Deboli democrazie mediterranee
Secondo il riassunto di Panebianco, la democrazia negli Stati mediterranei (Portogallo, Spagna, Italia e Grecia) ha stentato ad affermarsi per lo storico basso livello di legittimazione delle istituzioni democratiche stesse. Nel confronto, è l'Italia ovviamente ad avere il livello più basso di legittimazione istituzionale. Nei Paesi mediterranei, diversamente da altri Paesi, le masse popolari sono state legate alle istituzioni democratiche da una serie di associazioni corporative come partiti di massa, sindacati e confindustria. Queste stesse strutture corporative, tuttavia, in seguito possono tendere a soffocare e minare la democrazia stessa.
Preso questo spunto - premetto: senza aver letto il saggio che tempo permettendo sarebbe cosa doverosa - mi getto nel dare una mia personale valutazione delle difficoltà della democrazia in Italia, che vale per quel poco che so della storia del Belpaese. Secondo me i problemi della democrazia e del funzionamento delle istituzioni democratiche in Italia derivano dalla combinazione di due elementi: il ritardo di alfabetizzazione e di istruzione delle masse italiane e la bassa qualità delle elites italiane.
Il ritardo di alfabetizzazione è un dato storico misurabile facilmente confrontando le percentuali di analfabeti, (Tullio De Mauro ha affermato che l'Italia ha un ritardo di circa 400 anni rispetto ai paesi nord-europei). Il ritardo (italiano e mediterraneo) è sicuramente collegato con l'assenza o la sconfitta della Riforma protestante e, specie in Italia e Spagna, con l'affermazione della Controriforma. Nelle condizioni di limitata alfabetizzazione della metà del 1800, l'Italia ha avuto un Regno costituzionale basato su un sistema oligarchico, con diritto di voto limitato alla minoranza di alfabetizzati. Probabilmente, tra lo Statuto Albertino e l'istituzione del suffragio universale le elites italiane hanno posto le premesse per lo sfascio successivo che ha prodotto prima il Fascismo e poi la Repubblica delle Banane odierna. Dato l'analfabetismo di massa, sarebbe stato opportuno un programma di alfabetizzazione accelerata con conseguente allargamento del diritto di voto. Invece i notabili recalcitravano, perché nella loro retrograda valutazione i contadini dovevano pensare solo a zappare e per leggere bastavano i signori. Dall'altra sponda, cattolici e socialisti tendevano al populismo e hanno premuto per avere il suffragio universale indipendentemente dalle condizioni di semi-analfabetismo delle masse popolari.
La democrazia italiana nasce bacata proprio dalla pessima qualità della classe dirigente di notabili che non ha predisposto un piano accelerato di istruzione e allo stesso tempo ha pensato bene di poter meglio plagiare le masse popolari con metodi populisti alimentati dall'ignoranza, anche mediante strutture corporative come partiti di massa e sindacati, particolarmente necessari per mediare tra masse semi-analfabete e strutture statali democratiche.
Questa predilezione per l'ignoranza delle masse e per i metodi populisti si intreccia e si combina molto opportunamente con l'altra vocazione storica delle elites italiane, quella di usare la legge (e lo Stato) non come strumento di organizzazione consensuale della società, ma come strumento per avvantaggiare sé stessi, i propri famliari e conoscenti e la propria fazione ai danni degli altri. Per questo scopo come ho già scritto (qui e qui ) è utile che le masse siano ignoranti e che la legge sia difficile da comprendere, di qui la predilezione per il latino prima, in seguito l'italiano e oggi il burocratese.
Tutto ciò secondo me ha prodotto una democrazia debole e poco funzionale, tendente al populismo demagogico.
Le difficoltà della meritocrazia
Non ho trovato il testo usato da M.Salvati, ma credo che questo articolodello stesso autore ne sia una buona approssimazione. Il saggio analizza in quale misura in UK si stia realizzanto il modello di meritocrazia basata sull'educazione (education based meritocracy, EBM). Secondo questo modello, sponsorizzato in particolare dal New Labour, la società dovrebbe essere organizzata per offrire uguali possibilità di educazione avanzata a tutti, indipendentemente dalla classe sociale di provenienza. Il sistema economico dovrebbe poi premiare con posizioni sociali più elevate chi ha conseguito i migliori risultati in base ad una valutazione equa delle strutture educative. Gli autori investigano quindi se, nel corso degli ultimi decenni, le posizioni più elevate della società inglese sono correlate sempre più solo ai risultati dell'educazione e sempre meno alle condizioni sociali di partenza. Contrariamente alle aspettative, essi documentano un arretramento nel raggiungimento di questo obiettivo rispetto ai risultati raggiunti negli anni '70.
Riassumo all'estremo (invitando a leggere direttamente l'articolo). Secondo l'autore non si tratta di un fallimento o arretramento della società e dell'intervento pubblico, ma piuttosto di un mutamento nel funzionamento del sistema economico. Contrariamente all'idea diffusa, secondo cui l'economia è in misura sempre maggiore un'economia della conoscenza in cui gli individui hanno successo in base al loro talento, la struttura economica si è evoluta nella direzione di offrire un numero relativamente maggiore di posizioni altamente redditizie nel settore "vendite". In questo settore, comprensibilmente, il talento e le conoscenze tecniche contano meno, mentre contano di più le capacità relazionali. In particolare, dai dati appare che la società inglese promuove economicamente chi ha talento (indipendentemente dalle condizioni di partenza) ma fallisce, in misura maggiore rispetto agli anni '70, nel ridurre lo status sociale dei "somari" quando costoro partono da classi sociali elevate. Questo avviene perché i "somari agiati" trovano maggiori spazi in posizioni elevate, per salari e responsabilità, in un settore vendite che cresce di dimensioni. Complessivamente, in termini quantitativi, la situazione netta è peggiore rispetto a quella di 20-30 anni fa, nel senso che chi nasce bene non cade in giù quando ha poco talento, ma trova interstizi ad alta redditività utilizzando le proprie relazioni.
Dal mio punto di vista questo significa che, anche dopo aver portato il Belpaese (tra qualche secolo) a livello delle democrazie più avanzate, con buona istruzione di massa, borse di studio vere per i meritevoli, meritocrazia nel settore privato e pubblico al posto delle sanatorie dei precari, i problemi non saranno ancora finiti: a Roma, nel settore vendite, regneranno sempre gli stessi ...
Non ho letto il saggio di Goldthorpe e Jackson, però la tesi che l'uguale accesso alle opportunità educative è assolutamente insufficiente per ridurre gli ostacoli alla mobilità sociale è un po' che gira.
Segnalo questo post sul blog inglese 'stumbling and mumbling', e quest'altro post dello stesso autore con varie indicazioni bibliografiche.
Il problema teorico e anche di politica pratica che questo pone alla sinistra liberale è importante. Il New Labor, almeno nella teoria e nella retorica, ha sempre cercato di distinguersi dalle vecchie politiche puramente redistribuzioniste dell'Old Labor e in generale della sinistra socialdemocratica europea. In cambio, la visione offerta era quella di una società in cui agli individui veniva offerto un ''level playing field'', in cui tutti avevano (tendenzialmente) un'uguale opportunità di competere per il successo. Questa è una visione che tende a piacere agli economisti dato che preserva gli incentivi al lavoro duro per raggiungere il successo, contrariamente alle politiche redistributive vecchio stile. Ancora meglio, fornisce incentivi a chi nasce in famiglie povere per darsi da fare; in una società in cui la mobilità sociale è assente, anche gli incentivi per migliorare la propria condizione tendono a sparire. Quindi, quadratura del cerchio. L'uguaglianza delle opportunità soddisfa gli impulsi egualitari e il desiderio di giustizia, fornendo al tempo stesso forti incentivi al lavoro e allo sviluppo economico.
Quello che stiamo apprendendo, mi pare, è che livellare il campo è molto, molto più complicato di quello che si pensava. L'effetto della famiglia e delle condizioni iniziali risulta persistere anche quando tutti gli ostacoli all'accesso alle opportunità educative sono stati rimossi. Il ché può portare a due conclusioni:
1) ritorno alla socialdemocrazia tradizionale. Se l'unico modo in cui un bambino può avere decenti opportunità è quello di crescere in una famiglia con reddito decente, allora non c'è alternativa alla redistribuzione vecchio stile. Oltre che fornire uguale accesso alle opportunità educative dobbiamo dare soldi ai genitori poveri perché non siano poveri. In questo modo i bambini non cresceranno in famiglie povere e avranno reali opportunità. Vedo due enormi problemi con questo approccio. Il primo è che è difficile fare redistribuzione massiccia senza ridurre gli incentivi alla crescita economica; e una società senza crescita economica è anche una società senza opportunità. Il secondo è che, una volta che il genio redistributivo è fuori dalla bottiglia, non c'è nessuna garanzia che venga usato per i fini inizialmente proposti, anziché per sussidiare i gruppi politicamente più forti.
2) abbandono completo dell'obiettivo di eguali opportunità. Visto che non è raggiungibile, tanto vale lasciar interamente perdere il progetto e concentrarsi semplicemente sulla crescita del reddito, sperando che tale crescita si rifletta anche sulle classi basse. Il principale problema che vedo con questo approccio è che non esiste alcuna ragione (che io sappia) teorica o empirica per cui la crescita del reddito debba beneficiare tutti i settori della società. È perfettamente possibile ossservare stagnazione dei salari reali e financo dei redditi mediani insieme a robusti tassi di crescita per l'economia nel suo complesso.
Il caso italiano è particolarmente triste perché né la destra né la sinistra sembrano in alcun modo rendersi conto dei termini del problema e delle reali alternative di policy. La destra ci propina le deliranti baggianate di Tremonti. Sulla sinistra, il PD sembra essere completamente in balia del marasma ideologico, in economia così come in altre materie. E a sinistra del PD il livello di cultura economica è semplicemente da ritardati mentali. La pratica non va tanto meglio. Tanto per fare un esempio, se veramente si vogliono dare opportunità ai bambini aiutando i genitori, esattamente l'ultima cosa da fare è quella di trasferire soldi ai pensionati (che di bambini, normalmente, non ne hanno più), che è stata la principale manovra redistributiva attuata dal governo Prodi.
In buona misura e' quello che accade negli USA dalla fine degli anni '70 a oggi, o sbaglio?
Personalmente non vedo soluzioni ragionevoli... un certo livello di disuguaglianza legata alle condizioni iniziali temo sia inamovibile dalla condizione umana. Sottolineerei comunque che la societa' inglese secondo il saggio e' efficiente nel premiare il merito, il fallimento sta soprattutto nel punire il demerito dei somari di buona famiglia. Non credo sia facile raggiungere questo secondo obiettivo, beninteso con metodi non peggiori del problema da risolvere. Alcune soluzioni sono state sperimentate nella storia, dal comunismo di Stato (fallito), all'allevamento in comune dei figli e il divieto di uso del denaro che ha garantito per secoli una uguaglianzia sostanziale all'interno della classe degli Spartiati, pero' con l'effetto collaterale di una perdente dinamica demografica.