Democrazia e tecnica: me lo fate un referee report?

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Ad un mio paper mio, perdippiù!

Il 21-23 Maggio si svolge a Napoli il convegno SUM-NISA sul tema Il destino della democrazia. Relativismo e universalizzazione. Devo presentare una relazione su "Democrazia e Tecnica". La cosa mi innervosisce, perché devo uscire dal terreno a me familiare dei dati e dei modelli. Sottometto alle vostre spietate critiche (ed ai suggerimenti, spero) l'idea di fondo che cercherò di argomentare. E della cui validità mi son convinto negli ultiimi mesi di, forse eccessive, letture.

Le moderne definizioni di “democrazia” differiscono in molti aspetti, ma condividono un elemento che corrisponde a quanto la nozione popolare del termine sottende, ovvero l’uguaglianza formale di chiunque sia in grado d’intedere e volere. Nel linguaggio quotidiano l'espressione "democrazia" è raramente qualificata con "parlamentare", "bicamerale", "presidenziale", "a doppio turno", e via cantando complicazioni elettive e di divisione dei poteri. Nel linguaggio quotidiano la parola "democrazia" significa anzitutto che ognuno ha e gode degli stessi doveri e diritti legali fra i quali, appunto, vi è anche il diritto di voto ed il diritto di essere eletto ad una qualsiasi carica politica. Ma un sistema legale che concedesse a tutti questi diritti politici discriminando, nel contempo, una parte della popolazione sul piano contrattuale (vietando per esempio il possesso della casa o di intraprendere certe professioni o anche solo di sedersi dove vi sia posto libero nell'autobus) sarebbe difficilmente considerato "democratico". Almeno nel senso in cui tale termine viene oggi (diciamo dalla fine della seconda guerra mondiale in poi) inteso.

Ad essere pignoli trattasi di un (il?) principio liberale non strettamente (tecnicamente?) necessario per definire un sistema politico come "democratico". Tale principio liberale, infatti, era ed è frequentemente violato in quelle che sino a due decenni fa venivano chiamate "democrazie popolari" e di cui la Repubblica Popolare Cinese e Cuba sono ancora degli esempi. Ma, appunto, nessuno di noi si sogna di considerare la Cina, o Cuba, dei paesi "democratici" anche se in entrambi tutti hanno teoricamente uguali diritti elettorali sia attivi che passivi. Infatti, (io credo ragionevolmente) molti nemmeno consideravano gli USA un paese compiutamente democratico sino a quando in vari stati del sud venivano mantenute forme di discriminazione legale verso i cittadini di carnagione oscura. Simili discussioni avvengono, oggigiorno, in relazione alle discriminazioni di cui sono oggetto, in Israele, i cittadini di origine araba (meglio, non di religione ebrea). Ad ogni buon conto, non è di tali questioni che mi voglio interessare ed ignorerò tali sottigliezze teoriche in questa sede prendendo come condizione necessaria (oserei dire sufficiente, ma mi trema un pelino il polso) di "democrazia" la totale uguaglianza formale di chiunque sia in grado d'intendere e volere a fronte delle leggi.

Oggi tale principio non ci appare solo naturale ma anche economicamente conveniente: riconosciamo i vantaggi che derivano dal concedere a tutti i medesimi diritti contrattuali, politici e di privatezza. È ovvio che è conveniente poter assumere chiunque si voglia a fare qualunque lavoro. È ovvio che è conveniente che chiunque possa firmare un contratto legalmente riconosciuto. È ovvio che chiunque possa farlo voti o si candidi a farsi eleggere consigliere comunale o provinciale. La discriminazione, il trattamento differenziale di un essere umano (capace di intendere e volere, questo è importante e ci ritorno sotto) in una qualsiasi circostanza legale o formale ci pare non solo assurda ma sconveniente. Ora, se ci pensate bene, tutto questo non è per niente "ovvio" né "naturale"; per lo meno se con "naturale" si intende ciò che accade nello stato di natura o nei suoi paraggi temporali (Neolitico o Mesolitico, più o meno) e se con "ovvio" si qualifica un concetto che tutti sempre e comunque dovrebbero accettare. 1+1=2 è ovvio, lo capisce anche il mio cane Rocco. Che tutti abbiano gli stessi diritti e doveri formali non sembra per niente ovvio, ad esempio, a Juan Carlos de Borbon (che, mi dicono, capisce che 1+1=2) o, per cadere in basso, ai membri di quella combriccola malavitosa che viene chiamata in Italia "Casa Savoia" (i cui membri, sempre mi dicono, trovano poco ovvio pure 1+1=2).

L'altra cosa interessante da notare è che, simmetricamente, tale principio non è una scoperta recente come i gluoni, il DNA o le collateralized mortgage obbligations: in molteplici momenti della storia dell’umanità tale principio venne teorizzato da molteplici soggetti. Molti attribuiscono persino ad un tale Gesù di Nazareth affermazioni di questo tipo, anche se a ben guardare l'attribuzione è fasulla ed il signore in questione, sempre che abbia detto quanto gli mettono in bocca, non era necessariamente un democratico. Ma quasi. Ad ogni buon conto, se l'erano pensata in parecchi, nel corso dei millenni, l'uguaglianza degli esseri umani ma quelli fra loro che hanno provato a metterla in pratica sono genericamente finiti male: cucinati, appesi, squartati, impalati, eccetera. Spesso dai medesimi a cui cercavano di spiegare "guardate che non siete meno del cane, guardate che anche voi dovreste avere gli stessi diritti del signor conte, di madama la marchesa e di quel puzzone del vescovo ...". Ricordate come, perché e per mano di chi son finiti i 300 ch'eran giovani e forti?

Insomma, per l'unanime accettazione ed attuazione del principio democratico abbiamo dovuto attendere la seconda metà del secolo XIX (se siete disposti ad accettare che gli USA post guerra civile fossero divenuti "democratici") o la seconda metà del XX (se siete di palato delicato). La grande maggioranza dei 6 miliardi e passa che inquinano il mondo, distruggono l'ecosfera e provocano il global warming attende ancora la democrazia. A mio avviso non è per caso: è perché sono dei morti di fame. Okkei, messa così è volgare, la riformulo. È perché sono economicamente e TECNOLOGICAMENTE (che è la stessa cosa) arretrati. Non hanno le tecnologie giuste, quindi non possono permettersi la democrazia. Non gli viene né ovvia né, tantomeno e più cogentemente, conveniente. Alla democrazia serve l'energia elettrica, il tostapane, il telefono, la divisione del lavoro e tante altre belle cosine che la grande maggioranza del mondo né ha, né sa usare, né (spesso) si sogna che esistano. Per questo motivo a costoro della democrazia non gliene frega nulla, e nemmeno la capiscono. Che è la ragione, fra le altre, per cui in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Etceterastan, guardano ai "nostri" giovanotti armati come se fossero dei marziani impazziti che rompono solo i coglioni al prossimo. Sto cominciando a pensare che non abbiano poi tutti i torti: i "nostri" giovanotti li abbiamo mandati lì a far su casino per cercare di imporre una cosa che non solo gli indigeni non capiscono, non è nemmeno CONVENIENTE, per loro! E la convenienza, ragazzi, alla fine della fiera è tutto ciò che conta per far andare avanti la storia.

Bando alle ciance, vengo al punto: intendo argomentare che il principio democratico, laddove è accettato, si fonda materialmente sul progresso tecnologico, meglio sul raggiungimento di un certo livello minimo di "tecnologia sociale", di "controllo dell'energia" e di "divisione del lavoro". La tecnologia moderna permette, giustifica e promuove la democrazia moderna. Senza l'una non c'è neanche l'altra, non sta proprio in piedi. La tecnologia moderna rende la democrazia naturale, ovvero “conveniente dati gli incentivi” (incentive compatible) nel linguaggio della teoria economica. In condizioni tecnologiche primitive, caratterizzate dalla scarsità di fonti d’energia e di macchine che permettano d’utilizzare produttivamente le capacità di uomini differenti, la disuguglianza degli esseri umani davanti alla legge appare non solo normale ma anche conveniente. Lo schiavismo, il feudalesimo, le molte forme di discriminazione che hanno caratterizzato e caratterizzano quelle società che, intuitivamente, definiamo come “non democratiche” si sostengono e giustificano sull’arretratezza tecnologica delle medesime. Il progresso tecnologico ha storicamente causato la progressiva democratizzazione dei sistemi socio-politici, tanto oggi come nei secoli che ci hanno preceduto.

Vorrei essere chiaro: parlo proprio di tecnologia, tecnica, τέχνη, non genericamente di educazione. Aver letto Schami e Sloterdijk rende senz'altro piacevoli affabulatori, ma per la democrazia ci vuole la dinamo, l'acquedotto municipale, il motore a scoppio, e via elencando tecnologie produttive che facilitino la divisione del lavoro. Soprattutto ci vuole un livello tecnologico che renda (quasi, in senso measure theoretical) tutti produttivi, ossia che renda l'economia, di produzione privata e scambio, "indecomposable", nel senso di Lionel McKenzie (ECA, 1981). Quando "tutti" sono potenzialmente più utili come produttori e scambisti che come schiavi, servi, servetti, negri/donne/spastici/cechi/quellochevoletevoi discriminati ed asserviti al "forte" di turno, allora la democrazia (come definita sopra) diventa conveniente. Ed anche ovvia, naturale, banale, inevitabile. Ed allora si fa, la democrazia, e si fa pure rapidamente e quei medesimi che prima inforconavano i 300 giovani e forti (okkei, i pronipoti dei medesimi) scoprono che la democrazia è ovvia anche per loro e non rovina le famiglie (anche se Juan Antonio questo non condividerebbe, que la culpa la tiene toda la democracia ...). Non so se mi spiego, spero di sì perché ora ho sonno e taglio qui. No, prima devo mettere il dubbio finale.

Sino ad ora è andata bene la relazione causale fra tecnica e democrazia, sino a diventare di supporto mutuo: mentre l'una (tecnica) progrediva essa permetteva lo stabilirsi dell'altra e l'altra (democrazia) appena prendeva un po' piede facilitava l'accelerazione del progresso tecnologico. Però, nell'apriori teorico, non vedo ragioni per cui debba essere così necessariamente: avrebbe potuto andar male. Almeno, il modellino che ho in mente non esclude per niente l'andar male: il monopolio tecnologico è possibile, è sostenibile e rende la democrazia non-sostenibile e non incentive-compatible. Vale quindi la pena chiedersi se questa interazione virtuosa possa mantenersi nei tempi a venire, o invece no: sono, le sorti, necessariamente magnifiche e progressive?

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Commenti

Ci sono 68 commenti

Io vorrei dire alcune cose.

Nel linguaggio quotidiano la parola "democrazia" significa anzitutto che ognuno ha e gode degli stessi doveri e diritti legali fra i quali, appunto, vi è anche il diritto di voto ed il diritto di essere eletto ad una qualsiasi carica politica

Si è vero, in parte questa è l'accezione folk di democrazia, che implica una identità fra diritti, genericamente intesi, e la democrazia, intesa come il coronamento e l'inveramento dei diritti stessi. In realtà non è così. La democrazia, specificamente intesa, è una meccanica elettorale che comporta l'attribuzione di quote di potere o efficacia in ragione del numero di preferenze assegnate a qualcuno (potere) o ad una scelta, fra le molte possibili (efficacia): nel primo caso l'individuo assume un potere, nel secondo caso una scelta ottiene la possibilità di essere messa in pratica. Ovviamente, la meccanica descritta in maniera così minimale (si parla appunto di teorie minime della democrazia) ha bisogno di diritti che possano rendere le decisioni di attribuzione di potere a qualcuno, o di efficacia ad un corso di azione, non solo legittime rispetto alla meccanica delle leggi dei numeri, ma anche accettabili rispetto a standard esterni a quella meccanica stessa. In filosofia politica, un autore, collega di Alberto, ha parlato di due tipi di diritti: 1) diritti che definiscono come il processo democratico deve svolgersi; 2) diritti che conferiscono a quel processo una qualità che rende quei diritti sub 1) accettabili. Tutta questa solfa per dire che, seppure è ragionevole attendersi che i diritti sostanzino precisamente cosa può intendersi per modello democratico, almeno in Occidente, rimane che democrazia e diritti sono due cose differenti.

Infatti, la cosa che aggiungi dopo:

Ma un sistema legale che concedesse a tutti questi diritti politici discriminando, nel contempo, una parte della popolazione sul piano contrattuale (vietando per esempio il possesso della casa o di intraprendere certe professioni o anche solo di sedersi dove vi sia posto libero nell'autobus) sarebbe difficilmente considerato "democratico".

è più la definizione della Rule of Law, che della democrazia in senso stretto. Da un punto di vista concettuale, Democrazia e Rule of Law sono distinte, non solo perchè sono banalmente entrambe in contrasto (la democrazia, e le scelte assunte con metodo democratico, potrebbero ambire anche ad abrogare pezzi consistenti della stessa Rule of Law), ma essi collidono anche per via del tipo di legittimazione cui si appoggiano: la democrazia sarebbe volontà del popolo e dunque giusta perchè volontà di tutti o della maggioranza; la rule of law ricaverebbe la sua legittimità da un principio strettissimo di osservanza delle leggi. Quindi l'opposizione è 1) di contenuti; 2) di legittimazione; e infine 3) di organizzazione degli ordinamenti: le costituzioni, che sanciscono la priorità della rule of law anche sui pronunciamenti maggioritari democratici, dalle nostre parti, sono intese proprio come il correttivo e la limitazione dei possibili esiti delle procedure democratiche, che non possono abrogare principi fondamentali dell'ordinamento politico. Un esempio storico: il Gran Consiglio del Fascismo era un organismo democratico (che ha anche votato la destituzione di Mussolini), ma non riconosceva diritti eguali ai suoi membri, fra i quali uno, appunto, aveva più "diritti" degli altri.

 

Oggi tale principio non ci appare solo naturale ma anche economicamente conveniente: riconosciamo i vantaggi che derivano dal concedere a tutti i medesimi diritti contrattuali, politici e di privatezza. È ovvio che è conveniente poter assumere chiunque si voglia a fare qualunque lavoro. È ovvio che è conveniente che chiunque possa firmare un contratto legalmente riconosciuto.

 

Non so se ho capito bene. Tu sostieni che l'attribuzione di questi diritti formali di eguaglianza è non solo commendevole (questo immagino che tu lo pensi) ma anche conveniente. In realtà tu mi sembra che confondi (prendimi alla larga :-) ) appunto i diritti di base che danno qualità alla democrazia (la rendono credibile perchè ciascuno, esercitando quella meccanica dei voti è realmente libero di esprimere le sue preferenze) con la democrazia stessa. Tu poni per buona l'identificazione tra diritti e democrazia, e dunque poi passare oltre e non curarti di quello che io sto dicendo. In realtà però, l'indebita identificazione fra diritti e democrazia salta fuori comunque. Quella sfera di scambi che tu reputi conveniente, che probabilmente dovrebbe nelle tue intenzioni giustificare la bontà della democrazia, in realtà può avvenire anche in quadro di interazioni fra cittadini  di tipo economico, senza comportare che a quegli scambi si associ una coordinazione di tipo democratico. Mettiamola così: da un punto di vista economico, dovremmo essere bene in grado di ipotizzare una coordinazione minima di scambi interessati, dove si tutelano i diritti negativi, quelli del titolo valido per ogni possesso e i diritti alla proprietà del proprio lavoro (nell'ordine i diritti negativi di I. Berlin che tutelano libertà di coscienza, di parola e non interferenza negli affari privati; l'idea che conta il processo storico di acquisizione come difeso da Nozick; e infine l'idea di Locke che siamo proprietari del frutto del nostro lavoro e delle trasfromazioni che quello produce su risorse in linea di principio accessibili a tutti). In una situazione del genere, che tu potresti dirmi, dovrebbe produrre convenienza, almeno dal punto di vista generale per il livello di benessere che produrrebbe in quanto esemplificazione pura di un mercato, la democrazia (come processo decisionale maggioritario)potrebbe anche non esserci, e i diritti sarebbero comunque formalmente rispettati...e l'introduzione di un livello di coordinazione minima di tipo democratico sarebbe addirittura un limite al conseguimento di quella efficienza o convenienza che tutti dovremmo trarre dai soli scambi economici...perchè la democrazia, trasferendo la legittimazione dell'ordinamento dalla semplice legittimità degli scambi fra cittadini in condizioni di mera libertà negativa, imporrebbe a questi anche il vincolo della legittimazione popolare, che a sua volta potrebbe indurre l'adozioni di tutele sociali (diritti positivi alla Berlin); contestazione delle serie storiche che hanno condotto ad un certo schema di distribuzione della ricchezza ("noi siamo quelli del cui lavoro vive l'intera società", R. Luxemburg agli operai); oppure all'idea che il lavoro non è come lo descrive Locke, ma ha in sè un grado di alienazione da meritare una riparazione, come diceva Marx. Dunque io non vedo come la democrazia possa essere intesa come un viatico alla convenienza dell'efficacia del sistema economico, o come la sua presenza possa rafforzare quei diritti. Ma forse tu volevi dire un'altra cosa. L'esercizio della democrazia, che parzialmente limita la pura convenienza o efficienza degli scambi economici, che possono avvenire anche in sua assenza, alla fine tutela quei diritti negativi tipici dello scambio economico meglio di una condizione di totale assenza di coordinazione democratica...la democrazia e il suo esercizio, d'altra parte, potrebbero essere visti come la garanzia meno peggiore per garantire quei diritti. Forse tu volevi dire questo. Però è strano, perchè tutti i pensatori liberali sono  stati in genere molto attenti non solo a distinguere concettualmente il rapporto fra diritti e democrazia, assumendo che i diritti fossero il vincolo esterno da porre alla democrazia e alla sua involuzione; ma in genere si è anche assunto che la democrazia, nel suo funzionamento, abbia sempre come effetto di limitare la convenienza derivante dall'esercizio degli scambi economici. Però, se tu riesci davvero a dimostrare che la democrazia e le sue pratiche, non sono necessariamente un vincolo all'efficienza e alla convenienza, allora abbiamo un altro argomento a favore della democrazia.

Tu continui poi dicendo:

intendo argomentare che il principio democratico, laddove è accettato, si fonda materialmente sul progresso tecnologico, meglio sul raggiungimento di un certo livello minimo di "tecnologia sociale", di "controllo dell'energia" e di "divisione del lavoro". La tecnologia moderna permette, giustifica e promuove la democrazia moderna. Senza l'una non c'è neanche l'altra, non sta proprio in piedi.

Democrazia e tecnologia, dunque, simul stabunt simul cadent. Preambolo: se tu vai a Napoli, e dici una cosa del genere, non farai notizia, te lo dico già. Il vero intellettuale che si rispetti deve fare diagnosi sulla dissoluzione della democrazia per colpa della tecnica! Figurarsi se deve addirittura legare le due cose in maniera positiva. Eppure sei veneto. Hai visto la fortuna di Cacciari, Galimberti e Severino? Filosoficamente, sviluppano un pensiero assai ostile alla scienza e alla tecnica e la conclusione politica di quel pensiero filosofico, che nella loro concezione architettonica del sapere e la regina di tutti i saperi, è che la democrazia è messa a rischio dalla tecnologia: per i suoi effetti di alienazione, per il suo individualismo proprietario esasperato, l'isolamento cognitivo che produce, crescita degli input disponibili che-modificano-antropologicamente-l'uomo...insomma, hai capito, vah, lasciamo perdere.

Torniamo a cose meno convulse. Tu sembri (dico sembri, eh, non sbranarmi :-) ) contraddirti. Quel principio di eguaglianza, che identifichi, con la democrazia, è molto antico ma non prevale perchè sono dei morti di fame. Dico che ti contraddici perchè non capisco se viene prima il principio democratico che poi produce democrazia; oppure la tecnologia produce democrazia. Tu sembri dire che si richiamano vicendevolemente e che se non ci fosse la tecnologia la democrazia sarebbe più difficile e allo stesso tempo, se non ci fosse la democrazia, la tecnologia non potrebbe svilupparsi. In realtà, conosciamo paesi poverissimi che sono state democrazie, e dove le democrazie prosperano senza avanzamenti tecnologici particolari. L'India era una democrazia anche prima del boom informatico di Bangalore, dunque non è vero che sia necessario avere la tecnologia per avere una democrazia vera e propria, almeno secondo quella definizione minima e imperniata sui diritti che tu offri. Ma in realtà sospetto che tu volessi dire un altra cosa. Ovvero che una democrazia funziona meglio in condizioni di avanzamento e sviluppo tecnologico, ma per ragioni che sono indipendenti dalla genesi storica della democrazia, ma per il modo in cui funziona l'avanzamento delle scoperte scientifiche. E qui dunque ti dico la mia.

Invece di impelagarci intorno a questioni difficili (nasce prima la tecnologia o la democrazia?) io sposterei la cosa in questi termini: lo sviluppo e la diffusione della tecnologia hanno un meccanismo che può facilitare la democrazia? Voglio dire: ci sono dei modelli di sviluppo delle regioni tecnologicamente avanzate che possono, indirettamente o involontariamente, favorire i processi democratici? Speculo. La tecnologia richiede livelli di competizione fra gruppi di ricerca; la concentrazione in certe zone di personale altamente qualificato, che ha esperienze di formazione e lavoro in varie parti del mondo; in quelle zone conta parecchio la libertà nella trasmissione dei saperi di base che dovranno essere utilizzati nelle tecnologie da creare; e importante che si garantisca una mobilità non solo intellettuale ma anche fisica ai ricercatori; si deve poter godere dei frutti della propria intrepresa intellettuale dandole un valore economico. Ecco il mio punto è che tutte queste cose (che corrispondono a diritti negativi di base) possono essere meglio tutelati all'interno di condizioni di libertà quali quelle tipiche delle democrazie, che dunque subiscono l'effetto di rinforzo al loro funzionamento, dal fatto che esistano tecnologie diffuse e altre in produzione. L'idea è che una società che voglia essere conveniente e tecnologicamente avanzata ha bisogno di quelle istituzioni democratiche centrate sui diritti di cui ti parli. Dunque non è che la democrazia si fonda materialmente sempre e necessariamente sul progresso tecnologico. Piuttosto è meglio dire che una buona democrazia, una democrazia dove è conveniente e bello vivere, ha bisogno di lasciare alla tecnologia e al suo sviluppo più spazio possibile, perchè quello è un indicatore affidabile che la democrazia (come libertà di idee e mobilità di persone e godimento dei frutti del proprio lavoro-tutte definizioni tipiche delle idee minime di democrazia) sta funzionando bene.

Ovviamente, come già accennato, questa visione illuminista della democrazia, è in contrasto con tutte le forme di pensiero dis-topico che specie nel pensiero politico e nella letteratura del '900, hanno identificato il progresso tecnologico con i rischi del Grande Fratello (quello di Orwell non la Marcuzzi); e via via tutto il pensiero della scienza come alienazione. Io dico solo una mia intuizione, peraltro banalissima, a proprosito di questa tiritera sui rischi totalizzanti della tecnologia. Anche se la critica usuale è che questa tecnologia sia pericolosa per la chiusura nel privato e lo svuotamento delle istituzioni sociali che questa produce (tra le vittime anche la democrazia di massa e la partecipazione capillare ai partiti), io penso che la tecnologia diventa un rischio proprio quando gli individui non ne beneficiano più direttamente, ma solo in quanto parte di un progetto politico o sociale dove loro sono utilizzati come tecnologia a loro volta. Quindi invece di vedere la tecnologia come pericolosa quando riduce il suo esercizio alla "fruizione" privata, al contrario vedrei rischi quando la tecnologia è utilizzata con scopi politici coordinati super-individuali. Forse è una cazzata, ma sempre meglio dell'idea che la tecnologia è pericolosa solo perchè la gente sta a casa su internet invece che andare nella casa del popolo.

Ho scritto una cosa lunghissima e sto per fare quello che fanno i monaci buddisti coi quei disegni fatti di sabbia chiamati mandala: ci mettono un casino di tempo a farli, ma poi appena finiti li distruggono...così, per imparare che niente è importante.

 

Galimberti e Cacciari non so (e, per quel che ho letto, non mi interessa minimamente), ma Severino NON sviluppa un pensiero ostile alla Tecnica. 

Anzi, trovo che questo intervento sia molto "Severiniano". Hai letto Severino?

questa è l'accezione folk di democrazia

Sono d'accordo. Leggendo l'articolo concordo con il ragionamento, ma continui a usare la parola democrazia che secondo me stona, perche' sono abituato a pensarla come il potere del popolo (di una maggioranza), come un sistema elettorale che non c'entra con il concetto che stai utilizzando tu.

Posso dire la mia ? A Napoli fanno un eccellente fritto di mare (sei invitato se vieni), non vedo che bisogno c'era dell'aria fritta come "relativismo e universalizzazione".

Comunque, in una regione che ha visto (dati CCIAA) aumentare i fallimenti del 45 % nel 2008, la disoccupazione passare dal 13,8 % al 19,6 %, non so che bisogno c'era di un tal convegno, ma se è il prezzo da pagare per incontrare i redattori di NFA, e non pago io (almeno direttamente) ben vengano tali convegni.

Non sono in grado di fare alcun referee report su quello che hai scritto, ma mi farebbe piacere se usassi questo paper per sviscerare il rapporto fra "brevetto" (tecnica?) e democrazia, ovvero, poichè so che sostieni la causa della fine dei brevetti, potresti collegare questo argomento alla democrazia "esportata", non con le armi, ma con la tecnica. Poi vedi tu. Per il fritto di pesce (se vieni) fammi sapere: 'a sposizione, dottò.

Se nelle conferenze dove vai tu il tasso di "seriosità" è così basso da far accettare senza problemi le citazioni del "cane Rocco" allora vuol dire che ho sbagliato mestiere ;-)

Più sul concreto: un regime decisamente non-democratico può tranquillamente sostenere uno sviluppo tecnologico coi fiocchi ed una popolazione tecnologicamente avanzata (ovvero dove tutti hanno a disposizione la tecnologia anche se non hanno idea di come funzioni) può non avere un briciolo di democrazia. magari è quello che dicevi nell'ultimo paragrafo, o forse no, non ho capito

un regime decisamente non-democratico può tranquillamente sostenere uno sviluppo tecnologico coi fiocchi 

Non sono d'accordo. Credo che l'intuizione di Michele sia giusta. Il problema che ho con la frase sopra e' con il verbo "sostenere".

Ho appena visto che Mauro ha fatto un'osservazione simile. Mi spiego meglio in risposta la.

Fortunatamente sono a Napoli proprio in quel periodo. Una domanda ma l'accesso al convegno è libero o no? Mi piacerebbe tanto assistere al suo intervento.

 

In sintesi, la democrazia è un regime politico basato sul consenso popolare e sul controllo dei governanti da parte dei cittadini: consenso e controllo possono essere assicurati in modi diversi, tuttavia in una democrazia devono esserci.

Secondo la formulazione del politologo Dahl, sovente citata, c'è democrazia quando le istituzioni politiche sono in modo tale da garantire: libertà di associazione, libertà di espressione, libertà di voto, eleggibilità alle cariche pubbliche, pluralismo nell'informazione, elezioni libere e corrette, esistenza di istituzioni che rendono le scelte del governo dipendenti dal voto o da altri sistemi attraverso i quali il popolo (il vero sovrano in democrazia) possa esprimere le proprie opinioni e preferenze.

Quindi, grosso modo, Dahl descrive la democrazia nella sua accezione più completa e per noi più familiare, dal momento che è il tipo di democrazia alla base di tutti i Paesi occidentali (senza discutere troppo sul grado di vicinanza al modello di ogni singolo Paese).

Riguardo alla relazione tra democrazia e tecnica: non esiste alcuna relazione di necessità, cioè può esistere benissimo democrazia senza tecnica o tecnica senza democrazia. Basta guardare alla Storia: in Inghilterra e Francia lo sviluppo tecnico/tecnologico/industriale andò grosso modo di pari passo con l'affermarsi della democrazia, in Giappone, Germania, Cina e Russia lo sviluppo tecnologico avvenne sotto regimi totalitari o comunque autocratici.

Aggiungo: non esiste relazione diretta neppure tra democrazia e capitalismo. Una società può essere benissimo democratica ed avere una forma economica altra dal capititalismo; viceversa, essere capitalista, ma non democratica (l'esempio più banale, seppur potremmo discutere sul grado di capitalismo raggiunto, è quello della Cina post-maoista).

Possiamo, volendo, parlare di legami indiretti: ad esempio, probabilmente è vero che aver soddisfatto i bisogni primari di sussistenza può portare più facilmente un popolo a domandare maggiore libertà e quindi declinare questa richiesta di libertà nell'opzione di un regime democratico. Tuttavia può accadere anche che ciò non avvenga: il rischio di porre legami necessari è quello di finire a fare i bushisti senza Bush e di andare a esportare democrazia laddove non venga richiesto nessun intervento. Insomma, se sorge la domanda di democrazia in una società è per motivi assai più complessi che un banale discorso del tipo: "ora che abbiamo la pancia piena, vediamo di fare indigestione anche di libertà".

Riguardo, anzi, al rapporto tra tecnica e democrazia, si potrebbe sostenere anche tesi opposte, come quella del filosofo Severino.

Sostanzialmente, afferma: la tecnica parte come uno strumento, anzi come lo strumento per eccellenza, al fine di dominare il mondo. Ebbene, forze avverse (democrazia, comunismo, cristianesimo, capitalismo, insomma tutte le forze tradizionali dell'occidente e non solo) se ne servono per prevalere le une sulle altre. In questa competizione, ciascuna di quelle forze deve però rafforzare la potenza dello strumento tecnico, subordinando a questo rafforzamento la stessa realizzazione dello scopo che esse vorrebbe perseguire. Quindi la tecnica da strumento si fa fine ultimo di ognuna di queste forze, allontanandole dai loro obiettivi primari. Ed ecco, per Severino, il rischio (o l'inettuabilità, addirittura) del trionfo della tecnica su tutto il resto.

Forse il suo modello è troppo forzato, nel senso che abbandona i chiaroscuri e gli intrecci tra alcune, almeno, delle forze tradizionali in favore di una visione in cui ci sia solo bianco o nero, tuttavia rifletterci sopra rimane comunque importante, per evitare derive e eccessi...

Basta guardare alla Storia: in Inghilterra e Francia lo sviluppo tecnico/tecnologico/industriale andò grosso modo di pari passo con l'affermarsi della democrazia, in Giappone, Germania, Cina e Russia lo sviluppo tecnologico avvenne sotto regimi totalitari o comunque autocratici.

Io credo invece che una relazione ci sia tra tecnologia e cio' che Michele definisce con democrazia (anche se non sono d'accordo con la definizione).

Gli esempi sopracitati ne sono la prova. Credo anch'io che lo sviluppo puo' capitare anche in regimi totalitari, pero' non credo siano sostenibili a lungo termine (percio' inefficenti, e tecnicamente/economicamente inferiori). Questo e' quello che e' successo alle dittature della prima meta' del 20simo secolo (per quanto avanzata fosse la Germania nazista). Questo e' quanto e' successo all'Unione Sovietica per quanto avanzati fossero i russi.

E credo che questo succedera'  anche alla Cina. Lo sviluppo tecnologico e' accaduto ( grazie anche all'influenza di paesi cosiddetti "democratici") . Ora la conseguenza e' che si stanno arricchendo. Voglio proprio vedere quando avranno una middle class composta da centinaia di milioni di cinesi se saranno in grado di mantenere l'attuale struttura dirigista. Il mio presagio e' che lo sviluppo tecnologico porta benessere, e il benessere porta a quello che Michele chiama "democrazia".

E' cosi che si esporta quello che Michele chiama "democrazia", non come voleva fare George Bush.

 

 

Sostanzialmente, afferma: la tecnica parte come uno strumento, anzi come lo strumento per eccellenza, al fine di dominare il mondo. Ebbene, forze avverse (democrazia, comunismo, cristianesimo, capitalismo, insomma tutte le forze tradizionali dell'occidente e non solo) se ne servono per prevalere le une sulle altre. In questa competizione, ciascuna di quelle forze deve però rafforzare la potenza dello strumento tecnico, subordinando a questo rafforzamento la stessa realizzazione dello scopo che esse vorrebbe perseguire. Quindi la tecnica da strumento si fa fine ultimo di ognuna di queste forze, allontanandole dai loro obiettivi primari. Ed ecco, per Severino, il rischio (o l'inettuabilità, addirittura) del trionfo della tecnica su tutto il resto.

Quindi piace, Severino. Lo si trova ragionevole. Mah. Io non lo trovo convincente. Però faccio una premessa. Lui non fa solo storia della Filosofia, come accade in genere in Italia. Propone una sua teoria filosofica, magari può non piacere, però propone quella teoria. Che può anche essere suggestiva, ma non mi convince.

L'idea è forte. Siccome dal punto di vista concreto, qualunque ideologia ha bisogno della tecnica, allora una ideologia per sopravvivere deve lavorare su efficacia ed efficenza della tecnica stessa, che da mezzo diventa fine. Però ci sono alcune cose da considerare:

1) la definizione di tecnica di cui si serve Severino è troppo generica: essa include qualunque tipo di intervento tecnico-materiale io frapponga fra me e il mondo allo scopo di realizzare uno obbiettivo. Che io sia uno scimpanze che intende avvicinarsi una banana con la canna; che sia un ufficiale del Reich in procinto di lanciare una V2 su Londra; che io stia cambiando la gomma dell'auto in una piazzola di sosta...sono sempre schiavo di un mezzo che è diventato fine. A me sembra assai irragionevole come descrizione attendibile della tecnica. Come dico anche dopo, scompare l'individuo che dovrebbe fare uso di quella tecnica. Lui non parla mai infatti delle persone concrete che sono poste dinnanzia a scelte specifiche, piuttosto la sua è una discussione sui massimi sistemi dove la libertà delle persone è trasfigurata da un metodo di discussione dove quelle persone sembrano mosse da istanze che non sono accessibili alla riflessione ordinaria della gente, o alla comune consapevolezza che si può maturare del mondo e del proprio posto...pur senza leggersi Platone o Parmenide. Questa impostazione è intellettualmente disonesta e minacciosa della dignità delle persone comuni, che sono ridotte a manifestazione di una tendenza fondamentale che lui, e ripeto soltanto lui, avrebbe colto. Tutto questo collide con quel sereno empirismo e ragionevole ottimismo sulle capacità degli individui, che dovrebbero informare sempre le elucubrazioni di un pensatore.

2) la tecnica come mezzo antropologico che l'uomo, e gli animali, usano per migliorare le loro condizioni non è eliminabile o sottoponibile ad un criterio di valutazione che ne attenui la portata di "dominio": una tecnica si impone perchè, rispetto agli scopi per essa previsti, li realizza meglio. In più l'uomo è da sempre tecnico, almeno se vuole vivere. Non c'è l'uomo, regolato da una supposta essenza filosofico-spirituale, e dopo, soltanto dopo, la tecnica: l'uomo ha sempre avuto bisogno della tecnica, intesa come azioni con le quali si trasforma il mondo circostante al fine di accomodarlo ai propri obbiettivi. Nessun sovvertimento, nessun rovesciamento...

3) l'idea che la tecnica abbia bisogno di una cornice culturale filosofica o religiosa che ne imbrigli il nichilismo è l'idea che solo una costruzione ideologica o religiosa ne può giustificare lo sviluppo o arginarne la potenza. Però la cosa potrebbe essere risolta in maniera meno altisonante ponendo come vincolo metafisico della tecnica (di questo sta parlando Severino, in fondo) non il sentiero del Giorno di Parmenide (non ho bevuto, lui dice che bisogna rispcoprire l'essere Parmenideo...) ma la libertà individuale e la dignità degli uomini. Una cosa del genere lui però non l'accetta, perchè sarebbe cadere in un fondamento della tecnica (lui parla di episteme) che è troppo legato al suo tempo, ovvero quella centralità che noi riconosciamo all'individuo come misura delle cose. Comunque, questo bisogno del ricorso a cornici culturali o filosofiche esterne alla tecnica ,per me puzzano di minaccia alla libertà individuale di scegliere come la scienza e la tecnologia debbano applicarsi.

4) La tesi di S. si regge su un resoconto piuttosto banale di cosa sia tecnica. Intanto essa è astorica (lui la chiama direttamente techne, così non ci si pensa più); essa era distinguibile dalla scienza prima, ora non più. Per esempio i Greci, loro si che facevano scienza contemplativa senza aggredire l'ente...non usavano mezzi tecnici che inficiavano la purezza della contemplazione...poi uno legge cose come queste, e dice boh, cosa si sarà perso il nostro? Infine presuppone, sbagliando, che la subordinazione della tecnica alle ideologie o framework più generali possa essere senza prezzo. Invece, chi dall'interno di una specifica ideologia o religione ignora i fatti, per me si espone a conseguenze anche se dispone di molte conoscenze tecniche: insomma, la tecnica e la scienza non sono proiezioni a piacere dei contesti storici...ne risentono, ma non possono ridursi a quelli, anche se Severino finge di poter dire che c'è stata una scienza  sotto il controllo capitalista, comunista e così via...

PS: anche negli aereoporti vedo spesso i libri di Severino o Nietzche, mai che veda i libri di illuministi...

A prima vista credo che tu stia esagerando l'importanza dell'uguaglianza, che tu poni come punto di partenza nel tuo ragionamento.

In sostanza sembra che secondo te il bello della democrazia stia in un grado di eguaglianza che solo un'adeguato livello di progresso tecnologico può consentire. Un ragionamento un po' unidirezionale.

Io credo invece che il bello della democrazia sia il fatto che, almeno in qualche situazione, possiamo comportarci in modo libero. Possiamo esprimere, usare la nostra libertà. Troverei quindi molto più stimolante, in una dissertazione sulla relazione fra democrazia e tecnologia, riferirmi al valore della libertà, oltre che a quello dell'uguaglianza.

Toglici i filosofi e mettici un po' di Stallman... magari viene qualcosa di più originale.

 

1) esplicita meglio la natura della relazione causale "incrociata" tra progresso tecnico e democrazia; raggiunto un certo livello di progresso tecnico siamo democratici? Il livello per restare tali si alza nel tempo? (mi viene da pensare all'italia, la cui tecnologia-produttività è stagnante da un po' e in cui si amplia sempre di più l'utilità di servi e servetti, e in cui la democrazia, soprattutto nel senso di cui parli tu, sembra sempre più debole).

2)La compatibilità rispetto agli incentivi della democrazia è interessante; stando alla tua definizione di democrazia, la cosa dovrebbe suonare come: non c'è interesse a "fingersi" con diversi diritti perché quello che si ottiene dall'averli uguali da luogo a un payoff maggiore, e questo grazie alla tecnologia che, se pesca in un cesto "democratico", sputa fuori esiti migliori. La mia domanda in merito è: la tecnologia è da intendere in senso stretto/tecnico (quindi tosta pane, computer e così via), o anche come libertà di combinare tosta pani e altri fattori come meglio si ritiene? Forse questo in parte si lega al tuo dubbio finale. Quindi secondo me devi dare una definizione più accurata di cos'è in questo tuo ragionamento la tecnologia.

comunque, anche se non ci sono F.O.C., variabili di costato e coni convessi, direi che è una cosa molto più "economica" di quanto uno potrebbe giudicare basandosi sulle citazioni di cani e filosofi (c'è addirittura l'assioma iniziale restrittivo, per giunta già criticato!). I sociologi non capiranno.

Non sono in grado d'imbarcarmi in una disamina organica e approfondita dell'argomento, butto alcune impressioni qua e là...

 

La definizione di democrazia che preferisco è quella popperiana, di un sistema di governo che garantisce il cambiamento delle politiche e l'avvicendamento dei governanti senza spargimenti di sangue. Non so cosa pensasse esattamente Popper della democrazia cristiana (OK questa battuta faceva più effetto prima del '93).

 

Un'altra che mi piace è quella per cui la democrazia è il diritto della maggioranza di decidere nel rispetto dei diritti delle minoranze. (In questo senso, anche gli USA di oggi a causa del vulnus prodotto da una legislazione che contempla la pena di morte non rientrano in pieno in questa definizione).

 

Sono d'accordo con chi trova che il concetto esposto qui somiglia invece di più alla “rule of law”, dato che non fa alcun riferimento al rapporto tra governanti e governati. Dato che comunque la democrazia è innanzitutto un sistema di governo, sembra una concezione manchevole più di altre...

 

“democrazia popolare” è un orrendo pleonasmo inventato per nascondere un'altrettanto orrenda sostanza.

 

Il legame tra democrazia (e stato di diritto e diritti civili) e tecnologia ricorda un po' il problema dell'uovo e della gallina. In generale quello che si verifica è che la democrazia ha bisogno di essere sostenuta da una maggioranza di cittadini che pensano di passarsela meglio rispetto ai loro omologhi di stati vicini, che si parli di Atene e Sparta o della cortina di ferro poco importa.

“Star meglio” è una percezione legata ai fondamentali economici, alla percezione della propria libertà, alla partecipazione a un progetto condiviso etc. e quindi diventa interesse di un governo democratico garantire questi valori (tutti favoriti dallo sviluppo tecnologico per altro) per restare in sella.

Ma alla fine le risorse investite a tale scopo si tradurranno in maggiore creatività, maggiore intraprendenza, maggiore libertà d'azione insomma qualcosa che favorirà lo sviluppo economico e tecnologico, e ciò a sua volta avrà una retroazione positiva anche sulla democrazia.

Alla fine potremmo dire che la democrazia è tecnologia, nel senso che ha sullo sviluppo delle tecnologie lo stesso effetto benefico che può avere una scoperta scientifica in un settore contiguo.

(Questo peraltro è un fatto ben noto a chiunque abbia giocato una volta nella vita a Civilization).

Tra l'altro, trattandosi di un processo basato su una mutua interazione si spiega perchè il semplice travaso di tecnologia in paesi arretrati e governati da regimi dittatoriali può benissimo non avere nessun effetto sulla loro democratizzazione. (internet è un formidabile strumento di libertà nei paesi democratici e di controllo e di repressione nei paesi non democratici).

 

Quindi tendo a pensare che finchè lo sviluppo tecnologico sarà funzionale alla conservazione del potere la democrazia continuerà a esistere, perchè funzionale allo sviluppo tecnologico.

Mi viene anzi da considerare che la fase di maggiore vitalità delle democrazie occidentali (grosso modo tra la seconda guerra mondiale e gli anni '70) abbia coinciso non a caso con la più grande rivoluzione tecnologica della storia. Ma non è detto che la rilevanza della tecnologia rispetto alla politica duri per sempre: la bomba H e le missioni Apollo sono chiaramente un fattore decisivo per la supremazia mondiale. Facebook forse un po' meno.

 

 

Un'altra che mi piace è quella per cui la democrazia è il diritto della maggioranza di decidere nel rispetto dei diritti delle minoranze

A me fa un po' di paura pensare che sia una maggioranza a decidere cosa comporta il rispetto e cosa siano i diritti di una minoranza.

 

Thomas Jefferson called this elective despotism:

All the power of government, legislative, executive, and judiciary, result to the legislative body. The concentrating these in the same hands is precisely the definition of despotic government. It will be no alleviation that these powers will be exercised by a plurality of hands, and not by a single one. One hundred and seventy-three despots would surely be as oppressive as one…An elective despostism is not what we fought for.

 

 

Io trovo il tema interessantissimo, ma piuttosto che commentare il tuo "modello" suggerirei questi spunti aggiuntivi:

Condizione necessaria (non sufficiente!) per il funzionamento di una democrazia è lo sviluppo di tecnologie di comunicazione (e trasporto) adeguate alle dimensioni del sistema, dove per dimensioni intendasi la convoluzione dell'estensione geografica con l'estensione sulle classi sociali effettivamente coinvolte nei meccanismi democratici. Infatti mi pare impensabile che un sistema democratico possa funzionare a meno che tutte le persone attivamente coinvolte (diciemo gli elettori) non siano messe in condizione di informarsi, scambiare opinioni, condividere interessi culturali ed economici ecc... Tanto più grande è il sistema, tanto più tutto ciò richiede tecnologia. Per fare qualche esempio: l'Agorà + comunicazione a distanza tramite lettere o tavolette d'argilla andava bene per le piccole democrazie delle Polis (di solito limitate ad un sottoinsieme ristretto dei cittadini), il secondo grande passo sono stati il telegrafo + la stampa + la ferrovia per le democrazie borghesi del diciannovesimo secolo, quindi il telefono +  la radio + la televisione + l'automobile + l'aereo per le democrazie "popolari" (nel senso di estese a tutte le classi sociali e ad entrambi i sessi) del ventesimo secolo. Forse internet giocherà davvero un ruolo nel secolo in corso? Penso di si.

Le democrazie possono collassare per molte ragioni, ma una è probabilmente l'estensione del sistema oltre i limiti di sostenibilità delle tecnologie in uso... in questo senso la democrazia è "technology driven". Ma le stesse tecnologie che possono permettere lo sviluppo di livelli più pervasivi di democrazia si prestano anche a sviluppi alternativi, per esempio possono essere ben utilizzate per capillarizzare il controllo e la propaganda in un regime dittatoriale.

 

 

 

Non so se avro' tempo per leggere l'articolo e farti un refere report (comunque ci provero') ma intanto provo a darti un suggerimento: Perchè non accompagni la tua relazione con la canzone (video clip) Democracy di Leonard Cohen (quello di Suzanna per intenderci....).

 

condizione necessaria di "democrazia" la totale uguaglianza formale di chiunque sia in grado d'intendere e volere a fronte delle leggi.

 

e

 

la discriminazione, il trattamento differenziale di un essere umano (capace di intendere e volere, questo è importante e ci ritorno sotto) in una qualsiasi circostanza legale o formale ci pare non solo assurda ma sconveniente

 

La tua definizione di democrazia mi lascia dubbioso, anche perchè ruota intorno al concetto di "capacità di intendere e di volere" che - almeno così mi pare - non hai più approfondito nel tuo articolo.

L'enfatizzazione della capacità di intendere e di volere, infatti, mi pare superflua da un lato e  pericolosa dall'altro.

In primo luogo dobbiamo intenderci. In campo legale il concetto di capacità di intendere ha un preciso significato, vale dire la capacità di rendersi conto delle proprie azioni e di determinarsi di conseguenza: in questi termini, non tutti i soggetti hanno tale capacità, dato che non la hanno i minori, gli interdetti e così via. Questi soggetti sono però fuori dalla tutela democratica ? Certo che no, ed anzi una delle conquiste democratiche è stata proprio quella di estendere progressivamente anche agli incapaci le tutele e le garanzie della legge. Verò è che un incapace non può concorrere alla gioco elettorale, ma non subisce un trattamento differenziale nei propri diritti per il fatto stesso di essere incapace.

A meno che tu non ti riferisci alla capcità giuridica, ossia la capacità di essere soggetto di diritto, di assumere diritti e doveri, quella che per l'art. 1 del nostro codice civile si acquisisce al momento della nascita. Se così è, allora la tua definizione diventa pericolosa, perchè è stata proprio la limitazione o l'esclusione della capacità giuridica il meccanismo attraverso il quale a determinati soggetti sono stati preclusi i diritti, non a caso le leggi razziali del 1938 modificarono l'articolo 1 c.c. aggiungendoil seguente comma

 

Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali.

 

Non a caso, ancora, gli schiavi nell'america di Thomas Jefferson e di Ben Franklin erano privi di capacità giuridica - con ciò quindi essendo cose - il che non escludeva "la totale uguaglianza formale" di coloro che invece erano dotati di capacità giuridica, vale a dire gli u.s. citizens: insomma, giocando con la capacità giuridica puoi avere società "democratiche" secondo la tua definizione, che demcratiche però non sono, secondo il comune sentire attuale.

concordo con il Jefferson citato da Ludovico Pizzati: la democrazia (intesa come sistema di governo) in sé non garantisce nulla, tantomeno di poter evitare un despotismo elettivo (vedansi infatti gli esempi hitleriano e mussolino).

l democrazia intesa come strumento (quindi ANCHE come sistema di governo) può essere molto conveniente ai cittadini, ma altrettanto conveniente a chi, in alto, sapesse far buon uso delle sue caratteristiche (libertà di espressione, associazione, pensiero e parola, suffragio universale), fino a renderle in apparenza assolute e garantite, ma in sostanza assolutamente vuote. un esempio tipico , per me, è l'Italia degli ultimi 60 anni dove, facendo leva sul disgusto per il periodo precedente che negava le libertà più elementari (non parlo, non dico, non scrivo, non pretendo nemmeno di votare altrimenti son mazzate), s'è costituito un sistema nel quale tutti si illudono di essere garantiti nelle sullodate libertà (e in parte lo sono), ma le libertà stesse non valgono nulla, perché il sistema non permette un loro effetto concreto.

in sostanza, se prima non potevo parlare pena mazzate, ora parlare posso, ma la mia libertà di parola equivale ala mia libertà di ficcarmi le dita nel naso: bella, comoda, gratificante e catartica, ma del tutto inutile perché chi dovrebbe ascoltare è stato creato senza orecchie.

quanto al resto (e chiudo): il concetto di uguaglianza universale è effettivamente nato con Gesù Cristo, almeno in questa parte del mondo, e s'è innestato felicemente su un concetto greco di "democrazia" intesa come decisione collegiale (di eletti da classi accuratamente scriminate) a maggioranza, e su un altrettanto valido principio romano di "Rule of Law", secondo il quale tutti i cittadini romani liberi, of course) sono soggetti alla legge, e da essa garantiti. la mescola di questi tre principi ha portato all'evoluzione delle idee e dei sistemi di governo democratici, con tutti i deragliamenti, i passi falsi, i passi indietro che storia, economia, malattie, vicini turbolenti et similia hanno imposto all'Europa.

tecnologia e democrazia invece, per me, non sono necessariamente legate: Singapore è estremamente avanzato dal punto di vista tecnologico, ma non è una democrazia, l?india (o la Polonia di metà '800) è una democrazia da lungo tempo, almeno formalmente, ma quanto a progresso tecnologico è soltanto agli inizi. occorre inoltre considerare cosa si voglia intendere per tecnologia, e io credo che valga in genere il principio per cui non s'è mai abbandonata, nella storia, un'innovazione tecnologica se l'abbandono avesse causato la perdita di vite umane o l'abbassarsi del benessere della popolazione (se non in casi molto rari e chiaro esempio di regimi e mentalità non democratiche, si pensi alle ferrovie del Laos o alle gesta di PolPot). di conseguenza, un avanzamento tecnologico può avvenire indipendentemente dal tipo di società che lo produce (intesa come sistema politico/legislativo), e si relaziona all'eventuale democraticità qundo raggiunge un sufficiente numero di persone (contribuendo, con questo, anche a determinare un eventuale cambiamento del regime politico del luogo). senza andare tanto sul difficile, mi vengono in mente le fognature coperte, l'acqua corrente in casa, l'illuminazione a gas, tre innovazioni tecnologiche, relativamente recenti, che hanno permesso una lotta più efficace alle malattie, un affrancamento dalla fatica del trasporto dell'acqua, un aumento del livello culturale o semplicemente cognitivo della gggente. e - naturalmente - le conseguenze politiche di tali mutamenti.

dal profondo della mia ignoranza, faccioti i migliori auguri per il tuo speech.

 

il concetto di uguaglianza universale è effettivamente nato con Gesù Cristo, almeno in questa parte del mondo

 

Quest'interessante articolo sostiene che sia in realta' nato con Paolo di Tarso, e abbia rappresentato l'innovazione fondamentale che trasformo' una setta minore in una religione organizzata di grande successo.

 

Il progresso tecnologico ha storicamente causato la progressiva democratizzazione dei sistemi socio-politici, tanto oggi come nei secoli che ci hanno preceduto.

 

Perfettamente d'accordo: era appunto quello che sostenevo qui. Pero' anch'io come altri hanno gia' fatto vorrei distinguere accuratamente tra "liberalismo/rule-of-law" e "democrazia nel senso di suffragio universale": le due cose sono compatibili solo quando la curva di Lorenz e' ragionevolmente rettilinea. Se non lo e', la seconda rappresenta un pericolo per la prima: applicare suffragio universale in condizioni di elevata diseguaglianza (tipiche di societa' preindustriali) conduce a una redistribuzione economica ope legis che previene l'accumulazione di capitale prima che quest'ultima ragiunga la massa critica necessaria all'industrializzazione. Peggio, fornisce un alibi alle oligarchie feudali per giustificare il loro potere, come accade attualmente p.es. in India.

 

In secondo luogo, non fermatevi :-) Tutto questo è veramente molto utile (incluso Cohen ... sarà incredibile ma io non conoscevo questa canzone ... Suzanne sì, almeno lì mi salvo!)

In terzo luogo, cerco di riflettere sulle critiche ed i suggerimenti (ringrazio anche i lettori che mi hanno mandato reports via email private) e ci ritorno sopra nel week end.

In quarto luogo, questo era un riassunto tagliato con l'accetta, quindi è pieno di semplificazioni orrende. In particolare ...

... quinto luogo, NON intendo proporre né una definizione "tecnica" (letterale?) di democrazia né, tantomeno, una definizione "normativa" (ossia: quella che a me sembra la più giusta ... anche perché non ce l'ho ma, se proprio devo scegliere, vado con quella del vecchio Riker (effetto pianodisopra a Harkness Hall, U of Rochester)). Voglio solo individuare quello che a me sembra il minimo comune denominatore delle condizioni necessarie perché la cosa che chiamiamo "democrazia" esista. Provo ad insistere su questo punto per cercare di chiarire il mio approccio.

Mi son chiesto: a cosa pensa una persona "media" del mondo occidentale odierno quando usa la parola "democrazia"? Quali requisiti minimi ha in mente per qualificare un sistema politico-legale come democratico? Che tipo di società ha in mente, dal punto di vista legale? Ogni sistema politico-elettorale può essere pensato come una maniera di "pesare" le opinioni dei cittadini al momento di prendere decisioni politiche (anche questo sarebbe da definire perché, siccome tutto è "politica", l'ambiguità è palese, ma tiro fuori di nuovo l'accetta e spero che ci si intenda). Ora, pensate ai pesi che applicate alle opinioni di ogni cittadino (ogni persona un peso) come una "misura" applicata allo spazio dei cittadini stessi. Un sistema totalmente autocratico-dittatoriale, per esempio, dà misura positiva ad una singola persona e zero a tutti gli altri. Un sistema aristocratico assegna una misura positiva ad alcuni soggetti (per dire, 3 ai duchi, 2 ai conti, 1 ai marchesi ...) e zero al resto. Eccetera. A me sembra che il cittadino occidentale medio contemporaneo quando parla di democrazia abbia in mente un sistema che assegna la stessa misura a tutti i cittadini - insomma, la democrazia è la misura di Lebesgue sull'intervallo [0,1]. Questo è (quasi) ovvio in sede elettiva (una persona un voto) ma - mi sembra e può essere che mi sbagli - questo deve applicarsi anche a tutte le istanze "legali" (ossia, regolate da una qualsiasi legge) in cui i cittadini possano trovarsi. Formalmente i cittadini devono essere tutti trattati in modo uguale perché si possa avere "democrazia": hanno tutti uguale accesso (formale) ai contratti disponibili, godono tutti di tutte le protezioni che la legge offre, sottostanno tutti ugualmente a tutti i doveri che le leggi impongono, e così via. Insomma, i cittadini devono essere FORMALMENTE identici perché vi sia "democrazia". La democrazia, nella testa del cittadino occidentale medio contemporaneo, non c'è se alcune persone (in quanto tali) godono di privilegi legali d'un qualsiasi tipo, privilegi negati ad altri. Esempio banalotto: c'è democrazia se vale la regola di "una persona un voto" ma solo alcuni hanno diritto alla libera espressione delle opinioni? Oppure: solo alcuni possono formare partiti politici? O anche: solo alcuni possono acquistare o vendere case, terreni, aziende? Viaggiare all'estero? Sposarsi o divorziare? Sottoporsi all'esame per la patente? Per dirla con il linguaggio, corretto, di Sabino: la democrazia presuppone (richiede) che tutti (alla nascita) possano essere 'soggetto di dirittò e che le ragioni per cui tale diritto viene negato siano specificate in modo anonimo e secondo criteri oggettivamente verificabili .... e già qui, me ne rendo conto, mi infilo nelle sabbie mobili. In che senso è "democratico" un sistema legale che nega al "demente" (cosa definisce un "demente"?) l'essere soggetto di diritto? Ma da queste sabbie mobili credo di poterne uscire (se ne riparla, comunque ... e qui il progresso tecnologico gioca un ruolo perché "it enables" più persone ad essere soggetto di diritto ...). Ad ogni modo, questo è il mio punto di partenza, almeno intuitivamente.

Dateci dentro, grazie.

 

 

 

Credo che un'unica misura per le opinioni o lo spazio di ciascun cittadino avrebbe fatto inorridire Pericle, Socrate, Platone ed Aristotele insieme. Non credo che questa idea sia il nocciolo della democrazia e credo sia tutto da dimostrare che il cittadino comune pensa così.

Le pari opportunità sono invece un valore, ma questo è un'altro discorso.

L'argomento mi piace e vorrei, nel mio piccolo, dare un contributo, anche se assolutamente opinabile. Cerchero' anche di essere molto sintetico, sperando che questo non porti ad incomprensioni. Spero anche che quanto diro' qui non sia stato detto gia' da qualcuno, in tal caso scusatemi, non ho avuto tempo di leggere tutti i commenti :)

In brevissimo: secondo me la correlazione piu' diretta tra democrazia e tecnologia e' il fatto che la prima allarga lo spazio campione in cui la seconda puo' trovare dei risultati. Questo pero' tende verso il contrario della tesi di Michele: e' la tecnologia che ha bisogno della democrazia per avere piu' possibilita' di crescere.

La democrazia, per contro, ha bisogno della tecnologia per fornire al cittadino sempre piu' tempo e mezzi per poter applicare la democrazia stessa, ovvero informarsi e partecipare. Ma e' sempre dalla democrazia che si parte.

In realta' entrambe hanno senso in momenti e luoghi in cui c'e' fermento, ovvero numerose nuove idee o esperimenti, e ricambio, ovvero qualcuno di questi esperimenti ha effettivamente la possibilita' di arrivare in una posizione dominante o comunque conosciuto, tanto da diffondersi.

La tecnologia poi comprende molti campi: man mano che evolve si specializza e si approfondisce. Invece il concetto di democrazia, che pure si e' molto evoluto, ha un ambito specifico di applicazione, ovvero la gestione dello Stato.

Quindi si potrebbe avere una societa' non democratica e tecnologicamente avanzata in alcuni campi, meno avanzata in altri - perche' a chi dirige (non democraticamente) la ricerca o l'acquisizione di tecnologie interessano solo certe cose.

E' vero che avanzare tecnologicamente a lungo andare provoca un "effetto valanga" che spinge tutti i campi tecnologici in avanti, perche' alla base sono correlati. E per avanzare la tecnologia c'e' sempre piu' bisogno di persone istruite e informate, che sono la base per richiedere poi una democrazia anche dove non c'e'.

Riassunto finale: tecnologia e democrazia si autoalimentano perche' ciascuna si avvantaggia dell'altra, ma non sono l'una la conseguenza dell'altra: in specifico, possono esserci Stati non democratici e tecnologicamente avanzati, come Stati democratici e tecnologicamente arretrati - per quanto questa seconda opzione sia secondo me molto meno frequente.

EDIT: Ho letto adesso il commento di Baron Litron: sono essenzialmente d'accordo con lui, e mi associo agli auguri per lo speech a Michele.

Spero di essere stato chiaro nell'esprimere il mio pensiero, e di aver contribuito utilmente alla discussione.

 

 

 

 

Ho diverse osservazioni da fare:

  1. Non credo si possa identificare lo sviluppo tecnologico con quello economico.Da profano direi che la vecchia URSS se la cavava molto meglio col primo che col secondo, come oggi abbiamo stati (Pakistan, Corea Nord) con avanzate tecnologie nucleari e missilistiche e povertà difuse.La correlazione è evidente, l' identità mi sembra tirata per i capelli.
  2. Stessa cosa per il legame sviluppo economico-democrazia: la correlazione è evidente, e credo che un livello minimo di sviluppo sia necessario per mantenere la democrazia (rule of law, stampa e istruzione costano), ma ci sono troppi controesempi per stabilire una vera relazione causa-effetto (Singapore,Germania nazista, URSS,...).Ed il discorso sulle situazioni transitorie mi lascia perplesso, visto che spesso duran decenni e non vedo garanzie che le evoluzioni siano unidirezionali:lo Zimbabwe ai tempi dell' apartheid era relativamente ricco, la relativa democratizzazione l'ha portato alla rovina.Credo che Enzo non abbia tutti i torti a tirare in ballo la curva di Lorenz
  3. @Marco Boninu & c: credo che il vero punto dei vari filosofi sia la lotta per la sopravvivenza.La rilevanza della tecnologia è evidente, non ha bisogno di avvocati, credo che i filosofi se e sentano minacciati e reagiscano urlando che le manca l'anima.Magari in perfetta buonafede: se non credessero nella filosofia avrebbero fatto altro.
  4. @gmack: Civilization prova solo che Syd Meyer e M. Boldrin van daccordo su questo punto.

 

Probably off-topic, ma interessante

Allora, vediamo in primo luogo se ho capito la tesi.

1) Il principio democratico è stato sviluppato concettualmente in diverse epoche passate e in differenti aree geografiche.

2) Per la sua applicazione pratica, però, a livello universale, abbiamo dovuto attendere migliaia di anni. Più o meno fino al 20mo secolo - a seconda di cosa si definisca una "democrazia".

3) Ciò suggerisce dunque che lo sviluppo tecnico-economico sia fondamentale per lo sviluppo della stessa democrazia.

4) Ma sarà sempre così? Cioè, lo sviluppo tecnico-economico permetterà sempre una maturazione della democrazia?

 

Allora, facciamo qualche riflessione sparsa:

1) Non ho capito se qui si assume che sia la democrazia a favorire lo sviluppo tecnico-economico, o se invece sia quest'ultimo a favorire la democrazia. In entrambi i casi, così facendo si escludono tutti quei fattori che sono stati più volte rintracciati come causanti, o quanto meno favorevoli, allo sviluppo democratico:

- pace;

- commerci;

- omogeneità etnico-religiosa;

- assenza di nemici esterni;

- condizioni ambientali favorevoli.

In qualche maniera, credo, questi elementi vadano fatti rientrare nel modello.

 

2) Di base, qualcuno potrebbe cogliere un certo pregiudizio marxiano: lo sviluppo sociale sarebbe, almeno stando alle tue parole, determinato dai mezzi di produzione.

3) Questo pregiudizio viene in parte confermato con la domanda di fondo, che potrebbe essere così rifrasata: se la democrazia si è sviluppata grazie al capitalismo industriale, quale sistema politico ci aspetta nell'era della biotecnologia, di internet e dell'ICT?

4) Unica nota empirica: in URSS, lo sviluppo tecnologico è stato imposto e usato per sopprimere la democrazia. Quindi, relativamente alla parte finale, non è "sempre andata bene così". Ovvio, poi l'URSS è esploso, ma volevo solo far notare che non sempre tecnica e democrazia vanno per la stessa strada.

aa

Ecco il mio report.

Mi par che lo statement della tesi sia riassumibile in: 

Quando "tutti" sono potenzialmente più utili come produttori e scambisti che come schiavi, servi, servetti, negri/donne/spastici/cechi/quellochevoletevoi discriminati ed asserviti al "forte" di turno, allora la democrazia [...] diventa conveniente.

Le definizioni mi paion chiare, tutte. Manca pero' quella di "conveniente" nel passo sopra. Pareto superiore? Ma poco importa, in realta'. 

Lo statement e' chiaro ma manca la "prova". Mi spiego (capisco che non e' un paper accademico). C'e' un'intuizione: 

Quando "tutti" sono potenzialmente più utili come produttori e scambisti che come schiavi, servi, servetti, negri/donne/spastici/cechi/quellochevoletevoi discriminati ed asserviti al "forte" di turno, allora la democrazia (come definita sopra) diventa conveniente.

Ma com'e' che la tecnologia ha reso 

"tutti"  potenzialmente più utili come produttori e scambisti?

C'e' un qualche riferimento alla divisione del lavoro.... il riferimento a economie "indecomposable" ma non e' chiaro, specie al lettore che non conosca McKenzie. E' tutto qui', l'issue. 

Infine: e' la tecnologia cosi' come e' stata sviluppata a "causare" la democrazia, o ogni altra realizzazione della tecnologia - in diversi mondi paralleli - avrebbe avuto lo stesso effetto? Nel primo caso, allora bisognerebbe spiegare meglio quali caratteristiche  di questa tecnologia abbiano causato l'effetto. Nel secondo caso (dubito) allora forse non e' tecnologia, ma "sviluppo" o qualcosa di simile alla base di tutto. 

Secondo me con conveniente intendeva incentive compatible. La cosa più semplice cui pensare è la riduzione dei costi di trasmissione dei costi di trasmissione delle informazioni. C'è una vaga reminiscenza di Coase: alla diminuzione dei costi di transazione conviene decentrare le decisioni. Quando sarà possibile e sicuro votare via internet, ci saranno un sacco di referendum. 

 

il riferimento a economie "indecomposable" [...] non e' chiaro, specie al lettore che non conosca McKenzie.

 

Scusi Professor Bisin, ma non si dice "irreducible" ?

Mi sembra che la relazione tra tecnica e democrazia possa andare in qualunque direzione.

Culture con un livello tecnologico basso hanno in passato mostrato un elevato grado di egalitarismo/democrazia. Societa’ di cacciatori/raccoglitori, culture nomadi, Iroquois si caratterizzavano e si caratterizzano per una tecnica prossima a quella neolitica ma con meccanismi di distribuzione del potere e delle risorse equivalenti a quelle culture che classificheremmo come democratiche. Culture piu’ evolute come quella Azteca o feudale pur avendo una tecnologia superiore e piu’ diffusa non presentavano meccanismi piu’ partecipativi alla produzione e alla distribuzione delle risorse, cioe’ erano societa’ molto gerarchizzate e stratificate e poco democratiche. In sintesi, ad una agricoltura (come tipo di tecnologia) piu’ intensiva si associa una maggiore complessita’ dell’organizzazione statale, e una maggiore disuguaglianza con minore democraticita’. Una analisi etnografica piu’ sistematica produce una evidenza opposta a quella tratta invece da una osservazione da “economista” dei paesi moderni (dove i piu’ sviluppati sono anche quelli piu’ democratici). Si vuole illustrare una relazione universale tecnica / democrazia?


Nel paper la relazione tra tecnica e democrazia sembra non delimitarsi ai sistemi capitalistici moderni ma spazia anche in sistemi non capitalistici, o che di capitalistico hanno ben poco. Il contenuto di capitalismo nella cultura afgana o irakena e’ limitato, nonostante che magari bevano la coca cola e guidino fuori strada. Ora la relazione rischia di diventare a tre (capitalismo-tecnica-democrazia) e complicarsi. Circoscriverei l’analisi a un periodo / sistema economico o altrimenti bisogna collegare in qualche modo il capitalismo agli altri due.

La definizione di democrazia basata sul formalismo davanti alla legge (mi riferisco all’addendum sulla misura di lebesgue) sembra includere anche i sistemi socialisti, infatti alla nascita tutti erano uguali davanti alla legge, e le discriminazioni avvenivano ex post (tu X non la pensi come il gruppo dirigente e quindi...)  e non ex ante (tu non potrai mai pensare/essere come il gruppo dirigente e quindi...). Il contributo del socialismo al suffragio universale e alla giustizia e’ stato sostanziale. L’ideale socialista ha favorito una democratizzazione in senso moderno, ma in un brodo in cui non era forza ideologica dominante. Quindi nella definizione di democrazia ci vuole qualcosa in piu’...che restringa...mi pare che all’egalite’ ci voglia pure liberte’ per escludere i sistemi colletivistici.

Fatta questa premessa, non e’ spiegato come la tecnica possa avere un impatto non casuale sulla democrazia a meno che questa non permetta sistematicamente una maggiore produttivita’ di gruppi diffusi rispetto a gruppi concentrati. Se una tecnologia consente un maggiore differenziale di produttivita’ tra terra e lavoro (come nel sistema feudale, ovvero favorevole a un fattore produttivo concentrato) allora la terra e chi la possiede diventano un elemento piu’ centrale in quella societa’. Se il progresso tecnologico aumenta la produttivita’ del lavoro,  in questo caso la rilevanza dell’uomo aumenta e con essa la pressione democratica. Fortunatamente la tecnologia finora e’ progredita in diverse direzioni, nessuno ha potuto realmente condurla sistematicamente (forse in URSS?) in una data direzione e quindi ha favorito, di volta in volta, diversi gruppi senza crearne uno dominante in modo irreversibile. Ma qui non e’ questione di convenienza, ma di rapporti di forza in campo. I diritti “democratici” non sono mai stati concessi per convenienza reciproca, ma sempre conquistati.

Last but not least, il riferimento alla religione lo toglierei. Per il semplice fatto che  ogni religione dal jainismo all’islamismo, dal confucianesimo all’ebraismo hanno elementi che possono definirsi protodemocratici ed egalitaristi. Ma si trovano anche indicazioni contrarie e quindi rende il discorso meno chiaro. Paolo di Tarso o Gesu’?

qui mi ci voleva un nickname o meno barolo..

 

 

Certo, con "conveniente" intendo dire "incentive compatible" ... non so quale sia la traduzione standard italiana di quest'espressione, per cui me la sono inventata io:

 

ovvero “conveniente dati gli incentivi” (incentive compatible) nel linguaggio della teoria economica.

 

Provo a spiegare il modellino che ho in mente. Hai davanti un essere umano più o meno anonimo, assumiamo ti sembri più debole di te ed abbia in mano un chilo di pere. In quali circostanze è "conveniente" (ossia, incentive compatible):

- amazzarlo e prendergli le pere;

- schiavizzarlo, dargli da mangiare pane vecchio e farlo produrre altre pere per te;

- renderlo un servo della gleba tuo, promettendogli protezione da tuo cugino che vive nel castello accanto, permettendogli di tenere qualche pera ogni tanto;

- proporgli un contratto in base al quale lui ti vende tutte le pere che riesce a produrre e tu in cambio gli paghi un certo prezzo di mercato, e non gli rubi le pere di nascosto perché accettate entrambi che una parte terza faccia da guardiano, eccetera.

Io sostengo che (in media nell'equilibrio con tanta gente) la scelta fra queste alternative dipende dal tipo di tecnologia a disposizione tua e di quell'altro che hai di fronte. Con tecnologie primitive conviene amazzare o schiavizzare, tanto lasciarli liberi e permettergli di avere i tuoi stessi diritti non serve a molto. Ossia, non ti conviene. Con tecnologie che permettono la divisione del lavoro diviene più conveniente trattarci tutti da uguali, il che porta inesorabilmente a trattarci tutti da uguali anche sul piano politico. La mia ipotesi è che questo tipo di tecnologie cominciano ad essere disponibili e sufficientemente diffuse solo a partire del XVII-XVIII secolo, ed in quel momento sono disponibili solo in Europa. Poi si espandono, diffondono, eccetera. Ora le stanno adottando un po' ovunque.

Ovviamente il tutto non è né lineare né deterministico. "Puzza" di materialismo storico? Probabilmente, ma non mi preoccupa perché mi sembra che il ragionamento sul piano storico tenga abbastanza. Anzi, a ben pensarci mi sorprendo di quanto tenga se uno prende una prospettiva di lungo periodo. In particolare trovo sorprendente che in ogni fase storica ci sia qualcuno che teorizzano una qualche forma di "eguaglianza democratica" fra gli uomini. Ma, guarda caso, l'applicabilità del principio "uguali davanti alle leggi" viene ristretta a quei soggetti per i quali è economicamente conveniente farlo. Da Platone ai founding father, ai quali sembrava perfettamente logico e naturale avere migliaia di schiavi mentre proclamavano "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness. — That to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed ..."

Il "trucco" che sta dietro al mio ragionamento e lo rende coerente con l'osservazione storica, ovviamente, è che interpreto la parola "democrazia" in un senso molto restrittivo da un lato (l'India delle caste, nel mio linguaggio, non è realmente una "democrazia") e molto ampio dall'altro (la Serenissima Repubblica del 1500 è quasi una "democrazia", sempre con il mio criterio ...). Su questo punto, mi rendo conto, casca l'asino o attraversa il guado. La questione quindi mi sembra: è vero che il meccanismo politico "democrazia" richiede necessariamente, per essere concepito, che esista un insieme di soggetti che trattiamo/consideriamo come "legalmente uguali"? Ossia aventi gli stessi diritti legali, ed il voto tra essi? Detto altrimenti, che NON basta avere il diritto di votare per avere democrazia nel senso intuitivo in cui la intendiamo comunemente (ragione per cui Cuba NON e' una democrazia)?

Per AlexCT

 

Scusi Professor Bisin, ma non si dice "irreducible" ?

 

Si', vero, colpa mia che ho introdotto il termine meno comune. Nell'articolo che io stesso cito McKenzie usa "irreducibility"; avrei dovuto controllare invece di andare a memoria. In altre istanze, in particolare quando si gioca con matrici per descrivere economie lineari, il termine "indecomposable" viene usato. In questo contesto vanno intesi come sinonimi e si riducono all'espressione intuitiva secondo cui le dotazioni dei vari agenti e l'insieme delle tecnologie disponibili sono tali che "se qualcuno ha del reddito, allora tutti hanno del reddito" a prezzi che sono compatibili con produzione positiva. Per i curiosoni, questa discussione si trova alle pagine 821-822 di "The Classical Theorem on Existence of Competitive Equilibrium", by Lionel W. McKenzie, in  Econometrica, Vol. 49, No. 4 (Jul., 1981), pp. 819-841.

Insisto: mi rendo conto che il tema del saggio include la parola "Democrazia", ma non si farebbe meglio a usare altri termini quali "Stato di Diritto" o "Stato Liberale"? Il termine "democrazia" e' stato talmente usato e abusato nei millenni che ormai significa tutto e il contrario di tutto (e gia' si dicevano "democratici" nel quinto secolo AC due personaggi antitetici come Pericle e Cleone). E' un termine ampiamente sputtanato, che compare sia nel nome dello stato del "Dear Leader" Kim Jong-il che nei programmi militaristi di GW Bush.

Invece, il termine "Democrazia" non compare ne' nella Dichiarazione d'Indipendenza ne' nella Costituzione degli Stati Uniti, e i Founding Fathers non ne erano particolarmente innamorati: una delle poche volte che viene usato, da Madison nel Federalist #10 definendola "a society consisting of a small number of citizens, who assemble and administer the government in person", e' per elencarne difetti e pericoli in confronto con quel che all'epoca era chiamato "Republic" (e due anni dopo gli sviluppi della Rivoluzione Francese gli avrebbero dato ragione).

Non era neppure particolarmente amato da Kant, che infatti in "Verso una pace perpetua" di pochi anni dopo faceva riferimento a stati liberal-costituzionali come soggetti che avevano poco interesse a farsi guerra tra loro, non a "democrazie" come gli si fa dire oggi da vari pubblicisti. Per la precisione, Kant faceva distinzione tra forme di sovranita', formae imperii, e forme di governo, formae regiminis: la democrazia appartiene alla prima categoria, assieme ad autocrazia e aristocrazia; la seconda categoria invece include repubblica liberale e dispotismo. Per Kant e' la seconda categoria quella che fa la vera differenza.

 

Provo a spiegare il modellino che ho in mente. Hai davanti un essere umano più o meno anonimo, assumiamo ti sembri più debole di te ed abbia in mano un chilo di pere. In quali circostanze è "conveniente" (ossia, incentive compatible):

- amazzarlo e prendergli le pere;

- schiavizzarlo, dargli da mangiare pane vecchio e farlo produrre altre pere per te;

- renderlo un servo della gleba tuo, promettendogli protezione da tuo cugino che vive nel castello accanto, permettendogli di tenere qualche pera ogni tanto;

- proporgli un contratto in base al quale lui ti vende tutte le pere che riesce a produrre e tu in cambio gli paghi un certo prezzo di mercato, e non gli rubi le pere di nascosto perché accettate entrambi che una parte terza faccia da guardiano, eccetera.

 

 

Michele, la tua ricostruzione mi convince sino a un certo punto.
Dando per scontato che la tecnologia dell'umanità, salvo modifiche secondarie e "ornamentali", sia rimasta immutata sino al XV - XVI secolo, allora dovremmo avere situazioni di controllo sulle masse simili in tutti questi secoli, ma l'analisi storica ci dimostra che non è così.
A parte le situazioni egalitarie delle civiltà più primitive di cacciatori-raccoglitori (troppo di nicchia per essere significative) l'economia schavistica, tipica del mondo romano, ha cominciato a declinare non grazie al progresso tecnologico, che semplicemente non c'è stato, ma a causa del venir meno delle guerre di conquista dei legionari: insomma è stata la carenza di materia prima (gli schiavi) a determinare una modifica dei rapporti sociali, andando verso la seritù della gleba - che democrazia non è, ma non è neppure schiavitù.
Alla stessa maniera, i plebei poterono accedere a diritti politici prima negati loro - con ciò rendendo più "democratica" la res publica - non certo grazie al progresso tecnologico, ma grazie al fatto che le guerre di conquista di Roma richiedevano un esercito sempre meno elitario e sempre più di massa, con la conseguenza che i patrizi non potevano non dare conto ai milites, concedendo quindi loro più potere.

Io sostengo che (in media nell'equilibrio con tanta gente) la scelta fra queste alternative dipende dal tipo di tecnologia a disposizione tua e di quell'altro che hai di fronte. Con tecnologie primitive conviene amazzare o schiavizzare, tanto lasciarli liberi e permettergli di avere i tuoi stessi diritti non serve a molto. Ossia, non ti conviene. Con tecnologie che permettono la divisione del lavoro diviene più conveniente trattarci tutti da uguali, il che porta inesorabilmente a trattarci tutti da uguali anche sul piano politico.


Qui devo citarti Clint Eastwood:

se un uomo col fucile incontra un uomo con la pistola, l'uomo con la pistola è un uomo morto.

Storicamente, le potenze occidentali hanno potuto allargare il perimetro dei diritti democratici dei propri cittadini solo quando hanno avuto la possibilità di sfruttare le risorse dei paesi e dei popoli coloniali ed in questo la tecnologia ha reso più conveniente e rapido lo sfruttamento, per cui per ogni operaio di Bruxelles al quale veniva riconosciuta libertà di parola, c'erano dieci congolesi che morivano nelle miniere di re Leopoldo e per ogni londinese che era indeciso se votare per i conservatori o per i liberali, c'erano cento altri sudditi della regina Vittoria ai quali la partecipazione al gioco era preclusa.

Avevo letto da qualche parte che la democrazia presuppone un reddito pro-capite di almeno 15.000 dollari. Mi pare che questo confermi il collegamento di Michele tra democrazia e progresso tecnologico, che definirei come condizione necessaria alla democrazia.

Mi pare però che questa assunzione, molto valida per il passato, lo sia meno per il presente.  Perchè nel frattempo il concetto di democrazia si è esteso, e se una volta un Paese (qualcuno nei commenti ha citato l'India) veniva definito democratico se i suoi abitanti potevano andare a votare (come dire che una volta un cittadino stava bene perchè aveva la pancia piena) adesso il voto non basta più a definire la democrazia (come non basta più avere la pancia piena per poter dire di "stare bene").

Se ho un reddito di 50.000 dollari ma vivo a Casal di Principe, o in un sito inquinato, o il 90% della informazione a cui posso attingere è manipolata, o sono una donna e vivo nella periferia di una grande città con il rischio di essere violentata se esco di sera, se le leggi non mi consentono di gestire la mia morte,  l'"uguaglianza formale" rispetto agli altri è un sogno. Se non c'è giustizia (vera, non formale), non c'è neanche democrazia.

L'India è ufficialmente una repubblica democratica. Allo stato dei fatti però l'antico sistema delle caste è ancora in vigore (sebbene sia illegale) e quindi non tutti godono di eguali diritti; questo rende l'India non democratica secondo la definizione di Michele. Andiamo a vedere come funziona la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico da quelle parti: se si entra in un laboratorio di Fisica indiano quello che si vede è un piccolo numero di "scienziati" facenti parte di una elite (ovvero provenienti dalle caste di grado più elevato) che si occupano della parte "concettuale" della ricerca ed un gran numero di tecnici (ben preparati ma raramente laureati) appartenenti alle caste inferiori che si occupano di far funzionare i macchinari e di svolgere tutti quei lavori pratici necessari alla buona riuscita di un esperimento. In pratica il laboratorio è diviso in due: in alto gli scienziati ed in basso i tecnici (si noti che le due figure hanno uno status sociale ben diverso). Questo metodo è molto diverso da quello che abbiamo in occidente (anche da noi esistono i tecnici di laboratorio ma tutti gli scienziati che conosco si "sporcano le mani" in continuazione) ed è tutt'altro che "democratico" (sempre secondo la definizione di Michele) però funziona. Una struttura fortemente gerarchizzata del genere permette di creare ottima scienza e ottima tecnologia senza aver bisogno alcuno di una sorta di "eguaglianza" fra le persone.

Un'amica indiana mi diceva che accedere a master o PHD è relativamente semplice per un membro di una casta alta (hanno molti posti riservati), mentre è quasi impossibile per chi viene dalle caste inferiori (migliaia di candidati per una manciata di posti).Di conseguenza in questi corsi i membri delle caste inferiori surclassano regolarmente gli altri, ma poi hanno meno possibilità di carriera.

Non direi che il sistema funziona, visto che deliberatamente seleziona studenti mediocri e penalizza i migliori.

A proposito, farei molta tara a quanto si legge sui brillanti scienziati e tecnici indiani.Hanno sicuramente un rapporto qualità/prezzo migliore dei concorrenti occidentali, ma conosco diverse persone che ci hanno avuto a che fare, ed il giudizio è unanime: sono mediamente meno preparati degli equivalenti "occidentali", molto formali ed hsnno grossi problemi di comunicazione.Questi in particolare sono un problema: per un committente/capoprogetto è fondamentale tener traccia dello stato di avanzamento di un progetto, ma il tecnico indiano medio dire "sono in ritardo" è avvilente quanto dire "sono un' idiota incompetente, avresti dovuto chiederlo a qualcun'altro.Dovresti licenziarmi".I geni ci sono, ma chi si aspetta di assumerne a legioni per due soldi ha sbagliato i conti.

Provo ad unirmi al coro, anche se sono stonato :-).

Tralasciando gli esperimenti democratici o simil-democratici del passato, perchè erano ristretti solo ad una minoranza della popolazione oppure riguardavano società arcaiche che non erano impegnate in un processo produttivo (con possibilità di generare un surplus) in senso stretto, come nel caso delle comunità di raccoglitori e cacciatori (inverto l'ordine perchè credo che la gerarchia di importanza fosse questa), direi che il concetto di democrazia è piuttosto recente, non necessariamente nella sua concezione, quanto piuttosto nella sua applicazione. E' altresì innegabile che coincide con uno stadio avanzato di progresso tecnologico. Non credo sia possibile stabilire un momento esatto, tuttavia si può inferire che, a partire dal XVIII secolo o giù di lì, le comunità umane abbiano iniziato a competere fra di loro anche su base economica e non solo militare. Ovviamente non è stato un processo lineare, piuttosto è stato incerto e titubante, tanto che nel XX secolo ci sono state due guerre mondiali (anche se la seconda è stata causata da regimi poco democratici, benchè eletti). Sarei quindi tentato di dire che la democrazia sembra essere il sistema politico che facilita il progresso tecnologico, perchè allarga al massimo la platea dei potenziali produttori di idee e li incentiva adeguatamente permettendogli di godere dei vantaggi economici e sociali che la produzione tecnolgica genera. Non importa che l'URSS fosse un paese tecnologicamente avanzato:a) perchè l'URSS è scomparsa e b) perchè in pratica la produzione di idee era effettivamente incentivata nell'URSS, ma solo in modo parziale e poco efficiente (spesso molti onori, talvolta qualche beneficio economico, e in certi casi nessuno dei due se le idee erano troppo eterodosse). Per giudicare l'altro caso rilevante, cioè la Cina, prenderei a prestito la distinzione tra crescita economica di tipo "catching up" vs "cutting edge" che usano T. Cowen & A. Tabarrok. In questa fase la crescita della Cina avviene soprattutto attraverso l'accumulazione di capitale (investimenti interni ed esportazioni) e, pur essendo in certi settori all'avanguardia della tecnologia, non ha ancora strettamente bisogno di innovazione tecnologica generalizzata per accrescere la produttività, anche se fa comodo anche a loro. Quindi, in Cina, gli incentivi sono ancora di tipo "sovietico" seppur molto più perfezionati. I paesi occidentali, invece, per crescere hanno bisogno in primis di innovazione tecnologica. La tesi di fondo dovrebbe essere quindi, che solo in un contesto di ampie libertà economiche e politiche tipiche delle attuali democrazie le idee trovano il substrato migliore per svilupparsi. Non è possibile (è meno efficiente) accrescere il livello di scolarità della popolazione (per allargare la platea dei potenziali pensatori, produttori di idee) e poi confinare le possibilità di pensare solo ad alcuni settori della conoscenza. Ovviamente qualcuno lo può fare ma rischia di rimanere indietro rispetto agli altri. In tutto questo ragionamento mancano alcuni tasselli importanti, ad esempio: 1) come hanno reagito/reagiscono/reagiranno i detentori del potere di fronte all'avanzata della democrazia ? 2) il processo è irreversibile oppure no ? Questione in parte legata al punto precedente e in parte al fatto che futuri avanzamenti tecnologici possano consentire un controllo della popolazione da parte di chi detiene il potere assai migliore rispetto al passato. Per il punto 1) direi che, in passato, nei paesi occidentali, le elités al potere hanno potuto parzialmente compensare la perdita di controllo interno con l'aumento di potenza e prestigio a livello internazionale. Questo potrebbe avere facilitato il processo di transizione. Per il futuro sembra meno realistico perchè le condizioni di gioco di stanno livellando ed è sempre meno facile, per i governanti che dovrebbero accettare al proprio interno delle regole democratiche, scaricare parte dei (loro) costi all'esterno.

 

Rielaboro un po' meglio le idee.

Partiamo dalla tipica società occidentale. Essa ha questi valori fondanti: democrazia, capitalismo, libertà e progresso scientifico - tecnologico. Quindi un valore che attiene alla forma di governo della società, un altro che attiene alla forma di produzione economica, un valore che si riferisce tanto a questi due ambiti (governo ed economia), quanto ad altri (libertà di pensiero, di religione eccetera) e uno che, infine, riguarda più che altro l'ambito del benessere della società.

Bene, tra questi quattro valori ci sono dei legami: uno influenza l'altro, a volte rinforzandolo, a volte indebolendolo. Esiste cioè sia una solidarietà tra questi valori che una competizione.

Tuttavia, questi valori non si implicano necessariamente a vicenda, fatto salvo per il valore della libertà che mi sembra quello che abbia i legami più stretti con gli altri (sebbene comunque problematici: un esempio per tutti, il tema delle libertà delle minoranze in un regime democratico. E comunque la problematicità della libertà per me è connessa alla sua stessa natura e hai paradossi che essa genera). E secondo me vanno comunque tenuti distinti, altrimenti si rischia di generare un minestrone di cui non si capisce più il sapore e nel quale, sopratutto, si rischia di confondere un fenome con un altro...

Concentriamoci ora sul nesso progresso tecnologico e democrazia. Ebbene, io credo che certamente la democrazia favorisca un più ampio e profondo progresso tecnologico, proprio perchè concede alla scienza la maggior libertà possibile di indagine. Tuttavia questo non significa che non possa esistere progresso tecnologico in un contesto non democratico. Quindi non esiste un legame necessario o comunque di forte implicazione tra democrazia e tecnica.

Esempi ne sono stati fatti e anche liquidati in maniera mi pare erronea. Si dice: ma l'URSS è caduta. Vero, ma perchè è caduta? Forse sotto le spinte delle masse che chiedevano unicamente democrazia? O forse perchè il modello economico sovietico si è rivelato meno efficente di quello capitalistico? Certamente, anche la richiesta di democrazia ha dato una spinta, ma non credo fosse quella decisiva: erano in gioco molte più cose all'epoca. E comunque ciò non toglie che per ottant'anni l'URSS abbia conosciuto uno sviluppo tecnologico che non si può sottovalutare.

Proseguendo, torniamo alla Germania del XX secolo. Nella prima metà del secolo c'era una repubblica democratica, quella di Weimar che tracollò economicamente. Ebbene, chi riportò la Germania tra i primissimi Paesi industrializzati dell'Occidente, chi risollevò un Paese letteralmente in ginocchio? Un sistema totalitario. Poi certo crollò, ma non mi pare sotto i colpi della democrazia, ma sotto le bombe e i cannoni anglo-americani e (non dimenticatelo mai) sovietico-staliniane...

Ancora, sempre rimanendo a livello empirico-storico, portando nuovi esempi: la Rivoluzione industriale fu spinta essenzialmente dalla rivoluzione democratica? O forse, al massimo, è più vero il contrario, cioè che la Rivoluzione industriale, con annessi e connessi sviluppi tecnologici e capitalistici, fu da spinta alla democrazia? All'epoca il Paese più democratico erano gli USA, ma la Rivoluzione industriale avvenne prima di tutto in Inghilterra.

Inoltre, a un livello meno empirico e più astratto: per un robusto sviluppo tecnologico serve la libertà, ma non necessariamente la libertà tout court, bensì la libertà di ricerca, dal momento che la tecnologia è scienza applicata. E per concedere la libertà di ricerca è sufficiente avere una visione del mondo che non contempli stretti vincoli, che siano di natura idelogica o divini, per dirla alla buona. Cioè, vanno bene, ateismo, materialismo, immanentismo, panteismo o qualsiasi filosofia che non vincoli troppo strettamente lo scienziato nei suoi studi e che conceda una certa indipendenza alla ricerca scientifica... Insomma, in parole povere: basta concedere a Galileo di studiare un po' quello che vuole... Che poi Galileo viva in un regime democratico o in un regime totalitario, poco conta, se qualsiasi sia la natura del regime, quest'ultimo concede a Galileo la libertà di ricerca...

In conclusione, ripeto, al progresso scientifico e tecnologico fa bene respirare aria democratica, ma non è essenziale.

Aggiungo una nota: probabilmente, sarebbe anche da intendersi meglio anche su cosa si vuole dire dicendo progresso tecnologico. Cioè un progresso che realmente sia accessibile a tutti, che aumenti il benessere della maggior parte della popolazione di una società? Oppure semplicemente la capacità di progresso tecnologico un po' fine a sè stessa o comunque che serva altri fini, anche distanti dall'aumento del benessere individuale (il caso insomma dell'URSS)? Sono due idee che portano anche a conclusioni differenti. Sempre rimanendo nel caso dell'URSS, se partiamo dalla prima idea è vero che il progresso tecnologico sovietico si riverberò poco o per nulla sulla popolazione e sul miglioramento delle sue condizioni di vita; se invece rimaniamo all'interno della seconda accezione, allora possiamo con più ragionevolezza dire che l'URSS fu un competitore serio, sul piano tecnologico, per il mondo occidentale...

Aggiungo una nota: probabilmente, sarebbe anche da intendersi meglio anche su cosa si vuole dire dicendo progresso tecnologico

Il progresso tecnologico è quella cosa che serve ad aumentare la produzione  (output) a parita di input fisici. Da intendersi in termini economici. Infatti ho parlato di competizione economica fra comunità di persone che tende a sostituirsi a quella militare (si tratta di un processo lento e non necessariamente costante).

In conclusione, ripeto, al progresso scientifico e tecnologico fa bene respirare aria democratica, ma non è essenziale

Fa bene è proprio quello che serve, al margine. Infatti io sostengo che un sistema democratico produce più progresso tecnologico. La scelta non è binaria (tra chi produce tecnologia e chi no), ma conduce solo a chi lo fa meglio e può crescere di più.

Si dice: ma l'URSS è caduta. Vero, ma perchè è caduta? Forse sotto le spinte delle masse che chiedevano unicamente democrazia? O forse perchè il modello economico sovietico si è rivelato meno efficente di quello capitalistico?

Le opinioni sulla caduta dell'URSS sono molteplici. Mi sembra però che si concordi sul fatto che il sistema sovietico fosse meno efficiente di quello capitalistico. Cosa vuole dire ? In base alla definizione iniziale vuole dire che in ultima analisi era tecnologicamente più arretrato. Probabilmente il gap era complessivamente assai inferiore sul piano militare. Non mancava di capitali o di forza lavoro, ma proprio della tecnologia adatta a farli fruttare al meglio.

 

provo ad agire come referee davvero.

1. e' necessario (richiesta di modifica prima del placet alla pubblicazione) disambiguare due nozioni che non sono equivalenti. Una e' la nozione di eguaglianza formale di fronte alle istituzioni (leggi, corti, tassazione.) La cosa e' confusa perche' appare (a quasi tutti) che

non siano democratici sistemi di caste (ad esempio nella tradizione indiana o spartana) in cui la nascita di un individuo x da genitori alpha e delta determini i suoi diritti vis-a-vis le istituzioni. Per esser chiaro come Εἵλωτες in Laconia gli individui avevano zero diritti, come cittadino in France (dopo la fine di Ancien Regime) tutti godevano di uguaglianza formale (si noti, non le femmine, per l'estensione si attesero secoli, per far un esempio banale Lichtenstein diede il diritto alle cittadine femmine di votare nel 1984.) Se "democrazia" secondo l'autore e'

 

[citazione di M. Boldrin]

la totale uguaglianza formale di chiunque sia in grado d'intendere e volere a fronte delle leggi.

[fine della citazione di M. Boldrin]

la "democrazia" ha quasi nulla a che fare con lo sviluppo tecnologico. Vi sono comunita' (Essenes, e.g.) che hanno una assoluta uguaglianza di tutti i loro membri in condizioni troglodite di sviluppo tecnologico.

 e vice versa, si vedano infra, alcuni esempi.

Nota per i lettori: non sto a tediar le galassie con le scemenze di Severino, hanno nulla a che fare con nessuna tecnica particolare, dalle capsule dentarie al gps della macchina. Sono barboserie filosofiche, a mio avviso dubbie e assai promettendo che nulla muore e "dimostrando" --si fa per dire-- che io quando muoio esco dal cerchio dell'apparire e entro (rientro? c'ero gia' prima?) nel cerchio dell'essere. La logica, aurea disciplina, per il sig. Severino e' puro princisbecco. In un modo o nell'altro le teorie cosidette di Severino dicono nulla di interessante sulla tecnologia o sulla tecnica]

 

2. Una accezione distinta di "democrazia" ha a che fare con qualche cosa di affatto diverso e afferisce alla determinazione di chi detenga il potere di coercizione che viene "donato" da una maggioranza a una minoranza. Il tutto, prevedibilmente,  e' sottomesso a infinite regole (ogni cinque anni si cambia personale, se tutto va bene, anche il potere "assoluto" e' sottoposto a regole costituzionali, in USA e' vietato introdurre la schiavitu', indipendentemente da che cosa pensi o voti la maggioranza, idem in Za e' vietato introdurre la pena di morte, indipendentemente da quel che ne pensi o il parlamento o il popolo) Dato il principio (di cui [1] da sommaria definizione) predatante logicamente avendo tutti lo stesso status di fronte alle leggi,  tutti (o quasi, non i cretini, etc.) hanno diritto, in base all'uguaglianza formale, ad esprimere la loro preferenza (preferisco Pannella a Buttiglione, Bassanini a Fini, etc.) che determina (modulo una canea di difficolta' aggregative da Arrow au Marquis de Condorcet)

 

A modesto avviso del presente referee sia il tono, che l'efficacia, che il contenuto dell'articolo grandemente beneficiera' dalla distinzione sopra indicata. In termini di puro principio, efficienza economica/incentivi/sviluppo tecnologico hanno nulla a che fare con 1 & 2. Esempi da considerare: l'enorme sviluppo tecnologico della RPC (in mancanza di probabilmente sia 1 che 2), l'enorme arretramento di Zimbabwe sul piano dello sviluppo economico a seguito (si noti, NON a causa di, ma cronologicamente seguente) della avvenuta affermazione dell'uguaglianza alla fine dell'esperienza di I. Smith.

Con tutti i miei cordiali saluti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Una congettura da considerare seriamente, ad avviso del sottoscritto, e' di ipotizzare che se si vuole definire "democrazia" la scommessa migliore sia l'unione di 1 & 2.

Avrei molto da dire sulle origini culturali d 1 e 2, ma su cio' di cui non si riesce a parlar chiaramente, si deve tacere, non fischiettare  -F.P. Ramsey]


 

Grazie Palma, molto chiaro e vorrei cogliere l'occasione per un punto di vista "geografico":

 

In termini di puro principio, efficienza economica/incentivi/sviluppo tecnologico hanno nulla a che fare con 1 & 2. Esempi da considerare: l'enorme sviluppo tecnologico della RPC (in mancanza di probabilmente sia 1 che 2), l'enorme arretramento di Zimbabwe sul piano dello sviluppo economico a seguito (si noti, NON a causa di, ma cronologicamente seguente) della avvenuta affermazione dell'uguaglianza alla fine dell'esperienza di I. Smith.

 

In East Asia, dove com'e' noto vivo da due decenni, la descrizione del processo comunemente accettata da chi e' abbastanza istruito da porsi il problema (lower-middle-class in su) e', schematicamente, questa:

sviluppo ordinato -> prosperita' -> nascita di una middle class con capacita' e volonta' di partecipare alla gestione dello stato -> forme di governo costituzionali -> progressivo allargamento della middle class fino a includere chiunque abbia uno "stake" nei diritti di proprieta' e abbastanza cervello na non seguire il demagogo di turno -> democrazia.

Questo in passato (anni '80-'90) fu talora sintetizzato nella frase "rice before rights", che in Occidente fu sistematicamente visto come opportunistica tolleranza del dispotismo. Di converso, l'ostinazione occidentale a incoraggiare forme di suffragio universale prima d'ogni altra cosa e' stata vista dalle middle classes locali con un misto di derisione ("elezioni come a Gaza?") e di sospetto ("e' impossibile che 'sti occidentali siano cosi' scemi: di sicuro hanno motivi inconfessati, per esempio suscitare caos per continuare a tenerci sotto il loro tallone").

La reciproca incomprensione continua, e un caso emblematico sono i recenti eventi in Thailandia, dove nell'ultimo decennio Thaksin Shinawatra, un astuto parvenu monopolista (nel campo delle telecomunicazioni cellulari, non dei media come Papi), diventato l'uomo piu' ricco del paese grazie alle sue connessioni con la burocrazia della pubblica amministrazione (e' un ex poliziotto), e' sceso in politica e ha iniziato pratiche populiste alla Achille Lauro per comprarsi i favori delle masse contadine del nord-est del paese, ora la sua principale base elettorale: questo nel tentativo di rimpiazzare l'elite di Bangkok nel suo controllo della politica nazionale, che stava muovendo incerti passi liberal-costituzionali dopo vari episodi di dittatura militare. La sua vittoria elettorale in aprile 2006 fu annullata dalla Corte Costituzionale per irregolarita' (compravendita di voti), ma Thaksin rifiuto' di andarsene nonostante massicce dimostrazioni in Bangkok, dove e' assai malvisto, finche' un (non-violento) intervento dell'esercito in settembre lo rimosse mentre stava vaggiando all'estero, da dove non e' piu' rientrato. Tuttora fuggiasco in Dubai, dopo che la Gran Bretagna gli ha cancellato il visto, ha organizzato un suo movimento di protesta (con camicie rosse, anziche' gialle come quello dei suoi oppositori) che recentemente ha causato al governo un certo imbarazzo interrompendo un summit di capi di stato dell'ASEAN in Pattaya.

Bene, sin qui la cronaca. L'ottica della stampa occidentale su questi fatti e' sintetizzata da quest'articolo di Gideon Rachman, che stigmatizza la middle class urbana per aver rimosso un governo "democraticamente eletto" e per star chiedendo limitazioni al suffragio universale; e ugualmente esprime disdegno per simili attitudini nella nascente borghesia in Cina. Rachman sembra pero' dimenticare che la democrazia nel suo paese non nacque dall'immediata concessione del suffragio universale, ma da un processo secolare di graduale estensione del potere politico iniziato dai baroni che ottennero la firma della Magna Carta, continuato con la Glorious Revolution del 1688, con le politiche Whig nei due secoli successivi, e con il progressivo smantellamento dei privilegi dell'aristocrazia terriera da parte di Gladstone. Il processo ando' di pari passo con la crescita della rilevanza economica e del livello di istruzione delle nuove classi, le quali conseguentemente reclamavano un ruolo nella gestione della cosa pubblica. Perche' mai un socialdemocratico come Rachman pensi che invece per Thailandia e Cina vada meglio un processo simile a quello con cui Mao Zedong e Pol Pot aizzavano contadini incolti contro le classi medie urbane non risulta affatto chiaro.

che differenza di tecnica, o tecnologia, rendeva Atene una democrazia e Sparta no?

argomento interessante. per quello che riesco a cogliere, è una visione molto pragmatica e in un certo senso "moralmente" utile: riconoscere che devono esistere delle basi pratiche, tecnologiche per l'applicazione di certi ordinamenti sociali che una volta acquisiti sembrano naturali a me sgombra il campo dall'idea un pò troppo autoindulgente di una magnifica, assoluta conquista intellettuale come il riconoscimento di diritti universali. Avere coscienza di quello che nei fatti la rende possibile, anche a prezzo di un pò di idealismo, comunque la rafforza. una domanda. questo si potrebbe definire come un caso di negoziazione tra democrazia e tecnica?

 

La questione e' di lana caprina. democrazia (in termini comprensibili dagli attici o dai lacedemoni) e' il cratos (il potere militare e politico) dato al demos (chi sia membro di demos e' infinita discussione: i barbari non contano, gli schiavi nemmeno, le donne meno che mai, gli infanti neppure, und so weiter)

Sparta nella sua costituzione ammise re (due) e una serie di misure che non corrispondono affatto alla nozione attica di "potere al popolo".

Accludo per sua convenienza una breve introduzione al tema, mi scuso se e' in Inglese ma ho scarsissimo accesso per ragioni di larghezza di banda a testi in Italiano;

Beg/cit

Sparta Reconsidered Democracy title

First Democracy: Revolution and Land Reform

The Spartan Constitution is most commonly dated to the early 7th century BC.

It is the first known constitution that vested the supreme power in the hands of an Assembly composed of all citizens.

Thus, Sparta was the first known functioning democracy—roughly 150 years before the introduction of democracy in Athens.

Furthermore, Sparta was the only Greek city-state to introduce a land reform, dividing property equally among its citizens.

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Ancient historians had no convenient system for marking the dates of events—which makes it even more difficult for modern historians to try to apply dates to the events described. We therefore have no way of dating the Spartan Revolution with certainty. Ancient sources agree, however, that following a period of "unrest"—possibly even a rebellion of some kind—new, revolutionary laws were introduced. These laws were submitted to the Oracle at Delphi, which advised the Spartans that they would live better under these laws than any others. Thereafter, this radical new form of government was copied and modified in other Greek city-states.

As is typical of early, innovative institutions, later innovations in the other cities made the Spartan democracy appear "conservative" as time went by. Thus, Sparta never entirely freed itself of its kings. Two jointly-ruling hereditary kings from different families held restricted and mostly ceremonial functions throughout Sparta's history as an independent state—very much as the English monarchy functions today.

Another notoriously "conservative" aspect of the Spartan constitution was the "Council of Elders." Although this body was elected, as were similar institutions in other cities, the Elders had to be over 60 years of age and were elected for life. In consequence, they were not subject to the most effective of democratic censures: re-election.

In addition to the Kings and Council, however, Sparta had the distinctly democratic institutions of "Ephors" and the Assembly itself.

The "Ephors" were five officials or executives responsible for carrying out the day-to-day running of the city, including the receiving and sending of ambassadors. They were elected for only one year and could not be re-elected.

The Assembly, which is believed to have met on a monthly basis, was composed of all adult males. Although it could only vote on the bills presented by the Council/Ephors, the common misconception that the Assembly could only vote "yes" or "no" is belied by accounts of lively (not to say rowdy) debates. The Spartan Assembly was powerful and was even known to have exiled kings. Nevertheless, the Spartan Assembly never attained the absolute tyranny of the Athenian Assembly—a point praised widely by ancient writers, who saw in Sparta's more balanced (two-chambered) democracy a means of controlling the fickleness of the mob.

The most radical feature of Sparta's constitution, however, was the introduction of land reform. Although this event, too, is lost in the mists of undated ancient history, all ancient historians agree that at some time (probably in the late 8th or early 7th century BC, by our reckoning) Spartan society underwent a severe crisis. A rebellion or civil war so threatened the continued existence of the city-state that the citizens were prepared to accept extensive reforms, effectively a new Constitution. This Constitution, reputedly developed by Lycurgus, included a redistribution of the land. The land was divided into equal plots of sufficient size to support a man and his family, and each citizen was given a plot, or estate, a "kleros." Henceforth, the Spartans called themselves "Equals"—because they were equal not only in rights but also in wealth.

There is no question that with time this equality of wealth was eroded. Whether by inheritance, marriage, or the acquisition of new lands through conquest after the land reform, by the second half of the 5th century BC wealth had become concentrated in the hands of fewer and fewer families. Spartan citizens were no longer equally wealthy. Yet even so, the myth of equality remained powerful, and laws prohibited the hoarding of wealth, even the ownership of gold and silver coins (possibly all gold and silver). The ostentatious display of wealth was frowned upon socially.

This set Sparta apart from the other Greek city-states, where the landed aristocracy, wealthy merchants and manufacturers engaged in extravagant displays of wealth and competed for the honour of donating the most generous gifts to their respective cities. Spartan dress, tastes, and style were notoriously modest. On the negative side, this custom reduced the magnificence of Spartan buildings and hence the archaeological heritage that could be passed on. On the positive side, the apparent disparity of wealth among citizens was greatly reduced. Whereas in other cities, citizens could be reduced to beggary and it was not uncommon for the slaves of wealthy men to enjoy more material well-being than poor citizens, every Spartan citizen had at least a small "kleros" to support himself and his family.

 

 

Fra i tanti consigli per Napoli, un lettore caritatevole mi ha inviato anche questo!

Mah, a me l'unica volta che hanno fregato il portafogli è stato l'anno scorso a Milano. Paese che vai, usanze che trovi...

Infine una nota a margine: perchè prendere il bus per Mergellina se c'è la Metro dalla stazione centrale fino a Mergellina ? Mi sa che i professori hanno trovato l'ufficio informazioni chiuso: era domenica e la Brunetta (il ministro) non era in giro..

 

Un elegantissimo Michele Boldrin ieri ha presentato la sua relazione su "Democrazia e tecnica" al convegno SUM-NISA. 

 

Io c'ero