti/consumi privati è inferiore al costo del debito (la qual cosa richiede che una parte sostanziale del debito sia detenuta da cittadini di altri paesi, altrimenti il debito nazionale fa parte degli investimenti a disposizione dei cittadini);
(b) esiste un contratto intergenerazionale secondo cui parte del debito in essere, essendo stato speso per soddisfare consumi dei cittadini oggi in vita e che domani moriranno, non deve essere pagato dalle generazioni future ma da quelle che di tale debito si sono avvantaggiate. Questo potrebbe valere, sotto opportune ipotesi, per il debito implicito nel sistema di pensioni Pay-as-You-Go, e questo è forse il caso in Italia. Ma non è del debito pensionistico che oggi si discute, bensì del debito pubblico esplicito. Sulla questione debito pubblico da pensioni ritorneremo un'altra volta. Quindi occorre chiedersi se questo contratto intergenerazionale esiste, e cosa implichi. Fatto questo occorre anche rendersi conto che il dibattito si sposta dal terreno dell'efficienza economica a quello dell'equità intergenerazionale, che è cosa alquanto più complessa: richiede, fra l'altro, accordarsi su un criterio di giustizia intergenerazionale. Rawls, come ho dato a capire altrove, porta a soluzioni assurde mentre altri lo ritengono adeguato, vedasi qui. L'utilitarismo diciamo "standard" e con generazioni "pesate uniformemente" elimina il problema (almeno quando vi sono trasferimenti privati positivi da generazioni vive alle future) in base al ragionamento di Ricardo, noto come "ricardian equivalence" dopo il lavoro di Barro del 1974. In ogni caso, trattasi di problema diverso da quello originale.
(c) oscillazioni cicliche di natura stocastica possono giustificare ampliamenti/riduzioni del debito in essere. In generale (ma i casi speciali abbondano) sembra essere saggio tassare un pochino sopra la media nei periodi buoni e sotto la media in quelli cattivi, facendo l'opposto con la spesa. Nei periodi in cui le cose vanno bene e si tassa di più della media, spendendo sotto la stessa, il debito cala. Ma notate che questo non implica aumentare le tasse (men che meno permanentemente!); implica solo oscillazioni ciclicamente ottime della spesa e delle tasse. Per applicare tale criterio all'Italia del 2007 sarebbe necessario provare che in tali circostanze ci troviamo, il che non sembra visto che la Banda Bassotti aumenta la spesa molto allegramente ed in modo duraturo. Quindi, inferisco, dev'essere che le cose vanno male, quindi occorre ridurre anche le tasse e lasciar crecere il debito. La moglie ubriaca e la botte piena, nei ragionamenti coerenti, normalmente non si riesce ad averle. Peccato.
(d) situazioni di restrizione creditizia, ossia il mercato si rifiuta di prestare o anche solo di mantenere il livello esistente del debito. In questo caso, che si riduce alla questione del premio al rischio discussa nella Parte 1, risulta senza dubbio appropriato ridurre lo stock del debito.
(e) minacce esterne come per esempio il rischio di una svalutazione della moneta. Ma abbiamo l'Euro, che non si svaluta a causa del debito italiano, sembra. Oppure situazioni stile Sargent&Wallace (1981) nelle quali lo stock di debito pubblico in essere è tanto alto da convincere i mercati che delle due almeno una: il governo si rifiuterà di servire il debito in un qualche periodo futuro con conseguente crescita del premio al rischio in questo periodo ed in tutti gli intermedi, oppure il governo inflazionerà eliminando il debito attraverso una crescita generalizzata del livello dei prezzi. Di nuovo, lascio ad altri l'onere di argomentare che tali circostanze si adattano all'Italia del 2007.
Altre ragioni non ne vedo, ma essendo notte tardi non escludo che la concentrazioni mi stia facendo qualche brutto scherzo. Se mi son sbagliato, mi sbeffeggerete!
Parte 3. Si fa tardi, e ci si fa anche sempre di più astratti, ma anche in questo caso il ragionamento può essere semplificato alquanto usando buon senso ed intuizione. A cosa serve il debito pubblico? Fondamentalmente dovrebbe servire, notate il "dovrebbe", a due cose se il governo fosse un governo che fa l'interesse dei cittadini: ad attenuare gli shocks ed a finanziare investimenti in conto capitale. Ci ritorno fra un attimo, prima consideriamo cosa succede se togliamo il "dovrebbe".
Siccome in genere i governi fanno gli interessi propri il debito serve anche e soprattutto per comprare voti spendendo oggi senza dover pagare, rinviando il pagamento a domani quando governa un altro o quando proprio non si può fare a meno di pagare. Ma questo problema - drammatico - ed ovviamente IL Problema di cui gli studiosi di finanza pubblica dovrebbero occuparsi invece di fare Ramsey Policies con tutte le varianti d'informazione incompleta ed asimmetrica che riescono ad inventarsi - non si risolve pagando il debito in essere! Questo problema si risolve solo con restrizioni costituzionali che impediscano l'uso del debito per comprare voti. Discussioni sopra il tipo di restrizioni costituzionali che potrebbero raggiungere l'obiettivo se ne sono fatte a palate, ed il risultato teorico è chiaro. Altrettanto chiaro il risultato empirico: in nessun paese europeo, o non che io sappia, esse sono state adottate. Personalmente non vedo altra soluzione credibile e sostenibile, quindi credo sia il caso di continuare a predicare nel deserto, sperando che un giorno cominci a fiorire e si comincino ad introdurre nella carta costituzionale restrizioni semplici e stringenti ai criteri di emissione del debito pubblico. Nel frattempo sono a favore di lasciare tutti i debiti in essere dove sono. Abbassarli vuol dire solo offrire ulteriore spazio ai governi non benevolenti, ossia a tutti i governi, per spendere ancor di più ed allegramente, facendo crescere il debito oggi e le tasse domani. Lasciando lo stock di debito dove sta, ossia opponendosi a qualsiasi incremento dell'imposizione fiscale che venga giustificato con l'obiettivo della riduzione del debito, si lascia ai governi male-olenti un'alternativa leggermente meno allegra. Se vogliono spendere devono tassare, e la gente se ne accorge. Oppure possono creare spazio per spese future solo riducendo le presenti, che è meglio d'uno sputo in un occhio. Quindi, fatte salve le circostanze eccezionali elencate nella Parte 2, a fronte di governi che fanno i loro interessi insistere perchè non si tassi il settore privato con la scusa di ridurre il debito pubblico mi sembra la politica più ragionevole.
Torniamo, in conclusione, al "dovrebbe", ossia alla domanda se vale la pena avere del debito pubblico. La risposta facile la sappiamo tutti e già l'ho menzionata: a fronte di shocks temporanei ed inattesi vale la pena usare il debito. Ma se usassimo il debito solo per queste ragioni, credo non avremmo mai un rapporto debito/PIL superiore al 10, forse 15 per cento. Non ho fatto i conti esatti, ma son certo che il 15% basta ed avanza anche per la grande depressione del 1930-39. Poi ci sono gli investimenti nei beni capitali pubblici. Qui, ovviamente, si apre un dibattito infinito perchè ognuno di noi ha un'opinione, ed una teoria, personali su cosa sia e cosa non sia un bene pubblico. Qualcuno vuole i ponti e le autostrade, altri i parchi ed i porti, alcuni i restauri degli edifici antichi ed i musei ben tenuti, altri l'ambiente e le coste, a qualcuno piace l'esercito, altri preferiscono le chiese da restaurare o l'educazione della gioventù. Non mi ci metto, ma sottolineo l'aspetto altamente intergenerazionale della faccenda: quasi tutti i beni capitali pubblici sono investimenti per il futuro, per le generazioni giovani o addirittura a venire. Questo implica che, o ben si riesce a provare che i beni pubblici e gli investimenti pubblici non esistono / non servono / possono essere tutti finanziati privatamente in modo efficiente, oppure occorre riconoscere ed accettare come 'efficiente' uno stock positivo di debito pubblico ed un rapporto debito/PIL anche sostanziale.
Personalmente propendo per un approccio empirico, ossia caso per caso. Il che implica anche "ear marked" taxation ed emissioni di debito "vincolate", ossia vincolate al finanziamento di questo o quell'altro bene pubblico durevole. La qual cosa, messa in una carta costituzionale, sarebbe un primo passo verso quella riforma che menzionavo poco sopra. Ma questo post è già lungo abbastanza.
Riassumendo: la prossima volta che un qualche primo ministro vi racconta che occorre alzare le tasse per ridurre il debito, spernacchiatelo tranquillamente. Sta quasi certamente raccontandovi una grande balla.
...la tua ipotesi non e' realista. Dici bene all'inizio parte 3:
"A cosa serve il debito pubblico? Fondamentalmente dovrebbe servire, notate il "dovrebbe", a due cose se il governo fosse un governo che fa l'interesse dei cittadini..."
Il governo non fa l'interesse dei cittadini. Specialmente in Italia. Di qualunque colore sia. Non ho evidenze empiriche finali e incontrovertibili al riguardo ma credo che la lettura quotidiana dei giornali spinga verso un'ipotesi piu' realista: cioe' che il governo si faccia gli interessi suoi, no?
Allora meglio non pensare a un governo che fa il padre di famiglia ma a uno che vuole essere ri-eletto o appropriarsi di alcune rendite per capire come il governo si comporta nei confronti del debito pubblico come in questo bel paper (anche se e' una lettura tecnica e un po piu' per gli addetti ai lavori).